Sentenza catenaccio della Cassazione penale sulla detenzione amministrativa in Albania
Una decisione catenaccio (n.17510/2025) della Prima Sezione della Cassazione
penale spiega la fretta del governo per inserire con un decreto legge
(n.145/2024) norme stralciate dal codice di procedura penale in modo da
trasferire la competenza a decidere sulla convalida dei trattenimenti dalla
prima sezione della Cassazione civile alla Cassazione penale, di cui erano già
noti gli orientamenti. ,
In appena otto pagine la prima sezione penale della Corte ha annullato la
precedente ordinanza della Corte di Appello di Roma che, con il provvedimento
del 19 aprile scorso, non convalidava il trattenimento amministrativo di un
cittadino straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione, che dopo
essere stato trasferito l’11 aprile dal centro per i rimpatri (CPR) di Potenza,
Palazzo San Gervasio, al CPR di Gjader, lo scorso 17 aprile aveva presentato una
domanda di protezione internazionale.
Il trattenimento ex art. 6 del Decreto Legislativo 142/15, di cui era stata
chiesta la convalida, era dunque relativo a un “immigrato irregolare”
originariamente espellibile, il quale, secondo la Corte di appello di Roma, nel
corso della sua permanenza presso il Cpr di Gjader in Albania, aveva mutato la
propria condizione giuridica, divenendo richiedente asilo dal momento in cui
manifestava la volontà di chiedere protezione internazionale, domanda poi
rigettata dalla Commissione territoriale di Roma nel giro di poche ore. Una
ipotesi che non è espressamente prevista dal Protocollo Italia-Albania, e
neppure dalla Legge di attuazione n.14 del 21 febbraio 2024, come modificata dal
recente Decreto legge n. 37 del 28 marzo 2025, tuttora in corso di conversione.
Secondo la Cassazione penale (n.17510/2025), invece, “È legittimo il
trattenimento dello straniero in quella struttura anche dopo la presentazione
della domanda di asilo, poiché il centro di Gjader deve essere equiparato, a
tutti gli effetti, ai centri previsti dall’articolo 14 del decreto legislativo
286 del 1998”. Con la parificazione del Cpr di Gjader ai Cpr in territorio
italiano, la Corte ritiene irrilevante la disparità di trattamento (art.3 Cost.)
subita dalle persone migranti in condizione irregolare trasferite in Albania,
rispetto a tutti gli altri irregolari che rimangono trattenuti nei CPR in
territorio italiano.
Tuttavia, non si può negare che il Cpr di Gjader si trovi in territorio
albanese, all’esterno dei confini dell’Unione europea, al di là della finzione
di presenza dei suoi “ospiti” in Italia, in quanto lo spazio del centro rimane
sottoposto anche alla giurisdizione albanese. Nessuna equiparazione, che sarebbe
“a tutti gli effetti”, è dunque possibile con i Cpr ubicati in Italia.
Il decreto legge n.37/2025, e gli emendamenti che si annunciano, che confermano
i trasferimenti dai Cpr italiani nel centro di detenzione di Gjader ed estendono
il trattenimento amministrativo anche in seguito alla presentazione di una
domanda di asilo, non possono stravolgere i criteri di riparto della
giurisdizione ed i principi di sovranità territoriale affermati dalla
Costituzione italiana e da quella albanese, fino ad intaccare quel nucleo di
diritti fondamentali che vanno riconosciuti a qualunque persona immigrata, a
prescindere dalla sua condizione giuridica (art.2 del Testo unico
sull’immigrazione n.286/98). Tra questi il diritto di chiedere protezione
internazionale, anche dopo un provvedimento di espulsione, o in caso di
precedenti penali, ed il diritto ad un ricorso effettivo.
La Cassazione Penale accoglie quindi il ricorso del Ministero dell’Interno e
della questura di Roma, con una motivazione assai stringata che poggia
soprattutto sulla Relazione di accompagnamento al decreto legge n.37/2025,
dunque su un atto di natura squisitamente politica, che non può certo valere
come autonoma fonte del diritto, né contiene richiami a fonti normative o a
precedenti giurisprudenziali che possano esaurire in modo tanto generico la
motivazione di una sentenza di Cassazione. Il decreto sarà convertito in legge
alla Camera martedì 13 maggio, con ulteriori emendamenti proposti dal governo,
che come al solito potrebbe porre la questione di fiducia.
Vedremo se la Corte Costituzionale, che con sentenza n.39/2025 ha già rilevato
un vizio di costituzionalità per violazione del principio del contraddittorio
nei giudizi in Cassazione sulla convalida del trattenimento, riuscirà a
ricondurre questa materia nell’alveo del giusto processo, nel rispetto del
sistema gerarchico delle fonti normative interne e sovranazionali, imposto dall’
art. 117 Cost. I diritti di difesa (art.24 Cost.), ed il diritto di chiedere
asilo (Art.10 Cost.), non possono essere svuotati per effetto dei trasferimenti
improvvisi da un Cpr ad un altro, e poi in territorio straniero. Mancano ancora
norme specifiche sulle modalità dei trattenimenti e dei trasferimenti, oggi
rimessi alla esclusiva discrezionalità delle autorità di polizia, in violazione
della riserva assoluta di legge imposta dall’art.13 della Costituzione in
materia di libertà personale.
Rimane da valutare la compatibilità del modello Albania, così rivisitato, con il
diritto dell’Unione europea, perché al momento, al di là di dichiarazioni
estemporanee di singoli esponenti della Commissione UE, non ci sono atti
legislativi euro-unionali sui quali possa trovare fondamento. La Direttiva
europea sui rimpatri 2008/115/CE non consente il trattenimento pre-espulsivo al
di fuori dei confini degli Stati membri. Per effetto delle Direttive europee su
procedure di asilo (2013/32/UE) e accoglienza (2013/33/UE) le richieste di
protezione internazionale non possono essere processate al di fuori del
territorio degli Stati membri.
Salvato dai giudici della Cassazione penale, che neppure dovrebbe essere
competente in materia di trattenimento amministrativo, il modello Albania sarà
demolito dalla prova dei fatti. Anche prima di possibili interventi della Corte
costituzionale e della Corte di giustizia UE. Scopriremo, quando lo comunicherà
il ministro dell’interno Piantedosi, reduce dal Pakistan, il numero delle
persone effettivamente riportate nel paese di origine “attraverso” il centro di
Gjader in Albania, ma comunque con un ulteriore transito dal territorio
italiano, e se non saranno rimpatri fintamente “volontari”.
Oltre le percentuali propagandistiche e fuorvianti diffuse dalla Meloni, su un
sistema di rimpatri (forzati) che non potrà funzionare mai, i risultati
effettivi dell’operazione Albania sono assai modesti, neppure simbolici. Il 25
per cento delle persone effettivamente rimpatriate in un mese, dopo la
deportazione in territorio albanese, annunciato dal governo per questo fine
settimana, corrisponde a dieci immigrati irregolari rimpatriati in un mese.
Sono “numeri” che servono a scopo politico, ma non aumentano la sicurezza degli
italiani e il contrasto del traffico di esseri umani, invece alimentato dagli
accordi con paesi terzi come la Libia, che continuano a garantire impunità agli
autori di crimini contro l’umanità. Per non parlare di paesi come il
Bangladesh o il Pakistan, se non come la Tunisia o l’Egitto, che oggi non si
possono certo definire paesi di origine sicuri.
Fulvio Vassallo Paleologo