Source - Assopace Palestina

La Riviera di Gaza, utopia genocida
di Chris Hedges e Eunice Wong,  Chris Hedges Substack, 2 agosto 2025.   La società israeliana applaude il massacro di Gaza e vede nel genocidio non un crimine, ma una fantasia utopica. La Rivera di Gaza nel video di Gila Gamliel Gli israeliani non vedono come una maledizione le immagini dei cadaveri scheletrici dei bambini palestinesi che hanno affamato a morte. Non considerano un crimine di guerra le famiglie massacrate che hanno ucciso a colpi di arma da fuoco nei centri di distribuzione alimentare, progettati non per fornire aiuti ma per attirare i palestinesi affamati entro un enorme campo di concentramento nel sud di Gaza in preparazione alla deportazione. Gli israeliani non considerano nulla di straordinario i selvaggi bombardamenti e i cannoneggiamenti che uccidono o feriscono decine di civili palestinesi, e muoiono ogni giorno in media 28 bambini. Non vedono come barbarizzata la terra desolata di Gaza, fatta a pezzi dalle bombe e metodicamente demolita da bulldozer e escavatori, che lascia praticamente senza tetto l’intera popolazione di Gaza. Non vedono come selvaggia la distruzione degli impianti di depurazione dell’acqua, la decimazione degli ospedali e delle cliniche, dove i medici e il personale sanitario sono spesso impossibilitati a lavorare perché indeboliti dalla malnutrizione. Non battono ciglio davanti agli omicidi di medici e giornalisti, 232 dei quali sono stati assassinati per aver cercato di documentare l’orrore. Gli israeliani si sono accecati moralmente e intellettualmente. Guardano al genocidio attraverso le lenti di una classe politica e mediatica fallita che dice loro solo ciò che vogliono sentire e mostra loro solo ciò che vogliono vedere. Sono inebriati dal potere delle loro armi industriali e dalla licenza di uccidere impunemente. Sono ubriachi di autoadulazione e della fantasia di essere l’avanguardia della civiltà. Credono che lo sterminio di un popolo, compresi i bambini, condannati come potenziale contaminante umano, renda il mondo, e soprattutto il loro mondo, un posto più felice e sicuro. Sono gli eredi di Pol Pot, degli assassini che hanno compiuto i genocidi a Timor Est, in Ruanda e in Bosnia e, sì, dei nazisti. Israele, come tutti gli stati genocidi – nessuna popolazione dalla Seconda Guerra Mondiale è stata espropriata e affamata con tanta rapidità e spietatezza – ha una soluzione finale che avrebbe ottenuto l’approvazione di Adolf Eichmann. La fame è sempre stato il piano, il capitolo finale predeterminato del genocidio. Israele ha metodicamente pianificato fin dall’inizio del genocidio di distruggere le fonti di cibo, bombardando panifici e bloccando le spedizioni di cibo a Gaza, cosa che ha accelerato da marzo, quando ha interrotto quasi tutte le forniture alimentari. Ha preso di mira l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) – da cui dipendeva per il cibo la maggior parte dei palestinesi– accusando i suoi dipendenti, senza fornire prove, di essere coinvolti negli attacchi del 7 ottobre. Questa accusa è stata utilizzata per dare ai finanziatori come gli Stati Uniti, che nel 2023 hanno fornito 422 milioni di dollari all’Agenzia, la scusa per interrompere il sostegno finanziario. Israele ha quindi vietato l’attività dell’UNRWA. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, oltre 1.000 palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani e dai mercenari statunitensi nella caotica corsa per ottenere uno dei pochi pacchi alimentari distribuiti durante brevi intervalli di tempo, di solito un’ora, nei quattro siti di assistenza allestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da Israele. Una volta che Gaza è stata trasformata in un paesaggio lunare dopo 21 mesi di bombardamenti a tappeto, una volta che i palestinesi sono stati costretti a vivere in tende, sotto teloni di fortuna o all’aperto, una volta che l’acqua potabile, il cibo e le cure mediche sono diventati quasi impossibili da trovare, una volta che la società civile è stata annientata, Israele ha iniziato la sua tetra campagna per affamare i palestinesi fuori da Gaza. Una persona su tre a Gaza passa diversi giorni senza mangiare, secondo le Nazioni Unite. La fame non è uno spettacolo piacevole. Ho seguito la carestia in Sudan nel 1988, che ha causato circa 250.000 vittime. Ho delle striature nei polmoni, cicatrici dovute al fatto di essere stato in mezzo a centinaia di sudanesi che stavano morendo di tubercolosi. Io ero forte e in buona salute e ho combattuto il contagio. Loro erano deboli e emaciati e non ce l’hanno fatta. Ho visto centinaia di figure scheletriche, fantasmi di esseri umani, avanzare a passo lento attraverso il paesaggio arido del Sudan. Le iene, abituate a nutrirsi di carne umana, catturavano regolarmente i bambini piccoli. Mi trovavo in mezzo a cumuli di ossa umane sbiancate alla periferia dei villaggi, dove decine di persone, troppo deboli per camminare, si erano sdraiate in gruppo e non si erano più rialzate. Molti erano i resti di intere famiglie. Gli affamati non hanno calorie sufficienti per sopravvivere. Mangiano qualsiasi cosa per sopravvivere: mangime per animali, erba, foglie, insetti, roditori, persino terra. Soffrono di diarrea costante. Hanno difficoltà a respirare a causa di infezioni respiratorie. Strappano piccoli pezzi di cibo, spesso avariato, e lo razionano nel vano tentativo di placare i morsi della fame. La fame riduce il ferro necessario per produrre l’emoglobina, una proteina dei globuli rossi che trasporta l’ossigeno dai polmoni al corpo, e la mioglobina, una proteina che fornisce ossigeno ai muscoli; c’è inoltre carenza di vitamina B1, che influisce sul funzionamento del cuore e del cervello. Si instaura l’anemia. Il corpo, in sostanza, si nutre di se stesso. I tessuti e i muscoli si consumano. È impossibile regolare la temperatura corporea. I reni smettono di funzionare. Il sistema immunitario collassa. Gli organi vitali si atrofizzano. La circolazione sanguigna rallenta. Il volume del sangue diminuisce. Malattie infettive come il tifo, la tubercolosi e il colera diventano epidemie, uccidendo migliaia di persone. È impossibile concentrarsi mentalmente. Le vittime emaciate soccombono al ritiro mentale ed emotivo e all’apatia. Non vogliono essere toccate o spostate. Il muscolo cardiaco è indebolito. Le vittime, anche a riposo, sono in uno stato di quasi arresto cardiaco. Le ferite non guariscono. La vista è compromessa da cataratte, anche tra i giovani. Infine, sotto il tormento di convulsioni e allucinazioni, il cuore smette di battere. Questo processo può durare fino a 40 giorni per un adulto. I bambini, gli anziani e i malati muoiono più rapidamente. Questo è il futuro che Israele ha predestinato ai due milioni di persone di Gaza. Ma non è questo il futuro che vedono gli israeliani. Loro vedono il paradiso. Vedono uno stato ebraico etnico-nazionalista dove i palestinesi, di cui hanno rubato e occupato la terra e il cui popolo hanno soggiogato e costretto a un’esistenza di apartheid, non esistono. Vedono caffè e alberghi sorgere dove migliaia, forse decine di migliaia, di corpi giacciono sepolti sotto le macerie. Vedono turisti che si divertono sul lungomare di Gaza, una visione esaltata da un video generato dall’intelligenza artificiale caricato sui social media dal ministro israeliano dell’Innovazione, della Scienza e della Tecnologia, Gila Gamliel. È così che sarebbe Gaza senza palestinesi, facendo eco al video assurdo generato dall’intelligenza artificiale pubblicato da Donald Trump. Nel nuovo video, israeliani spensierati mangiano nei ristoranti sul mare. Nel Mediterraneo scintillante sono ormeggiati yacht di lusso. Splendidi hotel e grattacieli, tra cui una Trump Tower, punteggiano il lungomare. Attraenti quartieri residenziali sorgono dove ora ci sono cumuli di cemento frantumato e frastagliato. Il video mostra Benjamin Netanyahu e sua moglie Sara, così come Trump e Melania, che passeggiano lungo la spiaggia. Gamliel, come altri leader israeliani e Trump, usa cinicamente il termine “emigrazione volontaria” per descrivere la pulizia etnica di Gaza. Questo omette la scelta netta che Israele offre effettivamente ai palestinesi: andarsene o morire. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha chiesto una “annessione di sicurezza” della Striscia di Gaza settentrionale e ha promesso che Gaza diventerà “parte inseparabile dello Stato di Israele”. Ha fatto queste dichiarazioni durante una conferenza alla Knesset intitolata “La Riviera di Gaza: dalla visione alla realtà”, e ha presentato proposte per la costruzione di colonie ebraiche a Gaza. Smotrich ha detto che Israele “trasferirà i gazawi in altri paesi” e che Trump ha approvato il piano. Il ministro israeliano del Patrimonio Amichai Eliyahu, che una volta ha proposto di sganciare una bomba nucleare su Gaza, ha dichiarato che “tutta Gaza sarà ebraica”. Il governo israeliano “sta accelerando il passo per spazzare via Gaza”, ha detto Eliyahu. Ha descritto i palestinesi come nazisti. “Grazie a Dio, stiamo spazzando via questo male. Stiamo spingendo questa popolazione che è stata educata sul ‘Mein Kampf’”. Gli assassini genocidi abbracciano fantasie di sterminio di una popolazione autoctona e di espansione del loro stato etnonazionalista. I nazisti hanno compiuto il loro genocidio, che includeva la fame di massa, contro gli slavi, gli ebrei dell’Europa orientale e altre popolazioni indigene, liquidati come Untermenschen, o subumani. Dei colonizzatori dovevano poi essere spediti nell’Europa centrale e orientale per germanizzare il territorio occupato. Questi assassini non tengono conto delle tenebre che scatenano. Le lussuose proprietà sul lungomare sognate da Israele non vedranno mai la luce, proprio come la moderna capitale esclusivamente serba, con la sua cattedrale dalla cupola dorata, l’imponente palazzo presidenziale, la torre dell’orologio di 15 piani, il centro medico all’avanguardia e il teatro nazionale con un palcoscenico girevole di 22 metri, non è mai stata costruita sulle rovine della Bosnia. Ci saranno invece brutti condomini, popolati dai soliti malfattori, proto-fascisti, razzisti e mediocri che vivono nelle colonie ebraiche in Cisgiordania. Questi ultranazionalisti, che hanno formato milizie ribelli per impadronirsi della terra palestinese e si sono uniti all’esercito israeliano nell’assassinio di oltre 1.000 palestinesi in Cisgiordania dal 7 ottobre, caratterizzeranno Israele. Sono la versione israeliana dei 3 milioni di membri della Pancasila Youth – l’equivalente indonesiano delle Camicie Brune o della Gioventù Hitleriana – che nel 1965 contribuì a compiere il genocidio che causò da mezzo milione a un milione di morti. Queste milizie ribelli, equipaggiate con armi automatiche fornite dal governo israeliano, hanno linciato Saifullah Musallet, un palestinese-americano di 20 anni che due settimane fa stava cercando di proteggere la terra della sua famiglia. È il quinto cittadino statunitense ucciso in Cisgiordania dal 7 ottobre. Una volta che questi teppisti e delinquenti israeliani hanno finito con i palestinesi, si rivoltano l’uno contro l’altro. Il genocidio a Gaza segna l’abolizione, sia per gli israeliani che per i palestinesi, dello stato di diritto. Segna la distruzione anche della parvenza di un codice etico. Gli israeliani stessi sono i barbari che loro condannano. Se c’è una giustizia perversa in questo genocidio, è che gli israeliani, una volta finito con i palestinesi, saranno costretti a vivere insieme in uno squallore morale. https://chrishedges.substack.com/p/the-gaza-riviera-read-by-eunice-wong?utm_campaign=post&utm_medium=web&triedRedirect=true Traduzione a cura di AssoPacePalestina Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Un trattore per At-Tuwani
di AssopacePalestina,  Progetti, giugno 2025.   Salviamo Masafer Yatta! L’altopiano di Masafer Yatta (Grande Yatta) si trova in Area C, è situato nella parte più meridionale della Cisgiordania: un gruppo di 15 villaggi tra la città di Yatta e la linea verde. Copre un’area semidesertica di circa 36 Km2, la casa di circa 4000 abitanti che vivono prevalentemente di pastorizia e agricoltura. Nei primi anni Ottanta, per volontà dell’allora ministro dell’Agricoltura Ariel Sharon, viene deciso che nell’area sorgerà una zona di esercitazione militare, la “firing zone 918”, estesa su una superficie di circa 30 Km2 che include 12 villaggi. I residenti continuano a vivere senza particolari interferenze fino all’ottobre del 1999, quando l’Amministrazione Civile emana ed esegue ordini di espulsione per 700 residenti, con la motivazione che stavano vivendo illegalmente in una zona di tiro. Alle famiglie di 12 villaggi vengono date 24 ore di tempo per lasciare case e terreni; il giorno dell’esecuzione, i soldati rimuovono forzatamente i residenti e sequestrano tutto ciò che è stato lasciato. Le immagini terrificanti di quella tragica vicenda fanno il giro del mondo e smuovono l’opinione pubblica. Col sostegno di associazioni legali israeliane, 200 famiglie avviano un ricorso presso l’Alta Corte di Giustizia israeliana. È il 2000 quando la Corte emette la prima ingiunzione: le famiglie possono fare ritorno alle loro case e coltivare la loro terra. Ma è una misura provvisoria che, peraltro, nega agli abitanti di costruire abitazioni e infrastrutture. Viene data la possibilità di tornare, ma non di crescere e sviluppare una vita sul territorio. Così, nel corso del processo arbitrale, durato 22 anni, i residenti dell’area vivono nella minaccia di demolizione, espulsione e spoliazione, senza poter costruire abitazioni o infrastrutture. L’Amministrazione Civile risponde con ordini di demolizione: tra il 2006 e il 2013 demolisce 66 abitazioni, lasciando 553 persone senza casa. Solo tra 2012 e il 201332 demolisce 32 strutture non residenziali. A marzo del 2022, la Corte respinge le petizioni delle famiglie ricorrenti, accettando tutte le argomentazioni dello Stato israeliano: permette l’espulsione dei residenti con la motivazione che non possono vivere in una zona di tiro. Segui la campagna Save Masafer Yatta: https://savemasaferyatta.com/en/ L’altra faccia della violenza di Stato: la violenza dei coloni. Accanto ai palestinesi per i quali è proibito costruire e prosperare, proliferano le colonie israeliane: sin dalla loro fondazione nell’area negli anni ’80, hanno continuato a espandersi e seminare terrore. Secondo i dati Bt’Selem, l’88% dei residenti palestinesi ha subìto o assistito a violenza da parte dei coloni; come, ad esempio, il blocco delle strade e l’impedimento dell’accesso ai campi, i danni alla proprietà (che aumentano nella semina e nel raccolto), tra cui la distruzione dei raccolti e il furto di pecore e capre in particolare, intimidazioni e violenza fisica. Mentre si demolivano anche solo le tende dei palestinesi, l’avamposto illegale della comunità israeliana ad Avigail si collegava all’acqua, all’elettricità, a una strada asfaltata, e prosperava sulla terra dei palestinesi. Youth of Sumud (Giovani della Resilienza) è stata fondata nel 2017 proprio in risposta alle aggressioni e violenze dei coloni e dei militari. L’associazione si è impegnata nella rinascita del villaggio di Sarura, abbandonato negli anni ’90, a causa dei crescenti attacchi dei coloni di Havat Ma’On; le antiche case rupestri sono state successivamente danneggiate o demolite. Dal 2017, Youth of Sumud ha ricostruito le grotte e, da allora, vi ha stabilito una presenza permanente: il Sumud Freedom Camp. L’associazione è anche responsabile della sicurezza dei bimbi del vicino villaggio di Tuba che frequentano la scuola di At-Tuwani: il percorso dei bambini viene interrotto e reso sempre più pericoloso dai coloni dell’avamposto israeliano Havat Ma’on. Inoltre, accompagna i pastori che pascolano le loro greggi e gli agricoltori mentre raccolgono nella raccolta delle olive anche nella valle del Giordano e in tutta la Cisgiordania. Youth of Sumud assieme a una rete di solidarietà internazionale, anche israeliana ed ebraica, è impegnata nella resistenza non violenta all’occupazione. https://youthofsumud.org
Oltre l’ombra di Gaza: la guerra invisibile per il futuro della Cisgiordania
di Ramzy Baroud,    Counterpunch, 29 luglio, 2025. Foto di Ahmed Israele sta seguendo meticolosamente un esempio da manuale per l’istigazione di disordini nella Cisgiordania occupata. Le ultime provocazioni di questo tipo sono consistite nel privare il comune palestinese di Hebron (Al-Khalil) dei suoi poteri amministrativi sulla venerabile Moschea di Ibrahimi. Peggio ancora, secondo Israel Hayom, ha concesso questi poteri al consiglio religioso dell’insediamento ebraico di Kiryat Arba, un gruppo di coloni estremisti. Sebbene tutti i coloni ebrei israeliani nella Palestina occupata possano essere considerati estremisti, i circa 7.500 abitanti di Kiryat Arba rappresentano una categoria più aggressiva. Questo insediamento, istituito nel 1972, funge da punto d’appoggio strategico per giustificare l’assoggettamento di Hebron a un controllo militare più rigoroso rispetto a qualsiasi altra parte della Cisgiordania. Kiryat Arba è tristemente legata a Baruch Goldstein, il colono israelo-americano che, nel febbraio 1994, scatenò un orribile attacco, in cui aprì il fuoco contro i fedeli musulmani inginocchiati per la preghiera dell’alba nella moschea di Ibrahimi, uccidendo senza pietà 29 persone. Questo bagno di sangue è stato rapidamente seguito da un altro ancora, in cui l’esercito israeliano ha brutalmente represso i manifestanti palestinesi a Hebron e in tutta la Cisgiordania, uccidendo altri 25 palestinesi. Eppure, la Commissione israeliana Shamgar, incaricata di indagare sul massacro, decise nel 1994 che la moschea palestinese, un luogo di profondo significato religioso, doveva essere grottescamente divisa: il 63% assegnato ai fedeli ebrei e un mero 37% ai musulmani palestinesi. Da quella decisione disastrosa, sono state sistematicamente imposte restrizioni oppressive. Questi includono una sorveglianza pervasiva e, a volte, chiusure prolungate e ingiustificate del sito, esclusivamente per uso esclusivo dei coloni. L’ultima decisione, descritta da Israel Hayom come “storica e senza precedenti”, è profondamente pericolosa. Pone il destino di questa storica moschea palestinese direttamente nelle mani di coloro che sono fanaticamente desiderosi di acquisire il luogo sacro nella sua interezza. Ma la Moschea di Ibrahimi è solo un microcosmo di qualcosa di molto più sinistro in corso in tutta la Cisgiordania. Israele ha sfruttato la sua guerra a Gaza per intensificare drammaticamente la sua violenza, effettuare arresti di massa, confiscare vasti tratti di terra, distruggere metodicamente fattorie e frutteti palestinesi ed espandere aggressivamente gli insediamenti illegali. Sebbene la Cisgiordania, in precedenza in gran parte sottomessa dalle pressioni militari israeliane congiunte e dalla repressione dell’Autorità Palestinese, non sia stata una parte diretta dell’assalto del 7 ottobre 2023 né del genocidio israeliano in corso a Gaza, è diventata inspiegabilmente un obiettivo importante per le misure militari israeliane. Nel primo anno di guerra, oltre 10.400 palestinesi sono stati arrestati durante la repressione dell’esercito israeliano, con migliaia di detenuti senza accusa. Inoltre, centinaia di palestinesi sono stati sottoposti a pulizia etnica forzata , in gran parte dal nord della Cisgiordania, dove interi campi profughi e città sono stati sistematicamente distrutti in prolungate campagne militari israeliane. L’obiettivo generale di Israele rimane lo strangolamento della Cisgiordania. Ciò si ottiene dividendo le comunità locali, utilizzando onnipresenti posti di blocco militari, imponendo la chiusura totale di vaste regioni e la crudele sospensione dei permessi di lavoro per i lavoratori palestinesi, che dipendono quasi interamente dal mercato del lavoro israeliano per la sopravvivenza. Questo piano subdolo ha anche preso di mira esplicitamente tutti i luoghi santi palestinesi, tra cui il venerato complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata e la moschea di Ibrahimi. Anche quando questi santuari erano nominalmente accessibili, i limiti di età e i soffocanti posti di blocco militari rendono difficile, a volte del tutto impossibile, per i palestinesi praticare il loro culto. Nell’agosto 2024, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che la sua implacabile campagna violenta contro la Cisgiordania faceva parte del confronto contro “l’asse più ampio del terrorismo iraniano”. In pratica, questa dichiarazione è servita come via libera all’esercito israeliano per trattare la Cisgiordania come un’estensione del genocidio israeliano in corso su Gaza. A metà luglio 2025, oltre 900 palestinesi erano stati uccisi dall’esercito israeliano in Cisgiordania, mentre almeno 15 erano stati uccisi dai coloni. Mentre i palestinesi venivano messi sempre di più con le spalle al muro, senza una strategia centralizzata da parte della loro leadership per resistere in modo significativo, Israele ha aumentato esponenzialmente le sue costruzioni illegali di insediamenti e la sfacciata legalizzazione di numerosi avamposti, molti costruiti illegalmente anche per gli standard del governo israeliano. Le azioni di Israele in Cisgiordania non sono state una deviazione improvvisa, ma coerenti con un’orchestrazione di lunga data. Ciò include un piano consolidato dalla Knesset israeliana nel 2020 che ha permesso a Israele di annettere ufficialmente la Cisgiordania. L’obiettivo finale di Israele è sempre stato quello di confinare la maggioranza dei palestinesi in enclavi simili al Bantustan sudafricano, affermando al contempo il pieno controllo sulla stragrande maggioranza della regione. Nell’agosto 2023, l’estremista Ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha articolato questa visione inquietante: “Il mio diritto, il diritto di mia moglie e dei miei figli di muoversi in Giudea e Samaria (la Cisgiordania occupata) è più importante della libertà di movimento per gli arabi”. In seguito sono state istituite altre misure coercitive, tra cui le leggi della Knesset per limitare significativamente  le operazioni dell’UNRWA e ulteriori leggi per consolidare l’annessione de facto. Lo scorso maggio, Smotrich ha audacemente annunciato altri 22 insediamenti. Il 2 luglio, 14 ministri israeliani hanno fatto un appello pubblico a Netanyahu per annettere immediatamente  la Cisgiordania. In realtà, ogni azione intrapresa da Israele, specialmente dall’inizio del suo devastante genocidio a Gaza, è stata attentamente calcolata per culminare nell’annessione irreversibile della Cisgiordania – un processo che sarebbe inevitabilmente seguito dalla dichiarazione degli abitanti nativi persona non grata nella loro stessa patria. Questo livello di pressione e oppressione sistemica alla fine porterà a un’esplosione popolare. Anche se soppressa dalla brutalità dell’esercito israeliano, dal terrore dei coloni armati e dalle azioni repressive dell’Autorità Palestinese, il punto di rottura si sta avvicinando rapidamente. Coloro che in Occidente predicano vuoti appelli alla calma e alla de-escalation devono capire che la regione sta precipitando verso l’orlo del baratro. Né i luoghi comuni diplomatici né gli sterili comunicati stampa saranno sufficienti a scongiurare la catastrofe. Si consiglia loro di agire con decisione contro le politiche distruttive di Israele, e di farlo immediatamente. Ramzy Baroud è un giornalista e direttore del The Palestine Chronicle. È autore di cinque libri. Il suo ultimo è “These Chains Will Be Broken: Palestinian Stories of Struggle and Defiance in Israeli Prisons” (Clarity Press, Atlanta). Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA), Istanbul Zaim University (IZU). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net https://www.counterpunch.org/2025/07/29/beyond-gazas-shadow-the-unseen-war-for-the-west-banks-future/ Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
L’inarrestabile marea della solidarietà palestinese
del Dr. Ramzy Baroud,  Arab News, 28 luglio 2025.   Manifestazione per la Palestina al Colosseo, Roma. 15 maggio 2021 Raramente succede che io visiti Roma senza fermarmi a Campo de’ Fiori per rendere omaggio a Giordano Bruno, filosofo italiano che nel 1600 fu brutalmente bruciato sul rogo durante l’Inquisizione romana. Il suo crimine era stato quello di aver osato sfidare dogmi radicati e di aver pensato liberamente alla natura infinita dell’universo. Mentre mi trovavo sotto la sua imponente statua durante il fine settimana, improvvisamente è scoppiato uno strano trambusto, che è diventato sempre più forte man mano che un nutrito gruppo di manifestanti si avvicinava. Decine di persone di tutte le età battevano con fervore su pentole e padelle. Dopo lo shock iniziale e la confusione che ne è seguita, si è capito che la protesta era un tentativo urgente di sensibilizzare la gente sulla terribile carestia che sta colpendo Gaza. In poco tempo, altre persone si sono unite spontaneamente, alcune applaudendo in assenza di altri strumenti per farsi sentire. I camerieri delle osterie della piazza hanno cominciato istintivamente a battere le mani su qualsiasi cosa potesse produrre rumore, aumentando il clamore. La piazza è rimasta immobile per un attimo, vibrando del rumore collettivo, prima che i manifestanti marciassero verso un’altra piazza, il loro numero visibilmente crescente ad ogni passo. Nelle vivaci strade di Roma, le bandiere palestinesi sono le uniche bandiere non italiane ad occupare gli spazi pubblici. Sono appese ai lampioni, incollate ai cartelli stradali o sventolano orgogliosamente dai balconi. Nessun altro paese, nessun altro conflitto, nessun’altra causa ha permeato gli spazi pubblici in modo così profondo come la causa palestinese. Sebbene questo fenomeno non sia del tutto nuovo, la guerra e il genocidio in corso a Gaza hanno indubbiamente amplificato questa solidarietà, spingendola oltre i confini tradizionali di classe, ideologia e linee politiche. Eppure, nessun altro luogo in Italia può essere veramente paragonato a Napoli. I simboli palestinesi sono ovunque, permeano il tessuto della città come se la Palestina fosse la principale preoccupazione politica dell’intera popolazione della regione. Ciò che affascina particolarmente della solidarietà con i palestinesi in questa vivace città non è solo l’enorme quantità di graffiti, manifesti e bandiere, ma i riferimenti molto specifici ai martiri, ai prigionieri e ai movimenti palestinesi. Le immagini di Walid Daqqa, Shireen Abu Akleh e Khader Adnan sono esposte in modo prominente accanto a richieste precise e mirate che, al di fuori della Palestina, sarebbero considerate dettagli sconosciuti al grande pubblico. Come ha fatto Napoli a entrare così profondamente in sintonia con il discorso palestinese? Questa domanda fondamentale risuona ben oltre i confini italiani e riguarda numerose città in tutto il mondo. È degno di nota il fatto che questo importante cambiamento nella comprensione profonda della lotta palestinese e l’ampio sostegno al popolo palestinese si stiano verificando nonostante il pregiudizio diffuso e incessante dei media a favore di Israele e le continue intimidazioni dei governi occidentali nei confronti degli attivisti filopalestinesi. In politica, la massa critica si raggiunge quando un’idea, inizialmente sostenuta da un gruppo minoritario, si trasforma in modo decisivo in una questione mainstream. Questo cambiamento cruciale le permette di superare il simbolismo e di iniziare a esercitare un’influenza reale e tangibile nella sfera pubblica. In molte società in tutto il mondo, la causa palestinese ha già raggiunto quella massa critica. In altre, dove la repressione governativa soffoca ancora il dibattito alla radice, la crescita organica continua comunque, promettendo così un cambiamento inevitabile e fondamentale. E questo è proprio il timore ossessivo di numerosi israeliani, soprattutto all’interno delle classi politiche e intellettuali. Scrivendo venerdì sul quotidiano israeliano Haaretz, l’ex primo ministro Ehud Barak ha lanciato ancora una volta l’allarme. “La visione sionista sta crollando”, ha scritto, aggiungendo che Israele è “bloccato in una ‘guerra dell’inganno’ a Gaza”. Sebbene la pervasiva macchina propagandistica israeliana si stia impegnando senza sosta per arginare il crescente flusso di simpatia verso la Palestina e l’ondata di rabbia contro i presunti crimini di guerra israeliani, per ora il suo obiettivo rimane fermamente fissato sulla giustificazione dello sterminio di Gaza, anche a costo di una condanna e di un’indignazione globali. Quando la guerra sarà finalmente finita, tuttavia, Israele farà senza dubbio tutto il possibile, ricorrendo a numerosi nuovi modi creativi per demonizzare ancora una volta i palestinesi ed esaltare se stesso, la sua cosiddetta democrazia e il suo “diritto all’autodifesa”. A causa della crescente credibilità internazionale della voce palestinese, Israele sta già ricorrendo all’uso di palestinesi che difendono indirettamente Israele incolpando Gaza e cercando di interpretare il ruolo della vittima per “entrambe le parti”. L’uso di questa tattica insidiosa è destinato a crescere in modo esponenziale, poiché mira a creare confusione e a mettere i palestinesi gli uni contro gli altri. I palestinesi, gli arabi e tutti i sostenitori della giustizia in tutto il mondo devono cogliere con urgenza questa opportunità cruciale per sconfiggere definitivamente la hasbara israeliana. Non dobbiamo permettere che le menzogne e gli inganni di Israele definiscano ancora una volta il discorso sulla Palestina sulla scena mondiale. Questa battaglia deve essere combattuta con ferocia ovunque e non deve essere concesso a Israele nemmeno uno spazio: né un parlamento, né un’università, né un evento sportivo, né un angolo di strada. Bruno ha subito una morte orribile e dolorosa, ma non ha mai abbandonato le sue convinzioni. Nel movimento di solidarietà con la Palestina, nemmeno noi possiamo vacillare nella lotta per la libertà dei palestinesi e per la condanna dei criminali di guerra, indipendentemente dal tempo, dall’energia o dalle risorse necessarie. Ora che la Palestina è finalmente diventata una causa globale indiscussa, l’unità di tutti è fondamentale per garantire che la marcia verso la libertà continui, affinché il genocidio di Gaza diventi l’ultimo straziante capitolo della tragedia palestinese. Dr. Ramzy Baroud è giornalista, autore e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappe, è “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak Out” (La nostra visione per la liberazione: leader e intellettuali palestinesi impegnati prendono la parola). https://www.arabnews.com/node/2609778 Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
La fame a Gaza è una vergogna. Sono necessarie sanzioni paralizzanti contro Israele
The Guardian, 29 luglio 2025. Trentuno firmatari israeliani esprimono vergogna, rabbia e angoscia per la situazione dei palestinesi e chiedono un intervento della comunità internazionale. “Il nostro paese sta facendo morire di fame la popolazione di Gaza”. APA Images/Shutterstock Noi, israeliani impegnati per un futuro di pace per il nostro paese e per i nostri vicini palestinesi, scriviamo queste righe con grande vergogna, rabbia e angoscia. Il nostro paese sta affamando a morte la popolazione di Gaza e sta valutando la possibilità di espellere con la forza milioni di palestinesi dalla Striscia. La comunità internazionale deve imporre sanzioni paralizzanti a Israele fino a quando non porrà fine a questa brutale campagna e non attuerà un cessate il fuoco permanente. Yuval Abraham, Giornalista; vincitore dell’Academy Award (2025) Ra’anan Alexandrowicz, Documentarista; vincitore del Sundance World Cinema Jury Prize (2012) Udi Aloni, Regista; vincitore del Tribeca Film Festival per il miglior lungometraggio internazionale (2016) Liran Atzmor, Documentarista; vincitore del Peabody Award (2014) Prof. Tali Bitan, Università di Haifa Michael Ben-Yair, Ex Procuratore Generale di Israele; ex giudice della Corte Suprema Nir Bergman, Sceneggiatore e regista; vincitore del premio Ophir (2020). Avraham Burg, Ex presidente della Knesset; ex capo dell’Agenzia Ebraica. Peter Cole, Poeta e traduttore; borsista MacArthur Guy Davidi, Documentarista; vincitore dell’International Emmy Award (2013) Ari Folman, Sceneggiatore e regista; vincitore del Golden Globe (2009) Shira Geffen, Attrice e sceneggiatrice; vincitrice della Camera d’Or (2007) Prof. Emerito Amiram Goldblum, Università Ebraica di Gerusalemme Prof. Oded Goldreich, Istituto Weizmann per la Scienza; vincitore del Premio Israele (2021) Tamar Gozansky, Ex membro della Knesset Prof. Uri Hadar, Università di Tel Aviv Prof. Moty Heiblum, Vincitore del Premio Wolf per la fisica (2025) Adina Hoffman, Scrittrice; vincitrice del Premio Windham Campbell (2013) Eran Kolirin, Sceneggiatore e regista; vincitore del Premio Ophir (2021). Nadav Lapid, Sceneggiatore e regista; vincitore dell’Orso d’Oro (2019). Alex Levac, Vincitore del Premio Israele (2005) Hagai Levi, Sceneggiatore e regista televisivo; vincitore del Golden Globe (2015) Samuel Maoz, Regista; vincitore del Leone d’Oro (2009) Dr Adi Moreno, Tel Aviv-Yafo Academic College Prof. Michal Na’aman, Pittrice; vincitrice del Premio Israele (2014) Daniella Nowitz, Direttrice della fotografia; vincitrice dell’Academy Award (2023) Prof Adi Ophir. Tel Aviv University Inbal Pinto. Coreografa e ballerina; vincitrice del premio del Ministero della Cultura israeliano (2011) Aharon Shabtai, Poeta e traduttore; vincitore del premio del Primo Ministro israeliano (1993) Eyal Weizman, Architetto; direttore di Forensic Architecture https://www.theguardian.com/world/2025/jul/29/the-starvation-of-gaza-is-shameful-crippling-sanctions-on-israel-are-needed Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Parliamo di trasferimento silenzioso
di Tess Miller,  Ir Amim, 30 luglio 2025.   Villaggio di Nu’man Contesto storico di Nu’man Nel 1967 Israele annesse Gerusalemme Est e ridisegnò i confini municipali per includere i territori delle città palestinesi vicine, tra cui Nu’man. Tuttavia, mentre il territorio veniva annesso, i suoi abitanti non lo erano: venivano loro rilasciati documenti d’identità della Cisgiordania che impedivano loro di risiedere legalmente nelle proprie case (ora considerate territorio di Gerusalemme). Quando gli abitanti di Nu’man si resero conto della situazione in cui si trovavano, aprirono una causa legale per ottenere lo status di residenti permanenti, una correzione amministrativa che avrebbe permesso agli abitanti di vivere legalmente sulla propria terra e di accedere ai servizi di base. Negli ultimi 30 anni, le loro richieste sono state ripetutamente respinte. Inoltre, la città ha rifiutato di approvare qualsiasi forma di piano urbanistico per il villaggio, rendendo illegale qualsiasi costruzione. La vita dietro il muro All’inizio degli anni 2000, sulla scia della Seconda Intifada, Israele ha iniziato a costruire la barriera di separazione tra la Cisgiordania e Gerusalemme. Il muro ha di fatto isolato Nu’man sia dalla Cisgiordania che dal resto di Gerusalemme. Di conseguenza, l’unico punto di accesso al villaggio è diventato un checkpoint. Poiché Nu’man era considerato parte di Gerusalemme, i suoi abitanti, classificati come palestinesi della Cisgiordania, hanno improvvisamente avuto bisogno di un permesso per entrare nel proprio villaggio. Il posto di blocco ha portato restrizioni che hanno gravemente ostacolato la vita quotidiana e la routine di tutti. Un abitante, la cui famiglia allevava capre da generazioni, ha ricordato la difficoltà di portare il mangime per gli animali. I soldati strappavano regolarmente i sacchi al posto di blocco, costringendolo a raccogliere il contenuto a mano. Le cure veterinarie erano diventate quasi impossibili, poiché i veterinari di Gerusalemme non erano disposti a passare il posto di blocco e quelli della Cisgiordania erano vietati nel villaggio. Alla fine, il pastore ha rinunciato e ha venduto le capre, ponendo fine a una tradizione di famiglia. I trasporti erano un altro ostacolo. La maggior parte dei residenti, con documenti d’identità della Cisgiordania, non aveva diritto alle auto con targa israeliana, mentre i veicoli con targa palestinese erano vietati. È emersa una fragile soluzione: a pochi veicoli selezionati è stato concesso un permesso speciale per entrare a Nu’man. Il comportamento dell’esercito e la minaccia di violenze intorno ai posti di blocco facevano sì che gli abitanti del villaggio avessero paura ad uscire a piedi. Chiunque volesse uscire, compresi i bambini che andavano a scuola, doveva essere accompagnato con una delle poche auto autorizzate. Ibrahim, nato a Nu’man, guida Ir Amim in un tour attraverso il villaggio. Quella che nel 1967 era iniziata come una semplice questione burocratica relativa alla registrazione dei documenti d’identità è diventata uno strumento di sfollamento de facto. Crescere una famiglia a Nu’man è diventato sempre più difficile. Oltre alle bizzarre e diffuse difficoltà logistiche, il rifiuto del comune di Gerusalemme di riconoscere Nu’man ha comportato il diniego di un piano urbanistico e di qualsiasi possibilità di ottenere permessi di costruzione. I residenti più giovani che desiderano mettere su famiglia devono trasferirsi altrove o costruire una casa senza il permesso necessario (ma impossibile da ottenere). Invece di correggere il proprio errore e garantire ai residenti di Nu’man i diritti legali sulle loro case, le autorità israeliane hanno scelto di mantenere il controllo sul territorio, lasciando i residenti di Nu’man in una situazione di incertezza artificiale e di costante insicurezza abitativa. Ciò riflette una politica israeliana di lunga data volta a controllare più territorio con meno palestinesi. Minacce di demolizione Quest’estate, il 10 giugno, è arrivato il momento temuto: sugli ingressi di tutte le case di Nu’man sono stati affissi avvisi che dichiaravano illegali le abitazioni. Questi avvisi aprono la strada a ordini di demolizione di massa, un risultato che temiamo probabile. Dal punto di vista legale, i residenti hanno poche possibilità di ricorso. Le autorità israeliane si rifiutano di elaborare un piano urbanistico per il villaggio, costringendo le case a rimanere illegali secondo lo status che Israele ha imposto loro, in violazione del diritto internazionale. Nella realtà creata da Israele, la legge è stata contro Nu’man fin dal giorno della sua annessione. Avviso affisso questa mattina su una casa di Nu’man Rifiuto della cancellazione Durante la mia ultima visita a Nu’man, un membro della comunità ha descritto gli ultimi decenni come un processo di “trasferimento silenzioso”. È una descrizione azzeccata. Vivere a Nu’man significa affrontare una forma lenta e silenziosa di cancellazione, mascherata dalla legge, dalla burocrazia e dall’abbandono strategico. La lotta dei residenti per rimanere fa parte di una lotta più ampia, a Gerusalemme, in Cisgiordania e a Gaza, contro un sistema progettato per rendere impossibile la vita dei palestinesi nella loro terra. Per rimanere aggiornati su Nu’man, seguiteci sui social media. https://mailchi.mp/ir-amim/speaking-out-about-silent-transfer?e=77dc5be23f Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Due gruppi israeliani per i diritti umani accusano Israele di genocidio a Gaza
di Emir Nader,  BBC News, 28 luglio 2025 B’Tselem e Physicians for Human Rights-Israel hanno presentato i risultati in una conferenza stampa a Gerusalemme, Reuters Due importanti organizzazioni israeliane per i diritti umani hanno affermato che il comportamento di Israele nella guerra a Gaza costituisce un genocidio contro la popolazione palestinese. B’Tselem e Physicians for Human Rights-Israel hanno pubblicato lunedì due rapporti separati basati su studi condotti negli ultimi 21 mesi di conflitto. Le organizzazioni, attive in Israele da decenni, hanno affermato in una dichiarazione congiunta che “in questi tempi bui è particolarmente importante chiamare le cose con il loro nome” e “chiedere che questo crimine cessi immediatamente”. Un portavoce del governo israeliano ha respinto con forza le accuse di genocidio, le prime formulate da gruppi per i diritti umani con sede in Israele. “Le nostre forze di difesa prendono di mira i terroristi e mai i civili. Hamas è responsabile delle sofferenze a Gaza”, ha affermato David Mencer. Durante una conferenza stampa tenutasi lunedì a Gerusalemme, la direttrice esecutiva di B’Tselem, Yuli Novak, ha affermato che il rapporto della sua organizzazione è “uno di quelli che non avremmo mai immaginato di dover scrivere”. Il documento di 88 pagine afferma: “Un esame della politica di Israele nella Striscia di Gaza e dei suoi terribili risultati, insieme alle dichiarazioni di alti politici e comandanti militari israeliani sugli obiettivi dell’attacco, ci porta alla conclusione inequivocabile che Israele sta intraprendendo un’azione coordinata per distruggere intenzionalmente la società palestinese nella Striscia di Gaza”. Nel suo rapporto di 65 pagine, Physicians for Human Rights Israel (PHRI) ha affermato che la sua analisi giuridica incentrata sulla salute ha rilevato che Israele ha preso di mira le infrastrutture sanitarie di Gaza “in modo calcolato e sistematico”. “Le prove dimostrano uno smantellamento deliberato e sistematico dei sistemi sanitari e di supporto vitale di Gaza, attraverso attacchi mirati agli ospedali, l’ostruzione dei soccorsi medici e delle evacuazioni, l’uccisione e la detenzione del personale sanitario”, si legge nel rapporto. Il dottor Guy Shalev, direttore esecutivo di PHRI, ha dichiarato: “Il silenzio di fronte al genocidio non è un’opzione. Vogliamo sottolineare che affrontare il genocidio non è solo responsabilità delle istituzioni giuridiche e politiche. Affrontarlo richiede un’azione urgente da parte della comunità sanitaria globale”. Le organizzazioni hanno ritenuto che il “terribile e criminale attacco di Hamas” contro Israele del 7 ottobre 2023 sia stato un evento scatenante che ha causato paura e trauma collettivo tra gli israeliani. Tuttavia, nella sua risposta all’attacco, secondo loro, il governo israeliano ha condotto una campagna basata sulla “promozione di ideologie estremiste e sulla disumanizzazione dei palestinesi a Gaza”. Hanno affermato che questo giudizio si riferiva al linguaggio utilizzato dai leader politici e militari nei confronti dei soldati che combattevano sul campo, che etichettavano tutti i palestinesi di Gaza come responsabili. Il PHRI ha concluso che gli atti da esso identificati “non erano incidentali alla guerra, ma parte di una politica deliberata che prendeva di mira i palestinesi come gruppo”, in un modo che soddisfaceva almeno tre atti definiti nell’articolo II della Convenzione del 1948 per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, di cui Israele è firmatario. Secondo l’ONU, solo 18 dei 36 ospedali di Gaza sono ancora parzialmente funzionanti (foto d’archivio). Reuters Numerose organizzazioni internazionali per i diritti umani, esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani e studiosi hanno accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Anche la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sta esaminando un caso presentato dal Sudafrica in cui si sostiene che le forze israeliane stanno commettendo un genocidio contro i palestinesi a Gaza. Israele ha negato con veemenza l’accusa e ha definito il caso “del tutto infondato” e basato su “affermazioni false e tendenziose”. Il dottor Shalev ha dichiarato alla BBC che il PHRI e B’Tselem temono che le organizzazioni e il loro personale possano essere oggetto di violenze verbali o fisiche in Israele in risposta alle loro relazioni. “Ma speriamo che la gente ascolti ciò che abbiamo da dire”, ha aggiunto. Yuli Novak di B’Tselem ha affermato che il processo che ha portato alla conclusione che Israele sta commettendo un genocidio è stato difficile. “Capire davvero che il proprio paese, la propria collettività, sta effettivamente commettendo un genocidio è un processo mentale e personale molto difficile”, ha affermato. “Sconvolge qualcosa di molto fondamentale nella comprensione di chi siamo”. Israele ha lanciato la sua guerra a Gaza in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che ha causato la morte di circa 1.200 persone e il sequestro di altre 251. Da allora, secondo il ministero della Salute gestito da Hamas, gli attacchi israeliani hanno ucciso più di 59.900 persone a Gaza. Le cifre del ministero sono citate dall’ONU e da altri come la fonte più affidabile di statistiche disponibili sulle vittime. https://www.bbc.com/news/articles/c776xkvz6vno Di seguito i sommari esecutivi dei due documenti. Il nostro genocidio di B’Tselem,  Documento di sintesi, luglio 2025.   Dall’ottobre 2023, Israele ha cambiato radicalmente la sua politica nei confronti dei palestinesi. A seguito dell’attacco guidato da Hamas del 7 ottobre 2023, Israele ha lanciato nella Striscia di Gaza un’intensa campagna militare, che è ancora in corso dopo oltre 21 mesi. L’assalto di Israele a Gaza comprende uccisioni di massa, sia con attacchi diretti, sia creando condizioni catastrofiche che aumentano il numero delle vittime: gravi lesioni fisiche o mentali all’intera popolazione della Striscia; distruzione su larga scala delle infrastrutture e delle condizioni di vita; distruzione del tessuto sociale, comprese le istituzioni educative e i siti culturali palestinesi; arresti di massa e abusi sui detenuti nelle prigioni israeliane, che sono diventate di fatto campi di tortura per migliaia di palestinesi detenuti senza processo; sfollamenti forzati di massa, compresi i tentativi di pulizia etnica dei palestinesi a Gaza e la trasformazione di quest’ultima in un obiettivo ufficiale di guerra; un attacco all’identità palestinese attraverso la distruzione deliberata dei campi profughi e i tentativi di minare l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA). Il risultato di questo attacco globale alla Striscia di Gaza è grave e, almeno in parte, irreparabile per più di 2 milioni di persone che vivono nella Striscia e fanno parte del popolo palestinese. Un esame della politica di Israele nella Striscia di Gaza e dei suoi terribili risultati, insieme alle dichiarazioni di alti politici e comandanti militari israeliani sugli obiettivi dell’attacco, porta alla conclusione inequivocabile che Israele sta intraprendendo un’azione coordinata e deliberata per distruggere la società palestinese nella Striscia di Gaza. In altre parole: Israele sta commettendo un genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza. Il termine genocidio si riferisce a un fenomeno socio-storico e politico che si è verificato nel corso della storia umana. Da quando è stata firmata la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio nel 1948 (entrata in vigore nel 1951), il genocidio è stato riconosciuto come uno dei crimini più gravi del diritto internazionale, e comprende atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Il genocidio viene perpetrato attraverso pratiche multiple e parallele nel tempo, di cui l’uccisione fisica di massa è solo una. La distruzione delle condizioni di vita, talvolta in zone di concentramento o campi, il tentativo sistematico di impedire le nascite, la violenza sessuale diffusa contro i membri del gruppo o la loro espulsione di massa possono essere, e sono stati nel corso della storia, alcuni dei mezzi utilizzati dagli stati o dalle autorità al potere per distruggere gruppi etnici, nazionali, razziali, religiosi e di altro tipo. Di conseguenza, gli atti genocidi sono varie azioni intese a provocare la distruzione di un gruppo distinto, nell’ambito di uno sforzo deliberato e coordinato da parte di un’autorità al potere. Sia dal punto di vista morale che giuridico, il genocidio non può essere giustificato in nessuna circostanza, nemmeno come atto di autodifesa. Il genocidio si verifica sempre in un certo contesto: ci sono condizioni che lo rendono possibile, eventi scatenanti e un’ideologia guida. L’attuale offensiva contro il popolo palestinese, anche nella Striscia di Gaza, deve essere compresa nel contesto di oltre settant’anni in cui Israele ha imposto un regime violento e discriminatorio ai palestinesi, che ha assunto la sua forma più estrema contro coloro che vivono nella Striscia di Gaza. Sin dalla sua fondazione, lo Stato di Israele ha istituzionalizzato e sistematicamente impiegato meccanismi di controllo violento, ingegneria demografica, discriminazione e frammentazione della collettività palestinese. Sono queste fondamenta poste dal regime che hanno reso possibile il lancio di un attacco genocida contro i palestinesi subito dopo l’attacco guidato da Hamas del 7 ottobre 2023. Il presente rapporto sottolinea in particolare tre di queste fondamenta: la vita sotto un regime di apartheid che impone la separazione, l’ingegneria demografica e la pulizia etnica; l’uso sistematico e istituzionalizzato della violenza contro i palestinesi, mentre i responsabili godono dell’impunità; i meccanismi istituzionalizzati di disumanizzazione e di rappresentazione dei palestinesi come una minaccia esistenziale. Tali condizioni possono esistere nel tempo senza sfociare in un attacco genocida. Spesso, un evento violento che crea un senso di minaccia esistenziale nel gruppo perpetratore è il fattore scatenante che spinge il sistema al potere a compiere un genocidio. L’attacco di Hamas e di altri gruppi armati palestinesi del 7 ottobre 2023 è stato un catalizzatore di questo tipo. L’atroce attacco, rivolto principalmente contro civili, ha comportato numerosi crimini di guerra e probabilmente anche crimini contro l’umanità. Ha causato la morte di 1.218 israeliani e cittadini stranieri, 882 dei quali civili, ha comportato atti di violenza estesi e gravi, compresa la violenza sessuale, e ha provocato decine di migliaia di feriti e il rapimento di 252 persone nella Striscia di Gaza, per lo più civili, tra cui donne, anziani e bambini. Il bambino più piccolo rapito era un neonato di nove mesi che è stato ucciso insieme al fratello di tre anni e alla madre durante la detenzione a Gaza. Per gli israeliani, il fatto stesso dell’attacco, la sua portata e le sue conseguenze hanno generato ansia e un senso di minaccia esistenziale tali da provocare profondi cambiamenti sociali e politici nella società israeliana. Ciò ha provocato un cambiamento nella politica israeliana nei confronti dei palestinesi nella Striscia di Gaza: dalla repressione e dal controllo alla distruzione e all’annientamento. L’assalto a Gaza non può essere separato dall’escalation di violenza inflitta, a vari livelli e in diverse forme, ai palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e all’interno di Israele. In queste zone, come a Gaza, vengono commessi crimini letali contro i palestinesi senza che i responsabili siano chiamati a rispondere delle loro azioni. La violenza e la distruzione in queste zone si stanno intensificando nel tempo, senza che alcun meccanismo efficace, nazionale o internazionale, intervenga per fermarle. Di conseguenza, questi crimini stanno diventando normali agli occhi dei soldati, dei comandanti, dei politici, dei media e degli israeliani in generale. Mettiamo in guardia dal pericolo evidente e imminente che il genocidio non rimanga confinato alla Striscia di Gaza e che le azioni e la mentalità che lo alimentano possano estendersi anche ad altre zone. B’Tselem è un’organizzazione israeliana per i diritti umani che documenta e ricerca i danni causati ai palestinesi sotto il regime di apartheid e occupazione israeliano. In nome del dovere di proteggere gli esseri umani, la loro vita, la loro dignità e i loro diritti individuali e collettivi, B’Tselem lavora da oltre 35 anni per denunciare le violazioni sistematiche dei diritti umani dei palestinesi da parte di Israele. In qualità di organizzazione per i diritti umani che lavora per fermare e prevenire la violenza sistematica e diffusa dello stato contro i palestinesi, è nostro dovere analizzare le violazioni dei diritti umani sul campo nel contesto del regime che le perpetra e della logica politica ad esse sottesa. Da ottobre 2023 abbiamo raccolto testimonianze oculari e documentato centinaia di episodi di violenza estrema e senza precedenti contro civili palestinesi in tutto il territorio controllato da Israele, mentre politici e comandanti militari di spicco hanno dichiarato apertamente le politiche attuate sul campo. Le innumerevoli prove delle conseguenze di queste politiche riflettono la terribile trasformazione dell’intero sistema israeliano nel suo trattamento dei palestinesi. A B’Tselem, ebrei israeliani e palestinesi della Striscia di Gaza, della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e di Israele lavorano fianco a fianco, guidati dalla visione condivisa che la difesa dei diritti umani è un obbligo umano e morale fondamentale. Viviamo tutti sotto un regime di apartheid discriminatorio che classifica alcuni di noi come soggetti privilegiati semplicemente perché sono ebrei, e altri come indegni di qualsiasi protezione semplicemente perché sono palestinesi. Insieme, lottiamo per il diritto che tutti abbiamo di vivere tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano senza discriminazioni, oppressione violenta e annientamento. Mentre scriviamo, Israele sta intensificando il suo brutale e spietato assalto contro i palestinesi. Le uccisioni e le distruzioni sistematiche nella Striscia di Gaza, così come la crescente violenza e lo sfollamento forzato di decine di migliaia di persone in Cisgiordania, non sarebbero state possibili senza l’inerzia internazionale di fronte alla portata e alla gravità incomprensibili di questi crimini. Molti leader statali, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, non solo si sono astenuti dall’adottare misure efficaci per fermare lo sterminio e la violenza, ma hanno permesso che continuassero, sia attraverso dichiarazioni che affermano il “diritto all’autodifesa” di Israele, sia attraverso un sostegno attivo, compreso l’invio di armi e munizioni. Come abitanti di questa terra e come attivisti per i diritti umani, è nostro dovere testimoniare la situazione che noi e molti altri abbiamo documentato e indagato. È nostro dovere dare un nome alla realtà che stiamo vivendo e di cui siamo testimoni, raccontarla e stare dalla parte delle vittime. Il riconoscimento che il regime israeliano sta commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza e la profonda preoccupazione che esso possa estendersi ad altre zone in cui i palestinesi vivono sotto il dominio israeliano richiedono un’azione urgente e inequivocabile da parte della società israeliana e della comunità internazionale, nonché l’uso di tutti i mezzi disponibili nel quadro del diritto internazionale per fermare il genocidio di Israele contro il popolo palestinese. Lavoro sostenuto principalmente da finanziamenti di stati stranieri. I nomi degli stati stranieri da cui sono state ricevute le donazioni sono riportati sul sito web del Registro. https://www.btselem.org/publications/202507_our_genocide Un’analisi del genocidio di Gaza incentrata sulla salute di Physicians for Human Rights Israel,  Documento di sintesi, luglio 2025.   Physicians for Human Rights Israel (PHRI) presenta questa analisi giuridica incentrata sulla salute della campagna militare israeliana a Gaza dall’ottobre 2023, concludendo che essa costituisce un genocidio ai sensi della Convenzione sul Genocidio del 1948. Le prove dimostrano uno smantellamento deliberato e sistematico dei sistemi sanitari e di sopravvivenza di Gaza, attraverso attacchi mirati agli ospedali, l’ostruzione dei soccorsi medici e delle evacuazioni, l’uccisione e la detenzione del personale sanitario. In un periodo di 22 mesi, le azioni di Israele hanno distrutto le infrastrutture sanitarie di Gaza in modo calcolato e sistematico. La cronologia degli attacchi rivela una progressione deliberata: a partire dai bombardamenti e dall’evacuazione forzata degli ospedali nel nord di Gaza, il collasso del sistema sanitario si è esteso verso sud, dove le popolazioni sfollate hanno sopraffatto le strutture rimaste, che sono state poi sottoposte a ulteriori bombardamenti, assedi e privazione di risorse. Il sistema sanitario di Gaza è stato sistematicamente smantellato: gli ospedali sono stati resi inutilizzabili, le evacuazioni mediche sono state bloccate e servizi essenziali come la cura dei traumi, la chirurgia, la dialisi e la salute materna sono stati eliminati. L’uccisione e la detenzione di oltre 1.800 operatori sanitari, tra cui molti specialisti di alto livello, ha decimato la capacità medica di Gaza e reso quasi impossibile la ripresa. Gli aiuti umanitari sono stati deliberatamente limitati, costringendo i civili a recarsi presso punti di distribuzione militarizzati che sono spesso diventati luoghi di uccisioni di massa. Questo attacco coordinato ha provocato un collasso a cascata delle infrastrutture sanitarie e umanitarie, aggravato da politiche che hanno portato alla fame, alle malattie e al crollo dei sistemi igienico-sanitari, abitativi e scolastici. Il presente documento esamina anche le prove di uccisioni di massa e danni diffusi. A metà del 2025, sono stati confermati oltre 57.000 palestinesi uccisi, principalmente donne e bambini, con stime che si avvicinano a 100.000 se si includono le morti indirette. Decine di migliaia di persone sono rimaste ferite, tra cui migliaia di amputati e individui che necessitano di cure a lungo termine non disponibili a causa del collasso del sistema sanitario. I residenti di Gaza che sono stati arrestati e detenuti in strutture israeliane denunciano torture sistematiche, negligenza medica e trattamenti degradanti, che contribuiscono a causare danni sia fisici che psichici. I bambini subiscono traumi psicologici, mentre le donne subiscono un forte aumento degli aborti spontanei, delle nascite premature e della mortalità materna a causa della carestia e della mancanza di servizi sanitari riproduttivi. PHRI conclude che questi atti non sono una caratteristica della guerra, ma fanno piuttosto parte di una politica deliberata che prende di mira i palestinesi come gruppo. Essi rappresentano almeno tre degli atti fondamentali definiti nell’Articolo II della Convenzione sul Genocidio: (a) uccidere membri del gruppo; (b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; e (c) sottoporre il gruppo a condizioni di vita calcolate per provocarne la distruzione totale o parziale. Nonostante le sentenze della giustizia internazionale, Israele non ha rispettato i propri obblighi e l’applicazione delle norme a livello globale rimane debole. PHRI esorta gli organismi internazionali e gli stati ad adempiere al proprio dovere ai sensi dell’Articolo I della Convenzione sul Genocidio per fermare il genocidio a Gaza. L’organizzazione invita inoltre la comunità sanitaria e umanitaria mondiale ad agire, poiché la distruzione del sistema sanitario di Gaza non è solo una violazione del diritto, ma una catastrofe umanitaria che richiede una solidarietà e una risposta globale urgente. https://www.phr.org.il/en/genocide-in-gaza-eng/ Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Video. In Israele c’è chi fa scherzi disgustosi sulla fame a Gaza, mentre altri cecano di negarla come una bufala
29 luglio 2025.     Un personaggio della TV israeliana scherza dicendo che una madre israeliana “obesa” si è mangiata la sua bambina a Gaza. Mentre i media israeliani di destra cercano di dire che la fame a Gaza è una bufala, alcuni commentatori dicono che è una punizione meritata per i Palestinesi. Dal vivo in questo video di 2min 30”:
In qualità di studiosi di genocidio, chiediamo la fine delle atrocità commesse da Israele
di Taner Akçam, Marianne Hirsch e Michael Rothberg,  The Guardian, 29 luglio 2025.   Nel giro di poche settimane, 400 colleghi hanno aderito alla nostra organizzazione. Noi affermiamo: non è troppo tardi per salvare vite umane. Ponete fine al genocidio, adesso. “Oggi, insieme a centinaia di organizzazioni umanitarie, decine di governi e milioni di studenti e cittadini che protestano in tutto il mondo, chiediamo misure concrete e immediate per impedire ulteriori atroci crimini e proteggere i civili”. Fotografia: Mohammed Saber/EPA Il mondo è rimasto a guardare mentre Israele uccideva decine di migliaia di palestinesi a Gaza, ne feriva più del doppio, seppelliva innumerevoli persone sotto le macerie e devastava le infrastrutture civili. I sopravvissuti del territorio, ripetutamente sfollati dall’esercito israeliano, sono in uno stato di fame forzata e di estrema precarietà. Nonostante il divieto di accesso ai giornalisti internazionali imposto da Israele, testimoni e vittime stanno trasmettendo in diretta streaming immagini e video insopportabili di bambini e adulti emaciati uccisi mentre cercavano disperatamente aiuto. Funzionari israeliani hanno proposto la costruzione di quelli che sarebbero dei campi di concentramento e la deportazione dei palestinesi sopravvissuti. Motivati dal nostro profondo impegno accademico ed etico contro la violenza politica e le atrocità di massa, compreso il genocidio nazista del popolo ebraico, abbiamo contribuito a fondare nell’aprile scorso il Genocide and Holocaust Studies Crisis Network. Più di 400 studiosi di genocidio e olocausto provenienti da due dozzine di paesi hanno aderito al network nelle settimane successive al suo lancio. La rapida crescita del gruppo testimonia l’urgenza del momento. Oggi, insieme a centinaia di organizzazioni umanitarie, decine di governi e milioni di studenti e cittadini che protestano in tutto il mondo, chiediamo misure concrete immediate per prevenire ulteriori atroci crimini e proteggere i civili. Dal massacro del 7 ottobre, i funzionari israeliani e i loro complici hanno giustificato la violenza genocida contro i palestinesi equiparando Hamas al nazismo, strumentalizzando la memoria dell’Olocausto per promuovere, anziché prevenire, la violenza di massa. Nel frattempo, troppi governi sostengono materialmente il genocidio a Gaza, mettendo a tacere le proteste. Anche se nelle ultime settimane il tono di alcune dichiarazioni ufficiali è diventato più critico nei confronti di Israele, molti stati continuano a fornire armi letali a Israele, a proteggere i leader israeliani dai mandati di arresto internazionali e ad alimentare gli investimenti nell’economia di guerra israeliana. La pressione internazionale può funzionare, ma ne occorre molta di più. L’emergenza è davanti a noi. Eppure, alcuni eminenti studiosi dell’Olocausto continuano a negare apertamente o ad approvare senza riserve le atrocità di massa perpetrate da Israele. Associazioni accademiche, università e istituzioni dedicate alla ricerca, all’educazione e alla commemorazione dell’Olocausto non solo rimangono in silenzio di fronte all’assalto genocida di Israele a Gaza, ma forniscono una copertura ideologica alle palesi violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Istituzioni come Yad Vashem e lo United States Holocaust Memorial Museum aderiscono a una “eccezione palestinese” quando si oppongono al genocidio e alle atrocità di massa. Allo stesso tempo, organizzazioni dedicate alla lotta contro il pregiudizio, come l’Anti-Defamation League, utilizzano false accuse di antisemitismo per mettere a tacere o screditare coloro che osano parlare. Siamo determinati a sfidare questa capitolazione morale e politica. Abbiamo creato il Genocide and Holocaust Studies Crisis Network proprio per questo. Ci impegniamo a sostenere i palestinesi nell’esercizio dei loro diritti all’istruzione e al patrimonio culturale di fronte alla massiccia distruzione delle loro scuole, dei loro archivi e dei loro luoghi della memoria. Ci impegniamo a fare pressione sulle nostre istituzioni affinché affrontino le contraddizioni tra il loro impegno dichiarato al “mai più” e il loro silenzio o la loro complicità di fronte a Gaza. Alla luce delle violenze genocidarie in corso e del ritorno dei regimi autoritari, forniremo nuove risorse e programmi didattici per insegnare in modo rigoroso il passato nel contesto del nostro presente sempre più vulnerabile. Offriremo solidarietà e sostegno ai nostri studenti e colleghi che corrono gravi rischi personali e professionali per aver alzato la voce. Contestiamo la diffusa “cospirazione dell’impotenza” e la normalizzazione della violenza di massa e della fame a Gaza. La storia ci ha insegnato che esistono molti modi in cui gli stati possono agire in risposta ai crimini contro l’umanità. Esortiamo tutti gli stati che hanno firmato la Convenzione per la Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio ad adempiere alle loro responsabilità ai sensi del diritto internazionale: esigere e applicare un cessate il fuoco permanente, un embargo sulle armi, il ritiro immediato delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza, la distribuzione senza ostacoli degli aiuti umanitari e l’uguaglianza e l’autodeterminazione per tutti i palestinesi. In qualità di membri del Genocide and Holocaust Studies Crisis Network, affermiamo: non è troppo tardi per salvare vite umane. Ponete fine al genocidio ora. Taner Akçam, Marianne Hirsch e Michael Rothberg sono membri fondatori del Genocide and Holocaust Studies Crisis Network. https://www.theguardian.com/commentisfree/2025/jul/29/israel-gaza-palestinians-genocide-scholars-letter Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Produzione documentario “The final chapter” di Mohammed Alatar
Assopace Palestina Venezia collabora con diverse Associazioni, tra cui APS Scighera, ACS Ong onlus, Convento di Marango, Auser Circolo il Filo Arcobaleno, Legambiente Sernaglia della Battaglia, per la produzione di un documentario finalizzato a far conoscere quanto avviene in Cisgiordania e denunciare il piano di pulizia etnica che lo stato Israeliano porta avanti da almeno 80 anni. Saranno documentate le incursioni armate dei coloni che attaccano e distruggono i villaggi palestinesi, le storie delle famiglie costrette ad abbandonare le loro terre e case, la perdita di vite umane. La violenza dei coloni avviene con la complicità e il sostegno del governo israeliano. Sostieni il progetto con una donazione a: https://www.produzionidalbasso.com/project/land-of-shadows-co-produce-alatar-s-film-st-art-1/. o effettuando un bonifico a: ACS Ong onlus IBAN: IT49I0501812101000011000072  – causale: Alatar film Bic/Swift: ETICIT22XXX Banca Popolare Etica
“I bambini mi perseguitano la notte”: la protesta che sta costringendo gli israeliani ad affrontare i bambini uccisi a Gaza
di Nir Hasson, Haaretz, 26 Luglio, 2025 I media israeliani non documentano le orribili morti di bambini a Gaza, così la psicoterapeuta traumatologica Adi Ronen Argov ha deciso di farlo da sola. Ronen Argov durante una recente protesta. “Abbiamo raggiunto un livello di violenza e crudeltà in cui rendere le cose appetibili per coloro che si rifiutano di sapere è come sostenere la dipendenza di qualcuno. Non abbellirò la realtà”. Foto di Tomer Appelbaum Rasha al-Ar’eer, una giovane ragazza di Gaza, è sopravvissuta al bombardamento di casa sua nel giugno dello scorso anno. L’esperienza l’ha spinta a scrivere un testamento. Su un pezzo di carta che teneva in tasca, scrisse con inchiostro rosso: “Per favore, non piangete per me, mi fa male vedere le vostre lacrime. Date i miei vestiti ai bisognosi, dividete le mie cose – le scatole di perline, la paghetta, i libri, i giocattoli – tra i miei cugini. Per favore, non urlate a mio fratello Ahmed. Spero che rispetterete i miei desideri”. Il 30 settembre, la casa della famiglia è stata bombardata di nuovo, Rasha è stata uccisa, e così anche Ahmed. Lei aveva 10 anni. Lui ne aveva 11. Sono stati sepolti una accanto all’altro. Mohammed Hamada è nato dopo che sua madre si è sottoposta a 15 anni di trattamenti per la fertilità. Quando aveva 3 anni, è stato gravemente ferito in un attacco delle Forze di Difesa Israeliane. Un video caricato quel giorno mostra suo padre che corre per le strade devastate di Jabalya tenendo Mohammad tra le braccia, implorandolo di non morire. Pochi giorni dopo, Mohammed morì per le ferite riportate. Un’altra clip mostra il padre che piange inconsolabilmente sul corpo di suo figlio prima di seppellirlo. Taha Behroozi, 7 anni, è stata uccisa da una bomba israeliana nella città di Tabriz, in Iran, il mese scorso; due sorelle, Iman e Talia Nasser, del sud del Libano, sono state uccise in un attacco dell’aviazione. Nastya Buryk, una bambina di 7 anni originaria dell’Ucraina, è stata uccisa da un missile balistico iraniano a Bat Yam. Era venuta in Israele per essere curata per la leucemia ed è stata uccisa insieme a sua madre, sua nonna, suo fratello e sua zia. Aline Kapshetar, che aveva 8 anni, e suo fratello, Eitan, 5, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco mentre tornavano a casa a Dimona dai terroristi di Hamas la mattina del 7 ottobre 2023. Inizio modulo Fine modulo Solo un sito web in ebraico commemora questi bambini insieme. Chiamato Forcibly Involved, è dedicato alla commemorazione dei bambini “non combattenti” di tutte le nazioni che sono stati uccisi dal 7 ottobre. Sfogliare il sito significa immergersi nell’incubo che tutti stiamo vivendo, ma che stiamo cercando di ignorare. Migliaia di ragazzi e ragazze morti, israeliani, libanesi, iraniani, ma soprattutto palestinesi della Striscia. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, Rasha, la bambina di 10 anni, è la numero 10.228 nella lista delle vittime che ha stilato. Ciò significa che fino ad oggi, 10.227 bambini più giovani di lei sono stati uccisi dalla guerra. Il fondatore di Forcibly Involved è Adi Ronen Argov, 59 anni, una psicologa clinica del centro del paese specializzato in terapia del trauma. Negli ultimi due anni, è diventata un’agenzia di informazione individuale. È la documentatrice in lingua ebraica più metodica della morte e della sofferenza a Gaza da metà ottobre 2023. Ronen Argov dice di essere sempre stata consapevole di ciò che sta accadendo per quanto riguarda la politica del governo e le azioni militari in Palestina ma come molti altri, si è accontentata di partecipare a manifestazioni occasionali per placare la sua coscienza. Il punto di svolta è stato la “Notte della Bastiglia” – riferendosi alla grande manifestazione a Gerusalemme del 14 luglio 2020, nell’ambito delle proteste di Balfour Street – nella strada dove si trova la residenza del primo ministro – contro la corruzione di Benjamin Netanyahu. Quella è stata anche la prima volta che i manifestanti anti-Netanyahu e la polizia si sono scontrati violentemente per le strade di Gerusalemme, e la polizia ha portato cannoni ad acqua e agenti a cavallo per affrontarli. Ronen Argov era lì, e da allora la sua vita non è più stata la stessa. “È stato un grido trasformatosi in azione. Ero stufa di tutto”, spiega in una delle conversazioni che abbiamo avuto a Tel Aviv e al telefono. Nelle settimane che seguirono, poiché il movimento di protesta non riuscì ad avere alcun effetto percepibile sulla persona che risiedeva in Balfour Street, un nuovo fenomeno cominciò ad emergere tra i manifestanti. Alcune decine di persone sono diventate attivisti contro l’occupazione in Cisgiordania e contro la discriminazione subita dalla popolazione araba di Israele. Ronen Argov si unì al gruppo e iniziò ad agire in Cisgiordania. Nel febbraio 2021 ha preso parte a una manifestazione nella città di Umm al-Fahm, in Galilea, per protestare contro la mancanza di azione della polizia nell’affrontare i dilaganti omicidi nella comunità araba. Ha pubblicato filmati in tempo reale della violenza della polizia su Facebook. “Era la prima volta che usavo Facebook Live”, ricorda. Il suo filmato di agenti di polizia che sparano gas lacrimogeni e cospargono i manifestanti con “acqua puzzolente” è diventato virale. “Mi sono resa conto che, in quanto persona privilegiata, ero obbligata a usare la mia voce. A Umm al-Fahm, mi hanno detto: ‘A te crederanno, ma a noi no’. Così mi è venuto in mente che dovevo essere io a raccontare la storia. Ho visto l’impatto della documentazione. Una settimana dopo, migliaia di ebrei israeliani si presentarono per sostenere Umm al-Fahm. È vero che una settimana dopo non sono tornati, ma penso ancora che abbia avuto un effetto”. Bambini che sono stati uccisi a Gaza. Hala Abu Tuayma, Masa Abd Abu Hawisha, Rawad Suhaib Al-Qarinawi, Sajid Abu Tuayma, Mohammed Suhaib Al-Qarinawi, Siwar al-Gharabli, Kenan Rabee Al-Masri, Zina Bilal Al-Madhoun. Nella fase successiva, Ronen Argov ha ampliato le sue attività di documentazione in Cisgiordania. “Ho accompagnato un po’ i pastori [palestinesi] e spesso ho partecipato alle proteste nella città di Beita, sulle cui terre è stato stabilito l’avamposto dei coloni di Evyatar. Soto stata al loro fianco, ho inalato gas lacrimogeni e ho visto l’asimmetria tra una forza armata e dei bambini con le pietre. “Non c’è modo che le pietre possano raggiungere i soldati sulla collina”, continua, “ma sparano gas lacrimogeni, granate stordenti e talvolta proiettili veri. La crudeltà che dilagava in mezzo al paesaggio mozzafiato mi ha colpito. Dopo la guerra, andavo alle manifestazioni a Sheikh Jarrah. Durante una manifestazione, una granata stordente mi ha danneggiato l’udito”. Il potere combinato della clip di Umm al-Fahm e delle esperienze in Cisgiordania e a Gerusalemme Est ha dato origine a un gruppo WhatsApp di aggiornamenti quotidiani sugli eventi in Cisgiordania: due anni e mezzo fa il gruppo di chat si è evoluto in un sito web che lei amministra chiamato The Daily File (in ebraico ed inglese) che documenta l’occupazione senza sosta: le vittime e i morti, le incursioni dell’IDF e le demolizioni di case, gli attacchi dei coloni. Il 7 ottobre 2023, Ronen Argov era impegnata a documentare la morte di minori in Cisgiordania, ma dopo lo scoppio della guerra ha abbandonato il progetto e si è recata all’hotel del Mar Morto, dove erano ospitati i sopravvissuti del Kibbutz Be’eri. Lì, è tornata alla sua occupazione originaria: curare le famiglie colpite da traumi. “Ho due amici di Be’eri di una famiglia, alcuni dei cui membri sono stati uccisi e una donna rapita. Il mio amore per loro mi ha spinto a salire in macchina e guidare fino all’hotel. Sono stata testimone dello shock, della portata dell’orrore, delle ripetute grida di aiuto nei gruppi WhatsApp. Sono tornata a casa, ho messo musica ad alto volume, urlando e piangendo”, racconta. “Ero in uno stato di paralisi, furiosa con lo stato e l’esercito, ma non sono ‘tornata in me’ e non mi sono confusa. Non mi ha fatto infuriare con il popolo palestinese”. Nelle settimane successive, The Daily File ha ripreso le sue attività, ma ha anche iniziato a concentrarsi sulla situazione a Gaza. Le informazioni sono presentate in modo concreto, ma non risparmiano i lettori. Il rapporto del 15 luglio, ad esempio, si apre con statistiche brutali: 93 morti e 278 feriti nelle ultime 24 ore. Si può vedere una clip di due bambini feriti che giacciono sul pavimento di un ospedale e un uomo anziano che cerca di convincerli a spiegare cosa è successo. Il rapporto include filmati di bombardamenti in varie parti della Striscia e ulteriori informazioni: “I corpi di tre bambini salvati [tirati fuori] dalle macerie della casa della famiglia Nassar. Il numero delle persone uccise dall’attentato di alcuni giorni fa è salito a 12. Bombardamenti tra i residenti, 9 morti, tra cui cinque bambini, e oltre 25 feriti. Al Rimal – sfollati, tende bombardate, feriti; Tel El Hawa – Torre Al Awda [edificio residenziale] n. due bombardarono. Un drone attacca l’area della scuola di Jarar al-Qudra, una persona uccisa e diversi feriti. Una casa è stata bombardata vicino alla moschea di Al Radwan, quattro persone sono state uccise. Un drone attacca la piazza [a Bani Suheila], sette persone uccise”. E così via, e così via. Un giorno qualunque nella Striscia di Gaza. Altre immagini accompagnano il servizio del 15 luglio su The Daily File: fotogrammi e video clip di piccoli cadaveri, un bambino il cui volto è coperto di sangue, edifici che esplodono e masse di persone che strisciano sulla sabbia, cercando di sfuggire alla sparatoria vicino a un centro di distribuzione di cibo. “Ci sono video che non pubblico, come quelli di parti del corpo macellate, ma il sito non ha lo scopo di suscitare pietà”, dice Ronen Argov. “Penso che abbiamo raggiunto un livello di violenza e crudeltà in cui rendere le cose appetibili per coloro che si rifiutano di sapere è come sostenere la dipendenza di qualcuno. Non voglio continuare a fingere. Non sto cercando di convincere le persone. Entrare nel sito è una scelta, e non mi aspetto che la gente entri tutti i giorni, ma se lo faranno, non abbellirò la realtà”. Il Daily File è come un negativo fotografico dei media israeliani. Un articolo sul sito di questa settimana citava Ron Yaron, direttore di Channel 12 News, il telegiornale più popolare di Israele, che spiegava perché non è necessario coprire gli eventi di Gaza in televisione. “È difficile relazionarsi con esso”, ha affermato. Secondo Avishai Grinzaig, che scrive per i24NEWS, “La ragione per cui i canali televisivi non trasmettono queste immagini [cioè da Gaza] è che il pubblico non vuole vederle”. “Penso che sia un’arroganza totale. È vergognoso che i media abbiano dimenticato il loro scopo”, afferma Ronen Argov. “Non stanno spingendo il pubblico a fare domande sulla situazione, ma lo stanno solo inondando di informazioni. La maggior parte dei media israeliani non sta adempiendo al proprio ruolo”. Qualche settimana fa, lei e alcune altre attiviste hanno lanciato un’iniziativa volta a convincere le donne di alto rango dei media a parlare della situazione nella Striscia di Gaza. “Mi è stato dato il numero di telefono di un giornalista di spicco. Le ho mandato una sorta di messaggio personale. Ho scritto che ammiravo molto il modo in cui aveva rotto il soffitto di cristallo per le donne. Mi ha chiesto di inviare delle cifre. Le ho inviato [informazioni] per un po’, ma non ha risposto”. Doppia vita Più di un anno fa, Ronen Argov e il collega attivista Shaul Tcherikover hanno avviato il progetto Forcibly Involved per documentare i bambini uccisi in Israele, nei territori e in pochi altri paesi. Si apriva con la storia di un ragazzo di 12 anni di nome Zayn Uruk. Nell’aprile 2024 era stata pubblicata una breve clip di Uruk dopo che era riuscito a prendere un pacco di cibo lanciato in aria. Ha raccontato l’evento con emozione e con un sorriso a qualche cameraman-intervistatore invisibile (la clip ha i sottotitoli in inglese). “Sto cercando da mezzogiorno [di ottenere un pacco]… Stavo per morire [letteralmente, sono stato quasi ucciso] quando la gente si è precipitata a prendere gli aiuti”. Pochi giorni dopo, Zayn è stato ucciso mentre cercava altro cibo: un pacco di aiuti lo ha colpito mentre cadeva. Non molto tempo dopo, il comico israeliano Avi Nussbaum ha deriso gli abitanti di Gaza che sono stati uccisi dopo essere stati colpiti da pacchi di cibo lanciati per via aerea. “Non è piacevole riderci sopra, ma immaginate che oggi qualcuno a Gaza è morto a causa di un missile guidato sparato da un elicottero, mentre qualcun altro è stato ucciso da un barattolo di mais che è caduto sulla sua testa”. Il pubblico lo ha applaudito. “C’era qualcosa nel sorriso di Zayn, nei suoi occhi timidi, che mi ha catturato”, ricorda Ronen Argov. “Penso che il comico stesse parlando per ignoranza”. Pochi giorni dopo la morte del ragazzo, l’anno scorso, lei e altri attivisti hanno iniziato a manifestare in piazza Habima a Tel Aviv con foto di bambini e adolescenti di età inferiore ai 18 anni che sono stati uccisi a Gaza, con la didascalia “Coinvolti con la forza”. Più o meno in quel periodo, il giornalista palestinese Tamer Almisshal ha invitato i genitori di Gaza a pubblicare le immagini dei loro figli morti; Ha ricevuto centinaia di foto e nomi di giovani. La maggior parte sono stati fotografati in abiti festivi, mentre facevano la modella per la macchina fotografica. Ispirati da lui, Ronen Argov e i suoi colleghi hanno iniziato a postare regolarmente foto e nomi dei bambini morti. “La gente pensa che pubblico solo [immagini di] palestinesi, ma non è vero. Ci sono anche israeliani, libanesi e iraniani”, dice. “Ci sono state anche risposte strane: ‘Sono davvero dolci, non sembrano palestinesi’. Ma è proprio questo lo scopo: umanizzare”. Si è così sviluppato “un progetto che commemora i nomi dei bambini uccisi dal 7 ottobre 2023 in poi, da entrambi i lati del confine, senza differenze di nazionalità e con la convinzione che ogni bambino ha un nome, una vita che è stata e sogni interrotti”, come spiega il sito web Forcibly Involved. Compaiono le immagini dei bambini con alcuni dettagli e la frase “era qui, ma ora non più”; Misk al-Sharif, 1 anno, “uccisa in un campo di sfollati insieme alla madre incinta”; Muhammad Aziz Fadel, “ucciso mentre cercava di procurarsi del cibo”; “Jouri al-Masri, 3 mesi, era qui, ma ora non più. Morto di malnutrizione e disidratazione a causa della mancanza di un latte artificiale appropriato. Gaza, 27 giugno 2025”. La scorsa settimana, il New Israel Fund ha annunciato che Ronen Argov è stata la destinataria di quest’anno del premio Truth to Power, assegnato a un individuo “che agisce senza paura e pubblicamente contro le strutture di potere”. Il premio in denaro di 100.000 shekel (circa 30.000 dollari) la aiuterà a migliorare il suo sito e a renderlo più facile da usare. A partire dal 23 marzo, circa una settimana dopo che Israele ha violato il cessate il fuoco con Hamas e ucciso centinaia di bambini e donne di Gaza in una sola notte, le foto si sono spostate dal mondo virtuale a quello reale – letteralmente, alla strada. Gli attivisti hanno esposto manifesti dei giovani morti e si sono fermati in via Kaplan a Tel Aviv mentre i partecipanti alla manifestazione settimanale che chiedeva la restituzione degli ostaggi passavano lungo il tragitto da piazza Habima al Kirya, il quartier generale dell’establishment della difesa. “Eravamo tra le 10 e le 20 donne attiviste, ed eravamo preparate a maledizioni e opposizione, ma sorprendentemente, ci sono state solo poche imprecazioni – la gente si è interessata principalmente”, dice Alma Beck, una delle organizzatrici della protesta dei bambini in corso. “La gente per lo più non capiva e ci chiedeva cose come: ‘Così tanti bambini?’ Abbiamo dovuto spiegare che questo non era nulla in confronto alla realtà. Alcune persone sono rimaste scioccate, altre hanno voluto unirsi a noi. “La settimana successiva, abbiamo stampato 100 foto, e tutte sono state scattate dai manifestanti che si sono uniti a noi. Dopo di che ne abbiamo stampate 300, e di nuovo tutte le foto sono state scattate e la fila [dei dimostratori] si è allungata. Sentivamo che stavamo riuscendo ad abbattere un muro”. Ronen Argov concorda sul fatto che si sta gradualmente verificando un cambiamento nell’atteggiamento dell’opinione pubblica israeliana nei confronti degli eventi di Gaza. “È più facile reclutare persone per tenere un cartello in manifestazioni silenziose a nome dei bambini; Sempre più persone si stanno interessando a ciò che sta accadendo. Penso che ci sia qualcosa nel raccontare la fame che scuote di più le persone”. Yali Merom e il suo compagno, Maayan Dak, di Rehovot, hanno portato questa protesta nelle basi dell’aeronautica. “Viviamo a Rehovot, sentiamo gli aerei decollare e ci chiediamo chi uccideranno questa volta”, dice Merom. “Abbiamo deciso di smettere di urlare contro di loro dal basso e di portare le fotografie alle basi. Ci fermiamo all’ingresso della base con le immagini dei bambini. Non gridiamo ‘Assassini’ e non li chiamiamo con nomignoli, vogliamo solo che vedano i risultati delle loro azioni”. Queste proteste di solito si svolgono in sordina, anche se occasionalmente ufficiali di alto rango delle basi hanno cercato di cacciare via i manifestanti e hanno chiamato la polizia. “Ma a volte ci parlano”, aggiunge Meron. “Un comandante di squadrone ha chiesto cosa sarebbe successo se uno dei piloti avesse deciso di non bombardare Gaza. Gli abbiamo detto che avrebbe solo migliorato la situazione”. Nonostante le crepe nell’opinione pubblica riguardo ai massacri in corso a Gaza, Ronen Argov è pessimista riguardo al fomentare un vero cambiamento nell’atteggiamento della società israeliana nei confronti dei crimini nella Striscia in tempi brevi. “Siamo nel bel mezzo di un trauma prolungato”, dice, “e durante un trauma prolungato, la risposta è quella di tornare ad atteggiamenti molto semplicistici di bianco e nero. Non c’è possibilità di contenere la complessità, e la compassione è generalmente piuttosto complicata”. È anche molto pessimista sulla capacità della società di far fronte alle atrocità perpetrate in suo nome. “Penso che lo capiremo davvero solo con il senno di poi, solo tra generazioni, quando i nipoti dei soldati di oggi chiederanno: ‘Cosa facevi allora?’ Ora è ancora l'”esercito del popolo” e tutti hanno una sorta di connessione con un soldato. Quindi il soldato che amo e che è importante per me è un criminale di guerra? È tutto troppo vicino; C’è un’enorme dissonanza, un’enorme rottura. Così, nel frattempo, sto creando un archivio sulla base del quale sarà possibile in futuro analizzare le cose. Il cambiamento non avverrà nel corso della mia vita”. In qualità di esperta in materia, Ronen Argov si diagnostica di aver subito un trauma secondario a causa della sua esposizione ai video e alle testimonianze. “Ho difficoltà a dormire, mi arrabbio facilmente, ho sentimenti di disperazione, sensibilità ai rumori. Sogno i bambini, mi perseguitano la notte”, dice, elencando i sintomi. Descrive anche un’ondata di odio diretta contro di lei da parte di webnauti e commentatori: “Ho smesso di leggere e non rispondo, ho sviluppato una sorta di immunità. Ma da persona che crede davvero nelle persone, sono diventata un’odiatrice delle persone. Evito le feste; quando ci sono eventi o una riunione di famiglia trovo scuse per non andare. Vivo una doppia vita che non posso condividere con le persone che mi sono care. C’è una parte in me che non riesce a perdonare chi sta normalizzando le cose”. Nel primo anno e mezzo di guerra, ammette di aver esitato a chiamare “genocidio” ciò che veniva fatto a Gaza. Quei dubbi sono scomparsi, tuttavia, sulla scia del bombardamento mortale che ha ucciso centinaia di donne e bambini la notte del 18 marzo, quando Israele ha violato il cessate il fuoco con Hamas e ha ripreso la guerra. Ronen Argov: “Da allora, ho fatto i conti con il concetto. Non si tratta solo del numero di coloro che sono stati uccisi; È il modo metodico in cui viene fatto. Si può dire che c’è un elemento di intenzione [di perpetrare un genocidio] non solo a causa delle dichiarazioni dei politici e dei comandanti sul terreno, ma a causa delle azioni che si stanno verificando”. Qualche mese fa, si è imbattuta in una fotografia di un ragazzo morto il cui nome era scritto sulla sua mano. “Si scopre che i genitori scrivono i nomi sugli arti dei loro figli, in modo che sia possibile identificarli quando muoiono. Più o meno nello stesso periodo, mi sono imbattuto nella poesia di Zeina Azzam intitolata “Gaza” in arabo [titolo inglese: “Scrivi il mio nome”], che conclude: “Scrivi il mio nome sulla mia gamba, mamma non aggiungere numeri come quando sono nato o l’indirizzo della nostra casa. Non voglio che il mondo mi elenchi come un numero. Ho un nome e non sono un numero. Scrivi il mio nome sulla mia gamba, mamma, quando la bomba colpirà la nostra casa, quando i muri schiacceranno i nostri crani e le nostre ossa,  le nostre gambe racconteranno la nostra storia, come non c’era nessun posto dove scappare. “Ho in mente l’immagine di un gruppo di bambini morti sotto una coperta, e si vedono i loro nomi scritti sulla gamba”, dice Ronen Argov. “Questa è un’immagine che non dimenticherò – come potrei mai dimenticarla?” https://www.haaretz.com/israel-news/2025-07-26/ty-article-magazine/.premium/the-children-haunt-me-at-night-a-protest-forces-israelis-to-face-kids-killed-in-gaza/00000198-4493-d626-abfa-66b36cf80000?fbclid=IwQ0xDSwLyvN5leHRuA2FlbQIxMQABHn7wLeAlZQ0c86b-TIrxLI04aknOnISm2QVCs180Tb-ttQlsxS43fv212PRM_aem_tzX6o0-q4oJV9VgHFVINwA Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.Nir Hasson  Haaretz, 26 Luglio, 2025   I media israeliani non documentano le orribili morti di bambini a Gaza, così la psicoterapeuta traumatologica Adi Ronen Argov ha deciso di farlo da sola Foto 1 Ronen Argov durante una recente protesta. “Abbiamo raggiunto un livello di violenza e crudeltà in cui rendere le cose appetibili per coloro che si rifiutano di sapere è come sostenere la dipendenza di qualcuno. Non abbellirò la realtà”.  di Tomer Appelbaum Rasha al-Ar’eer, una giovane ragazza di Gaza, è sopravvissuta al bombardamento di casa sua nel giugno dello scorso anno. L’esperienza l’ha spinta a scrivere un testamento. Su un pezzo di carta che teneva in tasca, scrisse con inchiostro rosso: “Per favore, non piangete per me, mi fa male vedere le vostre lacrime. Date i miei vestiti ai bisognosi, dividete le mie cose – le scatole di perline, la paghetta, i libri, i giocattoli – tra i miei cugini. Per favore, non urlate a mio fratello Ahmed. Spero che rispetterete i miei desideri”. Il 30 settembre, la casa della famiglia è stata bombardata di nuovo, Rasha è stata uccisa, e così anche Ahmed. Lei aveva 10 anni. Lui ne aveva 11. Sono stati sepolti una accanto all’altro. Mohammed Hamada è nato dopo che sua madre si è sottoposta a 15 anni di trattamenti per la fertilità. Quando aveva 3 anni, è stato gravemente ferito in un attacco delle Forze di Difesa Israeliane. Un video caricato quel giorno mostra suo padre che corre per le strade devastate di Jabalya tenendo Mohammad tra le braccia, implorandolo di non morire. Pochi giorni dopo, Mohammed morì per le ferite riportate. Un’altra clip mostra il padre che piange inconsolabilmente sul corpo di suo figlio prima di seppellirlo. Taha Behroozi, 7 anni, è stata uccisa da una bomba israeliana nella città di Tabriz, in Iran, il mese scorso; due sorelle, Iman e Talia Nasser, del sud del Libano, sono state uccise in un attacco dell’aviazione. Nastya Buryk, una bambina di 7 anni originaria dell’Ucraina, è stata uccisa da un missile balistico iraniano a Bat Yam. Era venuta in Israele per essere curata per la leucemia ed è stata uccisa insieme a sua madre, sua nonna, suo fratello e sua zia. Aline Kapshetar, che aveva 8 anni, e suo fratello, Eitan, 5, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco mentre tornavano a casa a Dimona dai terroristi di Hamas la mattina del 7 ottobre 2023. Inizio modulo Fine modulo Solo un sito web in ebraico commemora questi bambini insieme. Chiamato Forcibly Involved, è dedicato alla commemorazione dei bambini “non combattenti” di tutte le nazioni che sono stati uccisi dal 7 ottobre. Sfogliare il sito significa immergersi nell’incubo che tutti stiamo vivendo, ma che stiamo cercando di ignorare. Migliaia di ragazzi e ragazze morti, israeliani, libanesi, iraniani, ma soprattutto palestinesi della Striscia. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, Rasha, la bambina di 10 anni, è la numero 10.228 nella lista delle vittime che ha stilato. Ciò significa che fino ad oggi, 10.227 bambini più giovani di lei sono stati uccisi dalla guerra. Il fondatore di Forcibly Involved è Adi Ronen Argov, 59 anni, una psicologa clinica del centro del paese specializzato in terapia del trauma. Negli ultimi due anni, è diventata un’agenzia di informazione individuale. È la documentatrice in lingua ebraica più metodica della morte e della sofferenza a Gaza da metà ottobre 2023. Ronen Argov dice di essere sempre stata consapevole di ciò che sta accadendo per quanto riguarda la politica del governo e le azioni militari in Palestina ma come molti altri, si è accontentata di partecipare a manifestazioni occasionali per placare la sua coscienza. Il punto di svolta è stato la “Notte della Bastiglia” – riferendosi alla grande manifestazione a Gerusalemme del 14 luglio 2020, nell’ambito delle proteste di Balfour Street – nella strada dove si trova la residenza del primo ministro – contro la corruzione di Benjamin Netanyahu. Quella è stata anche la prima volta che i manifestanti anti-Netanyahu e la polizia si sono scontrati violentemente per le strade di Gerusalemme, e la polizia ha portato cannoni ad acqua e agenti a cavallo per affrontarli. Ronen Argov era lì, e da allora la sua vita non è più stata la stessa. “È stato un grido trasformatosi in azione. Ero stufa di tutto”, spiega in una delle conversazioni che abbiamo avuto a Tel Aviv e al telefono. Nelle settimane che seguirono, poiché il movimento di protesta non riuscì ad avere alcun effetto percepibile sulla persona che risiedeva in Balfour Street, un nuovo fenomeno cominciò ad emergere tra i manifestanti. Alcune decine di persone sono diventate attivisti contro l’occupazione in Cisgiordania e contro la discriminazione subita dalla popolazione araba di Israele. Ronen Argov si unì al gruppo e iniziò ad agire in Cisgiordania. Nel febbraio 2021 ha preso parte a una manifestazione nella città di Umm al-Fahm, in Galilea, per protestare contro la mancanza di azione della polizia nell’affrontare i dilaganti omicidi nella comunità araba. Ha pubblicato filmati in tempo reale della violenza della polizia su Facebook. “Era la prima volta che usavo Facebook Live”, ricorda. Il suo filmato di agenti di polizia che sparano gas lacrimogeni e cospargono i manifestanti con “acqua puzzolente” è diventato virale. “Mi sono resa conto che, in quanto persona privilegiata, ero obbligata a usare la mia voce. A Umm al-Fahm, mi hanno detto: ‘A te crederanno, ma a noi no’. Così mi è venuto in mente che dovevo essere io a raccontare la storia. Ho visto l’impatto della documentazione. Una settimana dopo, migliaia di ebrei israeliani si presentarono per sostenere Umm al-Fahm. È vero che una settimana dopo non sono tornati, ma penso ancora che abbia avuto un effetto”. Foto Bambini che sono stati uccisi a Gaza. Hala Abu Tuayma, Masa Abd Abu Hawisha, Rawad Suhaib Al-Qarinawi, Sajid Abu Tuayma, Mohammed Suhaib Al-Qarinawi, Siwar al-Gharabli, Kenan Rabee Al-Masri, Zina Bilal Al-Madhoun. Nella fase successiva, Ronen Argov ha ampliato le sue attività di documentazione in Cisgiordania. “Ho accompagnato un po’ i pastori [palestinesi] e spesso ho partecipato alle proteste nella città di Beita, sulle cui terre è stato stabilito l’avamposto dei coloni di Evyatar. Soto stata al loro fianco, ho inalato gas lacrimogeni e ho visto l’asimmetria tra una forza armata e dei bambini con le pietre. “Non c’è modo che le pietre possano raggiungere i soldati sulla collina”, continua, “ma sparano gas lacrimogeni, granate stordenti e talvolta proiettili veri. La crudeltà che dilagava in mezzo al paesaggio mozzafiato mi ha colpito. Dopo la guerra, andavo alle manifestazioni a Sheikh Jarrah. Durante una manifestazione, una granata stordente mi ha danneggiato l’udito”. Il potere combinato della clip di Umm al-Fahm e delle esperienze in Cisgiordania e a Gerusalemme Est ha dato origine a un gruppo WhatsApp di aggiornamenti quotidiani sugli eventi in Cisgiordania: due anni e mezzo fa il gruppo di chat si è evoluto in un sito web che lei amministra chiamato The Daily File (in ebraico ed inglese) che documenta l’occupazione senza sosta: le vittime e i morti, le incursioni dell’IDF e le demolizioni di case, gli attacchi dei coloni. Il 7 ottobre 2023, Ronen Argov era impegnata a documentare la morte di minori in Cisgiordania, ma dopo lo scoppio della guerra ha abbandonato il progetto e si è recata all’hotel del Mar Morto, dove erano ospitati i sopravvissuti del Kibbutz Be’eri. Lì, è tornata alla sua occupazione originaria: curare le famiglie colpite da traumi. “Ho due amici di Be’eri di una famiglia, alcuni dei cui membri sono stati uccisi e una donna rapita. Il mio amore per loro mi ha spinto a salire in macchina e guidare fino all’hotel. Sono stata testimone dello shock, della portata dell’orrore, delle ripetute grida di aiuto nei gruppi WhatsApp. Sono tornata a casa, ho messo musica ad alto volume, urlando e piangendo”, racconta. “Ero in uno stato di paralisi, furiosa con lo stato e l’esercito, ma non sono ‘tornata in me’ e non mi sono confusa. Non mi ha fatto infuriare con il popolo palestinese”. Nelle settimane successive, The Daily File ha ripreso le sue attività, ma ha anche iniziato a concentrarsi sulla situazione a Gaza. Le informazioni sono presentate in modo concreto, ma non risparmiano i lettori. Il rapporto del 15 luglio, ad esempio, si apre con statistiche brutali: 93 morti e 278 feriti nelle ultime 24 ore. Si può vedere una clip di due bambini feriti che giacciono sul pavimento di un ospedale e un uomo anziano che cerca di convincerli a spiegare cosa è successo. Il rapporto include filmati di bombardamenti in varie parti della Striscia e ulteriori informazioni: “I corpi di tre bambini salvati [tirati fuori] dalle macerie della casa della famiglia Nassar. Il numero delle persone uccise dall’attentato di alcuni giorni fa è salito a 12. Bombardamenti tra i residenti, 9 morti, tra cui cinque bambini, e oltre 25 feriti. Al Rimal – sfollati, tende bombardate, feriti; Tel El Hawa – Torre Al Awda [edificio residenziale] n. due bombardarono. Un drone attacca l’area della scuola di Jarar al-Qudra, una persona uccisa e diversi feriti. Una casa è stata bombardata vicino alla moschea di Al Radwan, quattro persone sono state uccise. Un drone attacca la piazza [a Bani Suheila], sette persone uccise”. E così via, e così via. Un giorno qualunque nella Striscia di Gaza. Altre immagini accompagnano il servizio del 15 luglio su The Daily File: fotogrammi e video clip di piccoli cadaveri, un bambino il cui volto è coperto di sangue, edifici che esplodono e masse di persone che strisciano sulla sabbia, cercando di sfuggire alla sparatoria vicino a un centro di distribuzione di cibo. Inizio modulo Fine modulo “Ci sono video che non pubblico, come quelli di parti del corpo macellate, ma il sito non ha lo scopo di suscitare pietà”, dice Ronen Argov. “Penso che abbiamo raggiunto un livello di violenza e crudeltà in cui rendere le cose appetibili per coloro che si rifiutano di sapere è come sostenere la dipendenza di qualcuno. Non voglio continuare a fingere. Non sto cercando di convincere le persone. Entrare nel sito è una scelta, e non mi aspetto che la gente entri tutti i giorni, ma se lo faranno, non abbellirò la realtà”. Il Daily File è come un negativo fotografico dei media israeliani. Un articolo sul sito di questa settimana citava Ron Yaron, direttore di Channel 12 News, il telegiornale più popolare di Israele, che spiegava perché non è necessario coprire gli eventi di Gaza in televisione. “È difficile relazionarsi con esso”, ha affermato. Secondo Avishai Grinzaig, che scrive per i24NEWS, “La ragione per cui i canali televisivi non trasmettono queste immagini [cioè da Gaza] è che il pubblico non vuole vederle”. “Penso che sia un’arroganza totale. È vergognoso che i media abbiano dimenticato il loro scopo”, afferma Ronen Argov. “Non stanno spingendo il pubblico a fare domande sulla situazione, ma lo stanno solo inondando di informazioni. La maggior parte dei media israeliani non sta adempiendo al proprio ruolo”. Qualche settimana fa, lei e alcune altre attiviste hanno lanciato un’iniziativa volta a convincere le donne di alto rango dei media a parlare della situazione nella Striscia di Gaza. “Mi è stato dato il numero di telefono di un giornalista di spicco. Le ho mandato una sorta di messaggio personale. Ho scritto che ammiravo molto il modo in cui aveva rotto il soffitto di cristallo per le donne. Mi ha chiesto di inviare delle cifre. Le ho inviato [informazioni] per un po’, ma non ha risposto”. Doppia vita Più di un anno fa, Ronen Argov e il collega attivista Shaul Tcherikover hanno avviato il progetto Forcibly Involved per documentare i bambini uccisi in Israele, nei territori e in pochi altri paesi. Si apriva con la storia di un ragazzo di 12 anni di nome Zayn Uruk. Nell’aprile 2024 era stata pubblicata una breve clip di Uruk dopo che era riuscito a prendere un pacco di cibo lanciato in aria. Ha raccontato l’evento con emozione e con un sorriso a qualche cameraman-intervistatore invisibile (la clip ha i sottotitoli in inglese). “Sto cercando da mezzogiorno [di ottenere un pacco]… Stavo per morire [letteralmente, sono stato quasi ucciso] quando la gente si è precipitata a prendere gli aiuti”. Pochi giorni dopo, Zayn è stato ucciso mentre cercava altro cibo: un pacco di aiuti lo ha colpito mentre cadeva. Non molto tempo dopo, il comico israeliano Avi Nussbaum ha deriso gli abitanti di Gaza che sono stati uccisi dopo essere stati colpiti da pacchi di cibo lanciati per via aerea. “Non è piacevole riderci sopra, ma immaginate che oggi qualcuno a Gaza è morto a causa di un missile guidato sparato da un elicottero, mentre qualcun altro è stato ucciso da un barattolo di mais che è caduto sulla sua testa”. Il pubblico lo ha applaudito. “C’era qualcosa nel sorriso di Zayn, nei suoi occhi timidi, che mi ha catturato”, ricorda Ronen Argov. “Penso che il comico stesse parlando per ignoranza”. Pochi giorni dopo la morte del ragazzo, l’anno scorso, lei e altri attivisti hanno iniziato a manifestare in piazza Habima a Tel Aviv con foto di bambini e adolescenti di età inferiore ai 18 anni che sono stati uccisi a Gaza, con la didascalia “Coinvolti con la forza”. Più o meno in quel periodo, il giornalista palestinese Tamer Almisshal ha invitato i genitori di Gaza a pubblicare le immagini dei loro figli morti; Ha ricevuto centinaia di foto e nomi di giovani. La maggior parte sono stati fotografati in abiti festivi, mentre facevano la modella per la macchina fotografica. Ispirati da lui, Ronen Argov e i suoi colleghi hanno iniziato a postare regolarmente foto e nomi dei bambini morti. “La gente pensa che pubblico solo [immagini di] palestinesi, ma non è vero. Ci sono anche israeliani, libanesi e iraniani”, dice. “Ci sono state anche risposte strane: ‘Sono davvero dolci, non sembrano palestinesi’. Ma è proprio questo lo scopo: umanizzare”. Si è così sviluppato “un progetto che commemora i nomi dei bambini uccisi dal 7 ottobre 2023 in poi, da entrambi i lati del confine, senza differenze di nazionalità e con la convinzione che ogni bambino ha un nome, una vita che è stata e sogni interrotti”, come spiega il sito web Forcibly Involved. Compaiono le immagini dei bambini con alcuni dettagli e la frase “era qui, ma ora non più”; Misk al-Sharif, 1 anno, “uccisa in un campo di sfollati insieme alla madre incinta”; Muhammad Aziz Fadel, “ucciso mentre cercava di procurarsi del cibo”; “Jouri al-Masri, 3 mesi, era qui, ma ora non più. Morto di malnutrizione e disidratazione a causa della mancanza di un latte artificiale appropriato. Gaza, 27 giugno 2025”. La scorsa settimana, il New Israel Fund ha annunciato che Ronen Argov è stata la destinataria di quest’anno del premio Truth to Power, assegnato a un individuo “che agisce senza paura e pubblicamente contro le strutture di potere”. Il premio in denaro di 100.000 shekel (circa 30.000 dollari) la aiuterà a migliorare il suo sito e a renderlo più facile da usare. A partire dal 23 marzo, circa una settimana dopo che Israele ha violato il cessate il fuoco con Hamas e ucciso centinaia di bambini e donne di Gaza in una sola notte, le foto si sono spostate dal mondo virtuale a quello reale – letteralmente, alla strada. Gli attivisti hanno esposto manifesti dei giovani morti e si sono fermati in via Kaplan a Tel Aviv mentre i partecipanti alla manifestazione settimanale che chiedeva la restituzione degli ostaggi passavano lungo il tragitto da piazza Habima al Kirya, il quartier generale dell’establishment della difesa. “Eravamo tra le 10 e le 20 donne attiviste, ed eravamo preparate a maledizioni e opposizione, ma sorprendentemente, ci sono state solo poche imprecazioni – la gente si è interessata principalmente”, dice Alma Beck, una delle organizzatrici della protesta dei bambini in corso. “La gente per lo più non capiva e ci chiedeva cose come: ‘Così tanti bambini?’ Abbiamo dovuto spiegare che questo non era nulla in confronto alla realtà. Alcune persone sono rimaste scioccate, altre hanno voluto unirsi a noi. “La settimana successiva, abbiamo stampato 100 foto, e tutte sono state scattate dai manifestanti che si sono uniti a noi. Dopo di che ne abbiamo stampate 300, e di nuovo tutte le foto sono state scattate e la fila [dei dimostratori] si è allungata. Sentivamo che stavamo riuscendo ad abbattere un muro”. Ronen Argov concorda sul fatto che si sta gradualmente verificando un cambiamento nell’atteggiamento dell’opinione pubblica israeliana nei confronti degli eventi di Gaza. “È più facile reclutare persone per tenere un cartello in manifestazioni silenziose a nome dei bambini; Sempre più persone si stanno interessando a ciò che sta accadendo. Penso che ci sia qualcosa nel raccontare la fame che scuote di più le persone”. Yali Merom e il suo compagno, Maayan Dak, di Rehovot, hanno portato questa protesta nelle basi dell’aeronautica. “Viviamo a Rehovot, sentiamo gli aerei decollare e ci chiediamo chi uccideranno questa volta”, dice Merom. “Abbiamo deciso di smettere di urlare contro di loro dal basso e di portare le fotografie alle basi. Ci fermiamo all’ingresso della base con le immagini dei bambini. Non gridiamo ‘Assassini’ e non li chiamiamo con nomignoli, vogliamo solo che vedano i risultati delle loro azioni”. Queste proteste di solito si svolgono in sordina, anche se occasionalmente ufficiali di alto rango delle basi hanno cercato di cacciare via i manifestanti e hanno chiamato la polizia. “Ma a volte ci parlano”, aggiunge Meron. “Un comandante di squadrone ha chiesto cosa sarebbe successo se uno dei piloti avesse deciso di non bombardare Gaza. Gli abbiamo detto che avrebbe solo migliorato la situazione”. Nonostante le crepe nell’opinione pubblica riguardo ai massacri in corso a Gaza, Ronen Argov è pessimista riguardo al fomentare un vero cambiamento nell’atteggiamento della società israeliana nei confronti dei crimini nella Striscia in tempi brevi. “Siamo nel bel mezzo di un trauma prolungato”, dice, “e durante un trauma prolungato, la risposta è quella di tornare ad atteggiamenti molto semplicistici di bianco e nero. Non c’è possibilità di contenere la complessità, e la compassione è generalmente piuttosto complicata”. È anche molto pessimista sulla capacità della società di far fronte alle atrocità perpetrate in suo nome. “Penso che lo capiremo davvero solo con il senno di poi, solo tra generazioni, quando i nipoti dei soldati di oggi chiederanno: ‘Cosa facevi allora?’ Ora è ancora l'”esercito del popolo” e tutti hanno una sorta di connessione con un soldato. Quindi il soldato che amo e che è importante per me è un criminale di guerra? È tutto troppo vicino; C’è un’enorme dissonanza, un’enorme rottura. Così, nel frattempo, sto creando un archivio sulla base del quale sarà possibile in futuro analizzare le cose. Il cambiamento non avverrà nel corso della mia vita”. In qualità di esperta in materia, Ronen Argov si diagnostica di aver subito un trauma secondario a causa della sua esposizione ai video e alle testimonianze. “Ho difficoltà a dormire, mi arrabbio facilmente, ho sentimenti di disperazione, sensibilità ai rumori. Sogno i bambini, mi perseguitano la notte”, dice, elencando i sintomi. Descrive anche un’ondata di odio diretta contro di lei da parte di webnauti e commentatori: “Ho smesso di leggere e non rispondo, ho sviluppato una sorta di immunità. Ma da persona che crede davvero nelle persone, sono diventata un’odiatrice delle persone. Evito le feste; quando ci sono eventi o una riunione di famiglia trovo scuse per non andare. Vivo una doppia vita che non posso condividere con le persone che mi sono care. C’è una parte in me che non riesce a perdonare chi sta normalizzando le cose”. Nel primo anno e mezzo di guerra, ammette di aver esitato a chiamare “genocidio” ciò che veniva fatto a Gaza. Quei dubbi sono scomparsi, tuttavia, sulla scia del bombardamento mortale che ha ucciso centinaia di donne e bambini la notte del 18 marzo, quando Israele ha violato il cessate il fuoco con Hamas e ha ripreso la guerra. Ronen Argov: “Da allora, ho fatto i conti con il concetto. Non si tratta solo del numero di coloro che sono stati uccisi; È il modo metodico in cui viene fatto. Si può dire che c’è un elemento di intenzione [di perpetrare un genocidio] non solo a causa delle dichiarazioni dei politici e dei comandanti sul terreno, ma a causa delle azioni che si stanno verificando”. Qualche mese fa, si è imbattuta in una fotografia di un ragazzo morto il cui nome era scritto sulla sua mano. “Si scopre che i genitori scrivono i nomi sugli arti dei loro figli, in modo che sia possibile identificarli quando muoiono. Più o meno nello stesso periodo, mi sono imbattuto nella poesia di Zeina Azzam intitolata “Gaza” in arabo [titolo inglese: “Scrivi il mio nome”], che conclude: “Scrivi il mio nome sulla mia gamba, mamma non aggiungere numeri come quando sono nato o l’indirizzo della nostra casa. Non voglio che il mondo mi elenchi come un numero. Ho un nome e non sono un numero. Scrivi il mio nome sulla mia gamba, mamma, quando la bomba colpirà la nostra casa, quando i muri schiacceranno i nostri crani e le nostre ossa,  le nostre gambe racconteranno la nostra storia, come non c’era nessun posto dove scappare. “Ho in mente l’immagine di un gruppo di bambini morti sotto una coperta, e si vedono i loro nomi scritti sulla gamba”, dice Ronen Argov. “Questa è un’immagine che non dimenticherò – come potrei mai dimenticarla?” https://www.haaretz.com/israel-news/2025-07-26/ty-article-magazine/.premium/the-children-haunt-me-at-night-a-protest-forces-israelis-to-face-kids-killed-in-gaza/00000198-4493-d626-abfa-66b36cf80000?fbclid=IwQ0xDSwLyvN5leHRuA2FlbQIxMQABHn7wLeAlZQ0c86b-TIrxLI04aknOnISm2QVCs180Tb-ttQlsxS43fv212PRM_aem_tzX6o0-q4oJV9VgHFVINwA Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Attacchi aerei “a doppio colpo”: come Israele prende di mira i soccorsi a Gaza
di Yuval Abraham,  +972 Magazine, 24 luglio 2025.   All’indomani dei bombardamenti, l’esercito israeliano spara regolarmente sui soccorritori palestinesi, sui paramedici e su altri civili per impedire loro di salvare i feriti, rivela un’indagine. Paramedici in azione per soccorrere un palestinese ferito a un centro di distribuzione aiuti nella parte settentrionale di Gaza City, il 17 giugno 2025. (Yousef Zaanoun/Activestills) “Salvatemi! Mi sento debole e non ce la faccio più”. Queste sono state alcune delle ultime parole di Hala Arafat, 35 anni, ripresa in un video mentre era intrappolata sotto le macerie della sua casa nel nord di Gaza la scorsa settimana, dopo essere stata colpita da un attacco aereo israeliano. Ma l’esercito di Israele ha fatto in modo che nessuno potesse salvarla, sparando con dei droni contro chiunque si avvicinasse alla zona per otto ore dopo il primo bombardamento. Poco dopo la ripresa del video, Hala è morta, raggiungendo gli altri 13 membri della sua famiglia uccisi nell’attacco, tra cui sette bambini. Un’indagine condotta da +972 Magazine e Local Call, basata su conversazioni con cinque fonti della sicurezza israeliana, racconti di testimoni oculari palestinesi e del personale di soccorso, e sull’esame di decine di casi simili a quello della famiglia Arafat, rivela che l’esercito ha adottato la pratica nota come “doppio colpo” come procedura standard a Gaza. Al fine di aumentare la probabilità che la persona presa come obiettivo muoia, l’esercito effettua regolarmente attacchi aggiuntivi nell’area del bombardamento iniziale, uccidendo talvolta intenzionalmente i paramedici e altre persone coinvolte nelle operazioni di soccorso. Secondo le fonti, la procedura del doppio colpo viene solitamente impiegata durante attacchi aerei “imprecisi”, quando l’esercito non è sicuro di aver colpito l’obiettivo previsto o non sa se la persona fosse effettivamente presente. Inoltre, impedire il salvataggio dei feriti dalle macerie significa che l’obiettivo, se presente, morirà comunque, a causa delle ferite, del soffocamento dovuto ai gas tossici o per la fame e la sete. Una fonte presente nelle sale di coordinamento degli attacchi, note come “cellule di attacco” nel comando meridionale dell’esercito israeliano, e che ha assistito a “doppi colpi”, ha riferito a +972 e Local Call che i militari sanno che questa pratica è una condanna a morte per decine, e talvolta centinaia, di civili feriti intrappolati sotto le macerie, insieme ai loro potenziali soccorritori. “Se c’è un attacco contro un comandante di alto rango, ne viene effettuato un altro subito dopo per assicurarsi che non vengano intraprese operazioni di soccorso”, ha spiegato. “I primi soccorritori, le squadre di soccorso… vengono uccisi. Sparano di nuovo, sopra di loro”. Secondo questa fonte, i secondi attacchi a cui ha assistito sono stati effettuati dall’aviazione militare con l’uso di droni, senza sapere chi fossero le vittime: potevano essere “squadre di soccorso di Hamas” giunte in aiuto dell’alto ufficiale, ma anche personale della Protezione Civile, paramedici della Mezzaluna Rossa o parenti e vicini che cercavano semplicemente di salvare i propri cari. I palestinesi lavorano per soccorrere i feriti e recuperare i membri della famiglia Najjar, tra cui alcuni bambini, dopo che i raid aerei israeliani hanno distrutto vari edifici a Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale, il 4 novembre 2023. (Mohammed Zaanoun/Activestills) Una seconda fonte ha partecipato a un doppio attacco che ha ucciso il comandante di Hamas Ahmed Ghandour in un complesso sotterraneo nel nord di Gaza nel novembre 2023 (in cui sono morti per asfissia anche tre ostaggi israeliani detenuti con lui). La fonte ha detto che dopo il primo bombardamento, l’esercito ha colpito “le persone che si trovavano nella zona ed erano uscite da una casa vicina” perché cercavano di soccorrere i feriti. Secondo la fonte, non c’era “alcuna prova” che quelle persone fossero affiliate ad Hamas. Ha aggiunto che, come +972 e Local Call hanno rivelato in una precedente indagine, poiché il bombardamento dei tunnel sotterranei rilascia gas tossici che impiegano tempo a diffondersi e uccidono chiunque si trovi nel raggio di centinaia di metri, l’esercito ha ritenuto strategico impedire i soccorsi: eliminati gli aiuti, la persona obiettivo sarebbe morta lentamente a causa dei fumi. Ma la pratica del doppio colpo è diffusa anche in superficie, e non solo nei casi che coinvolgono figure di spicco di Hamas. Una terza fonte della sicurezza ha descritto come l’esercito abbia impedito alle ambulanze di raggiungere un luogo colpito dove alcuni bambini erano rimasti gravemente ustionati. “Ricordo una donna che piangeva e urlava: sua figlia era ustionata”, ha detto la fonte, che ha monitorato l’esito dell’attacco. “Sua figlia era ancora viva, implorava che qualcuno venisse a salvarla. Si sentivano le ambulanze che cercavano di entrare, ma non le lasciavano passare”. “Impedire alle persone di avvicinarsi” La tecnica del doppio attacco è ampiamente considerata illegale dal diritto internazionale, non solo perché prende di mira deliberatamente i primi soccorritori come giornalisti, operatori umanitari e paramedici, ma anche perché mira a scoraggiare del tutto i soccorsi e causa ulteriori danni ai civili. Un rapporto del 2007 del Dipartimento della Sicurezza Interna degli Stati Uniti definisce gli attacchi a doppio colpo “una tattica preferita di Hamas”. Ma anche gli Stati Uniti li hanno utilizzati: il Bureau of Investigative Journalism ha rivelato che gli attacchi aerei a doppio colpo della CIA hanno ucciso almeno 50 civili in Pakistan tra il 2009 e il 2012 mentre tentavano di soccorrere le vittime. Anche la Russia ha effettuato attacchi a doppio colpo in Siria, tra cui un attacco a un mercato a Idlib nel 2019 che ha ucciso 39 persone; l’Arabia Saudita ha utilizzato questa tattica nello Yemen, come nell’attacco a un funerale a Sana’a nel 2016, condotto con munizioni fornite dagli Stati Uniti e che ha ucciso 155 persone. Membri della Protezione Civile intervengono subito dopo un bombardamento israeliano nella zona di Sheikh Radwan, a nord della città di Gaza, il 23 ottobre 2023. (Mohammed Zaanoun/Activestills) Tuttavia, mentre altri eserciti non hanno mai ammesso pubblicamente di aver utilizzato attacchi a doppio colpo, fonti militari israeliane hanno informato i media in Israele di aver colpito ripetutamente lo stesso luogo per impedire l’arrivo delle squadre di soccorso durante l’assassinio di Mohammed Deif nel luglio 2024. Secondo quanto riferito, in quell’occasione l’aviazione militare avrebbe sganciato almeno cinque bombe sul campo profughi di Al-Mawasi nel tentativo di uccidere il comandante militare di Hamas, uccidendo 90 persone e ferendone circa 300. Fonti militari hanno ammesso che sono stati effettuati ulteriori attacchi specificamente per impedire ai soccorritori di raggiungere il luogo. “Il primo attacco ha colpito la parte dell’edificio dove si trovava [Deif]”, ha affermato un rapporto di Itamar Eichner per il sito di notizie israeliano Ynet. “Il secondo attacco è stato un missile che ha distrutto l’intero edificio. Il terzo attacco ha creato una cintura di fuoco intorno all’area per impedire alle forze di arrivare e soccorrerlo”. Un’indagine visiva del New York Times, basata su filmati, ha mostrato che dopo il primo attacco, l’esercito ha colpito nuovamente, questa volta i veicoli dei primi soccorritori. Uno dei soccorritori presenti sul posto, il dottor Mohammed Al-Mourir, responsabile della catena di approvvigionamento della Protezione Civile, ha raccontato gli eventi a +972 e Local Call. Al-Mourir ha raccontato che, nel momento in cui sono arrivati sul posto, un missile lanciato da un drone dell’aeronautica militare ha colpito l’ambulanza dietro di lui, uccidendo quattro soccorritori. Ha descritto come è rimasto lì, scioccato e impotente, mentre il suo amico veniva avvolto dalle fiamme: “Lo abbiamo visto bruciare vivo fino alla morte. Il fuoco lo ha consumato e noi siamo rimasti lì, a pochi metri di distanza, senza poter fare nulla”. Ma Al-Mourir ha dovuto ricomporsi immediatamente. La folla intorno a lui implorava aiuto per cercare i propri familiari. I feriti gemevano di dolore sotto le macerie. È corso verso il luogo di sterminio e si è ritovato rapidamente a raccogliere brandelli di corpi per poter identificare i morti. Un membro della Protezione Civile palestinese trasporta un bambino ferito dopo che i raid aerei israeliani hanno distrutto edifici a Rafah, nella Striscia di Gaza meridionale, il 17 ottobre 2023. (Mohammed Zaanoun/Activestills) Ha detto di aver pianto, incapace di smettere di pensare ai suoi colleghi bruciati e a come avrebbero reagito le loro famiglie. “Il nostro lavoro è umanitario”, ha detto, “ma fin dal primo giorno sapevamo che potevamo morire in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo”. A maggio, l’esercito israeliano ha assassinato Mohammed Sinwar, allora comandante dell’ala militare di Hamas, in una serie di attacchi aerei vicino all’ospedale europeo di Khan Younis. Fonti militari hanno riferito che l’aviazione ha effettuato ulteriori attacchi nella zona per “impedire alle persone di avvicinarsi”. Il giorno seguente, probabilmente a seguito di uno di questi attacchi, tre persone sono state uccise mentre si recavano in ospedale. Seguendo lo schema della tecnica del doppio colpo utilizzata negli attacchi imprecisi, una fonte della sicurezza ha detto a Ynet che non era chiaro se Sinwar fosse morto immediatamente, ma che “chiunque non fosse morto per l’attacco veniva soffocato dai gas tossici”. “Hanno colpito di nuovo, quando le persone erano ancora vive” Gli attacchi con doppio colpo sono diventati particolarmente comuni negli ultimi mesi, quando Israele bombarda le scuole di Gaza, dove i residenti sfollati hanno cercato rifugio. A maggio, dopo un attacco a una scuola femminile a Jabalia, i residenti hanno riferito che l’esercito ha colpito nuovamente lo stesso punto per impedire i soccorsi ai bambini ustionati. “Era l’1:30 del mattino e un missile ha colpito la scuola di fronte a noi”, ha raccontato ai media locali un testimone oculare. “Tutte le aule erano in fiamme. Siamo scesi per soccorrere le persone. Mentre vedevamo i corpi bruciare e c’erano feriti che avremmo potuto portare in ambulanza, l’esercito ha chiamato [uno dei soccorritori al telefono] e ci ha detto: ‘Lasciate la scuola, perché la bombarderemo di nuovo’“, ha continuato il testimone oculare. ”Non siamo riusciti a recuperare i bambini bruciati e feriti. Hanno colpito di nuovo, [quando] c’erano ancora persone vive. Dopo il secondo bombardamento, sono morti tutti”. Ad aprile, Israele ha bombardato la scuola Dar Al-Arqam, seppellendo sotto le macerie decine di palestinesi. Circa 30 persone sono state uccise, tra cui molti bambini e una donna incinta di nove mesi di due gemelli. I palestinesi ispezionano i danni alla scuola Dar Al-Arqam nel quartiere di al-Tuffah dopo che è stata bombardata da aerei israeliani, nella città di Gaza. 4 aprile 2025. (Ali Hassan/Flash90) Poco dopo l’arrivo dei soccorritori sul posto, questi hanno ricevuto una telefonata dall’esercito che ordinava loro di allontanarsi perché il sito sarebbe stato nuovamente bombardato. In un filmato girato sul posto, si vede uno dei soccorritori, Nooh Al-Shagnobi, membro della Protezione Civile, che insiste coraggiosamente per rimanere e tirare fuori dalle macerie un sopravvissuto, salvandogli la vita. “Dall’inizio della guerra si sono verificate migliaia di situazioni come questa, ma nessuno le ha filmate”, ha detto in seguito. Una fonte intervistata per questa indagine è stata recentemente informata degli attacchi alle scuole. Ha detto che l’esercito ha istituito una cellula speciale per identificare sistematicamente le scuole, definite “centri di gravità”, al fine di bombardarle, sostenendo che gli agenti di Hamas si nascondono tra le centinaia di civili. Ma in molti casi di doppio attacco non sembrano esserci obiettivi militari di alcun tipo. Uno dei casi documentati più strazianti di questa pratica è stato filmato da una giornalista palestinese, Wafaa Thaher, dalla finestra della sua casa nel campo profughi di Jabalia nell’ottobre 2024. Nel filmato si vede Mohammed Salem, 13 anni, ferito in strada dopo un attacco aereo, incapace di muoversi, che urla e agita le mani in aria per chiedere aiuto. “Mio Dio, è a pezzi”, ha detto la giornalista a suo padre, che era accanto a lei mentre filmava. Gli abitanti del quartiere hanno cominciato a radunarsi intorno al bambino, ma proprio mentre lo sollevavano sono stati colpiti da un secondo missile. Salem è stato ucciso insieme a un altro ragazzo di 14 anni. L’esercito ha rifiutato di commentare l’incidente, avvenuto mentre stava attuando il Piano dei Generali per la pulizia etnica dei quartieri settentrionali di Gaza. “Sono andati a salvare le donne e sono stati martirizzati” A gennaio, un portavoce della Protezione Civile di Gaza ha dichiarato in una conferenza stampa che dall’inizio della guerra sono stati uccisi 99 membri del personale dell’organizzazione. Al Mourir ha dichiarato a +972 che circa la metà delle loro squadre è stata presa di mira. Un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha documentato 180 attacchi contro ambulanze a Gaza dall’inizio della guerra fino a maggio. Le famiglie e i colleghi di otto operatori della Mezzaluna Rossa palestinese uccisi dalle forze israeliane piangono mentre i corpi vengono finalmente recuperati e portati all’ospedale Nasser di Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale, il 31 marzo 2025. (Doaa Albaz/Activestills) Ali Khawas, capo del dipartimento delle comunicazioni della Protezione Civile, ha dichiarato a +972 che gli attacchi contro i soccorritori spesso avvengono pochi minuti dopo il loro arrivo sul luogo dei bombardamenti. Il 22 aprile, l’esercito israeliano ha bombardato la casa della famiglia Al-Matouk a Jabalia. Secondo Khawas, “10 minuti dopo l’arrivo della squadra, gli operatori sono stati colpiti da un missile lanciato da un drone”. Il 13 maggio, un’altra squadra della Protezione Civile ha tentato di soccorrere la famiglia Al-Afghani, sepolta sotto le macerie a Khan Younis. “I feriti avrebbero potuto essere salvati, ma i ripetuti attacchi sul luogo hanno causato la morte di tutti gli occupanti della casa”, ha spiegato Khawas. “Solo dopo cinque ore l’incendio si è attenuato e abbiamo potuto recuperare i corpi”. A volte, però, gli attacchi successivi arrivano giorni dopo il primo. Nel novembre 2023, l’esercito ha fatto crollare un edificio di sei piani con all’interno i suoi occupanti nella città di Gaza. Tra i morti c’era Maisara Al-Rayyes, un medico di 30 anni che era tornato a Gaza dopo aver studiato nel Regno Unito, insieme alla moglie incinta e ai suoi genitori. Gli unici sopravvissuti della sua famiglia sono i suoi due fratelli che non erano in casa al momento del bombardamento. Due giorni dopo, mentre i fratelli sopravvissuti scavavano tra le macerie a mani nude alla ricerca dei resti, sono stati colpiti e uccisi da un secondo missile, secondo testimoni oculari citati dal The Times. Lo stesso mese, l’esercito ha bombardato diverse case appartenenti alla famiglia Shaheibar nel quartiere di Zeitoun nel corso di una giornata, uccidendo circa 50 persone, secondo l’EuroMed Monitor. Il giorno successivo, mentre i parenti cercavano di soccorrere i sopravvissuti, sono stati colpiti da due attacchi con droni che hanno ucciso altre 20 persone. L’uso dei doppi attacchi da parte dell’esercito israeliano non è iniziato il 7 ottobre: già nel 2014, durante l’assalto israeliano a Gaza noto come “Operazione Protective Edge”, le équipe mediche nella Striscia avevano descritto la stessa pratica. Il personale della Mezzaluna Rossa ha testimoniato all’epoca che questo modello era una delle principali cause di morte e ferimento degli operatori sanitari. Dall’inizio dell’attuale guerra, tuttavia, sembra che questa politica sia diventata una pratica abituale. L’organizzazione Airwars, che monitora le vittime civili, ha pubblicato uno studio approfondito basato su un campione di oltre 600 attacchi aerei israeliani a Gaza durante il primo mese di guerra. Lo studio ha identificato quattro casi descritti come attacchi “doppio colpo” da fonti con sede a Gaza, che hanno causato la morte di 80-92 civili. Ha inoltre individuato altri 12 casi in cui un secondo attacco è avvenuto entro 300 metri dal primo e che, secondo l’organizzazione, “potrebbero essere considerati attacchi doppio colpo”. Palestinesi sul luogo di un attacco aereo israeliano a Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale, il 9 luglio 2025. (Abed Rahim Khatib/Flash90) In uno di questi casi, l’esercito ha bombardato un’abitazione a Beit Lahiya, uccidendo 16 persone. Secondo le testimonianze raccolte da Airwars, l’esercito ha colpito nuovamente durante le operazioni di soccorso, ferendo i soccorritori giunti sul posto. Nove delle vittime dell’attacco erano bambini, tra cui uno di 5 anni e uno di 2 anni. La vittima più giovane era un neonato di due mesi. Le armi utilizzate in questi attacchi sono diverse: le testimonianze suggeriscono che l’esercito effettui anche quelli che sembrano essere attacchi a doppio colpo utilizzando droni che sganciano esplosivi. Questo metodo di attacco è stato denunciato in un’altra recente indagine di +972 e Local Call, che ha scoperto che l’esercito attacca granate a droni commerciali a basso costo per colpire i civili nelle zone che intende spopolare. A luglio, l’esercito ha bombardato la casa della famiglia Sabbagh nel quartiere Al-Tuffah della città di Gaza, uccidendo almeno un bambino. Salem, un parente della vittima (che ha chiesto di non rivelare il suo nome completo), ha raccontato a +972 che altri membri della famiglia sono rimasti sepolti sotto le macerie, ma quando i vicini hanno cercato di soccorrerli sono stati attaccati. “Un quadricottero ha immediatamente sganciato una bomba su di loro e sono rimasti feriti”, ha detto Salem. In un altro caso risalente al giugno 2024, l’esercito israeliano ha ucciso almeno 25 persone in un attacco aereo contro delle tende in un campo profughi vicino ad Al-Mawasi, secondo il personale medico di Gaza. Ma Hassan Al-Najjar ha detto all’Associated Press che i suoi figli sono stati uccisi mentre aiutavano le vittime del primo attacco. “I miei due figli sono andati [ad aiutare] dopo aver sentito le donne e i bambini urlare”, ha detto dall’ospedale. “Sono andati a salvare le donne e [l’esercito] ha colpito con il secondo proiettile, e i miei figli sono stati martirizzati. Hanno colpito il luogo due volte”. L’ultimo episodio di doppio colpo noto a +972 e Local Call è avvenuto il 21 luglio, quando Israele avrebbe bombardato un impianto di desalinizzazione dell’acqua nel quartiere Al-Rimal della città di Gaza e poi ha colpito di nuovo mentre le persone cercavano di soccorrere i feriti, uccidendo almeno cinque persone in totale. In un video girato nelle vicinanze, si sente un uomo gridare: “Hanno bombardato di nuovo il posto. La gente è venuta a soccorrere e loro li hanno bombardati”. Dopo la pubblicazione di questo articolo, il portavoce dell’IDF ha inviato una risposta che non ha affrontato i dettagli della richiesta di +972 e Local Call, comprese le date e i luoghi esatti degli attacchi menzionati qui. La risposta affermava che “le accuse secondo cui l’IDF agisce deliberatamente per danneggiare il personale di soccorso e medico sono false e prive di qualsiasi fondamento. Le accuse che emergono in questo contesto sono esaminate approfonditamente dai meccanismi autorizzati dell’IDF che lavorano per far rispettare la legge”. In collaborazione con Local Call. Yuval Abraham è un giornalista e regista con sede a Gerusalemme. https://www.972mag.com/double-tap-israel-gaza-airstrikes-rescue/?utm_source=972+Magazine+Newsletter&utm_campaign=c222ad7327-EMAIL_CAMPAIGN_9_12_2022_11_20_COPY_01&utm_medium=email&utm_term=0_f1fe821d25-c222ad7327-318855705 Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.