Piccola arringa in difesa della letteratura

Comune-info - Thursday, November 27, 2025

Un gruppo di giovani universitari nazisti nel maggio 1933 saccheggia una libreria. Portano il camion sulla strada: vi buttano dentro i libri declamandone i titoli alla folla con aria di scherno. Uno di questi si chiama Nie wieder Krieg. Mai più guerra. È la fotografia del momento esatto in cui il nazismo si impone. Oggi siamo tornati su quel marciapiede di Berlino, più o meno nello stesso incrocio della storia: l’intelligenza si è dissociata dalla coscienza e la coscienza sembra disintegrata. “Ma è questa la ragion d’essere della letteratura e dell’arte – dice Fabio Stassi – Impedire la disintegrazione della coscienza, scriveva Elsa Morante… Non sono i libri a essere pericolosi, sono i lettori. Perché ragionano con la loro testa… È il lettore il vero detective e il vero protagonista della letteratura. Non era forse un lettore Don Chisciotte?… Quest’estate ho visto una fotografia: un gruppo di curdi, nel nord della Siria, avevano accettato la fine della lotta armata e stavano gettando delle armi in dei grandi bracieri. Bruciare le armi, non i libri. Abbandonare l’idea degli Stati nazionali. Appartenere soltanto alla letteratura…”

Firenze, quartiere Le Piagge: biblioteca comunitaria “Ridare la parola” (pag. fb)

Gentili giurate e giurati, gentilissima corte, non pronuncerò in quest’aula di tribunale un’arringa a sostegno di un libro, ma vorrei sviluppare con voi un breve discorso in difesa della letteratura stessa. Ho una domanda da cui partire: a quale letteratura appartengo, a quale letteratura apparteniamo?

È una domanda contundente, esplosa per me durante quel grande rogo esistenziale, storico e politico che è stato la pandemia e che in gran parte la società e i mezzi di informazione hanno cercato di rimuovere. Ma quel rogo ha determinato il presente che stiamo vivendo. In quel periodo, molte cose sono andate a fuoco nella mia vita, e nella vita di tutti. Ho perso alcuni affetti, una certa idea di realtà, un’idea di letteratura. Ho capito che non avrei più potuto scrivere con lo stesso inchiostro di prima. Né leggere, né ricordare. Ma, soprattutto, è andata a fuoco la parola pace, la parola su cui questa parte di mondo, l’Occidente, aveva costruito, a parte la tragedia delle guerre Jugoslave, rimosse anche loro dalla coscienza collettiva, la nostra convivenza per oltre settant’anni.

In quei giorni di Berlino del 1933 in cui si bruciavano i libri, a poche ore dal rogo della notte del 10 maggio a Bebelplatz, un gruppo di giovani universitari nazisti saccheggiò la libreria di un piccolo editore liberalpacifista. Portarono il camion sulla strada. Vi buttarono dentro i libri declamandone i titoli alla folla con aria di scherno. Uno di questi si chiamava Nie wieder Krieg. Mai più guerra. Lo tennero con due dita, come un rettile, poi lo gettarono nel mucchio, ridendo forte proprio mentre transitava dall’altro lato del marciapiede una signora ben vestita. La passante si fermò a guardare e alla fine si mise a ridere con loro e a ripetere: mai più guerra, che assurdità!

È la fotografia del momento esatto in cui il nazismo si impose. Prima di bruciare quel libro, avevano già bruciato l’idea che conteneva, contagiato a tutti l’assuefazione alla parola guerra e convinto quella signora che passava lì per caso che un mondo costruito sulla pace fosse un’assurdità. Incenerendo anche il libro, volevano cancellarla per sempre, quell’idea: che a nessun altro venisse in mente, leggendolo, una follia del genere. Che nessuno potesse più contestare l’uso dei gas o delle mine antiuomo, delle bombe a grappolo, dei campi di concentramento, dei bombardamenti dall’alto e sui civili, delle bombe atomiche.

È un episodio che non riesco a dimenticare. Ora che siamo nuovamente circondati da uomini fatti di carattere e non di libri, come auspicava Goebbels, a Bebelplatz, nell’ora degli inquisitori e delle streghe; ora che altri atti forti e simbolici vengono comunicati al mondo per mostrare le proprie intenzioni; ora che comprendiamo meglio l’affermazione di Alberto Moravia per cui il vero vincitore della Seconda guerra mondiale era stato Adolf Hitler perché la sua idea della soluzione finale si è affermata persino nella mentalità delle sue vittime; ora siamo tornati su quel marciapiede di Berlino, nello stesso incrocio della storia. E come esseri umani, come cittadini, come lettrici e lettori siamo chiamati a una responsabilità. Sta a noi, adesso, prendere posizione. Opporci all’“invasione dell’irrealtà” e provare a restituire l’integrità del reale. Perché forse mai, nella storia dell’umanità, l’uomo ha vissuto in un tempo più irreale e virtuale di quello in cui viviamo noi, un tempo senza più testimoni, in cui l’intelligenza si è dissociata dalla coscienza, e la coscienza si è disintegrata, si è disintegrato il diritto, si è disintegrata la realtà.

Ma è questa la ragion d’essere della letteratura e dell’arte. Impedire la disintegrazione della coscienza, scriveva Elsa Morante. Ed è questa la letteratura degenerata, marchiata da un marchio di infamia, a cui appartengo. È la letteratura che ci ha trasmesso l’elogio della libertà, della gioia, della risata, dell’amore, dell’amicizia; il cosmopolitismo mediterraneo e l’utopia di una Costituzione Mondiale; l’anticolonialismo, l’antimperialismo e l’antimilitarismo; l’antifascismo radicale; il rifiuto del patriarcato che sta alla base di tutte le dittature.

C’è un filo che ci lega ai libri che abbiamo letto. E che li lega tra loro. La letteratura è un’alleanza, una confederazione, una consegna. Ma perché non si spezzi, questo filo, non bisogna stancarsi di riannodarlo, di ritrascrivere la sua lista nera, nome per nome, idea per idea, libro per libro, di ripopolare la biblioteca devastata e poi murata di don Chisciotte.

Così, accanto ai nomi degli messi al bando dai nazisti e dai fascisti (Pietro Aretino, Emilio Salgari, Giuseppe Antonio Borgese, Ignazio Silone e Maria Volpi) vorrei aggiungerne altri più recenti, anche se sono soltanto una piccola e incompleta lista: Giuseppe Ungaretti, Emilio Lussu, Primo e Carlo Levi, Elio Vittorini, Alba de Céspedes, Italo Calvino, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Luciano Bianciardi, Gianni Rodari, Carlo Cassola, che fondò la Lega per il disarmo unilaterale dell’Italia, e Aldo Capitini, Danilo Dolci, Goffredo Fofi, Tiziano Terzani, Antonio Tabucchi…

Bebelplatz è ormai un luogo simbolico, che si rinnova ogni volta che sono messi a tacere e censurati gli uomini fatti di libri – come noi, in quest’aula -, e altre scrittrici, scrittori, poeti, questi esseri inermi sempre incarcerati nella storia, torturati, fucilati. Per i poeti, la letteratura è “l’unica forma di assicurazione morale di cui la società può disporre”, “l’antidoto permanente alla legge della giungla”. Abita dal lato della devianza e della diversità. Non ammette nessun vincolo con il potere, con nessun potere. È la protesta più intransigente all’ordine omicida del mondo e a ogni forma di nazionalismo e di conformismo.

Per questo è sempre stata perseguitata. Così diceva duemila anni fa il portavoce dell’imperatore cinese: chiunque usi la storia – e intendeva la memoria, la fantasia, l’immaginazione – per criticare il presente sarà giustiziato insieme alla sua famiglia.

Chissà se avessero letto di più i nostri governanti, se davvero il mondo sarebbe stato un luogo migliore. Non so se si tratta di un’illusione, ma ora che intorno a noi sono tornate a risuonare le stesse parole d’ordine del passato recente e remoto dobbiamo ricordarci che la lettura è un diritto e va difeso e che leggere è un atto politico, un esercizio di responsabilità oltre che di amore. Ma è un diritto che non è garantito dovunque. In molte parti del mondo, in Medio Oriente come in qualche stato d’America, entrare in una biblioteca può essere pericoloso. Ci sono polizie politiche che controllano il registro dei prestiti. Che perquisiscono le case. In alcune circostanze, bisogna disfarsi dei propri libri, ed è come amputarsi una parte del corpo. In definitiva, non sono i libri a essere pericolosi, sono i lettori. Perché ragionano con la loro testa. Perché usano il pensiero critico. Perché aprono sempre un’inchiesta intima e collettiva quando leggono un libro o un romanzo. È il lettore il vero detective e il vero protagonista della letteratura. Non era forse un lettore Don Chisciotte? Non legge forse un libro Amleto, la prima scena in cui appare?

La letteratura, come diceva Antonio Tabucchi, ha gli stessi nemici di sempre, gli stessi sicari. Ma nessuno è mai riuscito a zittirla. In Kenya, la polizia ha emesso un mandato di cattura contro un personaggio di romanzo, credendolo una persona in carne e ossa, per l’entusiasmo con cui i contadini si raccontavano oralmente le sue avventure. Ma un personaggio di romanzo non lo si potrà mai catturare. E se anche incenerissero tutti i libri e i nuovi Re dei Tarli – ogni epoca ne incorona qualcuno – divorassero tutte le Biblioteche della terra, ci sarà sempre un’altra scrittrice o scrittore a riprendere la voce e a difendere la libertà di espressione e di parola.

Per tutto questo continuo a credere nell’utopia di una letteratura che abbia ancora al centro il personaggio-uomo, e che sia libera e cosmopolita, sguardo molteplice e senza gerarchie, senza confini, senza frontiere. A trattenere l’idea di un socialismo liberale e internazionalista, di un umanesimo mediterraneo, di una identità multipla. Ad avere fiducia nelle biblioteche come luoghi extraterritoriali, simili alle ambasciate, alle chiese, luoghi che danno ricovero a chi è o si sente in esilio, dove non serve nessun permesso di soggiorno.

Quest’estate ho visto una fotografia: un gruppo di attivisti curdi, nel nord della Siria, avevano accettato la fine della lotta armata e stavano gettando delle armi in dei grandi bracieri. Bruciare le armi, non i libri. Abbandonare l’idea degli Stati nazionali. Appartenere soltanto alla letteratura.

Ecco, forse la lettura e la letteratura non sono altro che questo: prendere in consegna il lumicino della ragione da chi ci ha preceduto, evitare che cada nelle mani di chi lo vuole estinguere, e farlo durare. È l’ultima candela che ci è rimasta. La stessa con cui leggeva Mastro Geppetto nel ventre della balena o Don Chisciotte nella sua stanza dei libri.

Di questo parlano i romanzi, dell’inadeguatezza dell’incantesimo in un mondo senza incantesimo. Ed è con un ultimo deliberato atto di ottimismo che vorrei salutarvi: soltanto attraverso la letteratura, la musica, il teatro, il cinema, la danza, l’arte tutta, potremo continuare a custodire la speranza in un mondo senza speranza.

Tra gli ultimi libri di Fabio Stassi Bebelplatz. La notte dei libri bruciati e Notturno francese, entrambi editi da Sellerio.

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