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Anche il PD equipara antisionismo e antisemitismo…
INCREDIBILE L’ASCESA DELLA EQUIPARAZIONE TRA ANTISIONISMO E ANTISEMITISMO: L’ENNESIMO DECRETO DI LEGGE DI STAMPO REVISIONISTA APRE UNA NUOVA CACCIA ALLE STREGHE…QUESTA VOLTA DA PARTE DEL PARTITO DEMOCRATICO CON GRAZIANO DELRIO. Incalcolabili sono i danni recati dalla parentesi renziana a capo del Partito Democratico, danni che poi portano alcuni nomi e cognomi con posizioni in politica estera analoghe, o fotocopia, di quelle delle destre. A volte tornano sotto i riflettori distinguendosi con l’inutile servilismo verso lo Stato di Israele, presentando una proposta di legge che equipara l’antisionismo all’antisemitismo, superando a destra i parlamentari di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Il Disegno di Legge, presentato da Graziano Delrio, denominato “Disposizioni per il rafforzamento della strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, e per la prevenzione ed il contrasto all’antisemitismo e delega al Governo in materia di disciplina degli interventi relativi ai contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme online di servizi digitali” già dal titolo fa capire il fine della iniziativa: un controllo repressivo che riguarderà scuole, università, realtà sociali e i social destinatari della campagna securitaria (clicca qui per le info). Il disegno di legge segue i classici copioni sperimentati in qualche trasmissione televisiva: narrare la piaga dilagante dell’antisemitismo, dell’odio verso gli ebrei condito da rigurgiti razzisti. E così gli autori del genocidio, i sionisti, in un colpo solo diventano le vittime. E la fonte da cui attingere dati e informazione non è certo super partes, parliamo del monitoraggio operato dal Centro di documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) (https://www.osservatorioantisemitismo.it/), vicino ad ambienti sionisti e da anni attivo nel catalogare ogni espressione di odio contro gli ebrei che spesso e volentieri vengono confusi con i fautori del sionismo. Peccato che tra le segnalazioni si possa ritrovare anche un semplice adesivo di solidarietà con la Palestina affisso alla fermata dei bus o all’ingresso di una mensa. La narrazione parla di un incremento degli episodi antisemiti molti dei quali non sarebbero tracciati giusto a drammatizzare ulteriormente la situazione. Leggiamo testualmente: «Le evidenze raccolte non sono solamente allarmanti da un punto di vista quantitativo, essendo rilevante l’esame qualitativo della tipologia degli atti segnalati, consistenti, tra l’altro, in invettive e stereotipi antisemiti nella realtà virtuale e nella vita quotidiana, in particolare nelle istituzioni scolastiche e universitarie. Si ravvisano altresì minacce a persone ed istituzioni ebraiche, atti di discriminazione (si pensi a esponenti politici e giornalisti cui è stata resa impossibile la partecipazione agli eventi pubblici) e persino alle aggressioni fisiche in luoghi pubblici». Avete letto bene? In Italia radio, giornali e tv sarebbero occupati da antisemiti, giornalisti e politici, manipoli di razzisti si aggirerebbero per le città nel solo intento di impedire l’esercizio di parola agli ebrei recendo loro violenza verbale e fisica. La verità è che le reti Mediaset e la Rai sono sistematicamente occupate da esponenti del centrodestra con posizioni filoisraeliane, parliamo di oltre il 90% degli ascolti televisivi, aggiungiamo i giornali nelle mani di pochi gruppi editoriali e schierati a destra o, se su posizioni del centro sinistra, vicino alle posizioni governative in materia di politica estera. Vittimismo o strategia del complotto? Continuando a leggere il disegno, l’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo si fa sempre più forte fino a denunciare un’autentica persecuzione degli ebrei ai quali sarebbe impedito di manifestare la loro stessa religione e identità. Negli ultimi anni da parte dei movimenti solidali con la causa palestinese non c’è stato alcun gesto contro simboli ebraici e sinagoghe, al contrario gli episodi di aggressione ai danni di attivisti filopalestinesi risultano innumerevoli. La narrazione vittimista è funzionale a descrivere una realtà falsata, le grandi adesioni alle mobilitazioni contro il genocidio possono essere avversate non criminalizzando i milioni di partecipanti, ma facendo credere che nel Paese il germe del razzismo antisemita sta prendendo corpo, il passaggio successivo sarà la criminalizzazione di tutti i solidali e gli antisionisti trasformati in odiatori da tastiera al pari di chi lancia invettive senza costrutto assalito dall’odio instillato dalle dichiarazioni avventate di politici senza memoria. E tra gli odiatori chi ritroviamo? Una lunga sequela di nemici che vanno dai movimenti sociali ai sindacati, dagli intellettuali non allineati agli islamici tout court, tutti accomunati da odio ed aggressività. Ma qual è il fine di questo disegno di Legge? Leggiamo dal testo: «Il presente disegno di legge si pone l’obiettivo di adattare la disciplina vigente in ambito digitale e formativo, recando misure volte a prevenire e contrastare le nuove forme di antisemitismo nonché a rafforzare efficacemente l’attuazione della Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, elaborata nel quadro di quella europea dal Coordinatore nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri». Incredibile la descrizione del propagarsi dell’odio antisemita che, secondo questo disegno di legge, sarebbe una minaccia pericolosa alla democrazia e alla libertà. Passando in rassegna il testo si va dalla delega al Governo per l’adozione – entro sei mesi – di uno o più decreti legislativi, volti a disciplinare in modo organico il contrasto all’antisemitismo online (il che fa presagire il controllo della rete stessa, la chiusura di bollettini, siti, pagine social e riviste di orientamento antisionista), fino alla tutela della libertà della ricerca e di insegnamento in ambito universitario, come se l’autentica minaccia all’università non fosse rappresentata dalla Bernini e dai suoi provvedimenti che andranno ad espellere migliaia di ricercatori. Il vero obiettivo di questo disegno è la normalizzazione del controllo nelle scuole e nelle università a partire dalla sorveglianza dell’operato dei docenti, istaurando un clima repressivo e di soffocante controllo pur celandosi dietro al sommo «valore della conoscenza ed il principio della libera manifestazione del pensiero, nella fondamentale ottica del reciproco rispetto e del confronto civile» (Cass. civ. 28853/2025). E dopo l’alza bandiera arriveranno le buone azioni contro l’antisemitismo, spingendo le scuole a segnalare tutte le iniziative intraprese a sostegno di queste indicazioni con tanto di segnalazioni alle forze di polizia e al Ministero di ogni azione e opinione che possa configurarsi come antisemita. E ancora una volta si va a confondere antisemitismo con antisionismo. Chiunque criticherà l’operato di Israele verrà tacciato di istigatore dell’odio razziale alla stessa stregua di un nazista. Se questo è il disegno di legge partorito dalla fervida immaginazione di un parlamentare del PD, la prossima mossa del centrodestra sarà quella di venirci a prendere a casa per portarci in qualche carcere. Occorre fermare oggi questa follia; occorre fermarli con le ragioni, le azioni propositive e le argomentazioni di cui siamo capaci, è ormai un dovere etico e civile. Federico Giusti Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
“Voci senza confini, oltre il silenzio”: una serata di canto e solidarietà per le donne afghane
Oltre sessanta donne, affiancate da alcuni uomini, hanno dato vita alla serata “Voci senza confini, oltre il silenzio”, un evento dedicato alle donne afghane private dei loro diritti fondamentali e della possibilità stessa di far sentire la propria voce. Un’iniziativa corale che ha voluto trasformare il canto in testimonianza, denuncia e vicinanza. Negli ultimi anni, l’Afghanistan è tornato sotto il controllo dei talebani, riportando le donne a un regime di privazioni estreme: niente scuola, niente lavoro, libertà di movimento ridotta al minimo. Sono stati bruciati libri scritti da donne e perfino il semplice atto di sussurrare è stato proibito. Diritti conquistati con fatica durante la presenza internazionale sono stati cancellati nel giro di pochi mesi. Dopo un breve periodo di attenzione mediatica, il mondo ha voltato lo sguardo altrove. Ma non tutti hanno dimenticato. A Padova, i cori Cantimigranti, Cantamilmondo e Voci Ribelli hanno scelto di non restare in silenzio e hanno organizzato una serata corale per mantenere viva l’attenzione sulla condizione delle donne afghane. All’iniziativa è stata invitata anche UDIK, che ha aderito con convinzione, pur non avendo esperienza nel canto, riconoscendo nella solidarietà e nella sorellanza i valori fondanti della propria attività. Il 28 novembre a Padova Il coro di UDIK ha presentato due brani in lingua kurda, accompagnati dalla chitarra di Rachele, e una versione di “Bella Ciao” cantata prima in kurdo e poi in italiano con altri tre cori. L’atmosfera, intensa e partecipata, ha trasformato la sala in uno spazio di condivisione e resistenza simbolica. Durante la serata sono stati raccolti fondi per CISDA, l’associazione che da anni sostiene i progetti delle donne afghane. Era presente anche la rappresentante Beatrice Biliato. Importanti le testimonianze di Firoza Wahedy e Khadija Balooch, due attiviste arrivate in Italia tramite corridoi umanitari dopo l’ultima offensiva talebana. Khadija, appartenente alla popolazione baluci, comunità divisa tra Iran, Pakistan e Afghanistan e vittima storica di discriminazioni e repressioni, ha ricordato come la lotta per i diritti delle donne sia un fronte aperto in tutta la regione. Il messaggio della serata è stato chiaro: far sentire la propria voce per chi non può farlo più e ribadire che la comunità internazionale, le associazioni e le cittadine e i cittadini non devono distaccarsi dalla realtà afghana. Un modo per dire: “Siamo voi. Siamo con voi.” Gulala salih, presidente Udik Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)
Collettivo Monteverde Antifascista: incredibile manipolazione mediatica sugli eventi accaduti nel quartiere
All’indomani del corteo antifascista e antisionista che ha attraversato le strade del nostro quartiere, apprendiamo dalle diverse notizie apparse in rete stamattina che durante la notte è stata imbrattata la targa in ricordo di Stefano Gaj Taché, bambino che perse la vita nell’attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982.  La targa, situata all’esterno della sinagoga del nostro quartiere, è stata coperta con vernice nera spray e, a distanza di pochi metri è stato scritto “Monteverde antifascista antisionista”. Come assemblea territoriale di Monteverde sentiamo impellente la necessità di discostarci da gesti di odio e intolleranza che infanghino qualsiasi tipo di monumento religioso e la memoria dei morti, specie se bambini. Esprimiamo per questo la nostra sincera vicinanza alla comunità ebraica del nostro quartiere, ribadendo il valore del dialogo e della convivenza tra tutte le persone che lo abitano. Ci teniamo a sottolineare che nella costruzione del corteo non si è mai pensato di avvicinarsi alla sinagoga per evitare di ledere le sensibilità della comunità che la vive, ma anche per evitare di essere strumentalizzati dalla narrazione della stampa italiana mainstream. Nessuna persona, né dell’assemblea né del corteo si é resa protagonista di tale gesto che scredita e vanifica il lavoro collettivo di costruzione della piazza. Inoltre, la sinagoga di Monteverde è rimasta blindata dalle camionette delle forze dell’ordine fino a circa le 9:30, ben due ore dopo della fine del corteo. Riteniamo intollerabili le accuse che ci sono state rivolte da testate giornalistiche che, oltre a non conoscere la situazione nel nostro quartiere e i valori che caratterizzano la nostra assemblea, non abbiano esitato un minuto a puntare il dito contro chi manifesta per la Palestina. Questi giornali di importanza nazionale non solo mistificano la realtà, ma scelgono deliberatamente di raccontare alcuni fatti piuttosto che altri: nessun articolo che abbiamo letto stamattina riguardava il corteo trasversale, colorato e popolare che ha attraversato le strade del nostro quartiere ieri, in cui è stata continuamente ribadita sia la condanna del sionismo in quanto progetto politico, che la condanna ferma di ogni antisemitismo. Saremo sempre al fianco dei popoli oppressi: oggi con la Palestina, ieri con il popolo ebraico perseguitato dai nazisti e dai fascisti. Questi articoli screditano chi ogni giorno si batte contro il genocidio in corso in Palestina e contro la complicità del nostro governo con il governo sionista di Israele. La critica alle politiche e alle responsabilità di uno Stato non è mai un attacco a una fede religiosa, né alle comunità che la vivono. L’incredibile manipolazione mediatica a cui assistiamo è solo uno dei tanti sintomi di una narrazione egemone malata, che non riesce a distinguere la religione dalla politica e così facendo manipola l’opinione pubblica, continuando a ignorare la continua e convinta complicità del nostro Paese nel genocidio palestinese. Monteverde è antisionista e antifascista, ed essere antifasciste significa combattere ogni tipo di discriminazione come l’antisemitismo, cosa che abbiamo sempre fatto e continueremo a fare. Redazione Roma
Riflessione sul patto di fiducia tra Stato e cittadini, a partire da una triste sentenza
Pubblichiamo di seguito la riflessione che la giurista Rosanna Pierleoni ha scritto per Pressenza Italia come commento alla vicenda della famiglia anglo-australiana che vive nel bosco in Abruzzo. Un riflessione intrisa di umanesimo che fornisce un parere critico ed esplicativo da parte di una persona competente in materia. Di pochi giorni fa l’ordinanza del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che sta portando sul fronte popolare tanto malcontento e che sta avviando, forse per la prima volta, una dolorosa ma inevitabile riflessione sull’articolato sistema che regola la sottrazione di minori nel nostro Paese. Credo sia importante lasciare che questo tema abbia dignità di tema pubblico, perché si tratta di prassi che toccano il rapporto di potere tra Stato e cittadini, e delineano i confini della potestà sui minori: magistratura e assistenti sociali da un lato, le famiglie dall’altro. È altresì importante, a mio avviso, che il tema venga trattato nel rispetto delle parti, delle visioni, e della immane sofferenza dei bambini e delle famiglie coinvolte, che sono all’incirca 35.000 ogni anno, cifre in aumento ogni anno. Il discorso nasce con quella che viene definita a livello mediatico “la famiglia nel bosco”, una famiglia che ha scelto di vivere nella casa di proprietà, nel verde, a 10 km dal centro abitato a Palmoli, in Abruzzo, e di garantirsi sostentamento in modo autonomo. La miccia che ha innescato un discorso controverso e appassionato nel nostro Paese, forse perché ogni rimosso cerca prima o poi l’espediente per uscire fuori. E questa è una ferita del nostro apparato giuridico e democratico troppo grave perché noi si possa continuare a tenerla nascosta o quale unico appannaggio di qualche associazione e qualche – poco partecipata – manifestazione dei parenti dei bambini. È giunto il momento che società civile e istituzioni si facciano carico di questo peso e diano qualche risposta concreta. Alle tante critiche mosse a coloro che prendono le parti della famiglia ricordo che il buon cittadino è colui che si impegna, si interessa alle cose della 𝑝𝑜𝑙𝑖𝑠, chiede conto, perché tirerà fuori la parte migliore di chi lo governa, che è un uomo come noi e – in quanto tale – è soggetto ai richiami più limpidi e a quelli più oscuri della mente. Un atteggiamento servile, pigro, fanatico, stimolerà sempre il volto peggiore del potere. Dunque, a mio avviso, non bisogna temere di esprimere il proprio giudizio. Inoltre, è verissimo che gli organi di magistratura devono essere liberi nel loro operato, ma allo stesso tempo il nostro sistema tollera molto bene la critica pubblica, no? Facciamone buon uso, senza mai trascendere in comportamenti violenti e persecutori verso i singoli. I fatti: la famiglia ha uno stile di vita che si discosta dalla media per una scelta personale, coerente e ragionata, nonché condivisa dai due genitori. Ha elettricità tramite fotovoltaico, usa la rete per videochiamare i parenti e per lavoro o per guardare qualche documentario, ha il riscaldamento tramite camino e stufa termica (essendo soli 40 mq c’è una temperatura media molto alta in inverno, sui 21/22 gradi), ha un bagno a secco esterno, ha una casa che a detta dei giornalisti con cui ho parlato personalmente e dei vicini è dignitosa e ben tenuta. I bambini conoscono due lingue e hanno molte competenze pratiche, dal cucito, alla cura dell’orto, dal riuso di materiali, alla costruzione di piccoli oggetti; consumano cibo dell’orto autoprodotto e altro cibo reperito una volta a settimana in città. I bambini sono abituati a partecipare attivamente al benessere e alle incombenze familiari. Fanno equitazione con il cavallo di famiglia, sotto la guida della madre che è istruttrice di equitazione. Hanno rapporti quotidiani con altri animali. Sono curati da medici di fiducia; sono sani. Sono seguiti con istruzione domiciliare. Intrattengono relazioni costanti con persone del vicinato, adulti e bambini. Vanno in biblioteca spesso. Viene loro letta una fiaba ogni sera nel letto. Nel provvedimento si parla – solo in riferimento alla bimba di 8 anni, dacché i gemelli ne hanno ancora sei – di un ritardo nel far pervenire alla scuola statale l’attestazione dell’istruzione impartita: una falla burocratica dunque, rientrata presto. Tutto qua. Secondo il Ministero dell’Istruzione e del Merito, risulta regolarmente espletato l’obbligo scolastico (ANSA, 24 novembre 2025). Interroga come una faccenda risolvibile con poco approfondimento sia stata inserita quale motivazione nell’ordinanza di allontanamento. Si parla poi di condizioni abitative non idonee in quanto l’abitazione non avrebbe i requisiti di agibilità e non rispetterebbe la normativa antisismica. Anche se la documentazione del geometra e dell’ingegnere che attestano l’assenza di lesioni strutturali non fosse considerata valida, questa mi sembra una motivazione non sufficiente se prendiamo in esame le condizioni edilizie e antisismiche di oltre metà degli istituti scolastici italiani (con bambini rimasti seppelliti sotto le macerie mentre erano tra i banchi di scuola), ma anche di alloggi per gli studenti universitari, case popolari, case private abusive, soluzioni abitative precarie assegnate dopo calamità varie. Basti poi pensare agli scandali legati agli abusi o a mancate regolarità di tipo edilizio da cui sono scaturiti danno e morte, come ad esempio nel famoso caso di Rigopiano o della Casa dello Studente a L’Aquila, solo per restare in Abruzzo. Affinché i cittadini non vivano questa motivazione come faziosa e la sentenza in modo persecutorio è importante limare il divario tra quanto si esige dai cittadini e quanto le istituzioni fanno a loro volta. Nella sentenza si propone poi una dottrina pedagogica secondo cui i bambini versavano in condizioni di isolamento e su come questo li avrebbe esposti tra qualche anno a rischi relazionali seri, facendo loro maturare condotte aggressive, tra cui il bullismo. Si fa coincidere il bisogno di socialità unicamente con la frequenza scolastica, nonostante il nostro ordinamento preveda l’istruzione parentale, considerandola dunque adeguata. Inoltre si prendono in esame non dei danni certi e attuali, ma dei danni prevedibili e futuri. Si ipotizza, rendendo questa ipotesi una certezza, che questi bambini matureranno condotte aggressive. Nella mia esperienza come mediatrice familiare nelle scuole ho potuto vedere come i casi di bullismo siano in continua crescita. Dobbiamo dunque considerare che il modello educativo dominante, condiviso dalla maggior parte degli italiani, non sia molto migliore in tal senso. Sottrarremo allora i bambini anche a tutti quei nuclei familiari che hanno ragazzi con problemi di bullismo, e a tutti coloro i cui figli trascorrono molte ore chiusi in casa davanti a internet? Ricordiamo che la sindrome da ritiro sociale “hikikomori” è in continuo aumento nella nostra società. Se questo non accade dobbiamo ritenere che la dottrina pedagogica a fondamento dell’ordinanza sia ideologicamente orientata: essa ritiene un sistema educativo idoneo, anche se causa ritiro sociale e violenza, e l’altro non idoneo, nonostante non ci siano prove attuali che dimostrino la sua idoneità a creare simili condotte. Ma anche se questo rischio di socialità ridotta fosse reale, non si può in alcun modo immaginare di intervenire allontanando forzatamente il minore dal proprio nucleo familiare, impedendo il rapporto con il padre e una relazione normale e libera con la madre, che ricordiamo si trova nella medesima struttura impossibilitata a vederli liberamente: quella con i genitori è la relazione primaria per sperimentare l’alterità. In alcun modo la frequentazione dei propri pari può essere considerata in alternativa al rapporto con i genitori, da cui i figli, soprattutto nei primi anni di vita, traggono sicurezza, protezione, senso di appartenenza, riconoscimento. Nella sentenza si parla poi di come questi bambini abbiano un ritardo rispetto ai bambini della loro età. Viene introdotto un concetto di “metro”: qual è insomma il metro di questo paragone se noi abbiamo bambini, e persino adulti, che non conoscono affatto la propria lingua, che sono abituati a ripetere slogan anziché chiedersi il perché delle cose, che hanno perso ogni forma di sapere, mestiere, conoscenza, sia di tipo letterario artistico che di tipo manuale? L’ordinanza spiega anche che la decisione sia maturata perché la famiglia avrebbe danneggiato i bambini esponendoli a livello mediatico nel programma “Le Iene”. Si fa qui riferimento a delle normative internazionali che prevedono la tutela della privacy. Stupisce un uso così improprio delle fonti indicate: queste norme tutelano da violazioni della privacy compiute da terzi che siano in conflitto di interessi con gli interessati. Vi si potrebbe ricorrere, quindi, per proteggere e risarcire la famiglia dalla vergognosa esposizione mediatica del loro caso, ma su questo mi sembra che ben poco sia stato fatto. La famiglia aveva un atteggiamento piuttosto riservato, non essendo nemmeno presente sui social: dobbiamo presumere abbiamo partecipato alla trasmissione per avere quell’ascolto che dalle istituzioni non riuscivano ad avere, per dimostrare agli italiani di essere in grado di curare i loro figli, perché avevano il terrore di perderli. Ma in alcun modo possiamo immaginare che volessero danneggiare i propri figli, come emerge dall’ordinanza. Che dire allora di tutti quei genitori che fanno uso intensivo dei social, condividendo foto e spezzoni della vita dei propri figli, e ancor di più di coloro che traggono da questa attività seguiti professionali, vendite, introiti di diverso genere? Si tratta di famiglie di “influencer” sotto gli occhi di tutti, a cui non risulta siano mai stati sottratti i figli. A questi si aggiungono tutti quei minori che aprono illegalmente account e ne fanno un uso quanto meno improprio, evidentemente senza adeguato controllo dei genitori. Vi chiedo: che ruolo dà la nostra società alla diversità, non a parole, nei fatti? Simili condotte mediatiche e giudiziarie sono pericolosamente prossime alla vera e propria persecuzione delle minoranze. Questi provvedimenti sembrano fare continuo riferimento a un concetto di “norma”, che come sappiamo nelle varie epoche ha sempre generato violenza e oscenità. Quali sono il ruolo del diritto e della psicologia nel farci comprendere un simile concetto, in che modo possono aiutarci a non farcene schiacciare? Urge una riforma urgente e radicale dell’intero sistema di sottrazione di minore in Italia. I casi di allontanamento devono essere di extrema ratio perché nessuna casa famiglia né famiglia affidataria potrà mai garantire quel senso di appartenenza che il bambino sperimenta con le proprie radici. Il legame con i genitori va preservato ad ogni costo, fatti salvi casi estremi di violenza non risolvibili e non gestibili altrimenti ove non vi sia neppure l’aiuto di altri familiari. In tutti gli altri casi, nonostante il rilievo di alcune criticità, lo Stato deve aiutare in ogni modo il nucleo familiare a farcela in autonomia. Inoltre, le decisioni di allontanamento devono essere riviste ciclicamente e in tempi brevi e mai si dovrebbe venire a sapere di genitori che per anni non riescono più ad avere un contatto che sia uno con i loro figli o che non sappiano neppure dove siano stati destinati. Sono certa che qualora le istituzioni iniziassero un cammino di risanamento di questo strappo, istituendo commissioni esterne e professionisti indipendenti; qualora facessero marcia indietro su alcune valutazioni parziali o superficiali, e attribuissero le responsabilità laddove rinvenute, il patto di fiducia tra Stato e cittadini tornerà a saldarsi e il malcontento popolare scemerà automaticamente e i cittadini acquisiranno nuova fiducia per digerire quei casi comunque dolorosi, ma residuali, di allontanamento. Qualora questo non accadesse il patto di fiducia già gravemente compromesso non potrà che spezzarsi una volta per tutte. Nonostante tutto, ho fiducia.   ROSANNA PIERLEONI Rosanna Pierleoni nasce nel 1984 ad Avezzano. Dopo il liceo classico, consegue la laurea magistrale in giurisprudenza all’Università Tor Vergata di Roma. Completa poi tre master interdisciplinari che le forniscono competenze psico-educative e giuridiche nell’ambito dei minori e della famiglia, con abilitazione alla mediazione familiare e alla consulenza specialistica. È autrice di un saggio sull’adozione internazionale e di diversi romanzi.   Redazione Italia
Autodeterminazione e qualità della vita: a Bassano Bresciano il primo incontro del ciclo “Percorsi di vita e diritti” promosso da Ambito 9 e Ambito 7
Si è aperto ieri, martedì 25 novembre, presso l’Auditorium di Bassano Bresciano, il ciclo di incontri “Percorsi di vita e diritti”, una proposta culturale e territoriale condivisa tra Ambito 9 e Ambito 7 dedicata ai temi dell’autodeterminazione, del diritto di scelta e dei percorsi di vita delle persone con disabilità. Un appuntamento molto partecipato, che ha dato avvio a un percorso che proseguirà fino al 2 dicembre e che già guarda al 2026 con l’obiettivo di creare spazi pubblici di confronto aperti, accessibili e capaci di far dialogare famiglie, operatori e cittadinanza. Ad aprire la serata, il saluto del Sindaco di Bassano Bresciano, Michele Sbaraini, che ha sottolineato l’impegno dell’amministrazione: «Il nostro Comune è molto sensibile al tema della disabilità. Abbiamo accolto con convinzione l’invito dei due Ambiti, certi dell’importanza di promuovere momenti come questo, utili all’intera comunità». Protagoniste dell’incontro tre voci del territorio: Ivana Ferrazzoli (vice presidente – Associazione Insieme), dottoressa Virna Barbieri (responsabile area disabilità – Cooperativa Il Gabbiano) e la dottoressa Roberta Ravelli (Assistente Sociale di Ambito 9). Autodeterminazione: che cosa significa davvero? La prima domanda ha aperto un confronto intenso. «L’autodeterminazione non è un concetto astratto, ma un percorso che si costruisce», ha spiegato la dottoressa Virna Barbieri. «È scelta, ascolto, paura, adultità. È un diritto inalienabile riconosciuto dalle norme e non richiede un livello cognitivo elevato: appartiene a tutti. Per questo dobbiamo creare contesti in cui ogni persona possa scegliere». La dottoressa Roberta Ravelli ha aggiunto il ruolo delle comunità: «Abbiamo un potenziale enorme: istituzioni, cittadini e servizi possono rendere la scelta una possibilità concreta. Il contesto deve adattarsi alla persona, non il contrario. Non parliamo di utenti, parliamo di persone: sembra banale, ma cambia tutto». Ivana Ferrazzoli ha portato lo sguardo della quotidianità: «Autodeterminarsi significa anche decidere quando alzarsi o andare a letto. Spesso le rigidità dei servizi lo impediscono. È una responsabilità che si impara e che coinvolge tutti: famiglie, operatori, comunità. Nessuno è estraneo al tema: l’autodeterminazione riguarda ogni età e ogni fragilità». Dal proteggere al permettere: un passaggio possibile? La seconda domanda ha toccato il nodo più delicato: come permettere senza rinunciare alla tutela. «Il primo passo è culturale», ha ribadito Barbieri. «Proteggere a volte significa proteggere noi stessi dalle nostre paure. Ma il rischio fa parte della libertà. Possiamo creare condizioni di sicurezza, non annullare la possibilità di sperimentare». Per Ravelli, la chiave è il lavoro condiviso: «La solitudine — delle famiglie o degli operatori — spinge verso strade note, più controllabili. Servono luoghi in cui condividere responsabilità e accettare l’errore come parte del percorso». Ferrazzoli ha evidenziato la centralità delle relazioni: «Le relazioni fanno crescere la capacità di scegliere. Come Associazione Insieme, da 30 anni promuoviamo gruppi di auto mutuo aiuto che sono veri laboratori. È lì che si superano barriere, stereotipi e paure reciproche». Il passo più urgente Nella domanda conclusiva, Barbieri ha indicato la priorità: «Serve un linguaggio nuovo, condiviso. La centralità della persona non è uno slogan: è un modo di guardare, di lavorare, di progettare insieme». Carlotta Bragadina, Presidente dell’Assemblea dei Sindaci di Ambito 9, ha voluto sottolineare la portata culturale e politica dell’incontro: «Quando parliamo di autodeterminazione non affrontiamo un tema “di settore”, ma una questione che riguarda la dignità umana nel suo nucleo più profondo. Ogni persona deve poter esercitare il diritto di scegliere la propria vita, e questo richiede comunità capaci di mettersi in discussione, amministrazioni pronte a sostenere percorsi innovativi e servizi che sappiano uscire dai propri confini tradizionali. L’incontro di ieri ha mostrato con chiarezza che la qualità della vita non è un risultato individuale, ma un’opera collettiva: si costruisce insieme, passo dopo passo, assumendo la responsabilità di non lasciare indietro nessuno. Come Assemblea dei Sindaci sosteniamo convintamente questo percorso, perché una comunità che permette a tutti di autodeterminarsi è una comunità più giusta, più forte e più consapevole». Una partecipazione viva e un impegno che continua Molte le domande del pubblico, segno della necessità di affrontare apertamente questi temi. In chiusura, la direttrice di Ambito 9, Claudia Pedercini, ha confermato che il percorso continuerà: «Questa è solo la prima tappa. Nei prossimi mesi porteremo gli incontri in diversi Comuni dell’Ambito, con format diversi e con l’obiettivo di raggiungere sempre più persone. L’autodeterminazione non è un tema per pochi: è un diritto che riguarda tutti». Ufficio Stampa – Ambito 9 Bassa Bresciana Redazione Sebino Franciacorta
Corte di Giustizia Europea: i matrimoni tra persone dello stesso sesso vanno riconosciuti in tutti gli stati membri
La Corte di Giustizia Europea ha emesso oggi una sentenza per la quale i paesi dell’Unione Europea devono riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso legalmente contratto in qualsiasi paese dell’Unione, anche se la loro legislazione nazionale non lo prevede. Rifiutare il riconoscimento è “contrario al diritto dell’Unione perché viola tale libertà e il diritto al rispetto della vita privata e familiare e può causare gravi disagi a livello amministrativo, professionale e privato, costringendo i coniugi a vivere come persone non sposate”. Il caso riguarda due cittadini polacchi che si sono sposati a Berlino nel 2018 e poi sono tornati in Polonia, dove hanno chiesto che il loro certificato di matrimonio in lingua tedesca venisse trascritto nel registro civile polacco; la richiesta era stata respinta e la famiglia ha dunque fatto ricorso alla Corte Europea di Giustizia.   Pressenza IPA
Sto dalla parte della famiglia nel bosco, di Carlo Cuppini
Pubblichiamo di seguito la riflessione che lo scrittore e poeta Carlo Cuppini ha scritto, in un suo post Facebook, sulla vicenda della famiglia anglo-australiana che vive nel bosco in Abruzzo. Un riflessione critica di una lucidità inaudita e che merita di essere divulgata anche solo per il suo messaggio umanistico. Sto dalla parte della famiglia nel bosco. Non perché personalmente condivida la loro scelta. La rispetto, e in qualche modo ne sono anche affascinato: ma io sono sempre per la scuola pubblica, e per vivere in mezzo alle cose, dentro la società, con tutti gli inevitabili conflitti che ne derivano. Ma qui non conta come la penso io; conta che lo Stato NON PUO’ separare i bambini dai loro genitori, allontanarli dalla loro casa, SE NON dopo un lungo e delicato percorso di conoscenza e di dialogo con la famiglia, al temine del quale risulti in modo incontrovertibile che i bambini ricevono danni concreti da determinate azioni o privazioni. Qui, a quanto pare, non c’è niente di tutto questo. Niente elettricità (ma la madre non tiene corsi on-line?), niente bagni in casa, nessuna iscrizione a società sportive (e allora?!), poche occasioni di socialità (ma non stanno a dieci minuti dal paese?), i genitori non hanno entrate stabili (quanti italiani ne hanno?). Questi gli elementi che hanno portato alla decisione del giudice, a quanto si capisce dai media. Viene da chiedersi che cosa troverebbero questi assistenti sociali e questi giudici se entrassero in tutte le case italiane. A gennaio scorso sono stati pubblicati i risultati della ricerca del CNR sui mutamenti sociali. Rai News riportava: “In Italia è boom di adolescenti ‘lupi solitari’, coloro cioè che stanno iniziando a perdere la socialità al di fuori della scuola. I ragazzi con esperienze sociali in rapida riduzione sono triplicati in tre anni, passando dal 15 al 39,4%, in pratica due giovani su 5, tra i 14 e i 19 anni. Dati ancora più allarmanti per quanto riguarda i cosiddetti ‘ritirati sociali’, ovvero coloro che hanno scelto il completo isolamento da qualsiasi contesto sociale e si sono autoreclusi in casa. I cosiddetti Hikikomori, sono quasi raddoppiati in Italia DOPO LA PANDEMIA, passando dal 5,6% del 2019 al 9,7% del 2022, ovvero uno su 10 in questa fascia d’età.” Il maiuscolo è mio. Dove erano questi assistenti sociali, questi giudici, e tutti i sostenitori di questa decisione, quando il governo Conte II chiudeva in casa i bambini e i ragazzi e “buttava la chiave”? Quel governo non è stato capace di pronunciare la parola “bambini” per settimane, dopo la chiusura dei cittadini tra le loro quattro mura di casa. Che in moltissimi casi erano mura molto vicine, a perimetrare pochi metri quadrati. Nonostante gli allarmi di psicologi, educatori, pedagogici, non è stato concesso niente ai bambini; non è stato riconosciuto che i bambini e gli adolescenti hanno uno statuto speciale, hanno bisogni speciali, hanno fragilità speciali. Niente. Ovunque, all’estero, i bisogni dei bambini e dei ragazzi sono stati considerati, prevedendo casi di specie ed eccezione. Né in Svizzera, né in Francia, né in Germania, né in Spagna, né in UK – per non parlare dei paesi nordici – ai bambini e ai ragazzi è stato impedito di uscire di casa per mesi. Quando tra maggio e giugno 2020 si è riaperto tutto (e migliaia di persone si “assembravano” per assistere all’autocelebrazione dello Stato – le Frecce Tricolore – e si riaprivano le frontiere, e gli anziani riprendevano a sfogliare la stessa copia sporca di marmellata dei quotidiani nei bar) dei bambini non si è ricordato nessuno: la scuola è stato l’unico contesto sociale a non riaprire, neanche per un simbolico (quanto sarebbe stato importante!) saluto finale; chi ha finito un ciclo (quinta elementare, terza media, quinta superiore) non ha mai più rivisto compagni e insegnanti. La richiesta avanzata da alcune parti per riprendere la scuola a luglio e dare un senso – anche sociale – all’anno scolastico, non è stata neanche presa in considerazione. A metà giugno – mentre tutti ovunque facevano vita normale – c’erano ancora le transenne intorno alle aree gioco nei parchi pubblici. A luglio si mettevano nelle prime pagine dei quotidiani locali, invocando la caccia alle streghe, i casi in cui in una festa di compleanno veniva fuori qualche contagio; come se quegli episodi (e non la ripresa di TUTTE le attività sociali del Paese) dovessero vanificare la (folle, insensata, oserei direi criminale) strategia del Ministero della Salute “zero covid / rischio zero”. A settembre i bambini tornavano a scuola e all’asilo con norme che non possono essere definite se non come disumane. Norme che si è pure permesso di interpretare in modo estensivo a singoli dirigenti e a singoli insegnanti: impossibile dimenticare “le bolle” in cui i bambini di due, tre, quattro, cinque anni erano costretti a stare, in alcuni asili e scuole infanzia, senza potere entrare in contatto con una serie di compagni. Dopo poche settimane, l’obbligo di mascherina al banco – un caso quasi unico nel mondo occidentale, contro cui con tanti genitori ed educatori ci siamo battuti a colpi di petizioni, lettere, mobilitazioni. La decisione del governo è stata bocciata da una serie di pronunciamenti dei TAR e del Consiglio di Stato… senonché ogni volta che una sentenza bocciava un DPCM, quello era già scaduto, e sostituito da un altro uguale, con il risultato che i pronunciamenti dei magistrati erano destinati a non avere effetto. A fine 2021 si è permesso a Repubblica di ingannare bambini e ragazzi con il  video “La favola del cavaliere anti-covid”, che nel finale affermava: “[con il vaccino] diventerete cavaliere anti-coronavirus, sconfiggerete il drago e NON CONTAGERETE genitori e nonni.” A inizio 2022 magistrati, assistenti sociali, garante nazionale infanzia (in contrasto con molti garanti regionali, ben più lucidi e coraggiosi), non hanno battuto ciglio quando si è deciso che adolescenti sani, capaci anche di provare il proprio stato di salute con un tampone negativo, non potessero salire sui mezzi pubblici, andare al bar o al ristorante, al cinema, a teatro e nei musei, non potessero fare sport; in altre parole, come è stato detto da vari esponenti politici (e anche medici e scienziati), sono stati ESCLUSI DALLA VITA SOCIALE, per mesi, al pari di tutti i non vaccinati (che, stando alla famosa risoluzione del Consiglio d’Europa di gennaio 2021 non avrebbero mai dovuto subire nessun genere di discriminazione). In quel caso diverse società sportive si sono mobilitate contro questa abominevole infamia di Stato, denunciando i rischi derivanti dall’interruzione di percorsi sportivi, a volte agonistici, a migliaia di adolescenti che avevano fatto sacrifici per anni. NON GLIENE E’ FREGATO NIENTE A NESSUNO: politici, scienziati, garante, magistrali, Corte Costituzionale, Unicef, società civile… Non proprio a nessuno: ci sono stati appelli di professori universitari, un documento di Amnesty, voci di garanti regionali e di psicologi e pedagogisti; e manifestazioni, e i portuali di Trieste, e Barbero, Agamben, Cacciari e Mattei, e scioperi e digiuni: gocce nell’oceano del conformismo terrificante che – in barba a qualunque principio di razionalità – ha saldato l’intero corpo sociale, dall’uomo della strada al Presidente della Repubblica. Non gliene è fregato niente a nessuno, e adesso, che mese dopo mese raccogliamo tra i giovanissimi la devastazione che la classe dirigente pandemica ha seminato, questi indifferenti vanno a misurare – chissà con quali sofisticate strumentazioni – il livello di socialità dei bambini nel bosco. E ancora: cosa hanno da dire i promotori e i sostenitori della separazione di questi bambini dai loro genitori su un sistema economico che strutturalmente esclude alcuni milioni di famiglie – quindi milioni di bambini e ragazzi – dalla possibilità di accedere a condizioni di vita minimamente dignitose e salubri? E cosa hanno da dire su un sistema politico che – tradendo il dettato costituzionale – non è in grado di ridistribuire la ricchezza per garantire a questi bambini e ragazzi opportunità pari a quelle di tutti i loro coetanei?   CARLO CUPPINI Carlo Cuppini è nato a Urbino nel 1980 e da quindici anni vive a Firenze, dove lavora come libraio, redattore editoriale e organizzatore culturale. Romanziere, saggista e poeta, dopo aver dedicato il suo primo romanzo a Giordano Bruno, si è totalmente immerso, per qualche anno, nella magia del teatro. Durante la Covid-19 è stato tra gli intellettuali che ha criticato la gestione riduzionista e securitaria della crisi sanitaria, ponendo l’accento sull’assurdità delle politiche pandemiche, del Green Pass e criticando le strategie vaccinali. Sul tema, nel 2021, è tra gli autori del capitolo “L’estate delle non persone” nel libro “Noi siamo l’opposizione che non si sente”, a cura di Giulio Milani, Transeuropa edizioni. Nel 2023 scrive la prefazione “Un’altra storia” al libro “Lezioni dal virus. Diario pandemico di un insegnante incredulo” di Nino Finauri. Ha pubblicato un libro di racconti onirici e fantascientifici, “Il mondo senza gli atomi”, e due libri di poesie, “Militanza del fiore” e “Quando le volpi puniscono gli uomini”; ha collaborato come poeta e drammaturgo con gruppi di ricerca teatrale ,coreografica e musicale. Conduce attività creative con i bambini. “Il mistero delle meraviglie scomparse” è il suo primo libro per bambini. Redazione Italia
I figli sono proprietà di uno Stato opprimente lontano dalla gente
Come se si potesse inventare la felicità negli occhi di tre bimbi piccoli, come se fosse finto l’amore dato da due genitori, la cura messa, come fossero inventati il contesto di una casa nel bosco rimessa negli anni con impegno, e uno stile di vita scelto consapevolmente, come fosse uno scherzo o un set cinematografico, il trauma di una separazione imposta, la violenza di Stato. Come se fosse fasulla l’ennesima raccapricciante disposizione di un tribunale dei minori le cui motivazioni anche in questo caso, paiono folli e aberranti, e manco è la prima ne sarà l’ultima volta di un simile schifo, bambini separati dalle famiglie per futili motivi o per vere e proprie falsità, e invece fare finta di niente e permettere situazioni di vero e proprio degrado, di violenza, di pericolo. Come se fosse falso vero che nel 2014 i bambini in case famiglia erano 20.000 Nel 2025 sono 44.000 (più del doppio) e che i soldi che le case famiglia prendono come sovvenzione sono 1 miliardo e passa l’anno, approssimativamente 25.000 euro a bambino l’anno. Sì, è tutto finto, togliamogli i bambini, mettiamoli in una struttura asettica e imponiamo loro  tutta una serie di cose, compreso il trattamento sanitario obbligatorio per legge, alias la serie di vaccini obbligatori all’asilo. Dai, forza! già che ci siamo spargiamo in giro pure che è tutto finto, il loro amore, il loro legame, la cura l’uno per l’altro, il loro impegno, le loro scelte portate avanti per anni, il loro dolore, l’ingiustizia subita, il trauma dei bambini…. tutto finto, tutto una commedia, funzionale a distogliere, coraggio, andiamo a scriverlo o a dirlo in giro, tanto è tutta “roba” degli altri, mica la nostra vero??! Al di là delle strumentalizzazioni dell’idiota di turno, compreso qualcuno al governo. Ma qualcuno ha veramente compreso il messaggio che è stato passato?? No??! Il messaggio è chiarissimo. Il messaggio è che, anche i figli sono una proprietà dello Stato. Di uno Stato che fa sempre più paura, di uno Stato sempre meno capace di essere vicino ai bisogni delle persone, uno Stato sempre più lontano dal rappresentare un reale aiuto e che in cambio invece è sempre più opprimente nell’imporre la propria violenza, uno Stato che dispone regole sempre più spesso applicate in modo cieco, senza intelligenza né costrutto alcuno, tanto più forti e aberranti verso i deboli e tanto più permissive verso i forti e gli arroganti. Uno Stato fatto da istituzioni che funzionano sempre più ad uso e consumo di pochi, dove sempre di più la corruzione la fa da padrona, dove menefreghismo e il lasciar fare anche dinanzi a palesi storture, sono diventati il contesto di fondo quotidiano. Uno Stato dove fanno da padroni i più arroganti, i più ammanicati, i più corrotti, i più figli di puttana, che usano il potere delle istituzioni come fosse cosa propria, invece che per metterle al servizio generale. Uno Stato che per sua mano anche in questo caso invece che essere di aiuto, ha prodotto un trauma enorme a 5 persone, di cui 3 bambini piccoli, sani, belli, accuditi con cura, e con la felicità negli occhi come non si vede più nei bambini di oggi. Una violenza inaudita, con motivazioni strumentali, e sicuramente lontanissime dal motivare una violenza e un danno simili. Se si adottassero gli stessi criteri stringenti che sono stati adottati per questa famiglia, non ne rimarrebbe più uno di bambino in famiglia. Strappare i figli a due genitori amorevoli come Nathan e Catherine é un messaggio chiarissimo, lampante: io Stato, siccome non sei remissivo, non fai come dico io, non ti adegui alle mie disposizioni, giuste o sbagliate che siano, sebbene i tuoi figli siano con evidenza felici, nonostante siano accuditi, nonostante siano sani e belli come il sole, sereni e spensierati, nonostante vengano istruiti avvalendosi dell’educazione parentale, e che sappiano già due lingue meglio di tantissimi altri bambini, conoscano la scienza applicata, la biologia dal vivo, nonostante conoscano la matematica e affrontino gli esami come tutti gli altri bambini, nonostante i vostri figli abbiano comunque contatto e relazioni con altri bambini del paese vicino e di figli di amici vari. Io Stato, ve li tolgo i figli, li strappo dal loro ambiente, li strappo dalle vostre braccia che li hanno cresciuti con amore e cura, gli produco un trauma e un danno enorme, produco a giustificazione una serie di motivazioni per mano di un giudice, motivazioni oltremodo opinabili, strumentali, spesso inesistenti, ma io Stato, lo posso fare, ti tolgo i figli per metterli in una struttura fredda e asettica con persone sconosciute, e non solo, io Stato, non ti permetto nemmeno di stare coi tuoi figli in questa struttura, perché così ho deciso. Io Stato, per mano di una singola persona, chiamata giudice, così ho deciso. Questo è il messaggio Io Stato, sempre più lontano da tutto e da tutti, io lo posso fare, tanto non pago niente, tanto non mi costa niente, tanto faccio come voglio senza rendere conto a nessuno, meno che mai alla popolazione e alla gente. Io Stato dispongo come voglio, e al tempo stesso ( testimonianza vera di una ex insegnante in pensione) me ne frego se sul mio territorio invece ho migliaia di “alunni che non si sa se mangiassero, con chi dormissero, se dormissero, dove dormissero…[…] Alunni che non si è mai saputo come mai non si lavassero. […] Altri che ho implorato padri perché me li mandassero a scuola che sparivano per mesi. Altri alunni che erano morti dentro, senza curiosità e scintilla negli occhi, lobotomizzati davanti al triangolino in questo gioco di omologazione di anime verso il basso.[…] Alunni sessualizzati a sei anni,  altri con gli attacchi d’ansia da prestazione, sempre a sei anni. Altri alunni ancora, certificati per caratteristiche caratteriali, perché è un magico mondo in cui si “prendono soldi”… “Ho visto di tutto in questi 35 anni in cui faccio la maestra elementare, tranne i servizi sociali, quelli li ho visti veramente poco. Molto poco. Troppo poco. Guarda quanto diventano reali e si preoccupano invece, quando ci sono di mezzo bambini felici…. Perché in questo mondo che abbiamo costruito ad arte per essere una merda invivibile, come si permette qualcuno di dare ai figli gli strumenti per sopravvivere? Chi cazzo sono convinti di essere? A volte provo talmente tanto schifo…” Questa sopra la testimonianza di una ex insegnante di questo stesso Stato che strappa i figli a suo insindacabile giudizio, a genitori amorevoli, ma poi permette tutto questo e anche di molto peggio. Uno Stato dove si vuole rendere “normale” la patologia e si rende patologica la normalità. Chi ancora ha un’anima dentro, nonostante che ci viva, a questo Stato di cose, non si sente più di appartenere. Luca Cellini
Contro le intimidazioni di Rwm, presidio di solidarietà al Tribunale di Cagliari
Contro le intimidazioni di Rwm e in supporto al movimento che si oppone agli ampliamenti della fabbrica e alla produzione bellica Presidio di solidarietà al Tribunale di Cagliari – 24 novembre ore 10:30 Il 24 novembre dalle ore 10:30 ci troveremo davanti al Tribunale di Cagliari per esprimere la nostra solidarietà alla persona denunciata, e adesso sotto processo, per aver preso la parola contro la multinazionale di guerra Rheinmetall-Rwm durante un dibattito pubblico. Rwm ha utilizzato anche in altre occasioni le querele temerarie per imporre il silenzio e soffocare qualunque voce critica rispetto al suo operato nel territorio. Nello specifico, rispetto al piano di ampliamento dell’azienda: le autorizzazioni ottenute hanno seguito un iter opaco e viziato da palesi illegittimità, illegittimità che sono state poi riconosciute dalla sentenza del Consiglio di Stato. Proprio in questi giorni si aspetta la decisione finale della Giunta Regionale in merito alla VIA ex post sugli ampliamenti: mai come in questo momento é importante sostenere la lotta e continuare a fare pressione affinché si arrivi ad un parere negativo. Contro la repressione e le intimidazioni rispondiamo con solidarietà e partecipazione. Invitiamo tutti e tutte a prendere parte al presidio e a tutte le iniziative che verranno organizzate nei prossimi giorni e settimane. Cagliari, 21 novembre 2025 Campagna StopRwm Pierpaolo Loi
Cagliari: Transgender Day Of Remembrance, un atto politico non una mera commemorazione
Due manifestazioni si son svolte ieri, 20 novembre 2025, a Cagliari nel Transgender Day Of Remembrance (TDoR), “Giornata del Ricordo delle Vittime di Transfobia”. Dalle ore 16:00, a Buoncamino, piazza Anna Marongiu, raduno e corteo organizzato da Madera, Unigcom e Iskintzidda, evento di cui abbiamo pubblicato il comunicato nei giorni precedenti. Dalle ore 18:00, la manifestazione “Piazza di Memoria e di Lotta” presso il “Parco Lineare di Via Roma” di fronte al Palazzo del Consiglio Regionale, per l’occasione illuminato con i colori azzurro, rosa e bianco. Organizzata dalla Associazione Sarda Queer Aps, alla quale hanno aderito e contribuito altre realtà del territorio, tra cui “Certi diritti. Associazione Radicale”, UAR Cagliari, Settore Nuovi Diritti CGIL – Cagliari, Centro Servizi Sardegna. Presenti anche singole persone che hanno voluto solidarizzare con la comunità trans*. Una manifestazione sobria, silenziosa, senza applausi, ma vissuta con partecipazione emotiva che si percepiva. Il primo atto è stato l’accensione delle candele, nella piazza di via Roma davanti al Palazzo che per l’occasione è stato illuminato con luci. A causa della pioggia, il gruppo dei partecipanti si è poi spostato sotto l’edificio; e si è formato un cerchio a simboleggiare la comunità. Dopo i saluti iniziali, è stato posto in evidenza che non si trattava di una celebrazione funebre né di una semplice commemorazione, ma di un atto politico. Al posto della lettura dei nomi delle vittime si è optato per la lettura, a più voci, del “Manifesto Politico”, del quale riportiamo alcuni passaggi. Cagliari, Parco Lineare di via Roma (Foto di Pierpaolo Loi9 «Il TDoR nasce nel 1999 dal silenzio imposto all’assassinio di Rita Hester, misgenderata perfino nei necrologi. Da quella cancellazione è nata una risposta politica: trasformare il lutto in memoria attiva, la violenza in organizzazione. Non è una celebrazione né un rituale consolatorio: è una denuncia collettiva del sistema che produce violenze sproporzionate contro persone trans*, non binarie e gender variant, in particolare persone trans*, persone razzializzate e migranti. È il giorno in cui si afferma che le identità trans* non sono un’anomalia moderna, ma parte antica e resistente della storia umana […]. La violenza contro le persone trans* è un fenomeno storico prodotto da patriarcato, razzismo, colonialismo e capitalismo. Non è nuova la nostra esistenza: è nuovo il tentativo di negarla. Il TDoR serve a ricordarlo a voce alta”. Nel documento vengono riportati dati che dimostrano un arretramento, a livello europeo, nella difesa dei diritti delle persone trans* e l’Italia agli ultimi posti, superata persino da Polonia e Ucrainia. Nonostante dal 2019 l’OMS abbia rimosso l’incongruenza di genere dalle malattie mentali, si continua a trattare le persone trans* come “casi clinici”. “Eppure l’Italia insiste. – afferma il documento – I percorsi di affermazione di genere restano patologizzati, legati a valutazioni psicologiche obbligatorie che rallentano le cure, negano l’autodeterminazione e trasformano la salute pubblica in un apparato punitivo”. Dai dati rilevati, è evidente che il quadro generale peggiora: “Tra ottobre 2024 e settembre 2025 sono state uccise 281 persone trans e gender variant nel mondo; dal 1009 i casi documentati salgono a 5322. Il profilo delle vitime è drammaticamente costante: )0% transfemminicidi, 88% persone nere o razzializzate, 34% sex worker”. I paesi del mondo ai primi posti sono in America Latina e nei Caraibi, con il Brasile al primo posto; anche l’Asia cresce, mentre Europa e Stati Uniti mostrano numeri più bassi, tuttavia, per minore tracciabilità. “La violenza non diminuisce: diventa più difficile da vedere. E proprio questo la rende più pericolosa”. Per quanto riguarda la Sardegna viene messo in evidenza che “pochƏ professionistƏ seguono i percorsi di affermazione di genere nel pubblico” e “l’accesso alla salute diventa una questione di fortuna”, “I percorsi sono filtrati da protocolli vecchi, ancora patologizzanti […] I tempi d’attesa – 12, 18,fino a 24 mesi – si trasformano in sofferenza e rischio clinico: una forma di violenza istituzionale”. Le conseguenze sono drammatiche: persone costrette a emigrare, rivolgersi al privato, rinunciare ai percorsi o esporsi a maggiore vulnerabilità. “Le altre ferite – continua il manifesto politico -, quelle che non si vedono subito, attraversano la scuola, la politica, l’informazione e il lavoro. Nelle scuole medie e nelle superiori moltƏ docenti raccontano ormai apertamente di non poter più affrontare identità di genere, orientamento sessuale, storia dei movimenti. La scuola che dovrebbe essere il luogo dove si impara a diventare cittadinƏ, rimane murata nel silenzio”. Così pure sul piano della politica, prevale da una parte l’uso strumentale di simboli, all’altra la considerazione dell’ “essere una minaccia da agitare quando serve a distogliere l’attenzione dai tagli ai servizi, corruzione, fallimenti economici. In entrambi i casi la nostra vita non è riconosciuta come soggetto politico, ma come strumento narrativo nelle mani altrui”. Sul campo del lavoro, prevale la negazione di tale diritto riconosciuto dalla Costituzione: “Colloqui annullati, misgendering normalizzato precarietà che diventa una condanna: per molte persone trans* l’accesso a un impiego dignitoso non è una possibilità, è un percorso ad ostacoli senza tregua”. Il documento termina con una serie di richieste che non sono suppliche, ma rivendicazione di diritti: * Depatologizzazione reale; * Una legge nazionale contro la trans*fobia; * A scuola, Programmi inclusi, formazione dei docenti, spazi sicuri; * A lavoro, norme contro la discriminazione, percorsi di inserimento e tutele nei luoghi di lavoro; * Un diritto d’asilo che sia reale: protezione per chi fugge dalla violenza, non diffidenza e barriere; * Che venga riconosciuta la storia delle identità trans*, non binarie e di genere non conforme, da secoli presenti in culture e tradizioni che l’Occidente ha tentato di Cancellare. “Questa piazza – conclude il documento – non è un luogo fermo nel tempo: è una soglia, un impegno collettivo. Ricordiamo chi non c’è più, ma lo facciamo guardando avanti; accendiamo candele, non per piangere, ma per far luce; pronunciamo nomi non per chiudere una storia, ma per proteggere chi vive oggi” […] Perché ricordare è un atto politico. Vivere è un diritto. E la lotta è l’eredità che non abbandoneremo”. Dopo la lettura del Manifesto politico, è stata data la possibilità ai rappresentanti delle associazioni aderenti di prendere la parola. Gli interventi, tutti altamente qualificati, hanno contribuito a rendere questa manifestazione un momento altamente qualificato di conoscenza della realtà e d’impegno contro ogni forma di discriminazione e di affermazione dei diritti fondamentale di ogni persona.   .   Pierpaolo Loi