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Continua la strage degli invisibili nel Mediterraneo in guerra
Mentre nella Striscia di Gaza si sta consumando un vero e proprio genocidio, e le complicità internazionali con il trumpismo dilagante, inclusa la complicità del governo italiano, stanno allontanando la soluzione di tutti i numerosi conflitti in corso nel mondo, continua la serie di naufragi nel Mediterraneo centrale. Stragi di sistema, frutto degli accordi con il governo tunisino e con le entità militari e statali che si contendono la Libia, supportate dal monitoraggio aereo di Frontex e dalle prassi operative di “difesa” dei confini marittimi e di contrasto dell’immigrazione illegale, attuate nel Mediterraneo centrale dall’Italia ed i misura minore, dal governo maltese. In nome della sicurezza dello Stato, e addirittura della lotta al terrorismo, si violano ormai tutte le norme di diritto internazionale sulla salvaguardia della vita umana in mare e sulla protezione dei richiedenti asilo. La vicenda Almasri, ancora torbida nei suoi più recenti sviluppi in Libia, e i tentativi di insabbiamento in corso per nascondere le gravissime responsabilità istituzionali, confermano il tracollo dei diritti umani nelle relazioni bilaterali tra Stati e la crisi di legittimazione delle Corti internazionali. A nessuno sembra più importare la sorte delle persone intercettate in mare o arrestate e respinte dalla Tunisia e trasferite nei centri di detenzione diffusi in tutta la Libia. Negli ultimi mesi sono aumentate le partenze ed i naufragi dalle coste della Cirenaica. La zona SAR ( di ricerca e salvataggio) “libica” sembra ormai sfuggita a qualsiasi controllo, a parte le intercettazioni violente, con l’uso di armi da fuoco, da parte della sedicente guardia costiera libica. Le autorità marittime che intervengono, spesso colluse con i trafficanti, ed alle quali secondo il governo italiano si dovrebbe obbedire, sono prive di qualsiasi legittimazione internazionale, oltre a commettere gravi crimini. Una “zona SAR”, quella “libica”, che andrebbe sospesa immediatamente, con il ripristino degli obblighi di soccorso in acque internazionali a carico delle autorità italiane e maltesi, con il supporto dell’agenzia europea FRONTEX, che non può ritirarsi dalle operazioni di ricerca e salvataggio. Oltre cento rifugiati sudanesi sono morti o risultano dispersi dopo due naufragi avvenuti sabato 13 e domenica 14 settembre al largo della costa di Tobruk, nella Libia orientale, come hanno annunciato mercoledì 17 settembre l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Con questi ultimi naufragi, nel 2025 secondo l’Oim sono oltre 500 le persone che hanno perso la vita e altre 420 risultano disperse lungo la rotta del Mediterraneo centrale. I dati sono aggiornati, conferma Oim Libia, dall’inizio dell’anno al 13 settembre. Nello stesso periodo, precisa l’agenzia dell’Onu, i migranti intercettati in mare e riportati in Libia sono stati 17.402, di cui 15.555 uomini, 1.316 donne, 586 minori e 145 di cui non si conoscono i dati di genere. Pochi giorni fa un altro naufragio al largo delle coste tunisine, di cui nessuno ha scritto. Dopo il capovolgimento del barcone che li trasportava sono morte 39 persone, tra cui diversi cittadini camerunensi. Il 15 settembre una ragazza ventenne ha perso la vita in un naufragio a 45 miglia nautiche da Lampedusa. Il barchino di ferro su cui viaggiava insieme a una cinquantina di persone ha iniziato ad affondare, e secondo i sopravvissuti anche un’altra donna sarebbe dispersa. In una sola settimana dal 6 al 13 settembre, approdavano a Lampedusa oltre 3000 persone. E il 9 settembre venivano sbarcati nell’isola anche i cadaveri di due donne. Un fallimento su tutta la linea delle politiche migratorie italiane basate su accordi con governi che non rispettano i diritti umani. Ma in proporzione aumentano più le vittime che i cosiddetti “sbarchi”. E nei paesi di transito la condizione dei migranti peggiora sempre di più, nella totale impunità degli autori di abusi che vanno dalla violenza sessuale alla detenzione arbitraria ed all’estorsione attraverso torture atroci. Questa volta non sono arrivate neppure le dichiarazioni contrite ed ipocrite della presidente del Consiglio, come invece era avvenuto dopo i naufragi a sud di Lampedusa, lo scorso mese di agosto. Se non si vedono cadaveri, le vittime non esistono. Ormai l’interesse generale deve essere deviato verso i discorsi d’odio contro il governo, in vista delle prossime scadenze elettorali, e il vicepresidente del Consiglio Salvini annuncia l’ennesimo decreto legge contro le persone migranti. Intanto si rilancia in tutta Europa una violenta campagna anti-immigrati basata su fake news e manipolazioni con l’intelligenza artificiale. Secondo un recente Rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Michael O’Flaherty. “La cooperazione esterna in materia di asilo e migrazione deve essere progettata e attuata con grande attenzione, per non mettere a repentaglio i diritti umani. I governi che sviluppano politiche di esternalizzazione in questo campo dovrebbero valutare attentamente il loro potenziale impatto negativo sui diritti umani, poiché tali politiche possono esporre donne, uomini e bambini a rischi significativi di gravi danni e sofferenze prolungate”.  Una valutazione puntualmente elusa dal governo Meloni, dopo il fallimento del modello Albania,  fortemente voluto dalla presidente del Consiglio e da Ursula von der Leyen, senza l’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio UE. Un modello perverso e personalistico di gestione delle relazione esterne dell’Unione europea, che oggi sta mostrando una serie di fallimenti a catena, purtroppo sulla pelle di persone innocenti. Mentre continuano i fermi amministrativi delle navi umanitarie e degli aerei civili, che permetterebbero di salvare migliaia di persone, il governo italiano, malgrado le pronunce di annullamento o di sospensione dei tribunali, continua a supportare le autorità di quei governi, o meglio entità statali neppure riconosciute dalla comunità internazionale, che sparano sulle imbarcazioni cariche di migranti e sulle navi umanitarie. Al di là delle gravissime responsabilità che dovranno essere accertate sul caso Almasri, occorre denunciare i responsabili delle politiche di morte che, in giorni in cui l’umanità sembra cancellata dal genocidio in corso a Gaza, continuano a produrre vittime nascoste nel silenzio prodotto dalle prassi di abbandono sistematico in mare e dalla censura dei canali informativi sui crimini che si consumano nelle acque del Mediterraneo. Le imbarcazioni civili dei cittadini solidali, comunque vengano contrastate, non abbandoneranno quelle zone di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali che, in virtù di accordi bilaterali come il Memorandum Italia-Libia del 2017, sono diventate spazi di intercettazione e deportazione. Occhi e voci di operatori umanitari che salveranno quante più vite possibile, ma anche testimoni inflessibili degli abusi e delle omissioni perpetrati dalle autorità statali e dalle milizie con la divisa di guardia costiera. Quelle autorità e quelle milizie che il governo italiano, con il sostegno dell’Unione europea, continua a finanziare e ad assistere, malgrado le sentenze che affermano come il Centro di Coordinamento del Soccorso libico e la Guardia Costiera libica non possano essere considerati soggetti legittimi per le operazioni di ricerca e soccorso. Fulvio Vassallo Paleologo
Il viaggio di Marco Cavallo nei Cpr d’Italia – Milano, 20 settembre
Siamo alla seconda tappa del viaggio di Marco Cavallo nei Centri di Permanenza per i rimpatri. Dopo Gradisca, l’appuntamento per la manifestazione milanese è alle 14:00 di sabato 20 settembre in Piazza Tricolore. Da lì, alle 14:30, partirà il corteo verso il Cpr di via Corelli, dove alle 16:30 si terrà il presidio con interventi delle realtà promotrici e aderenti. Dopo Gradisca, la seconda tappa del viaggio di Marco Cavallo ci porta a Milano, davanti al Cpr di via Corelli. Insieme a Marco Cavallo percorreremo le strade della città fino al centro di detenzione, dove si terrà un presidio con interventi delle realtà promotrici e aderenti. Come negli anni Settanta si abbattevano i cancelli dei manicomi, oggi dobbiamo guardare oltre le reti dei Cpr e vedere quello che ci viene impedito di vedere: persone, vite, sogni interrotti, la cui unica colpa è non avere un permesso di soggiorno. Da troppo tempo nel nostro paese non avere documenti giustifica la privazione così crudele della libertà. E non è accettabile. Con Marco Cavallo chiediamo la chiusura dei Cpr e l’abolizione della detenzione amministrativa. Il corteo sarà un cammino di arte, musica, cura e partecipazione, per cambiare la narrazione e riportare al centro dignità e diritti. Marco Cavallo sarà accompagnato dalle 100 bandiere degli scarti, simboli di creatività e resistenza anche nelle condizioni più dure: ogni cucitura è un legame, come le vite che si intrecciano anche dentro luoghi di detenzione. Il corteo sarà accompagnato dal ritmo e dall’energia dei gruppi artistici e musicali milanesi che hanno aderito alla manifestazione. — Forum Salute Mentale Il Viaggio di Marco Cavallo nei CPR Davide Bertok
Pensare la politica al tempo di Gaza
I POPOLI E I SINGOLI NON UTILI A UN POTERE, LA CUI MATRICE È L’ECONOMIA DI MERCATO, POSSONO ESSERE ELIMINATI, CIOÈ SPOSTATI COME PACCHI OPPURE UCCISI. IL GENOCIDIO DI GAZA NE È LA MANIFESTAZIONE PIÙ FEROCE. MA GIÀ LA REPRESSIONE E L’INDIFFERENZA VERSO LE PERSONE CHE MIGRANO, SCRIVE GIAN ANDREA FRANCHI, HANNO PREPARATO NEGLI ULTIMI VENTI ANNI IL TERRENO VERSO IL SALTO ISRAELIANO NELL’ABISSO DI UN FUTURO CATASTROFICO. “DIRE CATASTROFICO, PERÒ, NON IMPLICA AGGIUNGERE ANCHE L’AGGETTIVO INEVITABILE: L’IMPEGNO, AD ESEMPIO, DI COLORO CHE SI RICONOSCONO INTORNO ALL’INCONTRO QUOTIDIANO CON I MIGRANTI DELLA ROTTA BALCANICA NELLA PIAZZA DELLA STAZIONE DI TRIESTE, “PIAZZA DEL MONDO”, VUOL PROPRIO ESSERE UN TENTATIVO DI INIZIARE UNA PRATICA MEDITATIVA DI COSTRUZIONE POLITICA DI RELAZIONI COMUNITARIE, NEL RIFIUTO DI OGNI FORMA DI DELEGA… SI TRATTA DI INIZIARE A COSTRUIRE RESISTENZA SOCIALE A PARTIRE DAL RAPPORTO CON L’ALTRO BASATO SULLA COSTRUZIONE DI FORME COMUNITARIE UNITE DALLA RECIPROCITÀ DELLA CURA… UN IMPEGNO CHE È POLITICO NELLA PRECISA MISURA IN CUI È DIVENTATO ORMAI, SIC ET SIMPLICITER, UN IMPEGNO PER LA VITA…” Trieste, “Piazza del mondo” (settembre 2025) -------------------------------------------------------------------------------- È oggi d’estrema evidenza la necessità di aprire cammini verso una dimensione comunitaria e collettiva della vita e non solo umana. Scrivo queste parole mentre cerco di compiere, a modo mio, questo cammino, anche se spesso mi viene il dubbio di segnar tracce sulla sabbia di fronte a un mare sempre più cupo… È in atto e ben visibile una distruzione della vita in quanto tale sotto la sferza del dominio assoluto del valore di scambio, nato nella Cultura europea fa XVI e XVII secolo per venir imposto ovunque. Il genocidio di Gaza ne è la manifestazione di fronte al mondo senza nessuna mediazione (e con troppo modeste forme di resistenza). Il ministro israeliano Bezalel Smotrich ha detto “La striscia è un Eldorado da spartire con gli Usa”. Si tratta di una frattura nella continuità storica mai avvenuta prima: l’eliminazione attuale e tendenziale di un intero popolo, giuridicamente chiamata genocidio1, viene eseguito di fronte al mondo intero. “Genocidio” è una parola ormai giornalisticamente banale. Primo Levi, nell’introduzione a I sommersi e i salvati, ricorda il “cinico ammonimento” dei militi SS: “E quando anche qualche prova dovesse rimanere [delle camere a gas], e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono talmente mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi che negheremo tutto”2. Quello che sta quotidianamente accadendo a Gaza dal 7 ottobre del 2023 proclama, invece, pubblicamente che le popolazioni e i singoli non utili a un potere, la cui matrice è l’economia di mercato, ovvero il capitalismo, possono essere eliminati: uccisi o spostati come pacchi inutili per essere abbandonati in qualche luogo remoto. Questa violenza radicale era in germe nella violenza originaria del nascente capitalismo in Europa, con la sottrazione dei beni di uso collettivo e la violenza contro tutti i gruppi sociali considerati improduttivi e, contemporaneamente, in forme ab origine largamente “genocidarie”, nella conquista europea del resto del mondo. Dopo la seconda guerra mondiale, questa consapevolezza si era attenuata e anche culturalmente rimossa, in quella fase storica che possiamo chiamare “socialdemocratica”, legata anche alla diffusione di dinamiche sociali di contestazione e di lotta. Oggi, senza più alcun velame giustificatorio, chi non è utile al sistema del potere economico può essere tolto di mezzo. Stiamo entrando in una nuova fase della storia del mondo, che indicherei come una sorta di atroce sintesi di vecchio e di nuovo. Vecchio: perché ultimo frutto velenoso dell’esasperazione della cultura dell’individualismo concorrenziale che porta alla lotta di tutti contro tutti; una società della concorrenza è una società concepita come lotta per vivere e sopravvivere, è una società che porta nelle sue viscere la solitudine e la guerra. Nuovo, perché è ormai scomparsa ogni copertura ideologica, ad esempio l’ideologia dei “diritti umani”, ma soprattutto perché il potere capillare intrinseco alle dinamiche economiche sta ormai palesemente distruggendo la vita intera, senza più contrasti efficaci, limiti o cautele. Ci sono qua e là resistenze, lotte e anche tentativi d’innovazione, ma al momento non in grado di contrastare veramente il processo distruttivo dell’equilibrio essenziale alla vita, così come la conosciamo, che appare sempre più inesorabile. L’intera natura – l’ambito del nascere per tutti i viventi – è coinvolta in un illimitato processo di mercificazione, ovvero di distruzione funzionale al capitalismo. Bisogna prendere atto che questa cultura, nel suo sviluppo incontrollato e che ormai appare incontrollabile, sta distruggendo le basi della vita. Occorre far risuonare nella sua profondità originaria una parola, resa banale, come “natura”: la vita è la temporalità del nascere, del crescere e del finire. Finisce un percorso di vita per dar seguito ad un altro: il nascere e il morire, l’iniziare e il finire, costituiscono due facce di una sola dinamica vitale e, nel caso umano, storica. Detto in termini più astratti, la vita si articola nel ciclo di riproduzione e produzione (produzione del necessario alla riproduzione, il nutrimento), ma è ormai storicamente lanciata verso la rottura dell’equilibrio fra queste due dinamiche fondanti. Siamo, infatti, catturati da un processo in cui la produzione si sta mangiando la riproduzione, perché il fine ultimo della riproduzione è diventato la produzione di oggetti che non sono necessari o anche utili alla riproduzione, al contrario, molto spesso nocivi, servono soltanto alla loro trasformazione in valore di scambio, in denaro, peraltro dissolto ormai in meccanismi finanziari. Potere allo stato puro, sganciato da ogni fine che non sia uno smisurato impulso ad invadere – a divorare – ogni anfratto vitale. Questa dinamica illimitata di potere ha oggi, nel genocidio pubblico di Gaza, la sua proclamazione, locale ma con valenza generale: non c’è più alcun limite a un potere che si manifesta come trasformazione della vita in merce, ossia in valore di scambio fine a sé stesso. È l’instaurazione di un illimitato dominio antropologico sulla vita – ma di cui responsabile è solo una piccola parte degli umani -, che sta mettendo in crisi l’equilibrio della vita stessa. Oggi noi non possiamo più avere un immaginario e quindi neanche delle rappresentazioni del futuro. Possiamo avere speranze e desideri per il futuro, senza però un rapporto con la dinamica storica effettiva e quindi con possibili alternative. Ciò significa che è avvenuta, per la prima volta nella storia, una rottura a livello mondiale della trasmissione fra le generazioni, una rottura della narrazione storica, cioè del senso stesso della vita, sociale e singolare: un genitore oggi non può prefigurare al figlio il mondo in cui vivrà da adulto. Oggi mettere al mondo un figlio è qualcosa di diverso da ieri: un bambino è gettato in un mondo, le cui dinamiche future ci sono ignote. In tal modo la vita storica tende a perdere senso: per quel che riguarda i singoli, sembra evaporare in un pulviscolo caotico di cunicoli individuali, di drammi di sopravvivenza, coinvolti e sconvolti da lotte mondiali di potere. È necessario allora, per ridare senso alla nostra vita e a quella dei nostri figli e delle generazioni future, scavare a fondo. Il compito antropologico, storico, politico di ridare senso alla vita deve partire dalla consapevolezza che la vita e la morte non sono contrapposte, come la cultura moderna dell’Occidente vuol imporre, ma sono complementari – altre culture dall’Occidente distrutte o recluse lo sapevano. Ciò significa fondare un orizzonte narrativo politico, quindi comunitario, nel quale accogliere il transito generazionale: la morte. È questo il fondamento di una vita storica comunitaria. Accogliere la finitezza di ogni singola vita come intrinseca portatrice di un messaggio del proprio transito vitale da lasciare agli altri, a chi resta e a chi nasce, vuol dire creare le condizioni della trasmissibilità fondamento della storia in quanto comunicazione fra le generazioni. Questo è il tratto, che si può chiamare “ontologico”, alla base della dimensione comunitaria della vita, che l’umano potrebbe e dovrebbe esaltare, mentre ha finito con l’esaltare un’altra dimensione, che pur nella vita esiste: la predazione. Il capitalismo, accentuando al massimo il fenomeno predatorio contenuto in natura entro limiti certi, ha finito con il contrapporre la morte al contesto della vita e della storia. Ha annullato la funzione culturale della morte: il passaggio del testimone nel tempo della narrazione storica, il passaggio comunicativo fra le generazioni. Ha reso la morte soverchiante e distruttiva per il tramite di una illimitata espansione dell’umana capacità di agire, divenuta predazione della vita stessa. Ha modificato, in tal modo, le basi stesse della vita, riducendola a materiale da predazione: consumare la vita invece di alimentarla: una dinamica tendenzialmente suicida. Questo è accaduto nel contesto di una complessa dinamica storica di rimozione dell’angoscia propria della condizione umana: l’angoscia per la morte che abita ogni vivente umano e la cui elaborazione è stata il fondamento di tutte le culture: dalle prime mitologie alle religioni più complesse. Rimozione è il contrario di elaborazione. Sembra opportuno un rapidissimo cenno storico. Questo percorso storico di rimozione è sorto in Europa, principalmente, nei meandri della corrente calvinista della Riforma del cristianesimo agli inizi di ciò che chiamiamo “epoca moderna” (XVI-XVII secolo). Sommariamente: sotto la spinta iniziale del bisogno di capire il misterioso disegno divino sulla condizione umana – chi sarà salvato e chi perduto3 – il calvinismo poneva il senso e lo scopo della vita nell’affermazione sociale, intesa ormai in termini individuali e non comunitari, che si veniva rapidamente identificando con il successo sociale, cioè in definitiva economico, sciolto infine da ogni connotazione religiosa. La vita e l’opera di Benjamin Franklin, il cui volto appare esemplarmente sulla banconota da cento dollari, offre una narrazione perfettamente adeguata di questo fondamentale passaggio storico nell’affermazione di una vita operosa tutta dedita, con incrollabile serenità, all’”onesto guadagno”. Nel 1787 scrive: “Più vivo, più colgo prove convincenti di questa verità, ovvero che è Dio a governare le umane faccende”; ma per il tramite del denaro quale controllo e misura del tempo4: “il tempo è denaro”, “il denaro è di sua natura fecondo e produttivo”. In Franklin, infatti, si può leggere con grande chiarezza il capillare lavoro di rimozione dell’angoscia nell’operatività quotidiana: il denaro usurpando e sterilizzando la misteriosa e drammatica fecondità della vita, riducendola alla misura quantitativa, produce un ordine astratto ma rassicurante e una garanzia di controllo del futuro che trova nella “Rivoluzione“ americana l’esempio più caratteristico5. Lo ribadisce molto bene un’ulteriore considerazione dei nostri giorni: “La Banca Mondiale ha fatto sua la teoria dell’economista peruviano Hernan de Soto secondo cui solo il denaro è produttivo, mentre la terra in sé è sterile e se utilizzata per la sussistenza è causa di povertà…”6. Il denaro viene visto come garanzia di vita e, almeno, sopravvivenza. Ma oggi possiamo capire che è vero esattamente il contrario. L’atteggiamento di sereno distacco di Franklin non è alternativo alla violenza più estrema. Ne possiamo trovare un esempio estremamente significativo un secolo prima, proprio nel pieno di quella rivoluzione calvinista in Inghilterra, che è alla base di questa dinamica storica, nell’invasione dell’Irlanda da parte del New Modern Army guidato da Cromwell. La violenza estrema, giunta fino al genocidio, e la serena operosità di ogni giorno sono perfettamente complementari, come il fascismo e la socialdemocrazia, dinamiche diverse ma che perseguono lo stesso scopo7. Oggi, nella fase di violento neoliberismo che sta imperversando senza più alcun limite, possiamo ben dire che, abbandonato ogni tipo di giustificazione, il mero potere del valore di scambio indica pienamente il valore, ovvero il grado di potere, di un individuo o di un gruppo. Importante, però, è cercar di comprendere le origini di un fenomeno storico che oggi sembra ormai privo di ogni capacità di autocontrollo. In tale contesto, di cui ho sommariamente accennato la matrice storica, l’impegno con il nuovo fenomeno migratorio, nato e sviluppato da circa un ventennio, è un punto fondamentale d’azione e d’osservazione. Dato che chi scrive è un cittadino europeo, mi riferisco soprattutto al comportamento degli Stati europei e “occidentali” in cui, – sotto l’affaticata egemonia degli Usa -, appaiono senza veli l’indifferenza per la vita e la supremazia indiscutibile del valore di scambio8, accompagnati dalla fine di tutto ciò che si raccoglieva storicamente sotto l’etichetta “diritto”. L’indifferenza per le decine di migliaia di morti migranti in Mediterraneo, e anche nei Balcani, il cinico ma tradizionale uso politico del razzismo – e, in particolare ricadendo in casa nostra, la complicità dell’attuale governo, con le bande criminali libiche, esemplificato dal “caso Almasri” – sono stati un passaggio fondamentale verso il salto israeliano nell’abisso di un futuro che si preannuncia catastrofico. Questi morti indifferenti sono un esercizio della libertà di uccidere il cui culmine “osceno” – ma di un fuori scena sbattuto brutalmente in scena – si manifesta quotidianamente a Gaza: Israele è l’avanguardia sperimentatrice di un capitalismo ormai pienamente epidemico. Dire “catastrofico”, però, non implica aggiungere anche l’aggettivo “inevitabile”: l’impegno, ad esempio, di coloro che si riconoscono intorno all’incontro quotidiano con i migranti della Rotta balcanica nella piazza della stazione di Trieste – la “Piazza del Mondo” – vuol proprio essere un tentativo di iniziare una pratica meditativa di costruzione politica di relazioni comunitarie, nel rifiuto di ogni forma di delega a qualsivoglia pretesa di rappresentanza. Si tratta di iniziare a costruire resistenza sociale a partire dal rapporto con l’altro basato sulla costruzione di forme comunitarie unite dalla reciprocità della cura, prevedendo in futuro anche possibili nuove forme di lotta: è necessario essere consapevoli che siamo ormai in una nuova diffusa forma di Terza guerra mondiale, che non è esagerato chiamare guerra contro la vita. Il nostro compito oggi, concreto e quotidiano, sta nel raccogliere il messaggio inciso dalla violenza delle frontiere sui corpi umiliati e offesi dei migranti, corpi memori delle violenze genocide di secoli di colonialismo, ma che ci indicano anche un futuro di devastazione dell’equilibrio vitale. Ciò implica il coinvolgimento in un impegno che è politico nella precisa misura in cui è diventato ormai, sic et simpliciter, un impegno per la vita. -------------------------------------------------------------------------------- 1 Ho qualche remora a usare il termine “genocidio”, nato in ambito giuridico e fortemente segnato da questa origine in termini di potere. 2 Primo Levi, I sommersi e i salvati, in Opere Complete, vol. II, Einaudi 2016, p. 1147. 3 Questa è la lettura di Weber nell’Etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904-1905. 4 D. Sassoon, Rivoluzioni. Quando i popoli cambiano la storia, Garzanti, Milano 2024, p. 110. 5 Un articolo di Francesco Raparelli, sul “Manifesto” del 13 marzo 2025, p. 15, intitolato “Musk innovatore nel solco della storia Usa”, tenta un collegamento storico fra una figura come quella di Elon Musk e la storia statunitense di cui Franklin è figura esemplare, proprio in riferimento al testo di Sassoon. 6 Silvia Federici, Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei commons, Ombre corte, Verona 2018, p.28. LEGGI ANCHE: > Le insurrezioni delle donne 7 È necessario però ricordare che all’epoca di Cromwell sorsero anche i Levellers e altri movimenti di contestazione radicale e di scelte comunitarie. federici8 Da notare il lucido conciso articolo di Chiara Mattei ‘Austerità, militarismo, censura: Trump ci mostra il loro legame’ sul “Fatto quotidiano” del 18 agosto, p. 12 -------------------------------------------------------------------------------- Insegnante di filosofia, Gian Andrea Franchi è da anni impegnato con i migranti della cosiddetta rotta balcanica a Trieste. Il suo ultimo libro è Per un comunismo della cura (DeriveApprodi). Nell’archivio di Comune i suoi articoli sono leggibili qui. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Pensare la politica al tempo di Gaza proviene da Comune-info.
Ancora morti nel Mediterraneo
Ieri una ragazza ventenne ha perso la vita in un naufragio a 45 miglia nautiche da Lampedusa. Il barchino di ferro su cui viaggiava insieme a una cinquantina di persone ha iniziato ad affondare, e secondo i sopravvissuti anche un’altra donna sarebbe dispersa. Mentre il nostro aereo da ricognizione Seabird dava supporto dall’alto, i circa 50 sopravvissuti sono stati soccorsi dalla Guardia Costiera italiana che, con il supporto della nave ong Dakini, ha anche recuperato il corpo della ragazza. Quante altre giovani vite dobbiamo ancora perdere? Sea Watch
Humanity 2, una nuova barca a vela per la ricerca e soccorso nel Mediterraneo
Con la barca a vela Humanity 2, l’organizzazione di ricerca e soccorso SOS Humanity, attiva da dieci anni, sta portando una seconda nave di soccorso nel Mediterraneo centrale. La barca a vela, lunga circa 24 metri, è attualmente in fase di acquisto da parte di SOS Humanity e sarà poi convertita. A partire dalla metà del 2026, la Humanity 2 colmerà un gap letale al largo delle coste tunisine come nave di soccorso e di monitoraggio. “Le rotte migratorie nel Mediterraneo stanno diventando sempre più pericolose perché l’UE paga i Paesi terzi per intercettare i rifugiati. Invece di salvare vite umane, l’Europa si sta isolando a tutti i costi e rendendo il Mediterraneo ancora più letale”, afferma Till Rummenhohl, amministratore delegato di SOS Humanity. “Nella zona marittima al largo della Tunisia si è creato un vuoto di operazioni di soccorso che mette a rischio la vita delle persone ed è caratterizzato da violazioni sistematiche dei diritti umani da parte della Guardia Costiera tunisina. Le imbarcazioni scompaiono senza lasciare traccia perché la Tunisia impedisce la ricognizione aerea e il Centro di coordinamento dei soccorsi tunisino non coordina adeguatamente i soccorsi. Le persone fuggono su imbarcazioni metalliche altamente pericolose che affondano rapidamente. Questa drammatica realtà ci spinge ad agire. Con la barca a vela Humanity 2 salveremo vite umane e documenteremo le violazioni dei diritti umani al largo della Tunisia, dove l’Europa sta fallendo. La nostra barca a vela è perfettamente complementare alla Humanity 1, che opera al largo della Libia. In questo modo saremo in grado di soccorrere più persone in pericolo in mare e aumentare la pressione sui responsabili”. Il veliero è attualmente ancora ormeggiato in un porto sulla costa francese, ma sarà trasferito in Sicilia nel mese di novembre e dovrebbe essere sottoposto a lavori di conversione presso il cantiere navale a partire da dicembre. SOS Humanity sta ora raccogliendo donazioni per finanziare il progetto. “Soprattutto ora che il nuovo governo federale tedesco ha tagliato tutti i finanziamenti statali, abbiamo più che mai bisogno del sostegno della società civile”, sottolinea Till Rummenhohl. “Siamo fermamente convinti che la maggioranza dei cittadini europei non voglia semplicemente lasciare annegare chi cerca protezione nel Mediterraneo. La società civile ci ha permesso di salvare oltre 39.000 persone in dieci anni e continuerà a sostenere il nostro lavoro di soccorso”. Questa solidarietà e umanità in azione dovrebbero servire da esempio ai politici. Dal 2015, l’UE e i suoi Stati membri non sono riusciti a istituire un programma europeo di ricerca e soccorso per porre fine alle morti nel Mediterraneo. Al contrario, sono complici di violazioni dei diritti umani e ostacolano deliberatamente il lavoro delle organizzazioni di soccorso in mare. Ma non ci faremo intimidire; continueremo con una seconda nave!”. Redazione Italia
Il viaggio di Marco Cavallo nei Cpr: Centri di Permanenza per il Rimpatrio.
Un viaggio per la giustizia, la dignità e i diritti Marco Cavallo torna a viaggiare. Dopo aver attraversato gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari d’Italia per denunciare l’ingiustizia e l’inumanità di quei luoghi, oggi il suo cammino lo porta nei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio). Strutture che, per molti versi, ricordano gli OPG, ma che forse sono ancor più crudeli dal punto di vista umano. Qui ci sono uomini e donne il cui unico “errore” è stato cercare una via di fuga dalla fame, dalla guerra, da un destino segnato. CPR: le nuove prigioni dell’ingiustizia sociale Chi è rinchiuso nei CPR per legge è “un clandestino”. È un migrante, una persona che ha perso tutto e che ora perde anche la libertà e la dignità. I CPR sono l’emblema dell’ingiustizia sociale del nostro tempo: luoghi di detenzione senza colpe, di esclusione senza appello, di violenza istituzionale normalizzata. Un viaggio per accendere i riflettori sui diritti negati Partito il 5 settembre da Trieste, Marco Cavallo ha fatto tappa il 6 a Gradisca d’Isonzo (Go). Il 20 settembre sarà a Milano, il 27 a Roma, il 4 ottobre a Palazzo San Gervasio, l’8 a Brindisi e il 10 ottobre a Bari. Ogni tappa sarà un’occasione per portare alla luce la realtà dei CPR, per raccontare storie dimenticate, per denunciare l’assenza di diritti e la disumanizzazione di chi vi è rinchiuso. Sarà un viaggio di denuncia, ma anche di speranza e partecipazione. La campagna “180 Bene Comune” e la difesa dei diritti di tutti Questo viaggio si intreccia con la campagna “180 Bene Comune. L’arte per restare umani”, promossa dal Forum Salute Mentale. La legge 180 non è solo la legge che ha chiuso i manicomi: è un presidio di civiltà, un principio di umanità che riguarda tutti. Parla di diritti, di riconoscimento dell’altro, della capacità di convivere con il diverso – dentro e fuori di noi. Oggi, mentre si tenta di dimenticare questa legge, mentre i CPR diventano nuove istituzioni della segregazione e della violenza sociale, è più che mai necessario riaffermare un principio fondamentale: la dignità umana non ha confini. Arte, musica e partecipazione per cambiare la narrazione Ogni tappa del viaggio sarà preparata con il coinvolgimento dei gruppi locali e sarà accompagnata da performance artistiche, musica, incontri e dibattiti. Perché la cultura può rompere il silenzio, cambiare la narrazione e creare nuovi spazi di resistenza e solidarietà. Unisciti al viaggio: sostieni Marco Cavallo Per realizzare questo progetto abbiamo bisogno del tuo aiuto. Cerchiamo finanziamenti, adesioni, collaborazioni. Ogni contributo è fondamentale per dare voce a chi oggi è senza voce. Sostieni il viaggio di Marco Cavallo nei CPR. Perché nessun essere umano deve essere dimenticato. Per info: forumsalutementale@gmail.com per donazioni: conto intestato al Forum Salute Mentale APS iban: IT57Q0501811200000020000012 le donazioni saranno utilizzate per organizzare il viaggio del Cavallo. hanno già aderito: Società italiana Medicina delle Migrazioni; Mediterranea Saving Humans; Stefano Anastasia, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale per la Regione Lazio; LasciateCIEntrare; Valentina Calderone, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale per Roma; Rete Mai Più Lager, No ai CPR; Ass. Voci di Dentro ODV ; Radio32; Camera Penale di Roma; Libellula Afsp di Catanzaro, Psicologi in ascolto Roma; LaPE, Roma; Associazione ODV Noi liberamente insieme, progetto Itaca Rimini; Associazione Bondeno Cultura, Ferrara; Brigata Basaglia; Redazione di Ristretti Orizzonti, Padova; Giovanni Cioni, regista; Il Cerchio Fareassieme Onlus; Cascina Macondo, Arti e Culture Associate; Teatro di Psicodramma, Brescia; Patrizio Gonnella e Susanna Marietti, Antigone; Collettivo Marco Cavallo, Trieste; Associazione Marco Cavallo FSM, Brescia; Coordinamento per la difesa della Sanità Pubblica, Trieste; Alleanza per la salute mentale, Brescia; teatro Dioniso, Torino; Associazione Yairaiha ETS; Fondazione Giuliano Scabia; Medici Senza Frontiere; Naga ODV; A.S.G.I. Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione; Associazione 180amici Puglia – ETS e Centro Sperimentale Pubblico Marco Cavallo, VIC-Volontari In Carcere, Centro di Accoglienza e di Promozione Culturale “Ernesto Balducci” di Zugliano, La Collina – Sartoria Sociale Soc.Coop. Onlus Impresa Sociale; Cuamm – Medici con l’Africa; Collettivo Primo Contatto, Latina; InSania fest, Cori; Polygonal Cori; UDI Unione donne in Italia – Circolo di Gradisca d’Isonzo; FIMMG – Federazione Italiana Medici di Medicina Generale; Legacoopsociali FVG; Collettiva Psicologia Anticarceraria; Il Villaggio di Esteban; Sottoscala9, circolo Arci, Latina; ICS Consorzio Italiano di Solidarietà; Articolo 21 FVG; , Libera FVG; Coordinamento Provinciale di Libera Gorizia; Euritmica; QuduLibri; Circolo ARCI GONG; Quarantasettezeroquattro; Cinemazero Pordenone; Acu Macross; Ospiti in arrivo Udine; Pax Christi Punto Pace di Gorizia; Associazione Casa del Popolo di Gradisca d’Isonzo; Comune di Gradisca d’Isonzo; Namd; Network against migranti detention; Stop CPR Roma; Gruppo Melitea; F.Lotta; T.A.I. tavolo asilo e immigrazione; Rete numeri pari; La Cappella Underground; Comitato regionale ARCI FVG APS; CGIL FVG; Auser A.P.S. FVG – ONLUS; Auser territoriale Goriziano APS ODV ETS; Auser territoriale Trieste; OIKOS ETS; Carmen D’Anzi, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della provincia di Potenza; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Friuli Venezia Giulia; casa editrice People; ANPI Sezione di Gradisca d’Isonzo; Arum APS; Forum Salute Mentale di Lecco; Rete DASI FVG; Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin; Coordinamento difesa sanità pubblica Trieste; Diritti e Storti; Associazione Migrantes Brindisi OdV; Donne in Nero, Udine; ANED PN; Leali delle Notizie Aps; Milano in Salute; ACLI; Auser Territoriale Udinese APS_ETS; HORUS CLUB; Associazione Il Giunco; Associazione Migranti Basilicata dí Venosa; Casa Internazionale delle Donne Trieste; Friuli Venezia Giulia Possibile; International Association for Art and Psychology; Medicina Democratica per Milano; Sportello Ti Ascolto; … Redazione Friuli Venezia Giulia
Il disumano Regolamento sui Rimpatri deve essere rigettato
L’11 marzo 2025 la Commissione Europea ha presentato una nuova proposta di Regolamento sui Rimpatri, destinata a sostituire l’attuale Direttiva Rimpatri. Dietro un titolo apparentemente tecnico, la proposta introduce misure coercitive e lesive dei diritti fondamentali, con l’obiettivo dichiarato di aumentare i tassi di espulsione. Invece di investire in protezione, accoglienza, sanità e istruzione, il testo punta su detenzione, deportazioni e strumenti punitivi. Le oltre 200 organizzazioni firmatarie del documento congiunto denunciano un vero e proprio cambio di paradigma nelle politiche migratorie europee: i movimenti delle persone vengono trattati come una minaccia, giustificando deroghe alle garanzie fondamentali. L’approccio dominante diventa così la criminalizzazione, la sorveglianza e la discriminazione, anziché l’inclusione sociale, i percorsi sicuri e regolari di ingresso e i permessi di soggiorno basati sui diritti. Come organizzazioni firmatarie contestiamo la proposta su più fronti: * Deportazioni verso Paesi senza legami personali: il testo prevede la possibilità di espellere persone in Stati terzi con cui non hanno alcuna connessione, introducendo anche centri di rimpatrio offshore simili a strutture detentive. * Sorveglianza e rilevamento forzato: gli Stati sarebbero obbligati a rafforzare controlli e identificazioni, con il rischio di alimentare pratiche di profilazione razziale. * Espansione della detenzione: la durata massima verrebbe estesa fino a 24 mesi, con nuove categorie di persone detenibili, inclusi minori e soggetti vulnerabili. * Misure punitive e coercitive: pesanti sanzioni, restrizioni e limitazioni dei diritti per chi non riesce a collaborare al rimpatrio, anche in situazioni indipendenti dalla propria volontà (ad esempio in caso di apolidia). * Erosione dei diritti di ricorso: la sospensione automatica delle espulsioni durante un appello verrebbe rimossa, rendendo più difficile ottenere tutela giudiziaria. * Sorveglianza digitale: ampliamento della raccolta e condivisione di dati personali, fino all’uso di tecnologie invasive come il tracciamento GPS. Il regolamento produrrebbe solo un aumento delle persone spinte nell’irregolarità e nella marginalità, privandole di diritti fondamentali come l’accesso alla salute, alla casa o al lavoro dignitoso. Invece di consolidare un sistema basato su punizione e esclusione, si chiede all’UE di ritirare la proposta e orientare le politiche verso la sicurezza, la protezione e l’inclusione sociale. L’Unione Europea deve smettere di alimentare sentimenti razzisti e interessi economici legati ai sistemi di detenzione e di sorveglianza. È tempo di tornare a investire in comunità forti, dignità e diritti per tutti, indipendentemente dallo status. “In un momento in cui le politiche di esclusione avanzano, chiediamo un rinnovato impegno verso la solidarietà e i diritti umani. La sicurezza non può fondarsi sulla paura e sulla discriminazione, ma solo sull’inclusione, il rispetto e le pari opportunità” afferma Giovanna Cavallo, coordinatrice del Forum e della Road Map per il Diritto D’Asilo e la Libertà di Movimento. Invitiamo le istituzioni europee e gli stati membri a reindirizzare risorse e attenzione verso politiche che rafforzino la coesione sociale e la giustizia. CALL TO ACTION: firma l’appello accedendo al FORM ONLINE e segnala la tua adesione alla Road Map italiana a forum4maggio@gmail.com Forum per cambiare l’ordine delle cose Redazione Italia
Una grande famiglia multietnica
Se ne parla ancora – troppo – poco, ma per accogliere i minori stranieri non accompagnati non ci sono solo le comunità. Esiste anche l’affido familiare, che, secondo l’ultimo rapporto del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sui minori stranieri non accompagnati presenti in Italia, riguardava al 30 giugno 2025 il 20,3% dei ragazzi migranti soli, per la maggior parte ucraini. Il report sui minori fuori famiglia, invece, al 31 dicembre 2023 contava 953 minori stranieri non accompagnati in affido familiare, pari a circa il 6% dei minori in affido, contro 7.706 Msna accolti in un servizio residenziale. Il calore di una famiglia, per un ragazzo, è sicuramente un’opportunità in più: permette una maggiore inclusione e un percorso più seguito verso l’autonomia. Ma si tratta di un’occasione di crescita anche per chi accoglie, come testimonia la storia di Federico Maria Savia e di sua moglie Alice, che hanno avviato una famiglia-comunità a Piobesi Torinese. Quanti minori stranieri non accompagnati avete avuto in affido? Ne ho avuti 14, insieme a mia moglie. Attualmente sono cinque, perché dal 2000 siamo una famiglia comunità. C’è anche un ragazzo di 22 anni che tecnicamente è un “ex affido” ma che continua a vivere con noi: è arrivato a 11 anni dall’Egitto, ha fatto un bel percorso, è diventato maggiorenne da noi e ha deciso di rimanere. Ora sta costruendo la sua autonomia: si è legato alla nostra famiglia ma anche al territorio. Di fatto ci aiuta: è diventato una specie di mediatore anche con i più piccoli. Tre dei cinque ragazzi che ora vivono con noi, infatti, sono egiziani. E gli altri due? Uno gambiano e uno albanese. Siamo otto in casa. In più, c’è una educatrice della cooperativa Terremondo, che è la proprietaria dell’immobile in cui viviamo. Ci dà una mano nelle commissioni quotidiane e nella gestione dei ragazzi. Come avete deciso di dedicarvi all’affido di minori stranieri non accompagnati? Siamo sposati dal 2004 – sono 21 anni – ma i figli non sono arrivati. Non ci siamo disperati, è andata così. Da sempre siamo stati attivi nel volontariato, nello scoutismo, i ragazzi in giro per casa non mancavano… siamo sempre stati sereni su questo. Nel 2015, siamo rimasti molto colpiti dalla storia di Alan Kurdi (il bimbo siriano il cui corpo senza vita è stato ritratto in un’iconica foto che è diventata simbolo delle stragi in mare, ndr). Abbiamo visto che c’erano tanti minori che mettevano a rischio la propria vita in questi viaggi. All’epoca abitavamo a Collegno, vicino a Torino, avevamo una camera in più per il figlio che non è arrivato e che mia moglie usava come laboratorio. Ci siamo detti: «Usiamo questo spazio per dare accoglienza». Siamo credenti, quindi abbiamo segnalato la nostra disponibilità a Sergio Durando, il direttore della Pastorale dei Migranti di Torino. Che ha rilanciato proponendoci l’affido. E voi? Siamo rimasti inizialmente un po’ spiazzati, ma poi abbiamo detto «ci siamo». Il primo affido è stato di un ragazzo di 16 anni, albanese, che era stato letteralmente sbattuto fuori da una comunità per minori di Torino perché aveva creato problemi. Viveva per strada. L’abbiamo accolto con qualche timore, perché avevamo un po’ di pregiudizi. Invece è andata bene: con noi il ragazzo è rifiorito, ha ripreso serenità. Così ci hanno chiesto di continuare con un secondo affido. In questo caso è arrivato Amir, il giovane egiziano che è ancora con noi: era il 2016. Poi la decisione di diventare famiglia-comunità. Con la cooperativa Terremondo e con Asai, un’associazione torinese che fa animazione interculturale, i servizi per i ragazzi stranieri e l’Ufficio migranti abbiamo cercato una casa più grande. L’abbiamo trovata a Piobesi Torinese. Alla casa abbiamo dato il nome di “Casa Aylan”, proprio perché siamo partiti toccati dalla vicenda di Alan Kurdi. La presenza dell’educatore è arrivata grazie al contributo della Fondazione de Agostini. Nel 2019 ci siamo trasferiti. Il primo ragazzo era diventato maggiorenne e ha deciso di rimanere a Torino, aveva già un lavoro. Continuate a sentire i ragazzi che sono stati con voi? Certo. Abbiamo incrociato tante storie diverse. Ci sono stati degli affidi di minori migranti che arrivavano dal viaggio in mare, oppure ragazzi albanesi che hanno fatto viaggi più sicuri. Per un breve periodo abbiamo avuto anche degli adolescenti afghani che arrivavano dalla rotta balcanica e che sono stati trovati su un camion in tangenziale mentre cercavano di passare in Francia. A casa con noi ci sono stati anche dei ragazzi sudanesi tramite il progetto “Pagella in tasca”, di Intersos e Caritas Italiana, dei corridoi umanitari che sono stati attivi per un po’, per portare in Italia dei ragazzi dai campi profughi in Niger. Quali emozioni vi guidano in questa esperienza? Per noi è una missione. Io sono medico, anche mia moglie lavora. Esprimiamo così la nostra genitorialità: non abbiamo avuto figli nostri e ci siamo ritrovati a essere mamma e papà di adolescenti maschi stranieri tra i 12 e i 20 anni. Lo facciamo anche come scelta politica, per dare testimonianza. Ci piace l’idea di sensibilizzare sull’affido, non solo degli stranieri, ma anche degli italiani. È un’esperienza bellissima e ci sono tante coppie che potrebbero “lanciarsi”. Qual è il vostro rapporto con le famiglie di origine dei ragazzi? Se le famiglie ci sono – alcuni sono orfani o i genitori non ci sono – è un rapporto molto sereno. Sono riconoscenti verso di noi; abbiamo avuto dei contatti, siamo andati in Albania e in Egitto a conoscere le famiglie di alcuni ragazzi, abbiamo ricevuto bellissime accoglienze da parte delle mamme e dei papà che ci manifestavano la loro gratitudine come potevano. In questo senso forse con i Msna è più facile rispetto all’affido di minori italiani che vengono da situazioni familiari complesse. Chiaro è però che bisogna avere la voglia di confrontarsi con una cultura diversa, avere la predisposizione all’accoglienza. Ci sono state situazioni in cui avete avuto delle difficoltà? Senz’altro. Ci sono difficoltà logistiche ma le abbiamo sempre affrontate bene, quindi non sono mai state un peso. Parlo dei documenti, delle iscrizioni a scuola, del rapporto con i tutori. Le complicazioni ci sono, ma sono tutte affrontabili grazie ai servizi che ci sostengono. Abbiamo fatto fatica con alcuni ragazzi, uno degli adolescenti sudanesi in particolare che era arrivato con dei traumi dalla Libia, manie di persecuzione che gli impedivano di stare sereno in comunità o con noi. Aveva paura di tutto, accusava gli altri, aveva creato un clima molto teso. Abbiamo cercato supporto psicologico e psichiatrico. Poi è diventato maggiorenne e ha chiesto l’autonomia. Ora ci sentiamo, ci scriviamo, ci vediamo, ci viene anche a trovare. Ma finché era in casa è stato complicato. Lei ritiene che l’affido sia il modo migliore di accogliere i minori stranieri soli. Come mai? Innanzitutto perché lo dice la Legge Zampa: la prima scelta dovrebbe essere l’affido familiare. Poi, perché l’abbiamo visto nella nostra esperienza: abbiamo conosciuto ottime comunità, ma anche realtà che fanno fatica a causa dei numeri elevati di ragazzi. La famiglia è un ambiente più piccolo, dove il ragazzo è tenuto maggiormente sotto controllo, in senso positivo. Non solo lo si gestisce meglio, ma si riesce a fare un percorso che lo porta ad avere un’autonomia maggiore; in più, spesso i ragazzi chiedono di restare fino ai 21 anni in famiglia riuscendo a prendere un diploma o una qualifica. Un ultimo elemento è che c’è un’inclusione maggiore: i minori in affido sono venuti con noi a delle funzioni religiose cristiane, noi siamo andati con loro ad altre funzioni musulmane. Vivono una vita più normale e vengono coinvolti nelle dinamiche di una famiglia, di una comunità, di un territorio. Redazione Italia
Con quel che resta del mondo
-------------------------------------------------------------------------------- Gaza (pixabay.com) -------------------------------------------------------------------------------- Dopo il ritorno definitivo dal Niger e quattordici anni di permanenza nel Sahel maltrattato da gruppi armati che usano la morte e il terrore come strategia. Dopo che le frontiere che si armano da troppe parti e i muri spuntano dappertutto al quotidiano. Dopo i morti migranti di chi cerca un altro mondo nel mondo. Dopo che le armi e le guerre che le utilizzano per perfezionarle sembra ormai la diplomazia tra Paesi con interessi divergenti. Dopo che gli imperi tornano a mostrare con arroganza il volto cinico del potere che non avevano mai abbandonato. Dopo che le illusioni del progresso illimitato e della globalizzazione felice sono state realizzate. Dopo che la giustizia sociale appare tradita e venduta per alcune denari di “coesione sociale”. Dopo che le grandi narrazioni della storia hanno lasciato il posto alla cronaca del quotidiano. Dopo i colpi di stato militari che tutto promettono di rifondare perché nulla cambi. Dopo tutto ciò ci si dovrebbe domandare che fare con ciò che resta del mondo. Dopo l’ipocrisia del diritto internazionale con applicazione variabile. Dopo la democrazia esportata di forza e mistificata alla sorgente dalla sete di potere e del denaro. Dopo aver mutilato il mistero della persona umana alla sola dimensione del commercio e del consumo. Dopo aver continuato a scavare il fosso che separa i mondi tra chi può viaggiare liberamente e chi è destinato a scomparire tra i superflui. Dopo aver dichiarato e subito dopo confiscato l’affermazione che tutte le persone nascono uguali in dignità e possibilità. Dopo avere lottato per anni le conquiste del lavoro e vederle diluirsi nello sfruttamento programmato dell’esclusione a partire dalla nascita. Dopo le ideologie che hanno ingabbiato la realtà falsificandone i contorni e la portata sovversiva. Dopo aver creduto alla redenzione attraverso la violenza sacrificale degli innocenti. Dopo avere mentito per anni sul senso della storia per ritrovarsi in una storia senza senso. Che fare con ciò che resta del mondo. Dopo l’epoca coloniale quella imperiale e infine quella del nulla o nichilista. Dopo che la merce e il mercato diventano tutto e tutto diventa mercanzia, compreso il corpo umano. Dopo che le parole sono state, svilite, svuotate, offese, manipolate e travisate da impostori. Dopo che si è banalizzata la violenza. Dopo che il confine tra vero e falso è reso negoziabile a seconda degli interessi. Dopo che la giustizia si è gradualmente trasformata in carità poi diventata appannaggio dell’ambiguità umanitaria. Dopo che i ricchi e i potenti hanno confezionato il mondo a loro immagine e somiglianza. Dopo che le religioni affiancano il potere per garantirne la durata e la stabilità. Dopo che le informazioni sono gestite da mestieranti e mercenari al soldo del dittatore di turno. Dopo che si confonde la pace con la dominazione della menzogna. Dopo che sembra impossibile credere ancora che un altro mondo è possibile. Che fare con ciò che resta del mondo. Ricucire, ripulire, rinnovare, ricreare e ridare statuto e dignità alle parole. Rigenerale la politica e rimetterla davanti e prima delle scelte dell’economia. Ripristinare il senso della democrazia sostanziale a partire dai dimenticati, emarginati e traditi. Riscrivere la storia con e degli umiliati, impoveriti, abbandonati e svenduti del sistema. Riprendere ad ascoltare il silenzio perduto nel dolore delle madri e dei padri. Ridare spazio ai sogni e alle visioni dei giovani, soli a immaginare un mondo che ancora non si intravvede. Riconciliare l’utopia del disarmo senza sfilate militari, fabbriche di armi e testate nucleari. Rieducarsi a cancellare dal lessico ogni traccia di nazionalismo armato perché escludente dell’altro. Risuscitare la verità sepolta nelle lacrime degli esiliati quando troveranno una dimora. Riparare i ponti abbandonati e distrutti dall’indifferenza. Rifare quel che resta del mondo per affidare al vento, ogni mattina, le poesie dei bambini. -------------------------------------------------------------------------------- Mauro Armanino, Casarza Ligure, settembre 2025 -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI RAUL ZIBECHI: > Il capitalismo è sinonimo di criminalità -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Con quel che resta del mondo proviene da Comune-info.