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Una riflessione del Tavolo Asilo e Immigrazione sulla sentenza della Corte di Giustizia Europea
Riprendiamo dal sito della Rete delle Comunità Solidali il comunicato stampa redatto dal Tavolo Asilo e Immigrazione -TAI- di cui Recosol è parte integrante sulla sentenza della Corte di Giustizia Europea pubblicata ieri, 1 agosto 2025 La Corte di Giustizia UE sconfessa il “modello Albania”: il governo ha costruito un impianto fuori dalla legalità europea Roma, 1 agosto 2025 – Con la decisione diffusa oggi, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito un principio chiaro: uno Stato membro non può designare un Paese di origine sicuro senza garantire un controllo giurisdizionale effettivo e trasparente, né può mantenere tale designazione se nel Paese non è assicurata protezione a tutta la popolazione, senza eccezioni. Si tratta di una decisione dirompente, che smentisce in modo radicale la linea del governo italiano. Il cosiddetto “modello Albania”, ideato per esternalizzare le procedure di frontiera verso centri collocati fuori dal territorio nazionale ma sotto giurisdizione italiana, è stato costruito e mantenuto su basi giuridiche oggi dichiarate incompatibili con il diritto dell’Unione. La sentenza colpisce al cuore uno degli assi portanti dell’intero impianto: la possibilità di processare richieste di asilo in procedura accelerata, basandosi sulla presunzione automatica di sicurezza del Paese d’origine. Non è più possibile, alla luce della pronuncia, utilizzare atti legislativi opachi e privi di fonti verificabili per giustificare il respingimento veloce delle domande di protezione. E non è ammissibile trattare come “sicuro” un Paese che non offre garanzie a tutte le persone. È esattamente quanto avvenuto nei trasferimenti verso l’Albania, e ciò rende evidente che ogni ripresa di questa pratica comporterebbe gravi violazioni e un elevato rischio di annullamento da parte dei tribunali. Il Tavolo Asilo e Immigrazione sollecita il governo a non riattivare il Protocollo Italia-Albania: una richiesta avanzata dal TAI fin da prima dell’avvio delle operazioni, e che ora diventa più forte nella cornice di questa sentenza. Nell’ultimo anno l’esecutivo ha più volte cercato di piegare le sentenze al proprio racconto, presentando come legittimazione ciò che non lo era affatto. Ma questa volta la pronuncia della Corte è inequivocabile, ed è difficile immaginare che possa essere strumentalizzata. L’architettura giuridica del modello viene demolita. C’è un altro fronte giuridico ancora aperto, e riguarda i trasferimenti verso l’Albania direttamente dai centri di permanenza per il rimpatrio (CPR): la questione è oggetto di un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Ma si tratta di un iter che richiederà almeno due anni. Nel frattempo, anche il nuovo modello è stato oggetto di molteplici censure giudiziali ed è incompatibile con i diritti umani, come raccontato nel report “Ferite di confine” recentemente diffuso dal TAI. Il modello Albania, anche nella sua seconda fase, va dismesso immediatamente. Il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede al governo di prendere atto della pronuncia, cessare ogni iniziativa orientata alla riattivazione del Protocollo, e ricondurre la politica migratoria all’interno del diritto internazionale ed europeo, e delle garanzie costituzionali.     Redazione Italia
La Corte di Giustizia UE smentisce Meloni sui “paesi di origine sicuri” e sul “modello Albania”
La Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata, con la sentenza della Grande Sezione del 1° agosto 2025, sul ricorso pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, con ordinanze del 31 ottobre 2024 e del 4 novembre 2024, sulla distinzione dei poteri del governo e dei giudici nella designazione dei paesi di origine sicuri, da prevedere con una apposita lista adottata per legge, affermando che “Nell’elenco devono esserci solo Stati che offrano una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione”. Secondo la Corte di Lussemburgo, uno Stato europeo “può designare Paesi d’origine sicuri mediante atto legislativo, a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo”. La vergognosa nota di Palazzo Chigi resa pubblica subito dopo, secondo cui” la decisione della Corte indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali”, non merita neppure una parola di commento, scambiando richiedenti asilo per migranti illegali e confondendo il tema delle procedure accelerate in frontiera per i richiedenti asilo, provenienti da paesi di origine sicuri, con la difesa dei confini nazionali. Secondo il ministro Salvini “è un precedente grave non solo per l’Italia ma per tutta Europa. L’ennesima dimostrazione che queste istituzioni europee, così come sono, sono un danno”. Appare invece del tutto fuorviante il tentativo del governo, e di Giorgia Meloni, di attaccare la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per nascondere il suo più grande insuccesso, rivendicando i poteri sovrani, ma sarebbe meglio dire il sovranismo degli Stati, e dunque la piena discrezionalità del governo, in materia di politiche migratorie. Come ha riconosciuto in passato la Corte Costituzionale con la sentenza n.81 del 2012, “gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nel caso delle procedure accelerate in frontiera, il principio di gerarchia delle fonti, fissato dagli articoli 10 e 117 della Costituzione impone anche al Parlamento nazionale, oltre che al Governo, ed agli organi decentrati della pubblica amministrazione, come Questure e Prefetture, con annesse Commissioni territoriali per l’esame delle richieste di protezione, di rispettare quanto deciso dalla Corte di giustizia di Lussemburgo. Lo stesso principio gerarchico vale per gli organi della giurisdizione nazionale, dai giudici di pace che convalidano i trattenimenti nei CPR, fino alle Corti di appello, competenti per i ricorsi contro i dinieghi e per la convalida del trattenimento, nel caso di richiedenti asilo, ed alla Corte di Cassazione. Per la Corte di giustizia UE, Il cittadino di un paese terzo può vedere respinta la sua domanda di protezione internazionale in esito a una procedura accelerata di frontiera qualora il suo paese di origine sia stato designato come ‘sicuro’ ad opera di uno Stato membro. La Corte di Lussemburgo precisa che “tale designazione può essere effettuata mediante un atto legislativo, a condizione che quest’ultimo possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo vertente sul rispetto dei criteri sostanziali stabiliti dal diritto dell’Unione. Le fonti di informazione su cui si fonda tale designazione devono essere accessibili al richiedente e al giudice nazionale. Uno Stato membro non può, tuttavia, includere un paese nell’elenco dei paesi di origine sicuri qualora esso non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione”. La decisione dei giudici europei potrebbe avere immediate ricadute anche sulla condizione di trattenimento amministrativo applicato, in modo generalizzato, nell’ambito delle procedure accelerate in frontiera, ai richiedenti asilo che si assuma provenire da “paesi di origine sicuri”, come il Bangladesh, la Tunisia o l’Egitto. Nel caso di queste procedure accelerate in frontiera caratterizzate da una estesa applicazione del trattenimento amministrativo prima ancora che la istanza di protezione venga formalizzata, addirittura anche in Albania, non si riscontrano basi legali che impediscano al giudice una valutazione ex officio sul singolo caso al suo esame, con specifico riferimento alla individuazione come “sicuro” del paese di origine del richiedente asilo. Il diritto dell’Unione europea, nelle applicazioni della Corte di Giustizia, va esattamente nella direzione di riconoscere i poteri/doveri di “cooperazione istruttoria” del giudice della convalida del trattenimento in un CPR, anche in assenza di una allegazione di fatti specifici che potrebbero rendere “non sicuro” per il richiedente il proprio paese di origine. Valutare in un procedimento giurisdizionale la sicurezza di un paese di origine designato come “sicuro” non significa interferire con politiche della sicurezza o addirittura con “relazioni internazionali”, come è arrivato a sostenere il governo Meloni, in quanto la disapplicazione nel singolo caso della norma interna in contrasto con altra norma di rango superiore stabilita a livello europeo, e per riflesso costituzionale (art.117 Cost.), non implica alcuna conseguenza sulla validità della norma generale che contiene un elenco di paesi di origine sicuri, a meno che non intervenga la Corte di Giustizia dell’Unione europea o su un ricorso di legittimità, la Corte Costituzionale. In ogni caso, fino a quando l’Italia non uscirà dall’Unione europea, i governi e le autorità amministrative, e persino il Parlamento nazionale, dovranno rispettare il dettato delle decisioni della Corte di Lussemburgo, come impone peraltro lo stesso art.117 della Costituzione. Non ci possono essere “soluzioni innovative” come il Protocollo Italia-Albania che consentano di impedire l’accesso al territorio per presentare una richiesta di protezione, e magari costringano i giudici ad una valutazione meramente formale dei provvedimenti restrittivi della libertà personale dei richiedenti asilo (trattenimenti), e quindi delle loro istanze di protezione, che dovrebbero essere rigettate per manifesta infondatezza, sulla base di un regime differenziato imposto per legge da una maggioranza parlamentare. Il modello Albania, con il suo ineluttabile fallimento, costituisce la cartina di tornasole di una crisi di sistema, con la negazione sostanziale del diritto di asilo, ed una illegittima limitazione della libertà personale, che non si potrà risolvere riducendo per decreto i poteri dei giudici, o addirittura attaccando la portata vincolante della giurisdizione della Corte di giustizia dell’Unione europea. Fulvio Vassallo Paleologo
Come continuare nelle lotte senza trovarsi tutt3 in carcere?
Da quando abbiamo pubblicato il libro “Carcere ai Ribell3” lo abbiamo usato come strumento di dialogo e di confronto sulle dinamiche della repressione e del carcere. Volevamo contribuire al movimento popolare che si stava attivando per contrastare il disegno di legge Sicurezza che l’anno scorso di questi tempi era stato proposto. ORA CHE IL DISEGNO È DIVENTATO LEGGE (LA 80/25), CON UNA FORZATURA IMPRESSIONANTE DEL SUO ITER, A COSA SERVE ANCORA PARLARE DI QUESTE STORIE? La risposta l’abbiamo trovata quasi subito: è necessario continuare a parlarne e proseguire in un’azione di contrasto a questa legge, sul piano giuridico certo, ma anche politico e sociale, tenendo alta l’attenzione sulle narrazioni e sulle intersezioni che finora abbiamo incontrato portando in giro il libro in varie parti d’Italia. E con questo intento che abbiamo portato al Festival Alta Felicità la nostra proposta di presentazione che è stato un nuovo luogo di confronto tra rappresentanti delle lotte oggi più attive: Bianca di Extinction Rebellion Torino, Dana Lauriola di Associazione a Resistere, Rosa delle Mamme e Mariapaola Boselli di Amnesty International – Italia. Con loro abbiamo affrontato i temi della repressione sempre più pervasiva che mira a contrastare tutte le lotte attive oggi in Italia, non solo quelle che utilizzano pratiche più conflittuali ma anche quelle che praticano azioni non violente e pacifiche. In ogni caso la portata della repressione si è abbattuta in maniera sempre più evidente: denunce, processi, fogli di via, multe estremamente costose, trattenimenti in questura e perquisizioni corporali … il tutto raccolto nelle famigerate schedature di polizia: le segnalazioni di sicurezza. Tutte procedure che mirano soprattutto a spaventare e intimidire gli e le attivist3, a impedirne le attività colpendoli sul piano economico e quello della mobilità personale (i fogli di via, i procedimenti penali). VIENE DETTO A PIÙ VOCI “𝐸’ 𝑛𝑒𝑐𝑒𝑠𝑠𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑟𝑖𝑓𝑙𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑢𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑝𝑎𝑧𝑖 𝑑𝑖 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑡𝑎’ 𝑒 𝑑𝑖 𝑑𝑒𝑚𝑜𝑐𝑟𝑎𝑧𝑖𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑜𝑔𝑙𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑓𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒” Da parte di Amnesty, che ha impegnato tutto l’ufficio italiano per contrastarne il percorso di attuazione, viene riscontrato che la società civile ha saputo rispondere efficacemente e attivamente e si è mobilitata in maniera evidente contro al DDL, poi DL, evidenziandone le criticità anche a livello mediatico e comunicativo. La provocazione delle Mamme è: 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗶𝗻𝘂𝗮𝗿𝗲 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗲 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝗲𝗿Ò 𝘁𝗿𝗼𝘃𝗮𝗿𝘀𝗶 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗲 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗲 𝗶𝗻 𝗰𝗮𝗿𝗰𝗲𝗿𝗲, 𝗼𝗿𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗼 𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲? 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝘀𝗶 𝗽𝗿𝗼𝘀𝗲𝗴𝘂𝗲?   Anche se il tempo a nostra disposizione era ormai scaduto e la risposta doveva essere concisa, le attiviste presenti hanno fornito una serie di suggestioni e strategie molto chiare: la resistenza si farà, in maniera collettiva e solidale, bisognerà essere reattivi e solidali, essere sempre di più (allargare le reti), dialogare con tutti, agire attraverso l’autoformazione legale, la coscienza dei propri diritti e la conoscenza della legge, la resistenza legale, le casse di resistenza, inventare sempre nuove strategie di lotta … Ce n’est qu’un début, continuons le combat! Mamme in piazza per la libertà di dissenso
“Questa Lega è una vergogna”
Pino Daniele e il coraggio di dire no al razzismo nei manifesti rimossi a Roma C’è una fotografia che oggi non vedrai in copertina. Non perché non esista, ma perché ogni replica non contestualizzata è una nuova diffusione del messaggio d’odio. Per questo non vogliamo contribuire a diffonderla. È l’immagine di un manifesto affisso in varie zone di Roma e firmato dalla Lega. Uno slogan gridato in maiuscolo: “Occupi una casa? Ti buttiamo fuori in 24 ore”. Accanto, una scena costruita con cura inquietante: persone visibilmente non italiane, con tratti che evocano lo stereotipo del “diverso”, neri, rom, volti caricaturali, vengono fermate dalla polizia davanti a un portone. Non è solo propaganda. È un attacco visivo e narrativo alla dignità umana. Per questo, abbiamo scelto di aprire con un altro tipo di immagine: la copertina dell’album ‘O scarrafone di Pino Daniele, che nel 1991 cantava: Un uomo in blues “Questa Lega è una vergogna”. Un verso che oggi suona come un monitor ancora attuale. Trentaquattro anni dopo, quella denuncia sembra ancora necessaria. Gli stessi pregiudizi, le stesse campagne denigratorie, le stesse immagini stereotipate restano affisse sui muri delle nostre città. Non è solo un ritorno nostalgico a una canzone del passato, ma il segno di una memoria viva e resistente. Una memoria che parla ancora, come quella Napoli profonda e meticcia che ha sempre saputo dire no al razzismo anche quando non faceva notizia. Non è solo un manifesto. È una battaglia del nemico La fotografia, visibile nell’articolo solo per scopi critici, non è documentazione giornalistica. È un set narrativo in scena per alimentare una percezione falsa e pericolosa: che l’abusivismo, l’illegalità, il pericolo per “la brava gente” hanno un volto preciso. E quel volto, guarda caso, non è mai bianco. Manifesto della Lega con contenuti discriminatori Si tratta di razzismo visivo, e la parola non è abusata. È esatto. Quando si usano immagini che assimilano minoranze etniche a comportamenti criminali, si viola un principio fondamentale: l’uguaglianza di tutte le persone davanti alla legge e alla dignità. La rimozione da parte del Comune: censura o responsabilità? Il Comune di Roma ha deciso di rimuovere quei manifesti. Una scelta che ha scatenato l’ira della Lega, che ha parlato di “bavaglio comunista” e attacco alla libertà d’espressione. Ma la libertà di espressione non è il diritto di diffondere odio. Non è il diritto di costruire narrazioni che identificano etnie con criminalità, povertà con pericolosità, disperazione con minaccia. La decisione del Comune non è censura. È difesa della Costituzione, che all’articolo 3 garantisce pari dignità sociale senza distinzione di razza, lingua o opinioni. È una presa di posizione civile, in un’epoca in cui anche l’indifferenza può essere complicità. In un contesto europeo in cui il razzismo è in crescita, come riportato dalla FRA (Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali), la difesa attiva dei principi costituzionali non è una forzatura ideologica, ma un obbligo morale. E lo è ancor di più in Italia, dove articoli come il 3 e il 21 della Costituzione stabilizzano che l’espressione libera non può mai tradursi in incitamento alla discriminazione. Propaganda che semplifica, divide, colpisce Il manifesto affisso a Roma è solo l’ultimo esempio di una strategia comunicativa fondata sulla costruzione di un nemico semplice: lo straniero, il povero, l’abusivo, che minaccia l’ordine. Nessun riferimento a cause strutturali, nessuna proposta di inclusione sociale, nessuna complessità, solo paura e repressione. Chi ha costruito quella fotografia, con ogni probabilità in un set o con un intervento di post-produzione, non ha scelto a caso i volti, gli abiti, le posture. Ha voluto che parlassero da soli. Ha iniettato razzismo nelle immagini, contando sulla rapidità con cui lo sguardo assorbe e giudica. Secondo l’ultimo rapporto dell’Unione Inquilini, in Italia nel 2023 sono stati eseguiti oltre 29.000 sfratti, il 90% dei quali per morosità incolpevole. La vera emergenza abitativa riguarda famiglie italiane e straniere senza mezzi, non criminali o “furbetti”. Ma questa complessità non fa notizia. Meglio ridurre tutto a uno slogan da affissione. Il paradosso di CasaPound A rafforzare l’ipocrisia di certe narrazioni, c’è il caso di CasaPound. Fondata nel 2003, CasaPound è un’organizzazione politica di estrema destra che si definisce “fascista del terzo millennio”. È conosciuta per le sue azioni provocatorie e per l’occupazione di spazi pubblici. A Roma, in via Napoleone III, questo movimento occupa da oltre vent’anni un palazzo di proprietà pubblica senza pagare affitto, trasformandolo nella propria sede nazionale. Un’occupazione illegale mai realmente sanzionata. Nonostante le denunce, gli appelli e le mozioni approvate dal Consiglio Comunale, lo stabile non è mai stato sgomberato. È solo il caso più noto: altre occupazioni e concessioni opache si sono susseguite negli anni. Una realtà che mostra come le regole, in Italia, sembrano valere in modo diverso a seconda del colore della pelle o della bandiera che si sventola. Qualcuno ha suggerito, con amarezza, che forse la Lega dovrebbe affiggere un manifesto diverso: “Occupi un palazzo da vent’anni a Roma senza pagare affitto? Ti portiamo anche il caffè, basta che sei nostro amico”. Sarebbe più onesto. Fonti e approfondimenti: Unione Inquilini – Rapporto sugli sfratti in Italia 2023 https://www.unioneinquilini.it/index.php/rapporti-sfratti-2023/   Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA) – Relazione annuale 2023 https://fra.europa.eu/it/publication/2023/fundamental-rights-report-2023   Costituzione della Repubblica Italiana – Articoli 3 e 21 https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=3 https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=21   Movimento del Comune di Roma sullo sgombero di CasaPound (2020) https://www.romatoday.it/politica/casa-pound-via-napoleone-mozione-sgombero.html   Rimozione manifesti Lega a Roma – Notizia ANSA https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2025/07/27/roma-rimossi-i-manifesti-lega-stereotipi-razzisti Lucia Montanaro
Nasce il Comitato “Class Action Vaccino Covid19” per la tutela dei cittadini che hanno assunto il vaccino Comirnaty (Pfizer/BioNTech)
È stato costituito il Comitato “Class Action Vaccino Covid19” per offrire tutela legale a tutti i cittadini italiani ed europei che hanno ricevuto il vaccino Comirnaty (𝙋𝙛𝙞𝙯𝙚𝙧/𝘽𝙞𝙤𝙉𝙏𝙚𝙘𝙝), volontariamente o per obbligo. L’iniziativa nasce per intraprendere una 𝙘𝙡𝙖𝙨𝙨 𝙖𝙘𝙩𝙞𝙤𝙣 contro l’azienda produttrice del vaccino, ritenuto dal Comitato un farmaco 𝗱𝗶𝗳𝗲𝘁𝘁𝗼𝘀𝗼 𝗲 𝗽𝗼𝘁𝗲𝗻𝘇𝗶𝗮𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗮𝗻𝗻𝗼𝘀𝗼. Le adesioni sono aperte fino al 𝟯𝟬 𝗼𝘁𝘁𝗼𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟱, salvo raggiungimento del limite massimo di 𝟭.𝟬𝟬𝟬 ricorrenti. Il termine legale per proporre il ricorso è fissato al 𝟭𝟱 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟱, prima della prescrizione. Di seguito riportiamo il comunicato stampa della Class Action.   Aversa (CE), lì 24 luglio 2025 È stato ufficialmente costituito il Comitato di Scopo “Class Action Vaccino Covid19”, con l’obiettivo di difendere i diritti di tutti quei cittadini italiani ed europei che hanno ricevuto, volontariamente o per obbligo, il vaccino Comirnaty, prodotto dalle aziende Pfizer e BioNTech. Il Comitato nasce per rappresentare TUTTI gli assuntori del vaccino PFIZER anti-Covid-19, dimostratosi un farmaco difettoso, imperfetto e pericoloso; la finalità del Comitato è quella di proporre e sostenere una o più azioni legali collettive (CLASS ACTION), come previsto dalla legge italiana, per tutelare i diritti di chi ha ricevuto la somministrazione del vaccino nei confronti delle case farmaceutiche coinvolte (Pfizer e BioNTech); l’azione potrà essere proposta da tre categorie di cittadini: > 1) da chi ha semplicemente ricevuto il vaccino Pfizer senza riportare > conseguenze, per i danni conseguenti all’assunzione di un prodotto difettoso; > > 2) da chi ritiene di aver subito danni o conseguenze negative in termini di > effetti avversi o peggioramento dello stato di salute generale in seguito > all’assunzione del vaccino Covid-19 Pfizer; > > 3) dagli eredi di cittadini deceduti in un periodo successivo alla > somministrazione del vaccino Pfizer e per un effetto avverso potenzialmente > correlabile; Attraverso questo strumento legale, il Comitato vuole offrire un punto di riferimento a chi si sente abbandonato o inascoltato, fornendo supporto, informazione e coordinamento a chi intende partecipare all’azione. Per tutti coloro che hanno vissuto disagi, dubbi o problematiche legate alla somministrazione del vaccino Pfizer, la class action proposta dal Comitato rappresenta un’occasione concreta per ottenere un risarcimento e far sentire la propria voce. Le adesioni sono aperte da oggi e fino al 30 ottobre 2025. Il limite temporale è dettato da ragioni sostanziali di tutela dei diritti coinvolti: è fondamentale proporre il ricorso entro e non oltre il 15 dicembre 2025, termine oltre il quale si verificherà la prescrizione quinquiennale dei diritti risarcitori. Per motivi di gestione pratica dell’azione giudiziaria è stato fissato un limite massimo di 1.000 ricorrenti; ove il numero massimo dei ricorrenti dovesse essere raggiunto prima del 30 ottobre 2025 non sarà più possibile aderire al ricorso e il Comitato avrà cura di comunicarlo. – VERSIONE PDF – Per saperne di più o aderire, visita il sito: www.classactionvaccinocovid19.org Contatti: info@classactionvaccinocovid19.org adesioni@classactionvaccinocovid19.org   Redazione Italia
Pirateria in diretta streaming: Israele assalta la Handala sotto gli occhi increduli dell’umanità
Questa notte Israele ha fermato la nave Handala della Freedom Flotilla in acque internazionali e sequestrato i 21 membri dell’equipaggio. Tra loro c’era anche il giornalista e attivista ecopacifista Antonio Mazzeo, che adesso si trova nelle mani dell’IDF. Di lui, dell’altro volontario italiano Tony La Piccerella, come di tutti gli altri internazionalisti, (nel momento in cui si scrive) non si hanno più notizie dalle 22.45 (orario italiano) quando due motoscafi israeliani hanno abbordato la nave umanitaria diretta a Gaza.  Oltre venti soldati israeliani sono saliti a bordo armati, pronti a puntare i loro fucili sugli attivisti. Loro li aspettavano con le mani alzate, intonando Bella Ciao. Indossavano i giubbotti arancioni di salvataggio, seduti uno accanto all’altro, in circolo, sul ponte dell’imbarcazione.  Al centro di questo cerchio umano, gli aiuti e i doni per i bambini da portare a Gaza. Orsacchiotti di peluche, giraffine, bambolotti, un triceratopo di pezza. Molti di questi giocattoli erano stati inviati dai bambini di Siracusa e di Gallipoli. La Handala è stata infatti ormeggiata per mesi ad Augusta (Siracusa) e poi è salpata, esattamente una settimana fa, dal porto pugliese.  Durante una diretta, Mazzeo aveva spiegato che i bambini di Gaza attendevano con ansia i doni che i loro “amichetti” italiani gli stavano inviando. Dove c’è un genocidio, dove c’è lo sterminio per fame pianificato, era stata creata una connessione di amicizia tra le due sponde, tra la costa sud est martoriata del Mediterraneo ed il suo cuore.  Gli attivisti difendevano con i loro corpi questa connessione e questa promessa di pace.  Ed è esattamente questo, l’amicizia tra i popoli mediterranei, che minaccia l’esistenza di Israele, non Hamas, il terrorismo o un fantomatico “antisemitismo”.  La barbarie che è accaduta in diretta ieri notte davanti ai nostri occhi, l’arrembaggio armato di una nave umanitaria in acque internazionali da parte di un esercito, ne è l’inconfutabile dimostrazione.  La Handala è stata fermata a 40 miglia dalla costa di Gaza in uno specchio d’acqua che non era di giurisdizione israeliana. L’allarme era scattato alle 19.30 orario italiano (20.30) orario locale.  Io e l’analista geopolitico Stefano Orsi avevamo organizzato assieme ad Antonio Mazzeo una diretta dalla nave proprio per quell’ora. Antonio si è collegato avvisandoci che era scattato l’allarme, doveva unirsi al resto degli attivisti e prendere posizione secondo le misure di sicurezza previste.  L’equipaggio era formato da cittadini di USA, Svezia, Norvegia, Francia, Spagna, Australia, Tunisia, UK, oltre l’Italia. Presenti anche due giornalisti di Al Jazeera provenienti da Marocco e Iraq. A bordo c’erano anche una parlamentare e una europarlamentare francesi.  In base a quanto riferito da Mazzeo, due barconi veloci israeliani erano salpati due ore prima per intercettare la nave della Freedom Flotilla e impedirle di raggiungere Gaza, forzando il blocco. In precedenza si erano addestrati assieme al battaglione San Marco.  Il giornalista messinese ha denunciato in diretta la complicità dei governi occidentali nell’arrembaggio compiuto dai soldati israeliani, che sarebbe poi avvenuto tre ore dopo.  “E’ da almeno 24 ore che la comunità internazionale è a conoscenza della decisione delle forze armate israeliane di mandare una truppa d’assalto per andare all’arrembaggio della nave, come i pirati di qualche secolo fa”.  Anziché costringere Israele a rispettare il diritto di navigazione ed il diritto internazionale umanitario, lasciando che Handala portasse a termine la sua missione di soccorso al popolo palestinese, le cancellerie di USA e Ue hanno trattato con le autorità israeliane l’approdo della nave umanitaria ad Ashdot e il rimpatrio del suo equipaggio.  “Ne dovranno rispondere non soltanto Netanyahu ma anche i governi europei e degli Stati Uniti per il crimine contro l’umanità del sequestro della nave, dell’equipaggio e della sua eventuale espulsione”, ha affermato Mazzeo.  Tutto è accaduto molto in fretta. Gli attivisti avevano un buon animo, determinati a portare a termine la loro missione umanitaria. Per sfuggire all’intercettazione hanno cercato l’aiuto delle autorità egiziane, chiedendo il permesso ad entrare in acque territoriali. Permesso negato. La nave ha virato a sud per mantenere una navigazione parallela alla costa egiziana, intenzionata a chiedere soccorso alla guardia costiera egiziana in caso di assalto.  La situazione è precipitata dopo le 21.30 circa, quando sui radar sono apparsi due imbarcazioni israeliane.  Si avvicinavano alla Handala da direzioni opposte, per effettuare l’arrembaggio.  L’attivista dell’ISM Huwaida Arraf, statunitense di origini palestinesi, ha chiesto il mayday alle autorità egiziane. Ripetutamente. Non è arrivata nessuna risposta.  Al largo delle coste libanesi, in base ai tracciati di Itamilradar, navigava un’imbarcazione militare italiana, la fregata Carabiniere della nostra marina militare. Inoltre è stato tracciato il volo di un elicottero  SH-90A NH Industries (matricola MM81577), sempre della nostra marina.  Entrambi impiegati nell’operazione Mare Sicuro al largo di Israele ed Egitto.  A dispetto del nome della loro missione, non sono entrati in operazione per difendere la sicurezza di due cittadini italiani attaccati in acque internazionali.  “Quello che sta accadendo dovrebbe farci riflettere sulla responsabilità dei governi USA ed europei, non solo per armare Israele, ma anche per consentire che il Mar Mediterraneo, il mare nostrum, il mare dei popoli che vi si affacciano, sia ormai proprietà di Israele”, aveva denunciato poco prima Mazzeo in chiusura del nostro collegamento.  Così, Handala è stata lasciata sola.  Quando i barconi veloci israeliani si trovavano a tre miglia, le autorità israeliane hanno avvertito gli attivisti di non forzare il blocco. Arraf ha risposto che Israele non ha alcuna autorità per imporre un blocco marittimo, non ha alcuna autorità per intercettare una nave umanitaria in acque internazionali, non ha alcuna autorità per impedire che degli aiuti umanitari siano consegnati ai bambini di Gaza. Ha risposto che il governo di Israele sta compiendo un crimine contro l’umanità affamando il popolo palestinese.  Dopo pochi minuti, uomini in mimetica, armati di fucili di guerra, arrivati a bordo di due motoscafi militari, hanno assaltato l’imbarcazione umanitaria. Alle 22.43 hanno spento le videocamere di bordo. Quelle sono le ultime immagini degli attivisti che abbiamo al momento. Da allora di Antonio e degli altri 20 compagne e compagni dell’equipaggio non abbiamo alcuna notizia.  Per aiutare Antonio Mazzeo, Tony La Piccerella non ci resta che scrivere al nostro governo affinché si muova per il loro rilascio, come chiede l’organizzazione della Freedom Flotilla. Ma non può bastare.  Israele ha commesso un atto di pirateria non per difendere il proprio diritto all’esistenza. La nave umanitaria, con a bordo pacifisti non violenti, carica di giocattoli e orsacchiotti di peluche, non costituisce alcuna minaccia per Israele ed il suo popolo. Costituisce invece un ostacolo tra il governo israeliano e il suo obiettivo di pulizia etnica contro i palestinesi. Costituisce una minaccia per il blocco illegale che affama e uccide Gaza, per la carestia pianificata che Israele utilizza come arma di guerra contro i bambini palestinesi.  L’assalto alla nave umanitaria Handala ha svelato ancora una volta gli intenti di Netanyahu. Ha spezzato il sogno dei bambini palestinesi e dei bambini italiani che volevano aiutarli. Ha spezzato il diritto internazionale umanitario, il diritto di navigazione. Ha insultato ciò che resta della nostra umanità, ogni anelito di libertà e democrazia che resta alla nostra civiltà euro-mediterranea. La società civile non può restare a guardare, mentre Israele pianifica un genocidio per fame, calpestando i nostri principi e i nostri valori, la nostra umanità.    Clara Statello
Carlo è vivo e lotta insieme a noi
A UNA SETTIMANA DALL’ANNUALE ‘PER NON DIMENTICARLO’ CHE SI È TENUTO A GENOVA E CHE GIÀ ABBIAMO RACCONTATO QUALCHE GIORNO FA, RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO QUESTO CONTRIBUTO DI NICOLETTA DOSIO E CON L’OCCASIONE LA REGISTRAZIONE DEL SUO BELLISSIMO INTERVENTO CHE TROVATE A FINE ARTICOLO. BUONA LETTURA E BUONA VISIONE! 20 LUGLIO 2001-20 LUGLIO 2025 Carlo è vivo e lotta insieme a noi. Genova ci ha accolti con la mole di una nave da crociera così grande da sottrarre ogni vista di mare: decine di piani, migliaia di finestrelle che, a vederle, danno l’angoscia e non fanno certo pensare all’avventura del viaggio, ma allo stress del vivere compressi, intrappolati nell’anonimato della folla. Ma piazza Alimonda è dolce e fraterna in questo pomeriggio che ogni anno si ripete sul filo del ricordo. Non abbiamo dimenticato Carlo e lo rivediamo mentre, in queste stesse ore di ventiquattro anni fa, insieme a tanti altri giovani come lui, percorre queste strade portandosi addosso null’altro che i suoi vent’anni, la canottiera bianca, il rotolo di scotch infilato al braccio e lo sguardo azzurro, sincero di ragazzo. Foto di Mario Luca Bariona A piazza Alimonda Carlo fu ammazzato, colpito a morte dalle forze dell’ordine costituito, il braccio armato del G8 che in quei giorni, per le vie di Genova, celebrò i riti della globalizzazione capitalistica in un bagno di sangue di cui la morte di Carlo fu il tragico culmine. Oggi qui a ricordare ci ritroviamo in tanti, i vecchi compagni e i giovani venuti dopo sulla via delle lotte. E ancora sventolano le bandiere e gli striscioni di allora a denunciare il presente del sistema di sempre, guerrafondaio e assassino. “LA LORO PACE E LA LORO GUERRA SONO COME IL VENTO E LA TEMPESTA: LA LORO GUERRA UCCIDE QUEL CHE ALLA LORO PACE È SOPRAVVISSUTO”. La lirica di Brecht mi risuona in testa mentre ascolto gli interventi dal palco che denunciano come la pace armata di allora sia diventata la guerra aperta di oggi. La loro pace, devastando diritti, senso di solidarietà sociale e ambientale, cultura dell’accoglienza, internazionalismo degli sfruttati, ha aperto la strada agli orrori della loro guerra. Una guerra imperiale e coloniale che dura da sempre e che ora si fa pulizia etnica contro il popolo Palestinese, genocidio a suon di bombe e di morte per fame, praticato dallo stato di Israele con il sostegno del capitalismo mondiale e dei governi ad esso asserviti. In piazza Alimonda risuonano canzoni e parole e non c’è ambiguità né rassegnazione. Rabbia e festa stanno insieme come allora, in quella Genova 2001, quando le barriere delle “zone rosse”, innalzate a protezione dei potenti, nulla potevano contro il dilagare della protesta. Ed al divieto di stendere panni da balcone a balcone, emesso dalla questura in nome di un presunto decoro urbano, la città rispondeva con l’l’ironico, allegro sventolìo di maglie, mutande, camiciole, calzini stesi in lunghe file ad asciugare lungo tutte le vie del centro storico. HAIDI Oggi sono tanti i sorrisi, gli abbracci, grande la gioia del ritrovarsi, ma il cuore della giornata è lei, la mamma di Carlo, la dolce Haidi che siede modestamente dietro il palco e, nel tempo, ha saputo fare del dolore un talismano contro la rassegnazione, una ragione forte di testimonianza e di resistenza collettiva. Quando ripartiamo verso la Valle è ormai sera, una sera luminosa che penetra nei caruggi accarezzando muri scrostati e affreschi signorili. In quest’ora Genova, deposta la concretezza mercantile, si riveste di malinconia. Le navi da crociera hanno lasciato il porto e, dalla soprelevata che, come una spina dorsale, attraversa tutta la città, riusciamo a vedere in lontananza uno spicchio di mare. --------------------------------------------------------------------------------   Tags: Carlo Giuliani, G8, Genova, Valle di Susa Centro Sereno Regis
CPR: dietro quel filo spinato…
Riceviamo e volentieri diffondiamo Nonostante il silenzio e il diniego del Ministero dell’Interno, ieri sera il Segretario di Radicali Italiani Filippo Blengino e Bianca Piscolla, membro della Giunta nazionale, si sono recati comunque all’hotspot di Lampedusa per tentare di verificare, almeno dall’esterno, le condizioni in cui vengono trattenute le persone migranti. Una volta giunti nei pressi delle recinzioni, in un’area pubblica e priva di divieti, sono stati fermati e allontanati dall’Esercito. A darne notizia è Radicali Italiani. “Da settimane chiediamo formalmente di entrare nell’hotspot, come già facciamo regolarmente nelle carceri italiane – dichiara Blengino –. Ma il Ministero dell’Interno e la Prefettura hanno scelto la via del silenzio e dell’opacità. Così abbiamo deciso di andare lo stesso: ci siamo avvicinati alle recinzioni per ascoltare direttamente chi vive dietro quel filo spinato. Volevamo solo vedere, sentire, testimoniare. L’intervento immediato dell’Esercito, che ci ha identificati e allontanati, è la prova che lo Stato ha qualcosa da nascondere. Abbiamo rispettato la legge e ci siamo allontanati – conclude Blengino –. Ma chi continua a violarla è lo Stato stesso, che da anni sospende diritti e legalità nei CPR e negli hotspot. Si recludono persone che non hanno commesso alcun reato, in condizioni disumane, nel silenzio e nell’ombra, per paura di perdere consenso. Nel Paese dei CPR, chi chiede trasparenza viene trattato da sovversivo”. Francesco Rosati Responsabile stampa Radicali Italiani ufficiostampa@radicali.org +39 339 526 0002 Redazione Italia
La solidarietà non dorme
Handala All’alba di oggi, una decina di droni di nazionalità sconosciuta hanno sorvolato la nave Handala, durante il suo viaggio verso Gaza. La nave si trova ancora in acque internazionali. Secondo le prime impressioni dell’equipaggio, si tratti di voli di ricognizione e spionaggio israeliani. Il collega Antonio Mazzeo ha lanciato un appello, da bordo della nave solidale, all’università di Messina, affinché rompa i rapporti di collaborazione con Israele e con le università israeliane implicate nelle ricerche militari. Qui il Video    Gaza muore di fame: disertiamo il silenzio Il Comune di Bologna, come decine di altre città italiane, aderisce alla campagna nazionale “Gaza muore di fame: disertiamo il silenzio”. La mobilitazione “vuole sensibilizzare sulla gravissima situazione palestinese, dove la popolazione civile continua ad essere vittima di attacchi quotidiani e non ha accesso ad acqua e cibo, e sul ruolo dei governi nazionali e dell’Unione europea”. Domenica 27 luglio, alle 22, in piazza Lucio Dalla risuonerà l'”Esercitazione d’immedesimazione”, l’azione artistica di Alessandro Bergonzoni che consiste nella riproduzione di una sirena antiaerea, per immedesimarsi con Gaza e i conflitti in atto. Interverrà Giorgio Monti, medico di Emergency, per una testimonianza diretta sulla sua esperienza a Gaza. “Invitiamo le cittadine e i cittadini bolognesi ad aderire a questa iniziativa, a fare rumore nelle piazze, sui balconi e alle finestre – spiegano il sindaco Matteo Lepore e l’assessore Daniele Ara -, per farci sentire idealmente fino a Gaza, perché la popolazione palestinese sappia di non essere sola”.   Solidarietà Internazionale Il presidente della Colombia Gustavo Petro ha ordinato alla marina militare di fermare tutte le navi merci dirette in Israele, dopo che una imbarcazione carica di carbone è salpata giovedì da Ciénaga, nel mar dei Caraibi, violando il divieto di esportazione imposto dal governo ad agosto 2024. “Non uscirà una sola tonnellata di carbone per Israele. Me ne assumo la responsabilità. La Colombia non sarà complice di un genocidio”, ha dichiarato Petro. Il capo dello stato ha denunciato che l’uscita della nave rappresenta un affronto diretto alla sua amministrazione e ha chiesto un incontro urgente tra il ministro del Lavoro e i sindacati del settore per affrontare il caso. Pochi giorni fa, Petro aveva accusato due multinazionali di aver violato le restrizioni. Il blocco dell’export di carbone rientra nella strategia di Bogotà per esercitare pressione diplomatica su Tel Aviv a causa del genocidio in atto. Israele è uno dei principali importatori di carbone colombiano, utilizzato per la produzione di energia elettrica.   Scuola Il preside del Liceo Ferraris di Taranto ha pubblicato una circolare che scuote le coscienze: il preside denuncia il genocidio a Gaza, richiama la storia e lancia agli studenti un appello contro la disuguaglianza e per i diritti umani. Il dirigente scolastico, Marco Dalbosco, ha indirizzato il suo messaggio a tutta la comunità scolastica sollevando interrogativi profondi sulla drammatica aggressione israeliana contro la popolazione di Gaza. Il documento, distribuito tramite i canali istituzionali del Liceo, pone al centro la questione della “cultura della disuguaglianza radicale” come matrice del genocidio. Nella riflessione del preside, la guerra assume i contorni della “più nefanda delle condizioni umane”, e il valore delle vittime, in particolare quelle civili palestinesi, viene sottolineato come questione di giustizia sociale e consapevolezza storica. Il dirigente scolastico chiama in causa, tra gli esempi più eclatanti della storia, gli eccidi subiti da armeni, cambogiani, ruandesi, indigeni delle Americhe e popoli dell’Africa, sottolineando come il fenomeno sia stato purtroppo ricorrente nei secoli. Nella parte finale della comunicazione, il dirigente invita docenti, studenti e genitori a non restare indifferenti davanti alla sofferenza di Gaza e, più in generale, a qualsiasi manifestazione di odio e razzismo. Viene chiesto con forza alla scuola di continuare a promuovere l’educazione all’uguaglianza sostanziale, individuata come antidoto essenziale contro il dilagare di derive disumanizzanti.   Sciopero della fame a staffetta contro il genocidio L’iniziativa lanciata da Anbamed è entrata nel terzo mese. Oggi, sabato 26 luglio, prosegue per la 72a giornata l’azione nonviolenta di sciopero della fame per 24 ore a staffetta. La solidarietà non dorme. Si mobilita anche in tempo di vacanze.  Continueremo la campagna di sciopero della fame 24H a staffetta fino alla fine definitiva della guerra contro la popolazione di Gaza. L’azione continuerà nei prossimi giorni con la partecipazione di altri gruppi. Gli iscritti sono tantissimi e, secondo le disponibilità espresse, costruiremo il calendario con l’elenco dei partecipanti di tantissime città italiane, europee e arabe.  anbamedaps@gmail.com    ANBAMED
Un appello per i profughi afghani espulsi dall’Iran
Riceviamo e volentieri diffondiamo È in corso un’ondata di deportazioni forzate e disumane di migranti afghani dall’Iran. Migliaia di famiglie vengono espulse con violenza, costrette a lasciare in Iran i propri averi, e, una volta varcata la frontiera, padri e figli vengono portati in prigione senza alcun contatto o informazione, mentre madri e bambini vengono abbandonati sotto il sole cocente, senza protezione. Sono esposti a un caldo estremo, senza accesso ad acqua potabile, cibo o riparo. I bambini si ammalano di disidratazione, diarrea e spossatezza. Sia HAWCA – Humanitarian Assistance for Women and Children of Afghanistan (Associazione Umanitaria per l’Assistenza alle Donne e ai Bambini dell’Afghanistan) che OPAWC – Organization Promoting Afghan Women’s Capabilities (Organizzazione per la promozione delle abilità delle donne afghane) si stanno impegnando a sostenere queste famiglie e chiedono il nostro aiuto per fornire: cibo, acqua pulita e prodotti per l’igiene. La situazione sta rapidamente peggiorando ed è diventata un’emergenza su vasta scala, si sta ripetendo quanto già avvenuto con le espulsioni dal Pakistan. L’agenzia dell’ONU per le migrazioni stima che a giugno oltre 250.000 persone, tra cui migliaia di donne sole, siano tornate in Afghanistan dall’Iran. Condividiamo l’appello inviatoci dalle associazioni che sosteniamo e vi chiediamo uno sforzo per poter raccogliere fondi che, come CISDA, ci impegniamo a far arrivare in Afghanistan. Con il vostro aiuto riusciremo a trovare il modo di aiutare queste associazioni che da sempre si prodigano per la popolazione afghana e poterle sostenere anche in questa occasione. Cisda, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane L’IBAN del CISDA è: IT74Y0501801600000011136660 Causale: “Emergenza deportati afghani Iran”. Redazione Italia