Le “lettere dalla prigione” di Boris Kagarlitsky
IL PRIGIONIERO PIÙ CELEBRE DELLA SINISTRA RUSSA, HA RILASCIATO UN’INTERVISTA CHE
GLI È COSTATA ALCUNI GIORNI DI ISOLAMENTO
Boris Kagarlítsky e Antonio Airapetov da El Salto
Boris Kagarlitski è il prigioniero politico più famoso della sinistra russa.
Sociologo, teorico marxista e professore alla Scuola Superiore di Economia, non
ha mai lasciato scampo a nessuno. Oggetto delle sue critiche sono stati il
Cremlino, Kiev e i governi occidentali, l’opposizione liberale russa, quella
nazionalista e il Partito Comunista. E nonostante ciò, lo stile argomentato e
rispettoso del professore gli ha fatto guadagnare un sostegno eterogeneo quando
nel 2023 è stato incarcerato e condannato a cinque anni di prigione per la sua
ferma opposizione all’invasione dell’Ucraina. Grazie alla Campagna
Internazionale di Solidarietà sono state raccolte centinaia di firme a favore
della sua liberazione tra personalità di spicco della sinistra internazionale,
come Naomi Klein, Jean-Luc Mélenchon, Slavoj Žižek, Jeremy Corbyn, Ken Loach o
Tariq Ali, tra gli altri.
Nel mese di novembre, appena compiuti i 67 anni, Kagarlitski ha trascorso tre
giorni in una cella di isolamento della colonia penitenziaria IK-4, in
condizioni che minacciano il suo fragile stato di salute, secondo quanto
denunciato dal suo avvocato. Si trattava di una punizione per l’estesa
intervista rilasciata a Véstnik Buri, uno dei media più rilevanti nella sinistra
russa. Le sue risposte sono state trascrutte e montate in video grazie a un’app
di AI che successivamente ha avuto un’ampia diffusione dentro e fuori la
Federazione Russa. Ne citiamo di seguito alcuni frammenti:
A PROPOSITO DEL CARCERE
Non è la prima volta che finisce dietro le sbarre: ha già scontato una pena nel
1982, quando era ancora nell’Unione Sovietica, nell’ambito del processo contro
il gruppo dissidente dei Giovani Socialisti; è stato nuovamente arrestato nel
1993 dalla polizia di Boris Eltsin durante il colpo di Stato da lui orchestrato,
e per la terza volta dalla polizia di Vladimir Putin nel 2020 durante le
proteste contro l’abolizione del limite dei mandati presidenziali. Nel 2023,
prima di entrare definitivamente in prigione, il regime gli ha dato la
possibilità di andare all’estero, come hanno fatto tanti altri oppositori.
Sempre nel rispetto di coloro che hanno scelto l’esilio, Kagarlitsky difende la
strada scelta:
«Non ho rimpianti. Ho preso una decisione e la considero non solo giusta, ma
estremamente importante. […] Alcuni dall’esilio, altri dall’interno del Paese,
altri ancora dalla prigione: l’importante è che tutti manteniamo la solidarietà
e la fede nella nostra causa».
Kagarlitsky è il più famoso, ma non è affatto l’unico prigioniero della sinistra
russa. Solo per citare alcuni casi: in Russia sono ben noti i processi contro
gli antifascisti di Tyumen, il Circolo Marxista di Ufa, il matematico e
professore dell’Università di Mosca Azat Miftáhov, o i tre adolescenti di Kansk
che sono stati arrestati all’età di soli 14 anni e sono in carcere da tre anni
per aver attaccato degli adesivi di solidarietà con Azat. “Nell’IK-4”, spiega
Kagarlítsky, “si è formata una comunità di prigionieri politici il cui nucleo è
composto da persone di sinistra”. In questo caso si riferisce al militante
antifascista libertario Denís Ushakov e al socialdemocratico di sinistra Gáguik
Grigorián. Tuttavia il veterano marxista va sempre oltre:
“Per quanto possa sembrare paradossale, la maggior parte dei detenuti per reati
politici non sono molto politicizzati. Sono semplicemente persone indignate
dagli eventi degli ultimi anni che hanno espresso la loro indignazione sui
social network e sono finite così nell’IK-4. È stato una volta qui, incontrando
altri prigionieri politici, che hanno iniziato a pensare in termini politici […]
e hanno scoperto di essere, in modo istintivo, di sinistra. Non perché abbiano
letto la teoria, ma per la loro esperienza di vita».
A PROPOSITO DELLA GUERRA
La guerra è molto presente nella vita della colonia. I detenuti ricevono visite
dai reclutatori e le autorità li informano puntualmente su cosa devono fare per
arruolarsi nelle forze armate:
“I dati sul reclutamento vengono pubblicati mensilmente. […] Nel 2023 ci sono
stati mesi in cui centinaia di persone hanno firmato il contratto. Nella
primavera del 2024 le cifre oscillavano intorno alle 35-45 persone e poi, dalla
fine dell’estate, hanno iniziato a diminuire rapidamente, fino a dicembre,
quando si è arruolata una sola persona. Poi c’è stato un certo aumento, ma nulla
di spettacolare, tra le 8 e le 11 persone al mese.
E anche questa piccola ripresa è legata alle aspettative di pace. Parlo con
molti reclute e mi assicurano che non arriveranno al fronte perché il cessate il
fuoco è imminente. Inoltre, gli stessi reclutatori insistono su questo punto.
Purtroppo, per il momento, ciò non si è verificato. […]
Non solo non ho trovato nessuno ideologicamente motivato, anzi, al contrario, ho
incontrato più di un convinto oppositore della guerra che si è arruolato.
Perché? Per uscire di prigione e guadagnare soldi per le rispettive famiglie.
[…] Abbiamo anche un certo numero di fanatici che ripetono gli slogan della
propaganda, ma nessuno di loro si è arruolato per combattere. Nessuno!”
Alla domanda sulle possibilità di un accordo tra Putin e Trump, Kagarlitsky si
mostra scettico:
«Trump pensava che, offrendo a Mosca condizioni vantaggiose, avrebbe ottenuto
rapidamente il risultato desiderato. Ma non capiva affatto le cause e le
dinamiche di questo conflitto, che non risiedono nella disputa territoriale o
ideologica […], ma nei problemi interni della politica russa e, in parte, anche
di quella ucraina. Se non sono in grado di raggiungere un accordo geopolitico, è
semplicemente perché la geopolitica, e persino il controllo delle terre rare,
sono questioni del tutto secondarie.
La questione principale è il cambio al Cremlino. E suppongo che anche in Ucraina
sia sul tavolo il problema della ripartizione del potere, anche se in altra
forma”.
“Il ritardo gioca chiaramente a sfavore della Russia: […] Trump ha già fatto fin
dall’inizio il massimo delle concessioni possibili e la logica degli eventi lo
costringe a irrigidire la sua posizione”.
Ma le dinamiche interne impediscono al regime russo di porre fine al conflitto:
«La propaganda del Cremlino e quella liberale coincidono nella stessa visione di
élite coese con un leader unico che aspira a un obiettivo globale di cui solo
lui ne è a conoscenza. Nulla di più lontano dalla realtà. E’ parecchio tempo che
non esiste una leadership unica; le élites sono profondamente divise al loro
interno e perseguono obiettivi molto diversi, spesso incompatibili. Ma temono
anche una rottura pubblica […]. Di conseguenza, le decisioni […] vengono
rinviate. È come una nave che continua ad andare alla deriva mentre sul ponte di
comando si discute all’infinito su dove andare. Quanto tempo si può andare
avanti così? […] Finché non compare un iceberg. […]
Se ci sarà un cambio al potere, ci saranno anche un accordo di pace e
un’amnistia. Ma devo ricordare ancora una volta che non si tratta solo dei
prigionieri politici. Nelle carceri ci sono migliaia di persone condannate per
assenteismo militare. […] E anche per i reati penali comuni […] i tribunali
stanno infliggendo pene chiaramente gonfiate per stimolare le persone a firmare
contratti con l’esercito. L’amnistia deve essere ampia e non riguardare solo i
prigionieri politici”.
SULLA SINISTRA
“Con la crisi economica mondiale del 2008-2010 è iniziata un’epoca che non è
ancora finita. […] In Russia, a livello locale, il modello di ”democrazia
guidata” è entrato in crisi. […]
Il bivio politico era abbastanza evidente per tutti: una vera democratizzazione
o, al contrario, un autoritarismo più esplicito. Le élite russe temevano una
democratizzazione perché avrebbe potuto portare alla perdita di controllo. Non
solo le élite al potere: anche i leader dell’opposizione liberale, così come i
rappresentanti dell’imprenditoria che li sostenevano, temevano un processo
incontrollabile. Di conseguenza, invece di cambiamenti radicali, abbiamo
assistito all’inutile “protesta di Bolotnaya” [2011-2012]. Il nome stesso è
simbolico [Bolotnaya plóschad significa la piazza del pantano]: tutta l’energia
della protesta si ritrovò impantanata nell’opportunismo liberale.
[…] Quegli eventi rafforzarono e, in un certo senso, crearono una nuova
sinistra”.
Una nuova generazione, che non si era più formata nell’URSS, ha alimentato
progetti mediatici solidi nella sinistra durante il decennio 2010. Tuttavia,
questi non sono mai riusciti a concretizzarsi in un proprio progetto politico:
“Abbiamo raggiunto un pubblico stabile che ha resistito alla prova di questi tre
anni di guerra; abbiamo un ambiente, una struttura, una cultura e una tradizione
propri. […] Sullo sfondo del crollo morale e politico della vecchia opposizione
sistemica, siamo più visibili e meglio preparati a sviluppare iniziative
politiche indipendenti. Ma, allo stesso tempo, la società è schiacciata, non
solo dalla repressione ma anche dalla depressione. I problemi della sinistra
sono, in ultima analisi, i problemi della società russa in generale”.
Kagarlítsky considera il periodo bellico come un’impasse:
“Siamo in un periodo di transizione. Si è protratto in modo esasperante, ma
continua a mancare di contenuti propri. […]
A livello globale sta già maturando un nuovo processo di formazione della
sinistra. Si pensi al nuovo partito dei sostenitori di Jeremy Corbyn nel Regno
Unito o ai nuovi leader della sinistra negli Stati Uniti. […]
[In Russia] la coalizione non si costruirà attorno ai diversi atteggiamenti nei
confronti di Stalin, ma attorno alle questioni della democratizzazione, della
nazionalizzazione dei monopoli naturali e della socializzazione delle
piattaforme, delle questioni di guerra e pace, educazione e diritti sociali. […]
Bisogna formare una coalizione ampia sulla base di un programma di riforme
democratiche e sociali”.
A PROPOSITO DI MEMORIA STORICA
«Cosa rivendicano le persone [quando difendono la memoria sovietica]? Quale
Unione Sovietica? […] Posso rispondere per me stesso. Senza dubbio, considero un
risultato della rivoluzione lo Stato sociale […]. L’istruzione delle masse, non
solo attraverso la scuola e l’università, ma anche attraverso la diffusione
dell’alta cultura. E, naturalmente, l’enorme lavoro di trasformazione di un
paese agricolo in uno industriale, lo sviluppo della scienza, ecc.
Ma la società sovietica era estremamente contraddittoria. Questi aspetti non
solo coesistevano con la repressione, l’annullamento dell’individuo, le campagne
denigratorie contro la genetica o il “cosmopolitismo”, un burocratismo
esacerbato, ecc., ma erano anche strettamente correlati. […] Per noi, come
sinistra, è fondamentale trarre conclusioni critiche da questa esperienza per
non ripeterla e non ripetere così la sconfitta”.
Lo stalinismo si è trovato inaspettatamente al centro dell’attenzione dei media
della sinistra russa negli ultimi mesi. Le diverse fazioni staliniste sono
fortemente polarizzate sulla questione della guerra:
«C’è un aspetto curioso riguardo agli stalinisti post-sovietici. L’ideologia
stalinista storica ha attraversato diverse fasi e ha subito mutamenti
sostanziali. Una cosa era l’ideologia degli anni ‘30, in cui c’era ancora molta
retorica rivoluzionaria, riferimenti all’interesse di classe, ecc. E un’altra
era l’ideologia del periodo 1948-1953, che in sostanza ha preparato l’attuale
‘imperialismo rosso’. […]
Nel 2022 è diventato evidente su quale periodo della storia sovietica ciascuno
si concentrasse. Tra coloro che si orientavano verso le idee degli anni ’30,
molti hanno adottato una posizione critica nei confronti dell’invasione
dell’Ucraina, mentre gli “imperialisti rossi” hanno naturalmente sostenuto il
regime. Tutto molto logico.
D’altra parte, il Partito Comunista della Federazione Russa ha dato una svolta
rinnegando ufficialmente la condanna dello stalinismo adottata dal Partito
Comunista Sovietico nel XX Congresso del 1956:
“Le rappresaglie contro i comunisti nell’URSS sono un fatto noto da tempo. […]
Sono stati condotti molti studi. Alcuni di essi [che stimano in circa 700.000 le
persone giustiziate dalle troike di Stalin] sono spesso citati dagli stessi
stalinisti quando vogliono dimostrare che il numero delle vittime è stato
inferiore a quello sostenuto dai liberali. […]
Allora perché proprio ora la dirigenza del Partito Comunista rinnega
ufficialmente le risoluzioni del XX Congresso, senza alcun nesso diretto con il
momento attuale? Mi sembrano esserci due ragioni. La prima è che la storia sta
sostituendo la politica. Non si tratta nemmeno di depoliticizzazione, è peggio:
la difesa dei miti diventa la sua attività principale. […] Miti, per giunta,
reazionari. Il mito del grande leader è di per sé reazionario perché mira a
sopprimere l’attività autonoma e democratica delle masse. […]
E la seconda ragione è che, forse in modo inconscio, vogliono compiacere
l’attuale leadership del Paese. Non è un segreto che l’eredità autoritaria
dell’URSS sia accettata e approvata dal regime attuale, a differenza
dell’eredità progressista sovietica (l’emancipazione delle donne, la separazione
della scuola e della cultura dalla Chiesa, ecc. […] Proprio ora che la lotta per
le libertà democratiche diventa un aspetto chiave della lotta per la
trasformazione sociale, ci viene offerto il culto dell’autoritarismo e del
conservatorismo. […]
Da ciò deriva una conclusione. Anche se alcuni non lo vogliono, sarà necessario
affrontare la questione della democrazia, perché, in ultima analisi, è anche una
questione sociale, una questione di classe”.
SULLA DEMOCRAZIA
Ponendo la lotta per la democratizzazione del Paese in una posizione così
privilegiata, Kagarlitsky entra nel vivo di un’altra questione molto controversa
per la sinistra russa: il rapporto con l’opposizione democratico-liberale:
«La maggior parte degli oppositori liberali si rifiutava categoricamente di
vedere le radici sistemiche ed economiche di ciò che stava accadendo. Non
chiedevano di cambiare il sistema, ma di sostituire alcune persone, molto
cattive e corrotte, provenienti dai servizi segreti, con altre persone, molto
buone e oneste, provenienti dal mondo degli affari”.
“La situazione ha iniziato a cambiare verso la fine del decennio 2010 con
l’arrivo di una nuova generazione di giornalisti professionisti che non
provavano odio verso le idee di sinistra e, in alcuni casi, addirittura
simpatizzavano con esse”.
Gli attivisti liberali stanno attraversando un processo molto importante di
revisione dei propri valori. Ciò non significa che da un giorno all’altro
diventeranno tutti di sinistra (anche se alcuni lo hanno già fatto). Ma, almeno,
saranno più disposti a dialogare con noi, e in questa situazione il nostro
dovere è quello di esporre in modo chiaro e convincente questioni concrete,
rispettare gli avversari ed esigere lo stesso rispetto nei nostri confronti.
[…].
Qualcuno mi mostri, per favore, una citazione di Marx, Lenin o anche Stalin, che
affermi esplicitamente che la dittatura borghese è migliore della democrazia
borghese. Nessun “classico” ha mai detto una simile assurdità. Ai più ostinati
consiglio di leggere il discorso di Stalin al XIX Congresso del PCUS. Il tema
chiave è che i comunisti dei paesi capitalisti devono mettersi alla testa della
lotta per la democrazia.
Perché dico che la questione della democrazia è una questione di classe? Perché
l’auto-organizzazione di massa dei lavoratori sarà possibile solo in condizioni
di libertà e apertura, quando molti membri della classe operaia, non solo leader
e attivisti isolati, potranno affiliarsi a organizzazioni di sinistra, esprimere
le loro opinioni senza timore di ritorsioni e, in ultima analisi, influenzare la
politica.
A SPASSO CON IL LEVIATANO
Il ricongiungimento con la famiglia e il suo programma di azione politica non
sono le uniche cose che occupano la mente del detenuto. Kagarlitsky ha anche
altri progetti letterari:
“Sto prendendo appunti sulle storie più curiose e sui personaggi più
interessanti. Spero di pubblicare un libro, se mai riuscirò a uscire di qui un
giorno, con tutte le storie divertenti, comiche, grottesche e, a volte,
ovviamente, un po’ inquietanti che ho osservato durante le mie peregrinazioni
nelle carceri. […] Ho già anche il titolo: “Passeggiate con Leviatano”. […]
I miei compagni e persino alcuni funzionari sono già a conoscenza di questo
libro. Ricordo che a Rzhev il capo della sezione operativa mi chiamò nel suo
ufficio e mi chiese: “È vero che sta scrivendo un libro sulla prigione?”. Gli
risposi di sì. “Beh, per favore, scriva dei nostri problemi. Abbiamo pochi fondi
e non possiamo fare una riforma come si deve”. Gli promisi che l’avrei fatto e
lo farò!”.
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