Tag - Migranti

Sgomberi e morte di persone migranti: uno scandalo che non scandalizza
I fatti del 3 dicembre 2025 (ennesimo sgombero dei magazzini di Porto vecchio che stavolta ha interessato 150 persone migranti/transitanti e richiedenti asilo, e morte di Hichem Billal Magoura, cittadino algerino di 32 anni) mettono la città dinanzi a un nodo tragico. Lo sgombero è stata l’ulteriore dimostrazione di come, confrontate a problemi strutturali, le istituzioni reagiscono rispondendo ad altri criteri, e cioè a urgenze mediatiche di bassissimo profilo, da loro stesse create ad arte. Senza umanità, senza visione politica. Nel pomeriggio, poi, è stato trovato il corpo senza vita di un giovane algerino, Hichem Billal Magoura, in uno dei locali di Porto vecchio. Questa morte, per freddo e per le situazione spaventosa in cui le persone migranti vivono, segue quella di due pakistani in un caseggiato abbandonato tra i campi di Beivars (vicino a Udine) e quella di un richiedente asilo afghano (a Pordenone), tutti e tre uccisi dalle esalazioni di monossido di carbonio mentre tentavano di proteggersi dal gelo di questo già terribile autunno. Sono vittime annunciate di sciagurate politiche di accoglienza e di campagne xenofobe. Se la città e le sue istituzioni volessero ritrovare dignità, dovrebbero da subito attuare politiche diverse, sulla base del rispetto dei più elementari diritti dell’essere umano, calpestati con accanimento anche nella nostra città e nella nostra Regione. Gianluca Paciucci PRC – Trieste Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Seán Binder rischia vent’anni di carcere per aver salvato vite
È possibile rischiare vent’anni di carcere per aver aiutato delle persone a non morire in mare? È quello che sta accadendo a Seán Binder, 31enne tedesco cresciuto in Irlanda, esperto di soccorso subacqueo. Tutto inizia nel 2018 a Lesbo, in Grecia, quando viene arrestato dalla polizia insieme alla rifugiata siriana Sarah Mardini e accusato di vari reati, alcuni dei quali molto gravi. Passa 106 giorni in carcere fino al dicembre 2018, quando esce su cauzione. Da allora si apre per lui un percorso fatto di indagini, perquisizioni, informazioni parziali quando non del tutto assenti. Le accuse legate a reati minori – falsificazione, spionaggio, uso illegale delle frequenze radio – vengono annullate nel gennaio 2023 per vizi procedurali, ossia la mancata traduzione degli atti. L’impianto accusatorio connesso ai reati più gravi è ancora in piedi. Il processo si apre il 4 dicembre. Seán deve difendersi dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, appartenenza a un’organizzazione criminale e riciclaggio e rischia fino a 20 anni di carcere. Oggi Seán vive a Londra e insieme a Valeria Solarino siamo andati a trovarlo per farci raccontare la sua storia. Valeria Solarino ha curato la regia del video; le riprese e il montaggio sono di Anna Coccoli e le musiche sono a cura dei Mokadelic. “Se vedi qualcuno annegare, lo aiuti” Seán Binder ha scelto di andare in Grecia nel 2016, quando aveva 23 anni. Di fronte ai blocchi, ai respingimenti, all’indifferenza dell’Europa nei confronti delle persone migranti e richiedenti asilo che perdevano la vita in mare, ha pensato che quell’Europa non lo rappresentava ed è andato a Lesbo per attivarsi con una Ong locale. Il caso di Seán rientra in una dinamica di criminalizzazione della migrazione e di chi opera in solidarietà con le persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate. Un approccio che si ritrova trasversalmente in tutta Europa e che, attraverso un uso distorto della normativa, colpisce singoli individui e Ong. Chi opera in solidarietà verso altre persone è in realtà un difensore dei diritti umani e, come sancito dall’omonimo Protocollo delle Nazioni Unite, il suo lavoro deve essere tutelato, non ostacolato. Siamo al fianco di Seán Binder e di tutte le persone criminalizzate solo per aver aiutato altri esseri umani. La solidarietà non è reato! Fai sentire la tua vicinanza a Seán, mandagli un messaggio e noi glielo consegneremo di persona. Cosa dice il diritto internazionale La lotta al traffico di esseri umani, su cui generalmente si basano i processi di criminalizzazione della solidarietà, dovrebbe al contrario incardinarsi nella creazione di percorsi di accesso regolari e sicuri, che tutelino i diritti delle persone in fuga. Le norme adottate dall’Unione Europea nel 2002 con l’obiettivo dichiarato di reprimere il traffico di esseri umani armonizzando la legislazione degli Stati membri in questo ambito – note come “pacchetto facilitatori” – e su cui attualmente sono in fase di negoziazione alcune proposte di riforma, devono essere in linea con il diritto internazionale: secondo il Protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani, perché una condotta possa essere soggetta a criminalizzazione deve esserci l’intenzione “di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico o materiale di altro genere” (articolo 6). Il riferimento esplicito alla necessità che vi sia l’elemento del profitto affinché una persona possa essere perseguita penalmente è volto a tutelare le persone migranti, i loro familiari, le Ong e i difensori dei diritti, riconoscendo inoltre che l’attraversamento irregolare delle frontiere è spesso l’unica possibilità per le persone in pericolo. L’attuale quadro normativo europeo e dei Paesi membri ha invece consentito la criminalizzazione e il perseguimento penale di chi agisce in solidarietà. Approfondisci il nostro lavoro sul tema.   Amnesty International
Rapporto di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione USA Alligator Alcatraz e Krome
Il 4 dicembre 2025 Amnesty International ha diffuso un rapporto sui trattamenti crudeli, inumani e degradanti all’interno di due centri di detenzione per persone migranti della Florida, Usa: l’Everglades Detention Facility (noto come “Alligator Alcatraz”) e il Krome North Service Processing Center. Il rapporto, basato su una missione di ricerca svolta nel settembre 2025, denuncia violazioni dei diritti umani di tale gravità da costituire in alcuni casi tortura, in un contesto di crescente ostilità nei confronti delle persone migranti che vede l’amministrazione del governatore Ron DeSantis ricorrere sempre più alla criminalizzazione e agli arresti di massa di persone in cerca di salvezza. “Le nostre conclusioni confermano l’esistenza di un intenzionale sistema di punizione, disumanizzazione e occultamento della sofferenza delle persone detenute. Le politiche sull’immigrazione non possono operare al di fuori della legge o sentirsi esonerate dal rispetto dei diritti umani. Quello a cui stiamo assistendo in Florida dovrebbe allarmare l’intera regione americana”, ha dichiarato Ana Piquer, direttrice di Amnesty International per le Americhe.  “Alligator Alcatraz”: un disastro per i diritti umani prodotto dallo Stato della Florida Dalla ricerca di Amnesty International è emerso che le persone detenute arbitrariamente ad “Alligator Alcatraz” vivono in condizioni inumane e insalubri: gabinetti traboccanti con feci che invadono i dormitori, accesso limitato alle docce, esposizione a insetti senza prodotti o sistemi di protezione, luci accese 24 ore al giorno, scarsa qualità del cibo e dell’acqua e mancanza di riservatezza con telecamere collocate persino sopra i gabinetti. Le persone intervistate hanno concordemente dichiarato che l’accesso alle cure mediche è incostante, inadeguato o del tutto negato con conseguenti gravi rischi per la salute fisica e mentale. Anche all’aperto sono sempre coi ceppi. C’è poi la cosiddetta “scatola”, una gabbia di due metri per due usata come luogo di punizione, dove si resta a volte per ore, esposti agli elementi atmosferici, praticamente senza acqua e con mani e piedi bloccati ai ceppi fissati sul pavimento. “Alligator Alcatraz” non è supervisionata a livello federale e mancano i sistemi di tracciamento usati nelle strutture gestite dall’Ice (Immigration and Customs Enforcement), l’agenzia federale per l’immigrazione). L’assenza di meccanismi di registrazione o tracciamento favorisce la detenzione senza contatti col mondo esterno e costituisce una forma di sparizione forzata nella misura in cui i familiari delle persone detenute non hanno informazioni o queste ultime non possono contattare i loro avvocati. “Le spregevoli e nauseanti condizioni di ‘Alligator Alcatraz’ fanno parte di un sistema di intenzionale diniego dei diritti, congegnato per disumanizzare e punire le persone detenute. È una situazione irreale: dov’è la supervisione su tutto ciò?”, ha affermato Amy Fischer, direttrice del programma Diritti delle persone migranti e rifugiate di Amnesty International Usa. Krome: un luogo sovraffollato, caotico e pericoloso Krome è un centro di detenzione che fa capo all’Ice, diretto da un’agenzia privata for-profit. Nonostante sia dotato di servizi medici, le persone detenute hanno denunciato gravi negligenze, come la mancata fornitura di medicinali e l’assenza di valutazioni diagnostiche. La ricerca di Amnesty International ha confermato precedenti denunce di violazioni dei diritti umani: sovraffollamento, isolamento arbitrario e per lunghi periodi di tempo, mancanza di assistenza medica, gabinetti traboccanti, assenza di docce, illuminazione costante e sistema d’aria condizionata non funzionante. Le persone detenute hanno riferito episodi di violenza e maltrattamenti da parte degli agenti penitenziari. Il personale di Amnesty International ha visto uno di loro colpire con la parte metallica di una porta di una cella d’isolamento la mano ferita di un detenuto. Sono stati denunciati anche casi di persone detenute picchiate e prese a pugni. È stata segnalata poi la difficoltà nell’accedere ai servizi di assistenza legale: le persone non sapevano per quanto tempo sarebbero rimaste all’interno della struttura, né cosa sarebbe loro accaduto in seguito. “L’estremo sovraffollamento, il diniego di assistenza medica e le denunce di trattamenti umilianti e degradanti costituiscono un quadro di orrende violazioni dei diritti umani a Krome”, ha commentato Fischer. “Ogni persona che si trovi in un centro di detenzione sta soffrendo”: la gestione dell’immigrazione e la detenzione in Florida Nel febbraio 2025 lo Stato della Florida ha emanato leggi durissime e discriminatorie che mettono in grave pericolo le comunità migranti. La modifica degli accordi 287 (g), che affidano alle agenzie locali per il mantenimento dell’ordine pubblico l’applicazione delle leggi federali in materia d’immigrazione, ha fatto sì che persone venissero arrestate per sbaglio, ha introdotto la profilazione razziale e ha diffuso una paura di massa tale da far sì che le persone migranti non frequentassero più le scuole, gli ospedali e luoghi dove poter ricevere servizi essenziali. La Florida è diventata un luogo dove si sperimentano politiche in materia d’immigrazione che violano i diritti umani, strettamente allineate con l’agenda razzista e anti-immigrazione dell’amministrazione Trump. Sotto il mandato del governatore Ron DeSantis, lo Stato della Florida ha intensificato la criminalizzazione delle persone migranti e ha fatto uso di poteri d’emergenza per aumentare rapidamente il numero degli arresti. Dal gennaio 2025 il numero delle persone detenute nei centri per persone migranti è aumentato di oltre il 50%. Solo tra luglio e agosto 2025, lo Stato ha concluso 34 contratti senza gara per “Alligator Alcatraz”, per un valore di oltre 360 milioni di dollari. Il costo annuo di questa struttura è calcolato in 450 milioni di dollari. Contemporaneamente, vengono tagliati milioni di dollari destinati a cure mediche essenziali, sicurezza alimentare, servizi di emergenza e programmi abitativi. “La scelta di dare priorità alla punizione, alla disumanizzazione e alla crudeltà rispetto ai servizi pubblici è miope e agghiacciante”, ha sottolineato Fischer. I centri di detenzione statunitensi per le persone migranti vantano una triste storia di violazioni dei diritti umani. Il presidente Trump ne ha aumentato l’uso di quasi il 70% dall’inizio del suo mandato e le condizioni al loro interno sono rapidamente peggiorate. Delle almeno 24 morti di persone migranti verificatesi dall’ottobre 2024 all’interno dei centri diretti dall’Ice, sei sono avvenute in quelli della Florida, quattro delle quali a Krome. Raccomandazioni Amnesty International chiede al governo dello Stato della Florida e all’amministrazione Usa di porre rimedio alle violazioni sistemiche dei diritti umani all’interno dei centri di detenzione per persone migranti. L’organizzazione chiede alle autorità della Florida di chiudere “Alligator Alcatraz” e di vietare l’uso di qualsiasi centro di detenzione gestito a livello statale. Dev’essere posta fine ai poteri di emergenza e alle assegnazioni di contratti senza gara. I fondi devono essere destinati alle cure mediche essenziali, ai programmi abitativi e a quelli di soccorso a seguito di disastri. Altre raccomandazioni comprendono: vietare l’uso dei ceppi, l’isolamento solitario e il confinamento durante l’ora d’aria; garantire accesso in condizioni di riservatezza all’assistenza legale e ai servizi d’interpretariato; condurre indagini trasparenti e indipendenti sulle denunce di tortura e di diniego di cure mediche e istituire un sistema di supervisione efficace e indipendente su tutti i centri di detenzione. Al governo federale, Amnesty International chiede di porre fine al suo crudele sistema di detenzione di massa delle persone migranti, alla criminalizzazione dell’immigrazione e all’uso di centri di detenzione statali per applicare le norme federali in materia d’immigrazione; di condurre indagini approfondite su tutte le morti nonché sulle denunce di tortura e di altre violazioni dei diritti umani e rispettare le norme internazionali sui diritti umani; di intraprendere una revisione complessiva sui contratti dell’Ice con agenzie statali e private, al fine di garantire il rispetto dei diritti umani; di ripristinare la protezione per “luoghi sensibili” come scuole, ospedali e chiese e di aumentare i fondi federali per rafforzare l’assistenza legale e i servizi d’interpretariato durante i procedimenti riguardanti l’immigrazione. “Le condizioni che abbiamo documentato ad ‘Alligator Alcatraz’ e a Krone non sono isolate, ma rappresentano un deliberato sistema di crudeltà inteso a punire le persone che cercano di rifarsi una vita negli Usa. Occorre cessare di arrestare le persone appartenenti alle nostre comunità migranti e in cerca di salvezza e agire, invece, per realizzare politiche in materia d’immigrazione umane e rispettose dei diritti”, ha concluso Fischer.   Amnesty International
Sgombero in Porto Vecchio: almeno 40 persone escluse, nessun coinvolgimento delle organizzazioni umanitarie
Questa mattina è stata eseguita l’ennesima operazione di sgombero in alcuni magazzini del Porto Vecchio di Trieste: circa 150 persone migranti e richiedenti asilo – molte delle quali abbandonate in strada da settimane, e che in quei magazzini avevano trovato un riparo di fortuna – sono state messe in fila, identificate e trasferite. È evidente che si tratta di una misura-spot, priva di una strategia strutturale: lo sgombero non risolve affatto il problema poiché, come abbiamo già denunciato molte volte in passato, le persone richiedenti asilo e in transito che da domani arriveranno in città si troveranno nella medesima situazione. Il trasferimento è avvenuto senza alcun coinvolgimento delle organizzazioni che sul territorio si occupano di accoglienza e supporto, né dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): un’esclusione che conferma come la gestione della crisi migratoria a Trieste segua logiche emergenziali, securitarie e dettate da urgenze mediatiche. Logiche che, ancora una volta, nulla hanno a che vedere con la salvaguardia dei diritti delle persone più vulnerabili. Il problema, creato artificialmente dalle istituzioni, non viene quindi risolto e si ripresenterà nei prossimi mesi, con una responsabilità politica sempre più pesante. Ma l’aspetto più grave è l’esclusione arbitraria di decine di persone – almeno quaranta, secondo le nostre stime – lasciate fuori dall’operazione solo perché, nel momento del trasferimento, non si trovavano nei magazzini interessati. Nessuno le aveva informate dell’intervento, nessuna istituzione ha tentato di raggiungerle: una conseguenza diretta del mancato coinvolgimento di chi lavora sul territorio e che avrà pesanti conseguenze sulla vita delle persone più vulnerabili. ICS – Consorzio Italiano di Solidarietà Redazione Friuli Venezia Giulia
Il mondo di Castel Volturno
-------------------------------------------------------------------------------- Un laboratorio presso la Casa del bambino, “centro educativo che costruisce la comunità nel territorio”, promosso dall’associazione Black&White dei missionari a Castel Volturno -------------------------------------------------------------------------------- Il treno regionale con provenienza Napoli Centrale e diretto a Roma Termini arriva puntuale nella stazione di Villa Literno. Non ricordavo che, il 25 agosto del 1989, in questa cittadina fu ucciso Jerry Essan Masslo, richiedente asilo e raccoglitore di pomodori. La sera prima Jerry, fuggito dall’aparteid in Sudafrica, dormiva con altri 28 migranti in un capannone. Aveva denunciato le condizioni di sfruttamento di cui erano oggetto i lavoratori migranti della zona. Un gruppo di quattro persone, coi volti coperti, fece irruzione con armi e spranghe esigendo i salari che erano stati distribuiti. Il rifiuto di sottostare alla domanda gli costò la vita. Poco dopo l’assassinio ebbe luogo a Roma la prima grande manifestazione antirazzista in Italia con la partecipazione di circa 200 mila persone. Per Jerry furono tributati i funerali di Stato perché più volte era stato uccisa la sua dignità. A Roma Termini si annuncia invece che il treno Intercity con destinazione Torino Porta Nuova arriverà in ritardo. A Castel Volturno, ospite per qualche giorno dei compagni di viaggio missionari comboniani, fu il 18 settembre del 2008 che vennero attaccati e uccisi sei migranti e ferito gravemente un settimo. Tutti di origine dell’Africa subsahariana e in particolare del Ghana, componevano la ricca varietà di migranti che caratterizza a tutt’oggi il paesaggio del tutto particolare di Castel Volturno. Il giorno dopo il massacro circa duecento migranti organizzano un corteo di solidarietà e bloccano per alcune ore la via Domiziana. Le indagini, facilitate dalla testimonianza dell’unico superstite, condussero all’arresto, al processo e, per la prima volta nel Paese, ad una condanna definitiva per una strage di camorra che riconosce l’aggravante di razzismo. Nel luogo stesso della sparatoria si trova come monumento due semplici ferri intrecciati a simbolo delle storie migranti che si “incrociano” ancora oggi. Sono otto le zone nelle quali è stato suddiviso Castel Volturno e colpisce, allo sguardo del viaggiatore di pochi giorni, la straordinaria differenza tra di esse. La parte turistica, abbiente e caratterizzata da molto cemento in poco spazio a quelle dove il degrado ambientale facilita anche quello umano. Centinaia di case abbandonate, fatiscenti, vuote o abitate, saltuariamente o con regolarità, da migranti, richiedenti asilo o stranieri senza un’identità affermata. Alcune case sono chiamate connection houses e diventano luoghi di incontro, scambio, convivialità e piacere prezzolato per chi cerca di ricostruire il pezzo d’Africa abbandonato per cercare fortuna altrove. C’è la violenza dello sfruttamento, l’economia sommersa del lavoro sottopagato e la mano non troppo invisibile della camorra. In alcune strade di periferia si possono osservare signore offerte come mercanzia per clienti occasionali. Il treno è annunciato in crescente ritardo. Non ricordavo affatto che la grande Miriam Makeba, militante e cantante originaria del Suadafrica era morta proprio a Castel Volturno. Ormai provata da un salute malferma si dedicò a un giro mondiale di addio allo spettacolo, cantando in tutti i Paesi che aveva visitato nella sua lunga carriera. Makeba morì la notte del 9 novembre del 2008, lo stesso anno e luogo dove erano stati uccisi i migranti di cui sopra. Fu a causa di una crisi cardiaca presso la clinica Pineta Grande di Castel Volturno durante il concerto che aveva confermato malgrado i forti dolori al petto che l’avevano accompagnata. Nel luogo del decesso è stata posta una targa metallica col suo nome e il titolo col quale era conosciuta e amata. Mama Africa e Miraiam Makeba si confondono nello stesso volto con la forma dell’Africa che arriva per tentare di liberare il continente che l’ha resa schiava. Intanto si informano i signori viaggiatori che l’Intercity arriverà in ritardo a destinazione. -------------------------------------------------------------------------------- [Articolo pubblicato su I blog del Fatto Quotidiano, qui con l’autorizzazione dell’autore] -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Il mondo di Castel Volturno proviene da Comune-info.
Nel mare di mezzo. Legami mediterranei: conferenza euro-mediterranea per la pace, Cagliari 5-7 dicembre
Si è tenuta ieri mattina la conferenza stampa di presentazione di “Nel mare di mezzo – legami mediterranei” – Conferenza Euro-mediterranea per la pace, promossa da Arci Sardegna in collaborazione con Arci nazionale su fondi dell’assessorato ai Beni Culturali della Regione Sardegna. Dalla pagina facebook “Ilaria Pottas Assessora”, riportiamo le parole di dell’assessora ai Beni Culturali: «Un fine settimana di scambi, discussioni e riflessioni sul grande tema della pace. Si parlerà di Palestina e servitù militari, di come sia possibile costruire un’economia di pace, di migrazioni, esodi e abbandoni, di autoritarismo e di lotte per la democrazia, di giovani e conflitti, nazionalismi e transizioni. Al centro ci sarà il Mediterraneo. La parola pace ha davvero tanti significati. Oggi più che mai, con il mondo che sembra una pentola a pressione pronta a esplodere, ha ripreso una grande centralità nel dibattito nazionale e mondiale, e una importanza sostanziale perché forse l’abbiamo data troppo per scontata. Lavoriamo, soprattutto attraverso la scuola, l’educazione e la cultura a diffondere e radicare la filosofia e il pensiero della pace, della non violenza, della bellezza della convivenza nella diversità. Dobbiamo farlo soprattutto con le giovani generazioni che sono il futuro dell’umanità». Dal sito dell’Arci*, il programma completo della tre giorni che si svolgerà a Cagliari, ex-Manifattura Tabacchi, 5-7 dicembre. Con attivisti e attiviste sociali delle due sponde del Mediterraneo, accademici, esperti e rappresentanti delle istituzioni. Mentre il nostro mare è in tempesta, rinsaldiamo legami di collaborazione e impegno comune. Per fermare guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo, diseguaglianza, razzismo. VENERDÌ 5 DICEMBRE Ore 15:30 Apertura della Conferenza e saluti istituzionali Alessandra Todde – Presidentessa Regione Autonoma Sardegna Massimo Zedda – Sindaco di Cagliari Piero Comandini – Presidente Consiglio Regionale Sardegna Walter Massa – Presidente nazionale Arci Ore 17:00 Panel Palestina Coordina: Silvia Stilli – direttrice ARCS – Culture Solidali Intervengono: Husam Hamdouna – direttore di REC Remedial Education Center di Gaza, Palestina Francesco Strazzari – Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa Luisa Morgantini – portavoce Assopace Palestina Tina Marinari – coordinatrice campagne Amnesty International Italia Ore 21:30 Proiezione del film “The Brink of Dreams” di Ayman El Amir e Nada Riyadh Egitto – Francia – Danimarca – Qatar – Arabia Saudita 2024, 102’ Incontro con il regista Ayman El Amir. Modera Francesco Giai Via Dove: Notorious Cinemas Cagliari – Piazza Unione Sarda, Via Santa Gilla, 18 The Brink of Dreams racconta la vicenda di un villaggio del sud dell’Egitto, dove un gruppo di giovani ragazze si ribella formando una compagnia di teatro di strada. Sognando di diventare attrici, ballerine e cantanti, sfidano le loro famiglie copte e i residenti locali con le loro audaci esibizioni. Vincitore dell’ Œil d’Or – Miglior Documentario alla Semaine de la Critique di Cannes e del Golden Eye Award. Promossa da Fondazione Umanitaria Sardegna in collaborazione con Ucca con fondi L.R. 8 maggio 2025, n.12, art.3, comma 11 -------------------------------------------------------------------------------- SABATO 6 DICEMBRE Ore 9:30 lectio magistralis “Il Mediterraneo che ci interroga” Iain Chambers – Antropologo, sociologo, esperto di studi culturali, scrittore Ore 10:30 Panel sul Nuovo Patto per il Mediterraneo Coordina: Luca Gervasoni – Direttore di NOVACT Barcellona, organizzatore Unsilence Forum Intervengono: Kamel Jendoubi – Presidente onorario di Euromed Rights, Tunisia Marie-Christine Vergiat – Responsabile integrazione di genere di Euromed Rights, Francia Ore 11:30 panel su riarmo e militarizzazione Coordina: Raffaella Bolini – Stop Rearm Europe Intervengono: Giulio Marcon – portavoce Sbilanciamoci Francesco Vignarca – coordinatore Rete Italiana Pace e Disarmo Ore 12:30 panel su autoritarismo e lotte per la democrazia Coordina: Gianluca Mengozzi – presidente Arcs Intervengono: Munia Ben Jemia- Presidente di Euromed Rights, Tunisia Carlo Testini – Forum Sociale dell’Abitare Ore 15.00 panel su migrazioni, esodi, abbandoni Coordina: Giorgia Jana Pintus – Ufficio immigrazione Arci Intervengono: Matteo Bracciali – Vicepresidente Federazione Acli Internazionali Gianfranco Bottazzi – Università di Cagliari e Istituto Gramsci della Sardegna Filippo Miraglia – Responsabile immigrazione Arci Ore 16:00 panel su conflitti, nazionalismi, transizioni Intervengono: Maya Alrahabi – Direttrice esecutiva di Musawa, centro di studi femministi, Siria Gulistan Issa – Operatrice umanitaria nelle aree colpite dal conflitto in Nord Est Siria Feray Salman – Coordinatrice Human Rights Joint Platform, Turchia Ore 17:00 panel su enti locali e Università: le buone pratiche Coordina: Nicola Manca – Esperto di cooperazione internazionale Intervengono: Nicola Melis – Università di Cagliari Giuseppe Mascia – Sindaco di Sassari Massimo Zedda – Sindaco di Cagliari Marcello Scalisi – Direttore UNIMED Ore 18:00 panel su economia di pace Coordina: Franco Uda – Presidente Arci Nord Sardegna Intervengono: Mons. Giuseppe Baturi – Arcivescovo Cagliari Carlo Cefaloni – Movimento Focolari Fausto Durante – Segretario Regionale CGIL Ore 21:00 incontro autogestito dei/delle partecipanti giovani Ore 21:30 Proiezione del film “War is over” di Stefano Obino Germania 2021, 73’ Incontro con il regista Stefano Obino. Modera Alice Sagrati (Ucca) Notorious Cinemas Cagliari – Piazza Unione Sarda, Via Santa Gilla, 18 Kurdistan Iracheno. 2018. Cosa succede nelle zone di guerra dopo che le luci si spengono? Dove vanno i loro bambini? L’ultima guerra contro l’Isis ha lasciato 1,6 milioni di persone in difficoltà. La metà di loro ha meno di 18 anni. Gli elementi disordinati di una sindrome da stress post-traumatico richiedono di allontanarsi dalle tragedie della guerra. È un’euforia frenetica, esplosiva e totalmente inaspettata, la lotta per trovare finalmente una vita normale fatta di cose semplici. War is Over è una testimonianza della resilienza dello spirito umano e delle sue speranze durature. Presentato ad Alice nella Città 2021, in concorso nella sezione Panorama Italia. Promossa da Fondazione Umanitaria Sardegna in collaborazione con Ucca con fondi L.R. 8 maggio 2025, n.12, art.3, comma 11 -------------------------------------------------------------------------------- DOMENICA 7 DICEMBRE Ore 10:00 panel su giovane generazione attivista Coordinano: Andrea Contu – Presidente Arci Sud Sardegna e Virginia Sarotto – Attivista e cooperante Arcs in Libano Intervengono: Mohammed Katbeh – Associazione Peace Makers, Siria Mila Jovanovic – Studentessa, attivista politica, Serbia Cristina Chessa – Studentessa, “Dichiarazione dei giovani per la pace nel Mediterraneo” Chiara Mallus – Associazione Arci Memoratu Alessandro Campus – Associazione Arci Rizes Ore 11:30 proposte e impegni per il futuro Aldo Dessì – Presidente Arci Sardegna Ilaria Portas – Assessora pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport Regione Sardegna Ore 12:00 sessione conclusiva della Conferenza Piero Comandini – Presidente Consiglio Regionale Sardegna Walter Massa – Presidente nazionale Arci Alessandra Todde – Presidentessa Regione Autonoma Sardegna La partecipazione è aperta. Per iscriversi: https://forms.gle/aPWHd8EKWqEFCPCN8 -------------------------------------------------------------------------------- Organizzato da Arci con il sostegno della Regione Autònoma de Sardigna / Regione autonoma della Sardegna  – Assessoradu de s’istrutzione pùblica, benes culturales, informatzione, ispetàculu e isport / Assessorato della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport (con fondi L. R. 8.5.2025 n. 12 art. 14 c2). * > Nel mare di mezzo. Legami mediterranei Redazione Sardigna
“Capire le migrazioni internazionali”: parte la terza edizione
Si è svolta stamattina presso la Sala Paolo Alessi del Circolo della stampa di Trieste, con la presenza di Gianfranco Schiavone (presidente ICS) e della giornalista Fabiana Martini, la conferenza stampa di presentazione della terza edizione del ciclo formativo “Capire le migrazioni internazionali”. Il percorso anche quest’anno offrirà a operatori sociali, professionisti dell’informazione, realtà del mondo giuridico e cittadini un’occasione di approfondimento su temi di grande attualità legati ai movimenti migratori e alla protezione dei rifugiati. L’iniziativa prende avvio dal contesto triestino, punto di osservazione privilegiato lungo la rotta balcanica, e amplia lo sguardo alle dinamiche europee e internazionali. Il primo appuntamento, “Spostare altrove. Dal protocollo Italia-Albania all’esternalizzazione delle politiche migratorie in Europa”, analizzerà le proposte orientate a trasferire al di fuori dell’Unione Europea le procedure d’asilo e le fasi di detenzione pre-rimpatrio. Un tema riacceso dall’intesa Italia-Albania, che ha sollevato perplessità da parte di giuristi e organizzazioni internazionali. Interverranno Francesco Ferri (Action Aid) e Gianfranco Schiavone (ICS). Il secondo incontro, “Trieste e i migranti e rifugiati”, si concentrerà sulle esperienze locali: dall’accoglienza diffusa, riconosciuta a livello nazionale, alle criticità che caratterizzano gli arrivi lungo la rotta balcanica. Partecipano Roberta Altin (Università di Trieste) e le operatrici Maddalena Avon e Marta Pacor. Il terzo appuntamento, “La linea del confine: il ritorno dei muri e dei confini in Europa”, approfondirà l’uso sempre più diffuso di barriere fisiche e tecnologiche alle frontiere europee e le conseguenze di queste politiche sulla sicurezza, sull’economia e sui diritti umani. Interverranno Fabio Chiusi, giornalista e autore del libro La fortezza automatica, e Caterina Bove, avvocata ASGI. Il quarto incontro, “Pluralità, convivenza e governance”, affronterà i temi legati alla diversità culturale, religiosa e identitaria. Il sociologo Stefano Allievi analizzerà gli strumenti necessari per governare questa complessità in modo informato e lungimirante. Il quinto appuntamento, “Accogliere o isolare e rinchiudere?”, proporrà una riflessione sul confine sottile che separa le politiche di accoglienza da quelle di segregazione nelle istituzioni totali. Interverranno Michele Rossi (CIAC Parma) e Peppe Dell’Acqua (Forum Salute Mentale), con un richiamo alla storia triestina del superamento dei manicomi e al simbolico viaggio di Marco Cavallo nei CPR italiani. Il sesto e ultimo incontro, previsto a giugno in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, ospiterà la presentazione del Rapporto Migrantes sul diritto d’asilo 2025. Saranno presenti Cristina Molfetta, coordinatrice del rapporto, e Alejandro Olayo Mendez (Boston College). L’edizione di quest’anno include un focus sull’evoluzione delle politiche migratorie statunitensi e sui loro riflessi internazionali. Il ciclo formativo è promosso da ICS, ASGI, Articolo 21 e Fondazione Luchetta, in collaborazione con il Sistema Accoglienza Integrazione (SAI) di Trieste, l’Ordine dei Giornalisti del Friuli Venezia Giulia, Assostampa FVG e il Circolo della Stampa di Trieste. Gli incontri si svolgono in presenza dalle ore 17 alle ore 19 presso la Sala Alessi del Circolo della Stampa (Corso Italia 13, Trieste). L’ingresso è libero fino a esaurimento posti. È possibile iscriversi per seguire le lezioni da remoto seguendo il seguente link: https://cryptpad.fr/form/#/2/form/view/pghVv7a9QdrMRn8wWY1Xo6+wyfqTq-0bYiOU72jZI0c/ (in tal modo si riceverà il link per seguire le formazioni sulla piattaforma zoom) Non è previsto il rilascio di attestati per la partecipazione al corso. Per informazioni e domande inviare una mail a: capirelemigrazioni@virgilio.it Redazione Friuli Venezia Giulia
La nave Humanity 1 trattenuta nel porto di Ortona dopo aver soccorso 160 persone
Dopo lo sbarco di 85 persone lunedì 1° dicembre, tra cui vari minori non accompagnati, la nave di soccorso Humanity 1, gestita dall’organizzazione di ricerca e soccorso SOS Humanity, è stata temporaneamente trattenuta nel porto di Ortona, in Italia, martedì 2 dicembre 2025. In totale, la scorsa settimana l’equipaggio della Humanity 1 ha soccorso 160 persone in pericolo in mare in due operazioni. Il fermo provvisorio è stato ordinato dalle autorità italiane per indagare se la Humanity 1 abbia violato la legge Piantedosi per non aver comunicato con il Centro di coordinamento dei soccorsi libico. L’equipaggio della Humanity 1 ha operato in ogni momento in conformità con il diritto marittimo internazionale, informando le autorità di ricerca e soccorso competenti e seguendo il proprio obbligo di assistere le persone in pericolo. Come parte della più grande alleanza di organizzazioni di ricerca e soccorso esistente ad oggi, la Justice Fleet Alliance, SOS Humanity ha deliberatamente sospeso le comunicazioni operative con il Centro di coordinamento libico per il soccorso, poiché la cosiddetta Guardia Costiera libica non può essere considerata un attore legittimo nel campo della ricerca e del soccorso, come confermato quest’anno dal Tribunale di Catanzaro. “Questo fermo provvisorio della Humanity 1 è incompatibile con il diritto internazionale”, critica Marie Michel, esperta politica di SOS Humanity. “La cosiddetta Guardia Costiera libica, coordinata dal Centro di coordinamento libico, è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani sia in mare che in Libia. Rifiutarsi di comunicare con gli attori responsabili di tali crimini è l’unico modo per difendere i principi del diritto marittimo e dei diritti umani. E mentre questi attori non vengono ritenuti responsabili, ma sono sostenuti dall’Unione Europea e dai suoi Stati membri, la nostra nave di soccorso viene trattenuta in porto e le si impedisce di operare soccorsi di emergenza. E’ evidente che il numero crescente di detenzioni di navi umanitarie riduce la capacità di soccorso e porta a un aumento delle morti in mare”. Questa è la terza volta che la Humanity 1 viene trattenuta in porto in base alla legge Piantedosi e la prima detenzione provvisoria basata sulla richiesta di coordinamento con le autorità libiche dal lancio dell’alleanza Justice Fleet. L’alleanza mira a difendere i diritti umani e il diritto internazionale, proteggere il lavoro umanitario in mare e creare pressione pubblica per un cambiamento politico. L’ordine di detenzione provvisoria è stato emesso dal Ministero dell’Interno italiano, dalla Guardia di Finanza e dal Ministero dei Trasporti. La Humanity 1 non può lasciare il porto fino a quando il Prefetto non avrà indagato sulle accuse. Il rapporto di soccorso, comprese le comunicazioni dettagliate con le autorità, è disponibile qui. L’ordine di fermo è disponibile qui: https://mediahub.ai/en/share/album/ec3d61f0-a70c-4989-9339-bf2b06590610   Redazione Italia
Maltempo, SOS Humanity chiede invano un porto più vicino per lo sbarco delle 85 persone soccorse
Dopo aver soccorso 85 persone in pericolo in mare mercoledì, la nave di ricerca e soccorso Humanity 1 è attualmente costretta a ripararsi nel Golfo di Taranto a causa del maltempo in peggioramento mentre era in rotta verso il lontano porto di Ortona, che era stato assegnato dalle autorità italiane come porto sicuro. Ortona dista più di 1.300 chilometri dal luogo del salvataggio e l’attuale ritardo prolungherà ulteriormente il tempo che i sopravvissuti dovranno trascorrere a bordo, nonostante le loro condizioni fisiche e mentali già compromesse. “Questa lunga traversata è inutile e pericolosa per la salute fisica e mentale delle persone che abbiamo a bordo”, afferma Stefania, responsabile della protezione a bordo. “Abbiamo diversi casi di scabbia, infezioni respiratorie, febbre alta, dolori muscolari, malattie parassitarie e alcuni stanno ricevendo un trattamento antibiotico. I sopravvissuti sono partiti dalla Libia, dove alcuni ci hanno già rivelato di aver subito torture”. “Nonostante SOS Humanity abbia ripetutamente chiesto l’assegnazione di un porto vicino per lo sbarco in sicurezza delle 85 persone che abbiamo soccorso tre giorni fa, il Centro di coordinamento marittimo di Roma (MRCC) continua a rifiutarlo“ afferma Sofia Bifulco, coordinatrice della comunicazione a bordo della Humanity 1. “Il diritto internazionale prescrive in modo inequivocabile che i sopravvissuti in pericolo in mare debbano essere sbarcati senza indugio, e davanti a noi ci sono porti a poche ore di navigazione. Anziché esporre persone vulnerabili alle intemperie e prolungare le loro sofferenze per quasi sette giorni di transito inutile, deve essere loro concesso il diritto di sbarcare il più rapidamente possibile”.   Redazione Italia
FREE SHAHIN: Campagna per la liberazione di Mohamed Shahin
“L’arresto di Mohamed Shahin, la revoca del permesso di soggiorno e la decisione del giudice di confermare l’espatrio forzato verso l’Egitto nonostante la richiesta di asilo politico rappresentano una palese violazione dello spirito e della lettera della Costituzione Italiana. Da un lato rappresentano un atto di repressione politica per chi si è battuto contro il genocidio a Gaza e nello stesso tempo un atto di violazione delle più elementari regole umanitarie visto il rischio che Mohamed subisca i Egitto ogni sorta di violenza da parte del regime al potere. Non è tollerabile che un cittadino straniero che partecipa attivamente ai movimenti democratici che attraversano il paese venga trattato come un assassino mettendo addirittura a rischio la sua incolumità fisica. Per questo chiediamo un intervento urgente del governo per fermare questa azione delittuosa tipica di uno stato di polizia e non di uno stato democratico.” (Paolo Ferrero, segretario provinciale Prc-Se) Torino-InfoPal. Mohamed Shahin, leader di una moschea a Torino, in Italia, dissidente politico egiziano (che rischia la pena di morte in Egitto), prominente attivista pro-Palestina e contro il genocidio a città di Gaza, è stato arrestato due giorni fa dalla polizia italiana, su ordine del governo filo-sionista, razzista e islamofobo della prima ministra Meloni, per il suo sostegno alla Palestina. È accusato di aver dichiarato, durante manifestazioni, che l’Operazione Al-Aqsa Flood della Resistenza palestinese, il 7 ottobre 2023, è stata motivata da 80 anni di pulizia etnica e genocidio sionista contro i nativi palestinesi… Un’affermazione storicamente comprovata e condivisa, ma poiché Shahin è un immigrato e quindi legalmente vulnerabile, il governo ne ha ordinato l’arresto e la deportazione. La deportazione di Shahin in Egitto significa che verrà imprigionato, torturato e probabilmente ucciso. La società civile italiana sta sostenendo Shahin e chiede la sua liberazione. È un uomo buono, pacifico e antisionista, conosciuto e amato da musulmani, cristiani e dal resto della popolazione. Il governo Meloni, con i suoi sostenitori razzisti della Lega Nord al potere, sta alimentando divisioni, razzismo e conflitti. A cura di TorinoPerGaza. C’è un angolo di Torino, tra le strade vive di San Salvario, dove per più di vent’anni una figura gentile ha camminato con passo sicuro, salutando volti che nel tempo sono diventati famiglia. È lì, tra quelle vie multiculturali, che Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn Al Khattab, ha costruito la sua vita, il suo futuro e quello dei suoi due splendidi bambini. Torino non è semplicemente il luogo in cui vive: è la città che ha scelto, amata con la dedizione di chi la considera casa in ogni senso. Arrivato in Italia più di vent’anni fa, Mohamed ha intrecciato la sua storia con quella della comunità torinese con una naturalezza rara. Chi lo conosce lo descrive con parole che non hanno bisogno di essere elaborate: un uomo buono, un uomo di fede, un uomo di pace. La sua voce, calma e ferma, è diventata negli anni un punto di riferimento per centinaia di persone. In questi ultimi due anni, il suo impegno verso la causa palestinese è stato totale. Ha ascoltato, ha parlato, ha guidato, ha portato nelle piazze e nei cuori una richiesta semplice e potente: dignità, giustizia, umanità. E in questo percorso non è mai stato solo: attorno a lui, la comunità si è stretta come si fa attorno a un fratello, a un padre, a una guida. Per il quartiere di San Salvario, Mohamed non è soltanto un imam. È un pilastro, una presenza che consola, accompagna, media. Sa trovare le parole giuste per chi attraversa un momento difficile e sa ricordare, con il suo esempio, che il dialogo non è una teoria, ma un gesto quotidiano. La sua fede, però, non è mai stata confinata alle mura della moschea. Mohamed ha sempre creduto che il ruolo di un leader religioso sia anche quello di costruire ponti. Lo ha fatto attraverso il dialogo e l’integrazione, promuovendo attività culturali e sociali che hanno reso Torino un luogo un po’ più aperto, un po’ più unito. Lo ha fatto anche collaborando con le autorità locali e le forze dell’ordine, dimostrando che la sicurezza e la coesione sociale si costruiscono insieme, con fiducia e responsabilità condivisa. Un aspetto spesso ricordato da chi lo conosce è la sua collaborazione, lunga e sincera con i Valdesi, i Cattolici e anche con la sinagoga di San Salvario. In questi anni, Mohamed ha coinvolto i rabbini in momenti di confronto e dialogo, ha visitato più volte la sinagoga e ha invitato il rabbino nella moschea, trasformando la relazione fra le due comunità in un esempio concreto e luminoso di rispetto reciproco e convivenza. Un ponte, ancora una volta. Un ponte costruito non con le parole, ma con i gesti. Tra le sue iniziative più significative, molti ricordano poi quella del 2016, quando partecipò alla distribuzione della Costituzione italiana tradotta in arabo. Non era solo un gesto simbolico: era un invito a far entrare nelle case dei fedeli musulmani i valori fondamentali della Repubblica, perché integrazione significa conoscersi, riconoscersi, camminare nella stessa direzione pur portando storie diverse. Chi incontra Mohamed Shahin ne rimane colpito, quasi toccato. Forse per la sua serenità. Forse per quella luce negli occhi che hanno solo le persone che credono davvero negli altri. O forse perché, semplicemente, Mohamed rappresenta ciò che spesso dimentichiamo: che una comunità si costruisce con la cura, la presenza e l’ascolto. E oggi, mentre in molti alzano la voce per lui, c’è una certezza che attraversa Torino come un filo invisibile: un uomo così non si dimentica. Un uomo così appartiene alla sua comunità. Un uomo così è casa Un uomo così, deve tornare a casa, Ora!   InfoPal