Source - Popoff Quotidiano

giornalismo o barbarie

Quel depistaggio che risale alle “radici che non gelano” della destra italiana
BOLOGNA, 45 ANNI DI TRAME E DEPISTAGGI PER NASCONDERE LA VERITÀ [PAOLO BOLOGNESI] IL TESTO INTEGRALE DELLA COMUNICAZIONE LETTA, IL 2 AGOSTO DEL 2025, DAL PRESIDENTE PAOLO BOLOGNESI A NOME DELL’ASSOCIAZIONE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980 A 45 anni da quel 2 agosto del 1980, dal governo di destra è stato inferto un ennesimo schiaffo alla memoria storica e alla verità giudiziaria. Ad aprire le danze il discorso della premier: nessun riferimento alla matrice neofascista nonostante quello che dicono le sentenze passate in giudicato. La leader di FdI ha adoperato il termine terrorismo nella più generica e inutile delle accezioni. E quella frase: “Ci uniamo alla richiesta di giustizia”. Come se nulla fosse stato mai analizzato e  provato, nonostante i depistaggi e fino ad essere fissato nelle sentenze della Corte di Cassazione. Particolarmente volgari l’intervento e le dichiarazioni successive della ministra Bernini, la stessa che sta smantellando l’Università, intervenuta soprattutto per contestare Paolo Bolognesi, presidente dei familiari delle vittime. Molto insidiose le prese di posizioni di altri ras del partito post-fascista di maggioranza relativa a favore di una commissione di inchiesta parlamentare che dovrebbe servire a manipolare la storia. Per questo la pubblicazione del discorso tenuto da Bolognesi assume la guisa di un documento storico (redazione). Anche 45 anni fa era un sabato, il primo sabato di agosto. In una giornata assolata, che avrebbe dovuto scorrere spensierata per l’inizio delle vacanze estive, la nostra città e l’intero Paese furono scaraventati nell’orrore. 85 morti e oltre 200 feriti; tra loro molti bambini. Una strage, la peggiore che abbia mai colpito l’Italia. Il male assoluto. Un male però non isolato: altri attentati terroristici di stampo fascista avevano già insanguinato il nostro Paese, da Piazza Fontana a Gioia Tauro; da Peteano alla Questura di Milano, da Piazza della Loggia al treno Italicus. Tutti, allora, rimasti impuniti. Hannah Arendt scriveva:“Il male è banale quando si perde la capacità di interrogarlo”. Il rischio che anche questo male assoluto diventasse banale, che anche questa ennesima strage rimanesse non solo senza colpevoli, ma soprattutto senza risposte, era più che concreto nell’Italia delle stragi impunite. Per questo, nel 1981 noi parenti delle vittime e feriti della strage del 2 agosto 1980, ci siamo uniti in associazione. Distrutti dal dolore, ma non rassegnati, abbiamo così voluto porci l’obiettivo di ottenere con tutte le iniziative possibili la verità e la giustizia, per far sì che i nostri cari non fossero morti invano. Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto: 45 ANNI DI TRAME E DEPISTAGGI PER NASCONDERE LA VERITA’ LA DETERMINAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE DEI FAMILIARI LO HA IMPEDITO Ci sono voluti anni, decenni, e il cammino che ha fatto emergere in modo sempre più nitido il quadro delle responsabilità non è stato semplice. È stato difficile, lungo e faticoso il percorso, ma l’abbiamo fatto insieme ed è anche grazie a questo che, con le ultime sentenze, si sta finalmente delineando la verità completa. Oggi sappiamo chi è stato e ne abbiamo anche le prove. La strage del 2 agosto 1980, già ideata nel febbraio 1979, fu concepita e finanziata dai vertici della famigerata loggia massonica P2, protetta dai vertici dei Servizi Segreti italiani iscritti alla stessa loggia P2 , eseguita da terroristi fascisti. Contiguità che sembrano ancora oggi salde e inconfessabili, se pensiamo che fino a ieri le inchieste sulla strage del 2 agosto sono state ostacolate in ogni modo con depistaggi e intossicazioni che, seppur smascherate e smontate in sede processuale, hanno portato a ritardi di anni e anni nell’accertamento dei fatti. E se ci sono voluti così tanti anni perché si arrivasse a svelare il quadro completo di chi ha voluto ed eseguito la strage del 2 agosto 80, è perché tutti, a parole, affermano di volere la verità, ma nei fatti sono moltissimi coloro che, pur avendone la possibilità, hanno fatto e fanno qualunque cosa per nasconderla, ritardarla e dissimularla. L’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga definì gli stragisti Mambro e Fioravanti giovani spontaneisti armati, così da evitare il collegamento coi vertici dei Servizi Segreti italiani. Poi arrivò la pista palestinese: un depistaggio! Che si trascinò però per almeno trent’anni e, ancora oggi, nonostante le sentenze, gode di alcuni seguaci ignoranti o depistatori a loro volta. Quando emisero la prima sentenza d’appello 18 luglio 1990 che assolse tutti per l’esecuzione della strage, Cossiga la definì una sentenza coraggiosa. La sentenza però fu poi annullata dalla Corte di Cassazione a sezioni unite perché illogica e arrivò Parisi, il Prefetto già Capo della Polizia e vice del servizio segreto civile che voleva tenacemente depistare unendo la strage di Ustica a quella di Bologna. Lo stesso Parisi che da Capo della Polizia, consegnò nel 1987 all’allora Ministro dell’Interno, Amintore Fanfani, il cosiddetto documento “Artigli” in cui veniva riportato il ricatto che Licio Gelli (tramite il suo avvocato) aveva recapitato allo Stato per garantirsi l’impunità per la strage di Bologna. Nel 1995 alla vigilia della sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite, uscirono una serie di note critiche, formulate rispetto alle varie sentenze che condannavano i terroristi Mambro e Fioravanti, confezionate da un folto gruppo trasversale riunito sotto lo slogan E SE FOSSERO INNOCENTI? Le note critiche erano state sottoposte e discusse nelle aule dei tribunali e tutte interamente confutate, ma vennero sorrette dal clamore mediatico imponente di giornali, televisioni e radio che crearono grande confusione e sbandamento. Nel 2002 il Governo Berlusconi, anche lui iscritto alla famigerata loggia massonica P2, istituì la commissione bicamerale d’inchiesta denominata “Commissione Mitrokhin”, un vero e proprio depistaggio istituzionale voluto dal Governo di destra dell’epoca: tra i suoi compiti c’era quello di avallare in modo definitivo la pista palestinese. La relazione finale non fu votata nemmeno dalla maggioranza. Di recente sono state rese note alcune chat tra due attuali esponenti della maggioranza parlamentare, l’Onorevole Frassinetti e il Ministro Lollobrigida, in cui riferendosi al processo relativo al 2 agosto, parlano di “sentenza sbagliata” e il ministro Lollobrigida invita a tenere un basso profilo sulla strage alla stazione, cosicché una volta al Governo avrebbero potuto provvedere a diffondere la “verità con la V maiuscola”. In effetti, bisogna riconoscere che certi personaggi hanno un solo modo per uscire bene da questa triste vicenda: non parlarne, fare finta di niente, sperare che ci si dimentichi. Perché, se se ne parla invece, bisogna dire che per anni gli esecutori materiali della strage alla stazione, camerati amici di gioventù, sono stati furbescamente dipinti come ingenui spontaneisti armati, laddove invece erano stati ben preparati e addestrati militarmente e sono state inequivocabilmente provate le loro coperture in seno ai Servizi Segreti. Perché, se se ne parla, bisogna dire che sono incredibili i trattamenti di favore riservati agli stessi esecutori materiali dell’eccidio del 2 agosto che, pur essendo pluriergastolani mai pentiti, sono da anni in libertà, in barba al principio di certezza della pena sbandierato nelle campagne elettorali. Sappiamo bene che gli amici degli stragisti non si collocano solo a destra, perché il partito dei nemici della verità è trasversale, così come era trasversale la famigerata loggia massonica P2. È però un fatto che tutti gli stragisti italiani passarono dal Movimento Sociale Italiano, partito costituito nel 1946 da esponenti della REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA (allora in gran parte latitanti perché ricercati dalla nuova giustizia della Repubblica democratica), CHE FINO ALL’ULTIMO AVEVANO COMBATTUTO CON I TEDESCHI CONTRO I PARTIGIANI, PARTITO CHE SI COLLOCAVA APERTAMENTE CONTRO LA NASCENTE COSTITUZIONE NATA NEL 1947 ISPIRATA DALLA LOTTA DI LIBERAZIONE. Elenco qui solo alcuni dei casi più gravi di uomini del MSI direttamente coinvolti o condannati per fatti eversivi e di strage: Paolo Bellini ha affermato in aula a Bologna, senza mai essere smentito, che dal 1972 era “infiltrato in Avanguardia Nazionale per conto di Almirante”. Insieme a lui le carte del processo hanno individuato Mario Tedeschi, senatore del MSI, come uno dei depistatori/mandanti dell’eccidio alla stazione. Carlo Maria Maggi, esponente di Ordine Nuovo, rientrò nel 1969 nel MSI seguendo il suo capo Pino Rauti. Fu membro del Comitato centrale del partito e candidato al parlamento nelle elezioni del 1972. È stato condannato in via definitiva per la strage di Brescia del 28 maggio 1974. Anche Paolo Signorelli seguì Rauti e tornò nel MSI nel Comitato Centrale. Vi rimase fino al 1976. È stato condannato per Associazione sovversiva e banda armata. Suo nipote, omonimo del nonno, è stato il capo ufficio-stampa del ministro Francesco Lollobrigida, incarico da cui si è dimesso dopo il caso delle telefonate con Fabrizio Piscitelli (ultras e narcotrafficante ucciso il 7 agosto 2019) insieme al quale si produceva in insulti antisemiti e in esaltazioni di Fioravanti e Ciavardini. Carlo Cicuttini era il segretario della sezione del MSI di Manzano in Friuli al momento della partecipazione alla strage di Peteano che uccise tre carabinieri. Cicuttini li aveva attirati sul luogo dell’attentato con una telefonata alla locale caserma. Il MSI, lo mostrano le carte dell’inchiesta del giudice Casson, raccolse 32.000 dollari per farlo operare alle corde vocali nel timore che venisse identificato dalla voce registrata dai militari. Dal MSI provenivano figure chiave della stagione eversiva come Stefano Delle Chiaie (fondatore di Avanguardia Nazionale), oppure come Franco Freda il riconosciuto capo del gruppo ordinovista veneto responsabile della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Giuseppe Dimitri fu dirigente di Avanguardia Nazionale e Terza Posizione (TP). Responsabile di un deposito di armi a Roma condiviso con i NAR di Fioravanti e Mambro. Fu condannato per banda armata. Divenne, negli anni 2000, consulente del Ministro per l’agricoltura Gianni Alemanno. E infine: cosa dire del fatto che nel gennaio 2007, l’allora senatore Ignazio La Russa (oggi presidente del Senato) presenziò ai funerali del terrorista Nico Azzi che il 7 aprile 1973 tentò una strage sul treno Torino-Roma e fornì le bombe a mano che cinque giorni dopo due missini usarono per uccidere il poliziotto Antonio Marino durante un corteo del MSI a Milano? Sono queste le «radici che non gelano». E con queste ci si deve fare i conti. E allora la verità con la “V” maiuscola di cui parla il Ministro Lollobrigida sembra assomigliare a una mistificazione più che alla realtà, a una menzogna più che alla verità. E alla Presidente del Consiglio, che ci ha accusato di volerla esporre a ritorsioni, nel ricordare il passato da cui proviene, come quello da cui provengono gli esecutori delle stragi, vogliamo dire che una cosa è il rispetto per le Istituzioni, un altra cosa è l’accettazione di riscritture interessate della storia, cosa che non siamo in alcun modo disposti a far passare. Perché, Presidente Meloni, condannare la strage di Bologna senza riconoscerne e condannarne la matrice fascista è come condannare il frutto di una pianta velenosa, continuando ad annaffiarne le radici. In questi lunghi e faticosi anni, la nostra battaglia non è mai stata né mai sarà una battaglia ideologica: quando più di 40 anni fa, noi parenti delle vittime e feriti della strage del 2 agosto ’80 ci siamo uniti in associazione, lo abbiamo fatto col puro intento di esercitare pienamente il nostro diritto di sapere come sono realmente andate le cose. Dopo di noi, altri cittadini vittime di stragi e attentati precedenti hanno deciso di seguire il nostro esempio, costituendo altre associazioni per ottenere giustizia e verità e insieme a loro abbiamo potuto far sentire più forte la nostra voce in comuni battaglie di civiltà che avrebbero dovuto vedere in prima fila, sempre, le Istituzioni e i Governi. Nel “PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA”, progetto golpista della famigerata loggia massonica P2 figurava “LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI”, preludio ad un controllo dell’esecutivo sulla magistratura; operazione che il Governo attuale vuole pervicacemente attuare spacciandola come riforma. Da ultimo, esprimiamo grave preoccupazione per l’articolo 31 del DDL “Sicurezza”, che assegna ai Servizi di Sicurezza una sorta di “licenza di delinquere” piuttosto preoccupante, data la storia del nostro Paese. In Pratica con l’articolo 31 si stabilisce che d’ora in poi nessun uomo dei Servizi potrà essere inquisito per depistaggi, esecuzioni e incitamento alle stragi ecc. Sembra un tributo pagato a coloro che avevano sì giurato fedeltà alla Costituzione, ma nei fatti ne hanno preso le distanze cercando di abbattere la democrazia. E alle stesse associazioni di familiari, insieme a numerosi cittadini ed esponenti della società civile, abbiamo chiesto giustamente di non lasciarci soli e sono stati al nostro fianco anche qualche mese fa, quando abbiamo qui organizzato un presidio democratico, in risposta alla squallida sfilata di camicie nere organizzata da Casapound, definendola composta da Patrioti. Quel presidio lo abbiamo organizzato dopo il periodo elettorale per non sovrapporci ulteriormente alla campagna elettorale per le regionali, perché la nostra è una battaglia di civiltà e di democrazia e non ha colore politico. Una battaglia lunga e faticosa, spesso portata avanti nel silenzio quasi assoluto dei mass media che, per convenienza, censurano le ultime risultanze processuali sull’eccidio del 2 agosto 80, sperando nell’oblio e nell’ignoranza diffusa. Lo scorso gennaio la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Gilberto Cavallini quale esecutore della strage alla stazione. Il 1°luglio scorso la Corte di Cassazione ha condannato Paolo Bellini all’ergastolo in via definitiva, nell’ambito del processo mandanti per aver partecipato alla strage; Piergiorgio Segatel a 6 anni per depistaggio e Domenico Catracchia a 4 anni per false dichiarazioni ai giudici. Un cerchio che si chiude e dopo 45 anni possiamo dire che conosciamo i retroscena della strage!! In quella sentenza sono passate in giudicato altre vicende molto interessanti: 1 – La pista Palestinese è un palese depistaggio, 2 – È provato il collegamento organico dei Servizi Segreti italiani con i terroristi dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) e coi gruppi Avanguardia Nazionale, Terza Posizione e Ordine Nuovo, collegati ai primi. 3 – È provato che nel covo dei NAR di via Monte Asolone a Torino, tra svariati documenti trovati, tra cui tesserini dei carabinieri firmati dal comandante della legione di Brescia, il Colonnello Giuseppe Montanaro anche lui iscritto alla famigerata loggia massonica P2, c’erano gli spezzoni rimanenti delle targhe dell’auto usati dagli esecutori dell’omicidio del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella. Questi spezzoni ci consentono di mettere in stretto collegamento quell’omicidio con la formazione dei terroristi neofascisti i NAR. 4 – I NAR non erano degli spontaneisti armati come voleva far credere l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ma erano persone ben addestrate militarmente. 5 – È provato che il Sisde, Servizio Segreto Civile, tramite il Prefetto Parisi concedeva in suoi appartamenti i covi delle Brigate Rosse e dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari). 6- Anche alcuni vertici dell’Arma dei Carabinieri conoscevano prima della strage ciò che sarebbe successo il 2 agosto. Questo splendido risultato è merito anche del nostro collegio di difesa composto dagli avvocati Lisa Baravelli, Alessia Merluzzi, Alessandro Forti coordinati dall’avvocato Andrea Speranzoni che con grande dedizione e impegno hanno condotto in porto questa impresa processuale che possiamo definire storica. I processi svolti e le relative sentenze, ci consentono oggi di leggere insieme, come diceva il giudice Mario Amato, questi fatti e capire le trame criminali che hanno attraversato il nostro Paese per sovvertire l’ordinamento democratico. Questi documenti però sono di difficile accesso, comprese le sentenze che sono atti pubblici. Il Direttore della Direzione Generale Archivi, Antonio Tarasco, ha emanato una circolare che limita la consultabilità delle sentenze che, ripeto, sono atti pubblici. Le resistenze alla verità non mutano quindi! Anzi, per evitare ulteriori passi avanti, aumentano. Abbiamo nel frattempo dato vita ad un coordinamento tra le associazioni di vittime delle stragi storiche degli anni 70 -80 e quelle relative al periodo del 92- 93, perché vi sono molti punti di contatto tra vecchi elementi che hanno concorso ad eseguire le vecchie stragi e i Servizi Segreti. Figure come quella di Paolo Bellini risultano coinvolte anche nelle stragi del 92-93, svelando un filo nero che collega terroristi fascisti agli episodi più sanguinosi della storia del nostro Paese. Su questi ricorrenti intrecci avrebbe dovuto indagare la Commissione Antimafia approfondendo la commistione criminale fra terrorismo nero, mafia e Servizi Segreti. La Commissione Antimafia che invece sta limitando il proprio spettro di azione ad operazioni che riguardano Mafia e appalti. Questa impostazione porterà sicuramente ad un clamoroso nulla di fatto. E chi vuole la verità si vedrà sottratti altri 5 anni, tanti quanti una intera legislatura. Da questo palco, confermo la mia contrarietà alla nomina a presidente della commissione Antimafia dell’On. Colosimo; ho già espresso questo mio giudizio nell’intervista pubblicata, all’indomani della nomina, sul giornale La Repubblica il 25 maggio 2023 “Colosimo? Tanto valeva Messina Denaro a capo della Commissione”. Ovviamente, il titolo non è stato scelto dal sottoscritto e l’On. Colosimo non è Matteo Messina Denaro né mi riferisco alla qualità della persona che nulla c’entra con Matteo Messina Denaro, ma alla scelta politica non condivisa, tenuto conto della FOTO CHE LA RITRAE CON IL TERRORISTA condannato quale esecutore della strage di Bologna LUIGI CIAVARDINI, DIFFUSA E DISCUSSA AMPIAMENTE SU GIORNALI E TELEVISIONI: ciò ci induce a ritenere quella nomina politicamente inopportuna al massimo livello. Pochi mesi fa ci ha lasciati un grande amico: Gianni Flamini. Lo vogliamo ricordare perché è stato un grande giornalista dallo spirito libero che ha approfondito come pochi altri le vicende eversive di mezzo secolo di storia non soltanto italiana. Flamini è stato un ricercatore appassionato e instancabile. Più volte i risultati della sua straordinaria capacità di ricerca hanno offerto alla nostra Associazione un contributo fondamentale nella ricerca della verità e della giustizia. Contro il diffondersi interessato di superficialità, omissioni, indifferenza e più o meno grossolane falsità, la nostra associazione ha sempre dato primaria importanza al rapporto con le scuole e le giovani generazioni. Quei giovani che quest’anno, nella ricorrenza del 9 maggio, Giorno della Memoria delle Vittime e delle stragi di tale matrice, sono stati gli unici a parlare di terrorismo nero e neofascismo in quell’aula della Camera dei Deputati che aveva blindato la cerimonia scegliendo come moderatore addirittura Bruno Vespa, giornalista che – ricordiamolo – all’indomani della strage di Piazza Fontana e dell’arresto dell’anarchico Pietro Valpreda, non esitò a definirlo acriticamente colpevole. Pietro Valpreda era innocente e quella strage fu commessa dal gruppo di Ordine Nuovo veneto. Non è una banalità: i giovani sono il futuro di tutti noi e per loro e con loro possiamo costruire una società in cui nessuno sia più costretto a subire quello che, noi e il Paese, abbiamo subito. A questi ragazzi che ci guardano con occhi intelligenti e curiosi, spieghiamo la nostra storia. Diciamo loro che la ricerca di giustizia e verità nei casi migliori è un risultato, ma soprattutto è un processo, è un percorso, come il nostro, lungo e pieno di ostacoli con grandi sacrifici anche familiari. E a chi fra loro ci chiede come abbiamo fatto a rimanere saldi in tutti questi anni, rispondiamo che abbiamo fatto come gli alberi: abbiamo cambiato le foglie, ma conservato le nostre radici. Il primo presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime è stato Torquato Secci: un grande uomo, che qui aveva perso suo figlio, è stato per noi come un padre. Con lui abbiamo affrontato e superato tanti ostacoli, e molte delle vittorie ottenute dopo la sua scomparsa sono maturate grazie ai semi piantati con lui: gli accertamenti nelle aule giudiziarie, il reato di depistaggio, il coinvolgimento artistico con “Il Concorso internazionale di composizione “2 Agosto” che è uno dei maggiori concorsi di composizione d’Italia, nato nel 1994. Il prossimo anno, a parlare da questo palco sarà un nuovo presidente, eletto dall’assemblea odierna dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980, che nominerà Paolo Lambertini, attuale vicepresidente, carica che ricopre da nove anni, figlio di Mirella Fornasari, una dipendente della CIGAR, perita nella strage. Da parte mia continuerò il mio impegno e darò il mio contributo come presidente onorario dell’Associazione. Cambieranno le foglie, conserveremo le radici. Cambieranno le persone rimarranno i nostri principi di giustizia e verità. E come ogni albero robusto, avremo ancora bisogno di un terreno fertile e un sano nutrimento: il vostro sostegno e supporto, la vostra partecipazione che dà forza e significato alle nostre battaglie. Mi piace passare il testimone con alcune parole di Aldo Moro: “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi.”. Il coraggio non ci è mai mancato e non ci mancherà. La verità e la giustizia saranno sempre il nostro faro. Dal profondo del cuore GRAZIE a tutti Voi. The post Quel depistaggio che risale alle “radici che non gelano” della destra italiana first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Quel depistaggio che risale alle “radici che non gelano” della destra italiana sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
UK, il nuovo partito di sinistra: un’opportunità storica?
DAVE KELLAWAY RAGIONA SULLE OPPORTUNITÀ OFFERTE DAL LANCIO DEL NUOVO PARTITO DI SINISTRA DA PARTE DI ZARAH SULTANA E JEREMY CORBYN Ogni volta che inizio questo articolo, devo aggiornare il numero di persone che si sono registrate sul sito web Your Party. Secondo il feed Twitter di Zarah Sultana, hanno già raggiunto le 500.000 adesioni in meno di una settimana e le persone continuano a iscriversi. Questo è l’argomento di cui tutti parlano durante le manifestazioni e i picchetti a favore della Palestina o in difesa dei migranti. Sì, il confronto con i membri registrati del Labour e del Reform non è corretto, poiché non si tratta ancora di un’iscrizione a pagamento, anche se sarebbe interessante vedere quanti hanno già donato. Ricordiamo anche i 300.000 che hanno aderito alla campagna Enough is Enough lanciata dai leader sindacali durante i grandi scioperi del settore pubblico di alcuni anni fa. Le persone dietro quella campagna non avevano un progetto, ci sono state alcune manifestazioni isolate con oratori sul palco e la cosa è rapidamente svanita. Questo è diverso. Le persone stanno aderendo a una dichiarazione che include una serie di posizioni politiche generali che riflettono il progetto di Corbyn e un impegno a sostegno della Palestina. La dichiarazione potrebbe essere molto migliore sul tema dell’ecologia, anche se include critiche alle aziende di combustibili fossili che stanno distruggendo il pianeta. Nella dichiarazione è anche chiaramente indicato che ci sarà una conferenza fondativa e che i membri decideranno le politiche e i leader. Qui le persone stanno aderendo a un processo completamente diverso dalla campagna Enough is Enough. Anche se solo la metà di loro decidesse di aderire, il risultato sarebbe comunque positivo rispetto al numero di iscritti al Labour Party. Starmer e il suo team sono stati reticenti nel rendere noti i dati relativi agli iscritti. I comitati esecutivi nazionali pubblicano abitualmente queste informazioni, ma hanno smesso di farlo nelle ultime riunioni. Chi è ancora nel Labour vi dirà che i membri attivi sono pochi e rari. Tra i membri ufficiali del Labour ci sono molti che pagano la quota ma non sono attivi. Il declino del Labour non sorprende, vista il continuo rifiuto di riconoscere il genocidio a Gaza, la sua politica anti-immigrati e i tagli al welfare. Le riunioni riducono deliberatamente al minimo la discussione politica. Hanno persino cambiato le regole in modo da ridurre la frequenza delle riunioni di circoscrizione. I consiglieri e i carrieristi politici mantengono in funzione le strutture di base. Già altri membri se ne andranno con l’avanzare del processo Corbyn/Sultana. Il gran numero di adesioni concentrerà l’attenzione della gente e coinvolgerà coloro che stanno aspettando di fare una scelta. COME HANNO REAGITO IL LABOUR E I MEDIA MAINSTREAM Rispetto alla copertura mediatica minuziosa del recente aumento del partito Reform di Farage, c’è stata molta meno copertura dell’esplosione delle iscrizioni al nuovo partito di sinistra. Tuttavia, è stato impossibile ignorare diversi sondaggi che hanno mostrato il nuovo partito tra il 10 e il 15%. Ciò sottrarrebbe voti al Labour, ai Verdi e agli astensionisti (circa un terzo ciascuno). I giornalisti favorevoli a Starmer stanno avanzando posizioni contraddittorie. Alcuni sottolineano le difficoltà interne ed esagerano le differenze tra il campo di Sultana e i fedelissimi di Corbyn. Prevedono che tutto finirà in lacrime e divisioni. Allo stesso tempo, altri sostengono che il nuovo partito stia irresponsabilmente dividendo i voti della sinistra, in altre parole che sarà efficace e otterrà un numero significativo di voti. Un giornalista, Sean O’Grady, che scrive sull’Independent, dà al partito sei mesi di tempo per dividersi in due fazioni, quella di Sultana e quella di Corbyn. Egli ritiene addirittura che ciò rafforzerà Starmer, chiarendo le questioni, e che egli riuscirà in qualche modo a riconquistare i voti progressisti attorno alla sua leadership per bloccare Farage. I consulenti stanno promuovendo questo scenario in stile Macron come futuro del Labour. Good luck! Ho sentito la discussione sulla scissione tra i membri locali del partito laburista quando si è parlato del nuovo partito. Sono le politiche di Starmer e i suoi cambiamenti radicali che hanno portato alla scissione dei voti laburisti a favore dei Verdi e dei candidati di sinistra. Non si può cinicamente usare la natura antidemocratica del nostro sistema elettorale per argomentare contro la creazione di un nuovo partito. È ironico che la stragrande maggioranza abbia votato a favore della rappresentanza proporzionale durante i congressi dei partiti. Come ha commentato qualcuno sui social media, “non si può cinicamente usare la natura antidemocratica del nostro sistema elettorale per argomentare contro la creazione di un nuovo partito. È ironico che una maggioranza schiacciante abbia votato a favore della rappresentanza proporzionale alle conferenze di partito. Come ha commentato qualcuno sui social media l’altro giorno guardando quanti si sono iscritti, non si tratta tanto di dividere il voto quanto di riconquistarlo. Infatti, molti sostenitori del nuovo partito si oppongono con forza alla divisione dei voti tra i candidati progressisti dei Verdi e quelli del nuovo partito di sinistra. Allo stesso tempo, dovremmo tendere una mano ai parlamentari laburisti che hanno preso posizione sulla Palestina o hanno votato contro i tagli al welfare: sarebbe sciocco candidare un esponente del partito di sinistra contro John McDonnell o Diane Abbott. Come ha reagito la sinistra marxista o radicale A differenza di alcuni progetti alternativi precedenti, quasi tutti i gruppi di sinistra come il Socialist Party, Counterfire e il Socialist Workers Party hanno appoggiato il nuovo progetto e contribuiranno alla sua realizzazione. Alcuni attivisti indipendenti e socialisti pensano in qualche modo che questa sia una cosa negativa, che inevitabilmente questi gruppi interverranno in modo negativo. Si veda ad esempio questo articolo scherzoso. Se sei un partito aperto e inclusivo, non puoi porre il veto alla partecipazione di diverse migliaia di attivisti esperti e dedicati. A volte i gruppi leninisti allontanano le persone con il loro modo grossolano di lavorare nel movimento di massa. Ad esempio, il Revolutionary Communist Party ha già dichiarato che si unirà per trasformare il partito in un partito marxista rivoluzionario d’avanguardia. Farage, che non è uno stupido, ha persino invitato uno di loro al suo programma televisivo GB News. Se anche solo un quarto o un terzo di coloro che si iscrivono si uniscono e lo costruiscono, allora dovrebbero essere in grado di neutralizzare le retoriche verbose di estrema sinistra che venissero adottate. La chiave per disinnescare la propaganda inutile è avere regole ferree sulla discussione e costruire il partito attraverso il lavoro di massa in difesa dei lavoratori e delle masse oppresse. Le persone serie capiscono che un partito guidato da Corbyn e Sultana sarà chiaramente più a sinistra del Labour e offrirà l’opportunità di costruire un’alternativa al labourismo. Il suo programma sarà inaccettabile per il Capitale, che scatenerà una controffensiva ancora più forte di quella che abbiamo visto con Corbyn nella sua prima versione. Oggi, in una situazione non rivoluzionaria, dedicare tempo a spingerlo ad adottare una linea chiara sulla distruzione dello Stato capitalista è sciocco. Le correnti marxiste possono sollevare tali questioni in modo appropriato: è importante che si sviluppi un polo o una corrente rivoluzionaria. Alcuni compagni tendono a contrapporre in modo grossolano l’elettoralismo alla lotta nelle strade e nei luoghi di lavoro. Qualsiasi costruzione di un’alternativa socialista appare utopistica senza una presenza radicale a tutti i livelli di governo. Anche un’ondata di lotte auto-organizzate richiede una strategia politica e un risultato se si vuole ottenere un cambiamento reale. NON VOGLIAMO UN LABOUR PARTY 2. D’altra parte, non vogliamo che il partito ripeta gli errori della fallimentare leadership di Corbyn al Labour Party. È probabile che alcune delle persone che aderiranno lo vedranno come un’occasione per recuperare il Labour Party che ritengono Blair e Starmer abbiano distrutto. Alcuni potrebbero vederlo come un gruppo di pressione per esercitare pressione sulla leadership laburista, forse anche per costringere Starmer e l’ala destra ad andarsene e poi riunificarsi con la nave madre. Se il nuovo partito passerà tutto il suo tempo a elaborare la politica sociale perfetta per il nostro immaginario futuro tecnocratico di sinistra quando governeremo lo Stato, non arriverà da nessuna parte. Se si considererà un Partito Laburista 2.0, con una politica migliore di quella attuale ma senza sbocchi per una reale partecipazione popolare, sarà distrutto dalle forze contrarie. Durante il periodo di Corbyn siamo rimasti intrappolati in una situazione in cui i membri del Labour erano spesso costretti ad aspettare che una manciata di persone al vertice prendesse delle decisioni, invece di diventare essi stessi agenti e leader. Non possiamo ripetere quell’errore. James Schneider sottolinea poi come sia necessario sviluppare quello che lui chiama potere popolare piuttosto che un elettoralismo ristretto: il partito dovrebbe investire nello sviluppo dell’auto-organizzazione nei nostri luoghi di lavoro e nella società civile. Mi piace la sua formulazione: class war with a grin (guerra di classe col sorriso). In altre parole, abbiamo bisogno di un partito che apra nuovi orizzonti e sviluppi una cultura politica migliore. Dovrebbe essere sfrontato e combattivo, sfidando la narrativa dei media mainstream. Abbiamo fallito una volta nel trattenere le migliaia di nuovi attivisti che si sono uniti al Labour. Non erano interessati a come funzionava il partito e si sono allontanati. Il vantaggio che abbiamo questa volta è che non stiamo portando persone in un partito pre-elettorale. Il vantaggio che abbiamo questa volta è che non stiamo portando le persone in un’istituzione preesistente e soffocante. Abbiamo almeno la possibilità di fare qualcosa di diverso. E I VERDI? Penso che Schneider sia piuttosto scettico nei confronti dei Verdi. Egli suggerisce che essi abbiano un approccio elettoralistico matematico e che gruppi come Extinction Rebellion avrebbero avuto un impatto maggiore. Ritengo che un risultato del 10% nei sondaggi e la possibilità di avere circa 800 consiglieri comunali e quadruplicare il numero dei propri parlamentari siano la prova di un certo impatto. I gruppi più radicali possono emergere e scomparire piuttosto rapidamente. I Verdi sono eterogenei: sono molto diversi a nord di Londra, a Bristol o nella campagna del Norfolk. Se Zack Polanski dovesse vincere la leadership, rafforzerebbe l’ala radicale e aprirebbe la strada ad alleanze elettorali in aree come le città dove il Labour è vulnerabile. Si è parlato, visti i sondaggi, che un nuovo partito di sinistra con una dozzina o più di parlamentari potrebbe, insieme ai Verdi, avere un ruolo decisivo in caso di parlamento senza maggioranza. Data la volatilità della politica britannica, questo non può essere escluso. Quello che sappiamo è che i nuovi partiti di sinistra in Grecia, Spagna e Italia sono stati distrutti dalla questione delle alleanze di governo con partiti di tipo laburista. Potrebbe essere possibile dare un sostegno esterno a un governo impegnato in politiche progressiste senza alcuna coalizione generalizzata e senza assumere alcun ministero. Questo è ciò che hanno fatto il Bloque de Esquerda e il PC in Portogallo alcuni anni fa. È comprensibile se questo impedisce la formazione di un governo di estrema destra o neofascista. Tuttavia, questa discussione su un parlamento senza maggioranza non dovrebbe dominare. LA MOSSA DECISIVA DI SULTANA Quello che tutti possono vedere oggi, visto il numero di adesioni, è che non possiamo semplicemente liquidare questa situazione come l’ennesimo progetto di sinistra come Respect, Socialist Alliance o Left Unity. Si tratta di qualcosa di diverso. La gente sembra sorpresa che il processo non sia stato facile, ma quando la posta in gioco è così alta e abbiamo un’opportunità storica, allora le persone si appassionano e lottano per difendere la loro posizione. Non dovremmo sottovalutare il contributo di Zarah Sultana. Era un po’ come la nuova amica che è venuta in vacanza con un gruppo ben consolidato che impiegava sempre un’eternità per scegliere il ristorante la sera. Si era già sprecata almeno mezz’ora e lei si è semplicemente seduta e tutti l’hanno seguita con riluttanza. Naturalmente ci sono state lamentele tra il gruppo consolidato per l’audacia della nuova amica. Chiaramente la corte di consiglieri e lo staff di Corbyn sono stati colti di sorpresa da Sultana e si sono sentiti messi da parte. Ma almeno lei ha smosso le cose. Ancora più importante, ha ampliato il fascino della nuova formazione. Appartiene a un’altra generazione, è una donna e ha origini sudasiatiche. Zarah incarna la generazione che il Labour ha perso a causa della Palestina. Allo stesso tempo, sembra che l’idea di una federazione libera sia stata ora superata dai piani di una conferenza e dall’adesione delle persone al partito. Lo stesso Scnheider, vicino a Corbyn, sostiene una struttura democratica e una leadership collettiva. Il diavolo potrebbe essere nei dettagli, ma ci sono tutte le possibilità che il partito venga costituito democraticamente e diventi un punto di riferimento nazionale per milioni di persone per un’alternativa di sinistra a Starmer. The post UK, il nuovo partito di sinistra: un’opportunità storica? first appeared on Popoff Quotidiano. 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Adesso finalmente è fuori
GEORGES IBRAHIM ABDALLAH, MILITANTE COMUNISTA LIBANESE, È LIBERO DOPO UNA PRIGIONIA DI 40 IN FRANCIA. L’ACCANIMENTO DI USA E ISRAELE Georges Ibrahim Abdallah è libero dopo 40 anni trascorsi dietro le sbarre in Francia. Il militante libanese filopalestinese, condannato negli anni ’80 per complicità nell’omicidio di diplomatici americani e israeliani, ha lasciato il carcere venerdì mattina ed è partito per Beirut. L’aereo che lo trasportava in Libano è decollato poco dopo le 9:30 del 25 luglio dalla pista dell’aeroporto di Roissy, nella regione parigina, secondo quanto riferito all’AFP da una fonte aeroportuale. Verso le 03:40, un convoglio di diversi veicoli, tra cui due furgoni neri, è partito dal centro penitenziario di Lannemezan (sud-ovest) dove era detenuto Georges Abdallah, con le sirene accese, come ha constatato una troupe dell’AFP senza però riuscire a vedere il militante dalla barba ormai bianca. Una fonte vicina al caso ha confermato che l’ex insegnante, oggi settantaquattrenne, era effettivamente uscito. Era poi partito da un aeroporto vicino per la regione parigina. “Stava bene, era in buona salute, molto felice di tornare in Libano dalla sua famiglia e di ritrovare la libertà dopo più di 40 anni”, ha detto all’AFP il chargé d’affaires dell’ambasciata libanese a Parigi, Ziad Taan, che lo ha visto a Roissy prima della sua partenza. Georges Abdallah ha anche “speso parole di elogio nei confronti dei responsabili della prigione di Lannemezan”, lodando il “trattamento umano” ricevuto sul posto, ha precisato. «Quarant’anni sono tanti, ma non si sentono quando c’è una dinamica di lotta», aveva assicurato all’AFP, il militante libanese all’inviato dell’agenzia di stampa che lo aveva incontrato il giorno della decisione di rilascio, nella sua cella, accompagnando una parlamentare. Il procuratore generale di Parigi ha annunciato lunedì un ricorso in cassazione contro questa decisione. Il ricorso, che non sarà esaminato prima di diverse settimane, non ha effetto sospensivo e non ha potuto impedire la partenza di Georges Abdallah. Negli ultimi giorni, Georges Abdallah ha quindi svuotato la sua cella, decorata con una bandiera rossa di Che Guevara e piena di pile di giornali e libri, che ha affidato al suo comitato di sostegno. Ha dato la maggior parte dei suoi vestiti ai compagni di detenzione e porta con sé solo «una piccola valigia», secondo il suo avvocato. I suoi cari sperano che sarà accolto nella «sala d’onore» dell’aeroporto di Beirut. Hanno chiesto l’autorizzazione alle autorità libanesi, che da anni chiedevano alla Francia il suo rilascio. Georges Abdallah si recherà poi nel suo villaggio natale di Kobayat (nel nord del Libano), dove «gli sarà riservata un’accoglienza popolare e ufficiale», secondo la sua famiglia. La durata della sua detenzione è “sproporzionata” rispetto ai crimini commessi e all’età dell’ex capo delle FARL (Frazioni Armate Rivoluzionarie Libanesi), hanno giudicato i magistrati della corte d’appello. La decisione è stata presa dalla Corte d’Appello di Parigi l’11 luglio 2025. Abdallah, ex leader della Frazione Armata Rivoluzionaria Libanese (FARL), gruppo marxista e filo-palestinese, era stato condannato all’ergastolo nel 1987 per complicità negli omicidi di due diplomatici — il tenente colonnello americano Charles Ray e poi l’israeliano Yacov Barsimantov, considerato il responsabile del Mossad in Francia, ucciso da una donna davanti alla moglie e ai due figli. La condanna è stata al centro di numerose critiche per le irregolarità processuali riconosciute anche da osservatori ufficiali. All’epoca dei fatti, nel contesto della guerra civile libanese e dell’invasione israeliana del Libano meridionale nel 1978, le FARL prendevano di mira gli interessi di Israele e del suo alleato americano all’estero. Prima dell’arresto di Georges Abdallah nel 1984, il gruppo aveva colpito cinque volte in Francia, uccidendo i due diplomatici nel 1982. Ha sempre negato il suo coinvolgimento nell’assassinio dei diplomatici, rifiutandosi però di condannare gli “atti di resistenza” contro “l’oppressione israeliana e americana”. Identificato grazie alle impronte rinvenute in un nascondiglio pieno di esplosivi e armi, tra cui la pistola utilizzata per i due omicidi, Georges Abdallah era comparso da solo in tribunale nel 1987: era diventato il nemico pubblico numero 1 e il prigioniero più famoso di Francia perché si credeva, a torto, che fosse dietro l’ondata di attentati del 1985-86 che causò 13 morti. Era stato condannato all’ergastolo. Nonostante Abdallah fosse tecnicamente liberabile già dalla fine degli anni ’90, tutte le sue richieste sono state sistematicamente respinte, in gran parte a causa delle forti pressioni esercitate dagli Stati Uniti. Come documentato da Mediapart, Washington ha costantemente sollecitato la giustizia francese a mantenere in carcere l’ex militante, sostenendo che la sua liberazione rappresenterebbe un rischio per la sicurezza dei propri diplomatici e che, non avendo mai rinnegato le sue convinzioni politiche, potrebbe «riprendere attività violente». In passato, come rivelato dai cables diplomatici pubblicati da WikiLeaks nel 2015, gli Stati Uniti si erano mossi attivamente anche per bloccare il decreto di espulsione necessario al suo rilascio, come avvenne nel 2013 su richiesta diretta di Hillary Clinton all’allora ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Il suo avvocato, Jean-Louis Chalanset, ha definito la liberazione una «vittoria politica contro gli Stati Uniti» e anche «una vittoria della giustizia francese», affermando che «la giustizia ha superato la politica». Il tribunale ha motivato la decisione affermando che quarant’anni di prigione costituiscono una durata ormai sproporzionata rispetto ai fatti commessi e alla pericolosità attuale dell’uomo. La Corte ha anche riconosciuto come condizione per la scarcerazione l’espulsione di Abdallah verso il Libano. Durante il periodo di detenzione, Georges Abdallah è diventato un simbolo per vari movimenti antimperialisti e filo-palestinesi. La sua liberazione è stata sostenuta da una mobilitazione costante, in particolare da parte del Collectif unitaire pour la libération de Georges Abdallah, attivo da decenni, e da reti di solidarietà come Palestine Vaincra. Le manifestazioni organizzate davanti al carcere di Lannemezan, dove Abdallah è detenuto, sono state citate dalla stessa Corte d’Appello come elemento che rendeva rischioso, per l’ordine pubblico, un ulteriore prolungamento della detenzione. Anche L’Anticapitaliste, il sito del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), ha ricordato le gravi anomalie del processo del 1987, tra cui il ruolo controverso del primo avvocato di Abdallah, Jean-Paul Mazurier, che avrebbe agito come informatore dei servizi francesi. Secondo quanto ricostruito da Mediapart, gli Stati Uniti si sono costituiti parte civile nel ricorso contro la sentenza di liberazione del 2024, reiterando le proprie preoccupazioni e chiedendo un risarcimento danni che il detenuto, oggi settantaquattrenne e senza reddito, non era in grado di pagare. La Corte, nella sentenza del 17 luglio, ha giudicato irragionevole questa pretesa, specificando che il risarcimento potrebbe essere eventualmente sostenuto da terzi. Infine, la figura di Abdallah è oggi considerata, anche dalla giustizia francese, distinta da quella dei membri delle organizzazioni jihadiste. La Corte lo ha definito «laico e comunista», riconoscendo come il suo caso abbia assunto un valore simbolico. Come dichiarato da Chalanset, se gli israeliani «lo uccidessero a Beirut, come è possibile che facciano, morirebbe libero come resistente». The post Adesso finalmente è fuori first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Adesso finalmente è fuori sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Il senso della festa al tempo della catastrofe
LE CELEBRAZIONI POPOLARI SONO UNA GUERRA DI CIVILTÀ O MOMENTI DI EMANCIPAZIONE COLLETTIVA? [JOSEPH CONFAVREUX] Dopo i festeggiamenti seguiti alla vittoria del PSG in Champions League il 1° giugno, il ministro dell’Interno Bruno Retailleau ha proclamato: “I barbari sono venuti nelle strade di Parigi per commettere crimini e provocare la polizia”. Tre settimane dopo, durante la Festa della Musica, l’eurodeputato del Rassemblement National (RN) ed ex capo del sindacato dei poliziotti Matthieu Valet ha denunciato la presenza nel centro di Parigi di “feccia”, “orde di teppisti” e “selvaggi che stanno trasformando la Francia in un inferno”. Ripensando a questi due eventi, l’antropologo Michel Agier ha appena dedicato un interessante articolo a un’annosa questione, esplorata anche in libri recenti: quali sono, se ci sono, le coordinate politiche delle feste? “La folla in festa è ‘barbara’?”, si chiede il ricercatore nel suo articolo. Cosa si “riversa” nella festa? Le feste di folle in movimento, il cui esempio è il carnevale da dieci secoli, creano uno spazio e un tempo di libertà e uguaglianza che segnano una pausa nel flusso della vita ordinaria con le sue disuguaglianze e dominazioni”. Ci sono infatti esempi di momenti di festa che risuonano con la politica, o addirittura la portano avanti. La marcia del Pride ha le sue origini nei disordini del Greenwich Village, iniziati con un’irruzione della polizia in un bar gay. Il 28 giugno, a Budapest, abbiamo visto come una marcia dell’orgoglio possa trasformarsi in un monumentale schiaffo politico al regime autoritario. In Georgia, nel 2018, a seguito di un’irruzione della polizia in un club clandestino, è stata organizzata una manifestazione davanti al Parlamento di Tbilisi con lo slogan “We Dance Together, We Fight Together”. E potremmo trovarne l’eco nel modo in cui, nel 1794, operai, artigiani e sans-culottes parigini arrabbiati con il governo e il prezzo del cibo decisero di organizzare banchetti conviviali piuttosto che manifestazioni, o nel modo in cui i gruppi carnevaleschi che ballavano al ritmo della gwoka hanno svolto un ruolo importante nella strutturazione del movimento di protesta contro l’alto costo della vita in Guadalupa. Ma sarebbe anche giusto sottolineare, come fa lo scrittore e critico d’arte Arnaud Idelon nel suo recente libro Boum Boum. Politiques du dancefloor (Éditions Divergences), che “il festival contemporaneo è circondato da un lato da tentativi di strumentalizzazione del potere e di celebrazione dell’identità nazionale (rinascita dei festival repubblicani, metropolizzazione dall’altro, da un processo cosmetico che annienta il potenziale critico della vita collettiva e la raccolta del suo potenziale sovversivo, operando così una depoliticizzazione della festa”. Al di là di questo, potremmo anche dire che la festa non tracima mai veramente, o addirittura permette all’ordine sociale di mantenersi lasciando sfuggire qualche valvola di pseudo-libertà. Come scrive ancora Idelon, “la sovversione del carnevale non è una sovversione. O una sovversione a metà, ambivalente e pericolosa. […] Il carnevale programma un ritorno all’ordine sociale attraverso la messa in scena temporanea della sua sospensione”. È quindi necessario, prosegue, avere chiara “l’ambivalenza della trasgressione all’opera nella maggior parte delle feste, mobilitate come camera di decompressione”. Se entriamo nei dettagli dei festival, che si definiscono soprattutto per la loro eterogeneità, possiamo comunque allontanarci da un’alternativa che vedrebbe ogni collettivo festivo come proto-politica, o ogni momento condiviso di danza come un nuovo stratagemma del capitalismo o del potere. È questo il senso della mostra “Disco. I’m Coming Out” alla Philharmonie de Paris che, contrariamente a certi luoghi comuni, dimostra che questa musica edonistica è ben lontana dalla superficialità o dalla commercialità a cui viene spesso ridotta.  Non solo ha avuto origine nella lotta, ma ha anche avuto la volontà di trasformare la festa stessa in uno spazio di lotta, con una dimensione minoritaria, progressista e trasgressiva che prefigura la cultura queer di oggi. Questo è anche ciò che l’opera collettiva di Vincent Chanson Techno & co. Chroniques de la scène dance électronique, recentemente pubblicata da Amsterdam. Senza negare la “cattura da parte dell’industria culturale”, la “privatizzazione degli spazi urbani da parte dell’industria del tempo libero” e il futuro di luoghi come Ibiza e Las Vegas, il libro si propone di esaminare i diversi status politici delle culture dance a diverse latitudini, per cogliere un fenomeno che resiste all”essere compreso “sotto il [solo] regime di inautenticità e alienazione commerciale”. Questa ambivalenza sulle feste disco e techno può valere anche per le feste organizzate dalle autorità? Arnaud Idelon osserva che “in Francia, un’analisi comparativa tra la cerimonia di apertura della Coppa del Mondo di rugby nell’autunno del 2023, durante la quale Jean Dujardin ha celebrato una Francia del terroir, delle tradizioni e della buona cucina, e la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, ha dimostrato che la Francia non è un’isola e la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici dell’estate 2024, con una Maria Antonietta decapitata e Philippe Katerine in veste di puffo blu nel bel mezzo di un banchetto burlesco, mostra chiaramente che se una funzione del festival è quella di celebrare le identità, le identità che celebra sono molteplici”. Nonostante le aberrazioni ecologiche e le ingiustizie territoriali e sociali che le Olimpiadi di Parigi hanno rivelato, va detto che i Giochi – e la cerimonia di apertura in particolare – sono stati un’occasione popolare e festosa che ha trasceso le linee politiche e istituzionali. Riprendendo quanto scritto dal filosofo Mathieu Potte-Bonneville in un precedente numero della rivista Vacarme: “Non dovremmo quindi preoccuparci troppo nel vedere l’istituzione che si mette al passo con tanti momenti di festa. La festa non è una questione di purezza, ma di inventiva, di movimento e di umorismo, e c’è un modo eccellente per individuare le feste che sono state prese dal gioco del potere: non sono più divertenti”. Se evitiamo l’opposizione manichea tra la politica e la festa, come tra la realtà e il suo doppio, possiamo trarre almeno due lezioni dalle recenti celebrazioni popolari, più o meno “straripanti”, come fa Michel Agier nel suo articolo. La prima, spiega, è che “volere la festa per il popolo, accettare l’idea che sia un momento sociale e politico che lascia spazio all’immaginazione e alla libertà di tutti, significa accettare di aprire un momento di disordine”. E che questo momento è possibile solo “al prezzo di una revisione dei modi in cui la festa è controllata e regolata. Non senza polizia, ma con una polizia più adatta ai movimenti della folla in festa, una folla da rispettare nel momento in cui le si permette di credere che “la strada appartiene al popolo”. La riduzione dei rischi, la prevenzione e il controllo fanno ovviamente parte della politica della festa, ma non dovrebbero essere di esclusiva competenza del Ministero dell’Interno. A questo proposito, anche se la misura è principalmente simbolica, è interessante che il Ministero della Cultura abbia appena creato un’etichetta “Club Culture” volta a sottolineare l’importanza culturale e sociale di alcuni “locali comunemente chiamati ‘discoteche, piste da ballo’”, per usare la terminologia ufficiale, e a far sì che non siano solo di competenza del Ministero dell’Interno, ma anche del Ministero della Cultura. Se la Fête de la musique di Parigi è sembrata davvero un incubo per i media di Bolloré, che hanno riferito solo di alcune finestre rotte a Châtelet dai cosiddetti “barbari”, è stato innanzitutto per la diversità linguistica ed etnica che si poteva vedere e sentire in una metropoli solitamente asettica e gentrificata. Ma anche perché la notte del 21 giugno ha dimostrato che è possibile riunire decine di migliaia di persone nelle strade in un’atmosfera che, checché ne dicano i fautori della politica di sicurezza ad oltranza di Place Beauvau o della RN, ci ha ricordato che è possibile garantire la sicurezza dei cittadini, anche in momenti favorevoli al disordine, senza riconoscimento facciale o molestie di polizia. Questo meccanismo che lega il popolo della festa e la gestione politica e poliziesca della stessa non è nuovo. Il giornalista e rivoluzionario Marat, descrivendo la Fête de la liberté del 15 aprile 1792, che si svolse sugli Champ-de-Mars a Parigi, scrisse: “In mezzo a una folla immensa, non un colpo di polso è stato dato, non uno spillo rubato, non una parola di abuso pronunciata. È vero che non un solo sorvegliante a cavallo, non un solo soldato a piedi, non un solo stipendiato che abbia cercato di creare disordine, con il pretesto di mettere fine a tutto. L’unione fraterna dei cittadini amici della libertà ha preso il posto di ogni freno e ha mostrato chiaramente la completa inutilità di questi mezzi repressivi, escogitati dalla polizia per soffocare ogni movimento popolare e tenere la nazione sotto il giogo”. L’altra lezione politica che si può trarre da certi raduni festivi contemporanei è, nelle parole di Michel Agier, che “il bisogno di festeggiare non è mai così forte come in tempi di crisi e di sconvolgimento, che accentuano le paure esistenziali (la paura di morire), sociali (la paura della società) e cosmiche (la paura del collasso). In un mondo che è così ‘traboccante’ ogni giorno, gli eccessi delle folle festose servono solo a tenergli uno specchio rovesciato”. e le notizie sugli smartphone che annunciavano gli attacchi degli Stati Uniti contro gli impianti nucleari iraniani hanno reso facile immaginare una sorta di fine del mondo, lasciandoci poca scelta se non quella di gioire insieme ancora per qualche ora… Senza arrivare a paragonare la necessità contemporanea di festeggiare con la “fête des Trompettes” che il Libro dell’Apocalisse, nella Bibbia, annuncia essere il preludio di una nuova era per l’umanità, possiamo quindi vedere nelle celebrazioni contemporanee un riflesso di ciò che è disfunzionale nelle nostre democrazie elettorali. Nel suo importante libro su “quelli che restano” nella sua regione d’origine, il sociologo Benoît Coquart dedica alcune pagine illuminanti alla scomparsa dei bals populaires, sia come sintomo che come veicolo del malessere delle piccole città deindustrializzate della Francia orientale. Su una scala diversa, potremmo anche pensare che in un triplice contesto di intensa repressione di momenti collettivi come le manifestazioni, di atomizzazione professionale e spaziale degli individui e di crescente sensazione che gli attuali regimi rimarranno incapaci di contrastare le catastrofi ecologiche e inegalitarie in corso, la forza condivisa di alcuni momenti di festa potrebbe costituire una dimensione politica, per quanto fragile, su cui costruire. The post Il senso della festa al tempo della catastrofe first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Il senso della festa al tempo della catastrofe sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Quanto è rossa davvero l’estate di New York?
PER WALL STREET MAMDANI È COMUNISTA. E’ DAVVERO COSÌ? UNA COSA È CERTA: I MILIARDARI NON DOVREBBERO ESISTERE Zohran Mamdani ha scritto una pagina di storia politica con la sua vittoria alle primarie democratiche per la carica di sindaco di New York. Con oltre 565.000 voti, il 33enne socialista appoggiato da Alexandria Ocasio-Cortez ha superato ogni precedente record elettorale per una primary nella metropoli americana. È riuscito là dove altri si erano fermati: battere Andrew Cuomo, un ex governatore ancora protetto da una fitta rete di potere centrista, e vincere con largo margine nel Ranked Choice Voting, in soli tre round. Una scossa sismica per il Partito Democratico e per Wall Street, che ne ha percepito immediatamente il rischio politico: aumenti delle tasse per i milionari, patrimoniali su rendite e proprietà, un ritorno alla redistribuzione. Il panico è scattato immediatamente: “è ufficialmente l’estate calda dei comunisti”, ha dichiarato Dan Loeb, fondatore dell’hedge fund Third Point, mentre un gruppo di super-ricchi newyorkesi si è mobilitato sotto l’egida di “New Yorkers for a Better Future Mayor 25” per fermarlo con 20 milioni di dollari di contro-campagna. Ma quanto è rossa davvero questa estate? Il trionfo di Mamdani ha scatenato entusiasmi genuini nei sindacati, nei movimenti di base, nei settori popolari delle boroughs. La United Federation of Teachers, il sindacato 32BJ, il Council on Hotel and Gaming Trades, le infermiere e i lavoratori dei trasporti: tutti si sono schierati con “Zo”, vedendo nella sua candidatura la prima occasione reale di sovvertire l’ordine neoliberale della città. “Una visione positiva e ottimista per una città veramente accessibile”, l’ha definita Manny Pastreich del 32BJ. Persino alcuni democratici eletti hanno rotto gli indugi: il deputato Adriano Espaillat, inizialmente sostenitore di Cuomo, è salito sul palco con Mamdani a Washington Heights, sancendo simbolicamente il passaggio di un pezzo dell’establishment alle forze del socialismo municipale. Eppure, come fa notare John Nichols su The Nation, il partito democratico ufficiale è rimasto paralizzato. Chuck Schumer, Hakeem Jeffries, il governatore Hochul: silenzio. Altri, come la senatrice Kirsten Gillibrand, hanno preferito attacchi ambigui, salvo poi correggersi dopo le accuse di islamofobia. Il segnale è chiaro: Mamdani ha vinto, ma la macchina democratica nazionale è troppo legata agli interessi economici per seguirlo. Troppo timida per alzare la voce contro i miliardari che gridano all’“esproprio”, troppo compromessa con la finanza immobiliare, le fondazioni tech, le lobby sanitarie. E troppo spaventata all’idea che il populismo redistributivo possa sfuggire di mano. Il nodo sta proprio qui. Mamdani non ha solo vinto. Ha rilanciato una domanda politica e morale che negli Stati Uniti nessuno osa più pronunciare: “Abbiamo davvero bisogno dei miliardari?” A questo proposito, l’analisi di Romaric Godin su Mediapart è una doccia fredda necessaria. Godin riconosce il potenziale radicale della proposta di Mamdani, ma la inserisce in una cornice che ne denuncia i limiti sistemici. L’idea di tassare i miliardari per finanziare i servizi pubblici, sostiene, si basa su un presupposto fragile: che il capitalismo continui a generare sufficiente valore da poter essere redistribuito. Ma la realtà è che il capitalismo attuale non produce più benessere diffuso: produce rendita, monopolio e sorveglianza. Il numero di miliardari si è moltiplicato per oltre 50 dal 1987 al 2023, ma i salari reali stagnano, la produttività ristagna, la disuguaglianza cresce. Jeff Bezos non ha creato valore attraverso la produttività, ma attraverso il monopolio e la logistica predatoria. Il trickle-down è un mito: i miliardari non investono in attività produttive, bensì in strumenti di cattura del valore. Se l’argomento di Michael Strain sul Financial Times è che Bezos ha “creato 11 trilioni di dollari per tutti noi”, allora possiamo serenamente rispondere che il capitalismo moderno ha smesso di essere un motore collettivo. È qui che l’economia incontra la politica. Mamdani, come Sanders e Ocasio-Cortez, propone un socialismo democratico che non rifiuta il capitalismo, ma ne vuole contenere gli eccessi. Non è una rivoluzione, è una riparazione. Ma anche questa modesta riparazione fa paura. Perché mette in discussione il principio sacro dell’accumulazione illimitata. Perché chiama i ricchi per nome, chiede loro una “giusta quota” e li toglie dall’aura di benefattori. Mamdani non è un comunista, come ha detto in modo scomposto Trump: è un cittadino che pretende che anche i miliardari lo siano. Godin resta scettico: senza una rottura strutturale con la logica dell’accumulazione, anche il miglior programma redistributivo rischia di restare appeso alla crescita che non c’è. E ha ragione. Ma sbaglia chi scambia questo scetticismo per cinismo. Perché una cosa è certa: la vittoria di Mamdani segna un cambio di fase. Per la prima volta una città globale come New York potrebbe avere un sindaco che non solo nomina il capitalismo, ma lo interroga. Non un outsider, ma un eletto con mezzo milione di voti. Non un teorico, ma un organizzatore. Quanto è rossa davvero l’estate di NY? Forse non abbastanza da bruciare il sistema. Ma abbastanza da illuminarne le crepe. E per chi viene dai margini, dalle boroughs e dai sindacati, può bastare per cominciare. The post Quanto è rossa davvero l’estate di New York? first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Quanto è rossa davvero l’estate di New York? sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Noia e tragedia della borghesia, il premio Strega
VINCE – NON A SORPRESA – BAJANI CON L’ANNIVERSARIO, ROMANZETTO ESANGUE SUL PATRIARCATO CHE FU E LA FAMIGLIA CHE C’È. UN PREMIO SPECCHIO FEDELE DEL NULLA LETTERARIO INCAPACE DI RACCONTARE LA REALTÀ Ci risiamo. Anche st’estate è arrivato il premio Strega a sollazzare il bel mondo letterario, facendolo sobbollire un po’ nel catino di Villa Giulia. E pure st’anno nessuna sorpresa davanti allo scontato vincitore: Andrea Bajani, che s’è accosciato per gli scatti senza manco accennare allo stappo dell’ignobile bottiglione, come chiedevano a gran voce i paparazzi. Che a lui s’appioppasse la 79esima edizione del premio letterario più ambito dalle case editrici nostrane, quel che ne rimane, era cosa ovvia fin dalla serata di casa Bellonci, fin dal primo scrutinio dove lo scrittore romano, classe ‘75, ha subito staccato gli altri concorrenti della cinquina. Del resto il candidato Feltrinelli era oggettivamente il meno peggio del mazzo. Gli altri s’accodano ai suoi 194 voti: viavia Elisabetta Rasy, Perduto è questo mare (Rizzoli), con 133 voti; Nadia Terranova, Quello che so di te (Guanda), con 117 voti; Paolo Nori, Chiudo la porta e urlo (Mondadori), con 103 voti; Michele Ruol, Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (Terra Rossa), con 99 voti. Vince Bajani con L’anniversario, dunque: esangue romanzetto – poco più di cento paginette – d’un figlio che tronca coi genitori e se ne compiace, allo scadere del decennio dove non s’è degnato manco d’una telefonata. La famiglia, che disgrazia. Il patriarcato, ancora e sempre il nemico pubblico numero uno – dopo l’autocrate di turno, s’intende – per certa intelligentsja che d’intelligenza ha solo l’eco in una stanza svuotata pure dai ricordi del tempo che fu. Ma tant’è, mazziare il maschio cattivo, padre padrone, fa sempre tendenza eppoi il pubblico dei lettori, quel che ne resta, ha nella stragrande maggioranza corpo di donna e progressista, la strizzata d’occhi è d’obbligo. Il palpeggiamento, guai. La famiglia, dunque. La più grande tragedia del mondo dai tempi della caduta d’Atlantide, eppure ancora non s’è trovato di meglio – di peggio – per sfiancare la quotidianità dell’umanità. Di famiglia parla pure l’ultimo arrivato, Ruol, anestesista prestato alla letteratura, con una lunga sequela d’oggetti che legano una coppia al ricordo dei figli morti, Maggiore e Minore, a cui è negato pure il nome, oltre la vita. Sempre tragedia, sia pure al contrario. E sempre di saghe famigliari s’interroga la Terranova. Il resto è esercizio parabiografico, bell’interno al mondo letterario: i ricordi di Napoli e della relazione con lo scrittore Raffaele La Capria per Rasy; le rimembranze del poeta Baldini per Nori. Resta, per tutti, l’impressione d’una scrittura minore per non dire minimalista: esangue, appunto. Se la letteratura è lo specchio d’una società e lo Strega è lo specchio della civiltà letteraria italiana, dei suoi gusti e dei suoi miti & riti da trasmettere al volgo, lo specchio rimanda fedele l’immagine di quel che è e di ciò che siamo. In un mondo al contrario, dove mille sarebbero i furori letterari coi quali discernere la contemporaneità, guerre e fole in cui vivacchiamo, ci si limita allo sbadiglio stanco, a rimasticare vecchie storie in cui manco più i protagonisti si ritrovano o credono. Mai un’alzata d’ingegno, un volare sopra rimasugli di grigiore quotidiano, un’illuminazione. Meglio allora lasciare che la melma corrente marcisca i pilastri letterari, ne eroda i ponti, del resto non è più la letteratura a raccontare la realtà, come ammoniva il genio di Vassalli. Volgiamoci allora alla kermesse di contorno: lo sventolìo dei bej ventagli verdi distribuiti a uomini, donne e trallallà, a dare aria e colore alla serata. Il bel monologo di Anna Foglietta per il cinquantennale della morte di Pasolini. E qui il colpo di classe della regia che s’è concessa il lusso di mandare uno spezzone nel quale lo scrittore inveiva contro i premi e la fuffa letteraria, buona solo a compiacere la scemenza borghese. La bravura di Filippo Timi, nel recitare l’incipit dei finalisti. La fugace intervista con Anna Foa, fresca vincitrice del neopremio Strega per la saggistica: Il suicidio di Israele. Rade parole contro la macelleria in atto e la grande Sion. Buon ultimi, i deragliamenti di Pino Strabioli, improbabile conduttore col farfallino, orfano di Geppi Cucciari alla quale non è stato concesso il palco dello Strega per dire le sue menate, a differenza delle ultime edizioni, forse per la sua scarsa sintonia col governo in carica. Il ministro della Cultura Alessandro Giuli, ex giurato e grande assente alla serata, s’è lagnato di non avere manco ricevuto i libri dei concorrenti. Poco male, visto quel che passava la serata. Malatempora currunt, aspettando l’edizione numero ottanta. Definitivo rincoglionimento senile o vegliarda botta di vita, chissà.www.mauriziozuccari.net   foto Sopra: Bajani e Foa, vincitori dell’edizione Strega 2025 per la narrativa e la saggistica, rispettivamente Foto crediti Musa, Fucilla, Ruscio, Mikhaiel/Taobuk The post Noia e tragedia della borghesia, il premio Strega first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Noia e tragedia della borghesia, il premio Strega sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Trasformista d’un Picasso!
STRANIERO IN PATRIA E ALL’ESTERO, VITA E OPERE DI UN MIGRANTE DI SUCCESSO E UNA MOSTRA CHE CHIUDE I BATTENTI A ROMA Di Picasso uno pensa d’aver visto tutto, capito tutto. E invece. La mostra che chiude i battenti a palazzo Cipolla a Roma, Picasso lo straniero, ha messo in mostra – si passi il gioco di parole – un artista diverso, a suo modo davvero straniero. Almeno per il sottoscritto. Non tanto e non solo, com’era nelle intenzioni della curatrice, Annie Cohen-Solal, autrice dell’omonimo e pluripremiato Picasso, una vita da straniero, edito in Italia da Marsilio, nel ripercorrere le tappe del migrante di successo. Piuttosto, nel mostrare il fil rouge delle diverse fasi della vita e dell’opera dell’artista iberico che seppe primeggiare in ogni corrente artistica durante la sua lunga e prolificissima esistenza – ben 13mila opere realizzate, un record imbattuto – costruendosi una fama e una fortuna davvero invidiabili. Più che il suo essere straniero in patria e all’estero quel che emerge dall’esposizione – oltre un centinaio d’opere, alcune inedite – giunta alla quinta tappa dopo Parigi, New York, Mantova e Milano, è la poliedricità dell’artista, il suo saper restare al centro delle scene nonostante i mutamenti epocali attraversati. Al nodo della questione è l’eclettismo di Picasso, pur nella perfetta riconoscibilità che connota l’artista come pochi altri nel panorama della modernità. Picasso il trasformista più che lo straniero, insomma: un artista che seppe adattarsi ai cambiamenti e alle tendenze, spesso anticipandoli, e cadere in piedi nelle situazioni più complesse, grazie a un certo fiuto politico. A una manciata d’anni il ragazzino andaluso sapeva già dipingere come un provetto accademico, grazie al proprio talento e agli ammaestramenti del padre José Ruiz, insegnante di pittura, che lo instradò al mestiere ma col quale ruppe al punto da adottare il cognome della madre Maria Picasso, di lontane origini italiane, ma la sua strada era tutt’altro che lineare e certa. Giunto giovanissimo al successo – per il benessere avrebbe dovuto attendere gli anni venti del ‘900 – la svolta artistica arriva, dopo i periodi blu e rosa, con l’invenzione del cubismo a Gosol, quattro case e un forno sui Pirenei dove Picasso visse l’estate del 1906. Non sono ben chiare le ragioni del lungo soggiorno dell’artista con la sua compagna del tempo, Fernande Olivier, al secolo Amélie Lang, in uno sperduto paesino di contrabbandieri che oggi fa vanto di un Centre Picasso. Né se fu l’arte iberica preromana o piuttosto i rudi profili montanari a fornirgli lo spunto per Les demoiselles d’Avignon, il megadipinto dell’anno successivo che raffigura sei prostitute nude, tra cui la compagna, e dette la stura alla stagione del cubismo. Fatto è che da quel momento Pablo Ruiz Y Picasso impone il suo stile, si pone all’avanguardia. Ben rappresentata dalla sezione della mostra che illustra gli anni romani e il lavoro con Cocteau nel balletto Parade. Non senza deviazioni dalla via maestra e fughe al passato, come il ritorno all’ordine del primo dopoguerra. Abile nel coniugare l’impegno politico antifascista di Guernica (1937) al dorato esilio parigino durante la Seconda guerra mondiale. Dove a nessun ufficiale nazista venne in mente di bussare all’atelier del campione di un’arte che si diceva degenerata per rispedirlo in patria, tra le braccia dell’alleato Franco. Maestro della spatola e del pennello, del navigare sottotraccia come del cavalcare la notorietà, Picasso sarebbe divenuto icona dell’internazionalismo pacifista – sua la colomba, in realtà un piccione, posto a emblema dei partigiani della pace stalinisti negli anni Cinquanta – fino a divenire, negli anni del buen retiro d’Antibes fino alle ultime fatiche di Mougins, icona della modernità e del successo. Il bimbetto di Malaga era divenuto un vecchio satiro provenzale, ma nei suoi occhi si coglieva ancora la scintilla del genio, il marchio del predestinato alla fama oltre ogni casa e confine. Straniero sì, ma di successo. Trasformista capace di rendere, novello Mida, oro ciò che toccava. The post Trasformista d’un Picasso! first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Trasformista d’un Picasso! sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Sirene, fatuazione dell’abisso (Capossela al Foro)
VINICIO CAPOSSELA APRE VENERE IN MUSICA. TRA MITI, EMERGENZE E AFFIORAMENTI IL CONCERTO PERFETTO SULLA FOLLIA DI QUESTI TEMPI INFAUSTI Metti uno dei luoghi più iconici, fascinosi epperò misconosciuti della capitale. Metti quello che resta il maggior cantore di questi nostri tempi oscuri dove imperversano i Tonieffe e le Bigmama. Metti, insomma, Vinicio Capossela al tempio di Venere e Roma, al Foro, e hai il concerto perfetto. Un mix di sonorità & senso, malinconia e magia come meglio non si potrebbe. Vinicio ha fatto da apripista a Venere in musica, un appuntamento ormai classico all’abbrivio dell’estate romana: quattro serate, aperte ieri dal nostro e proseguite, da oggi a domenica, con altri mostri sacri del panorama musicale mondiale: Malika Ayane, Salif Keyta e Goumour Almoctar, in arte Bombino. Tutto all’insegna della “world” ma soprattutto della buona musica. Giunta alla sua quarta edizione, la rassegna musicale ideata da Alfonsina Russo, direttrice del parco archeologico del Colosseo, e curata di Fabrizio Arcuri che ne firma la direzione artistica è uno dei più interessanti appuntamenti capitolini, capace di unire musica e cultura in un unicum imperdibile, oltretutto gratuito. Tra quel che resta delle volte e dei colonnati del tempio voluto dall’imperatore Adriano all’apice del suo successo, per onorare il duplice volto della capitale imperiale, divinizzzata, e della dea Venere, progenitrice di Enea, e con lui della gens Julia e della stessa città, secondo il mito mutuato da Virgilio ai Tirreni, lo spettacolo è superbo. Luci e sirene impazzano tra le macerie del più maestoso tempio pagano dell’antichità, distrutto dalle spoliazioni papesche e costato la vita al maggior architetto del tempo. Quell’Apollodoro di Damasco che osò criticare l’opera architettata dallo stesso Adriano che se la legò al dito e non gliela fece passare liscia, mettendolo a morte. A riprova di come il potere, anche quando personificato da un imperatore che si vuole colto e illuminato, resta una gran brutta bestia. E alle sirene è dedicata la serata, alla fatuazione di quest’altri mitici esseri destinati a perdere l’essere umano negli abissi. Una fatuazione, la loro, per dirla come Capossela, utile a stappare l’orecchie dello spettatore, indurite e ingolfate dalle narrazioni contemporanee, dal dilagare dei nonsensi e dall’abuso di tecnologia che si vuole salvifica ma è tutt’altro. È un viaggio nel mito, questa seconda tappa del tour iniziato ier l’altro al parco archeologico di Norba, antico insediamento latino, poi romano, non distante dalla moderna Norma. Un percorso che si dipana tra richiami, emergenze e affioramenti, seguendo un filo rosso dove s’annodano i grandi classici del repertorio caposseliano con una banda sempre diversa, a sottolineare la specificità dei luoghi e dei paesaggi musicali nelle diverse tappe. Altro e caratteristico motivo conduttore della serata, tra un frammento discorsivo e un bicchier di vino di capitan Vinicio, i suoni delle sirene. Quelle vere di Kiev e Gaza, dei teatri di guerra aperti dalla follia al potere, a partire dal genocidio in atto in terra palestinese per mano israeliana. Nemesi tra le più sanguinarie della storia che troppi fingono di non vedere tappandosi occhi bocca e orecchi – come le tre scimmiette sul comò – pur di credere ancora alla finzione d’Israele baluardo della democrazia occidentale piuttosto che sanguinaria democrazia totalitaria, come il resto dell’Occidente. Ma queste son fole, follie coève. Lasciamoci cullare dal canto d’altre sirene, quelle omeriche piuttosto che antiaeree, affoghiamo nell’oblio le follie d’un mondo precipitato nell’abisso. Con l’augurio, come dice il gran cantore Vinicio, che all’immersione nei fondali di questi tempi infausti segua l’emersione in tempi più fausti, umani e gentili. Prosit. Info e prenotazioni (praticamente impossibili online, un neo che gli organizzatori dovranno risolvere). Info sul tour Sirene. The post Sirene, fatuazione dell’abisso (Capossela al Foro) first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Sirene, fatuazione dell’abisso (Capossela al Foro) sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Trump tra bluff e mazzate
DOPO LA GUERRA DEI DODICI GIORNI, LA TREGUA SALVAMONDO. L’ENNESIMO BLUFF DOPO LA SPACCONATA SPARIGLIA LE CARTE MA NON CAMBIA IL GIOCO Ebbene sì, abbiamo scherzato. Anche nel mondo nuovo la tempesta precede la calma, e così dopo le bombone di Big Don e le bombette d’Alì, è calma piatta tra i contendenti, con Bibi che se la ride sotto ai baffi.  Diciamolo subito. Se avessi avuto un dollaro da giocare sulla presidenza Trump come fattore di pace o di guerra, l’avrei puntato su di lui. Che, aldilà delle fanfaronate dell’uomo e della vocazione imperiale dell’America a stelle & strisce e alla frutta, il bispresidente pareva meno manovrabile e rincoglionito del suo predecessore, assai meno legato di Rimbam Biden al complesso militare. E invece. Il 22 giugno 2025 forse resterà nei libri di storia come il 24 febbraio di tre anni fa. Allora Putin decise di mettere un freno all’espansionismo statunitense e della Nato a Est, alzando la posta di un conflitto in atto in Ucraina da un decennio. Tre anni di guerra non sono bastati all’uno o all’altro dei contendenti che a divaricare le posizioni, spingendo l’ex repubblica sovietica, culla della Russia moderna, a una guerra fratricida e l’Europa a una sudditanza economica e militare sempre più cieca agli Usa. Tre anni dopo, e dopo la promessa di Trump di mettere fine al conflitto, questo non solo ristagna, ma sul tavolo da poker della geopolitica globale la posta raddoppia e in gioco non c’è solo il destino dell’Europa orientale o dell’Europa tout court, ma del mondo. Se a Est i servizi inglesi si danno da fare per assestare duri colpi all’orso russo – vedi l’operazione dei droni contro i bombardieri strategici russi che ha messo alla berlina Mosca una volta di più – come dall’inizio della guerra e da sempre, altrove Trump ha pensato di riprendersi la scena nel modo a lui più congeniale. La forza bruta e le chiacchiere a vanvera, il colpaccio mediatico dopo le botte da orbi. Tutto è iniziato con un discorso breve, intenso, degno d’un leader se non fosse solo un prestigiatore di bassa lega che gioca coi destini del mondo. Dietro – davanti? – a lui Bibi, debitamente citato e ringraziato nel discorso presidenziale che formalizza l’entrata in guerra degli Usa, senza dichiarazione formale, ringrazia e passa all’incasso. India e Cina restano a guardare, ma all’aprirsi delle cateratte il Kashmir e Taiwan – meglio, Formosa – non resteranno all’asciutto. Ma riepiloghiamo i fatti che avvicinano il mondo all’abisso della terza guerra mondiale come mai prima d’ora, al netto delle pagliacciate mediatiche, vagliamo gli sviluppi. Le questioni sul tappeto sono tre. Perché Israele ha deciso d’aprire il sesto fronte di guerra – dopo Gaza, Siria, Libano, Cisgiordania, Yemen e Iran, il più letale – mentre è tutt’ora in corso il genocidio palestinese ben oltre la Striscia. Perché gli Usa sono intervenuti a dara man forte all’attacco israeliano al regime degli ayatollah che da decenni è sotto botta dell’arcinemico sionista. Infine, cosa succederà a breve e nel medio termine, dopo la farsa dei bombardamenti preannunciati e della tregua annunciata. Israele ha deciso di lanciare un attacco preventivo ai siti iraniani alla viglia dei colloqui sul nucleare in corso a Washington per boicottarli una volta per tutte e chiarire, una volta di più, che la bomba atomica in Medio Oriente possono averla solo loro, sola potenza regionale per non dire mondiale e i soli, insieme agli Usa, che non hanno sottoscritto alcun accordo di non proliferazione atomica. I sionisti ne hanno tra le novanta e le 200 stoccate nei loro magazzini “supersegreti” a Dimona e loro sì sono pronti a usarle alla peggio e senza scrupoli: muoia Sansone con tutti i Filistei, cioè i palestinesi del tempo, come raccomanda la Bibbia. Tutti lo sanno, è un segreto di Pulcinella che nessuno vede, tantomeno l’occhiuto servo sciocco di Rafael Grossi, direttore dell’Aiea che balbetta le sue accuse agli altri. Gli altri, specie l’Iran che pretende di menomare lo strapotere di Tel Aviv, stiano a cuccia. Ma non è solo questione d’atomica o di rovesciare il regime degli ayatollah, com’è nei desiderata di tel Aviv e dell’Occidente da sempre. Dopo l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia e, buon ultima, la Siria, il destino della Persia è quello d’essere spezzonata e ridotta a enclavi, per meglio essere dominata e sfruttarne le risorse, con buona pace del diritto internazionale e delle anime belle che piangono sulle atrocità dei pasdaran. Reza Pahlavi, l’erede dello scià già spodestato fa sapere che lui non si tirerà certo indietro davanti al compito d’onore e di libertà. Che magnifico futuro s’apparecchia per gli orfani degli ayatollah. A tanta bellezza il regime sunnita può opporre chiacchiere e poco altro. Israele vede e prevede, ha creato Hamas contro l’Olp, come molti dimenticano cianciando sul massacro del 7 ottobre, e l’ha usato per poi stritolarlo alla menoma occasione, in una strategia dell’infiltrazione che fa impallidire quella della tensione. Lo stesso dicasi per Hezbollah sotto comando iraniano, infiltrato del pari, come gli aggeggi esplosivi che hanno stroncato i suoi militanti hanno mostrato. Eretz Israel, la grande Israele, non è mai stata così vicina al suo farsi, e che a realizzarla sia Netanyahu, un macellajo che se smettesse d’appiccare fuoco al mondo blaterando di pace sarebbe gettato nelle patrie galere per i suoi intrallazzi è un paradosso del tutto marginale nella partita in gioco. Però neanche le formidabili risorse d’intelligence e militari d’Israele bastano. Il serpentone iraniano è un boccone troppo grosso anche per la gracidante ranocchia di Bibi. Dopo mesi di campagne militari senza soluzione di continuità e undici giorni di guerra i missili continuavano a cadere sul sacro suolo di Sion e allora serve l’amico buono, quello che ti leva dagl’impicci anche se lo svegli in piena notte. Così entra in gioco Trump il pacificatore. Manda nottetempo, dal Missouri, sei bombardieri Stealth a sforacchiare con una dozzina di bombe di profondità il bunker sotterraneo superprotetto di Fordow dove i cattivi iraniani stavano costruendo la bomba – verità che tra qualche tempo scopriremo fondata quanto i famosi gas di Saddam – e chiede la resa senza condizioni a Khamenei. Arrendersi o perire. Nel gioco delle parti a Gerusalemme gongolano, a Washington gonfiano il petto come tacchini per la riuscita dell’impresa e a Teheran strillano, qualche missile casca a vuoto nelle basi Usa in Qatar. Prima i soliti comploanalisti, poi tutto il circo mediatico dicono che è tutta una macchietta, spettacolo buono per il pubblico della balconata, come avrebbe detto il grande Céline: tanto gli uni che gli altri hanno preavvisato il nemico e i danni sono minimi. Restano i tanti morti ammazzati sul terreno, inutili. Tant’è, giocare col fuoco non ha mai portato bene, nella calura estiva. Fatto è che dopo le mazzate arriva l’offerta di pace e tutti ci stanno, fingono di crederci. Fino al prossimo missile. Di reale – non di vero, per carità – c’è che il mondo è un posto un tantino meno sicuro dopo la guerra dei dodici giorni che l’ha portato sull’orlo dell’abisso come ai tempi della crisi di Cuba. L’ennesimo bluff dopo la spacconata spariglia le carte ma non cambia il gioco. La repubblica islamica dovrà cadere, bomba o non bomba, perché così vuole il macellajo di Tel Aviv e la superpotenza lo segue, obbediente. L’Europa segue a ruota e riarma, vagisce come una creatura nella culla, neppure consapevole di quel che l’attende, dominata com’è da elite burocratiche al servizio dei poteri davvero forti e succubi a chi ne ha deciso il crollo. Teheran è la via di passo per Pechino, come Damasco lo era per Teheran, i tempi stringono prima che lo scontro si faccia globale e davvero letale, con l’inciampo di Mosca nel mezzo che però ha già mollato la partita mediorientale. Colpi di scena e spacconate non salveranno gli Usa dal suo declino, tantomeno un tristo pagliaccio dal cappellino rosso renderà l’America – gli Stati Uniti, please – di nuovo grande. Il Maga è uno spot, al massimo un programma, non sarà mai una realtà. La guerra infinita per impedire un futuro policentrico all’umanità, il caos globale che ne verrà, è già scritto nel vaticinante saggio di Jacques Attali, ex consigliere dell’imbelle Macron: Breve storia del futuro. Il resto è cronaca, bomba o non bomba. Che, parafrasando Vecchioni, non ci porterà a Roma ma a fare un bel botto, all’inferno in terra. I guerrafondaj da salotto, gli ignavi della geopolitica, gli orfani del buonsenso e i partigiani delle opposte sponde lo sappiano: salteranno tutti, e primi fra tutti i grilli parlanti. Senza più un dollaro in tasca. The post Trump tra bluff e mazzate first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Trump tra bluff e mazzate sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Lotta e gioco per far incontrare le sinistre
TORNA LA FESTA DEI CIRCOLI DI ARCI ROMA. DAL 25 AL 29 GIUGNO AL PARCO MARTA RUSSO DI LABARO DI GIOCO E DI LOTTA: 85 CIRCOLI, PIÙ DI 90MILA SOCЗ, 5 GIORNATE DI FESTA, 6 CONCERTI LIVE, 10 DIBATTITI, 4 DOCUMENTARI, STAND UP, DJ SET, LABORATORI ARTISTICI E MUSICALI. ECCO IL PROGRAMMA DELLA SECONDA FESTA DI ARCI ROMA, SPAZIO APERTO ALLA CULTURA DAL BASSO E ALLE SINISTRE POLITICHE, SOCIALI E SINDACALI DELLA CITTÀ.   Dal 25 al 29 giugno torna la festa di Arci Roma e dei circoli. Dopo la prima edizione, Arci Roma Fa Rumore, l’appuntamento annuale lascia la location di Parco Piccolomini per spostarsi decisamente in periferia e riaprire lì uno spazio “di gioco e di lotta”, fruibile da tuttз e aperto al confronto fra le sinistre sociali, sindacali e politiche della città. Siamo fatti di gioco e di lotta, infatti, è il titolo di questa seconda edizione che si terrà nella cornice del Parco Marta Russo, nel quartiere Labaro, facilmente raggiungibile con la Ferrovia urbana Roma Viterbo. Per cinque giornate lз socз degli 85 circoli dell’area metropolitana daranno vita a panel, dibattiti, laboratori e spettacoli coinvolgendo artistз e protagonisti della scena politica e delle vertenze sociali sui temi cari alla storica associazione ricreativa e culturale che, tra la città e la provincia, conta oltre 90mila iscrittз che ogni anno producono concerti, spettacoli dal vivo, corsi di teatro, musica, danza, cineclub, fotografia, intervento sociale, pratiche di mutualismo, educazione extrascolastica, laboratori dedicati a ogni fascia d’età. Una comunità multiculturale e intergenerazionale, fatta di gioco e di lotta, capace di esprimere con ogni linguaggio artistico la propria idea di città polifonica, conflittuale, antipatriarcale, pacifica, solidale, ambientalista e anticoloniale. i dialoghi In un momento storico drammatico contrassegnato da un lato dalla combinazione micidiale tra genocidio in Palestina, escalation in Medio Oriente, riarmo europeo e cambiamenti climatici e dall’altro, dall’erosione dell’agibilità democratica determinata dal modello Giubileo applicato a Roma da Meloni, Gualtieri e Rocca, non potevano non essere protagoniste degli spazi di dibattito le tante vertenze territoriali per l’ambiente, le mobilitazioni a fianco della popolazione palestinese, le rivendicazioni di chi opera nella produzione di cultura, le battaglie transfemministe. Il festival, ancora più della prima edizione, promette di essere uno spazio inclusivo ma interdetto a ogni forma di fascismo, razzismo e discriminazione. Una delle giornate, quella del 27 giugno sarà dedicata ai temi delle migrazioni e della cittadinanza in collaborazione con i progetti SAI-AIDA di Roma e Monterotondo.  la musica Il programma musicale riflette le scelte artistiche dei circoli, sideralmente distanti dal mainstream e attenti a forme, contenuti e stimoli provenienti dalle controculture, dai territori e dai mondi delle autoproduzioni. Ne è scaturito un cartellone vivace e articolato che propone progetti italiani e internazionali dai pionieri della cumbia made in Italy, Los3Saltos, ai maghi colombiani della rumba digitale, Ghetto Kumbé; dall’originale ibridazione di Fucksia tra dj set e live experience fino al punk eccentrico dal New Jersey di Ron Gallo, per finire in bellezza con il reggae della Wogiagia crew e i fiati di Mefisto Brass LIVE street band milanese che di definisce “Sound System a Energia Polmonare”. la socialità Da segnalare, i laboratori organizzati dalle scuole di musica del circuito Arci e, nel pomeriggio della domenica, a partire dalle 17:30, la possibilità di provare pattini e skateboard nella zona palco in compagnia di skater esperti del circolo Arci Trick Track. La trattoria e la mescita sociale riprodurranno l’atmosfera di socialità dei circoli con estrema attenzione all’impatto ambientale della festa a partire dalla messa al bando dei prodotti sotto boicottaggio da parte delle campagne contro sionismo e colonialismo e della plastica nelle bottiglie e nelle stoviglie. Prodotti e bevande verranno proposti anche sulla base dell’attenzione dei produttori alla sostenibilità socio-ambientale degli ingredienti e delle filiere. Naturalmente sarà disponibile solo acqua pubblica e gratuita. POTERE ALLA PAROLA – PROGRAMMA DEI PANEL MERCOLEDÌ 25 GIUGNO 18:00 – 18:45 PALCO B I SAHARAWI: UNA STORIA PER L’AUTODETERMINAZIONE con Fatima Mahfud, rappresentante in Italia del Fronte Polisario; Gianluca Diana, giornalista e scrittore; Valentina Roversi, Rete Saharawi. 19:00 – 20:00 PALCO B PALESTINA, IL GENOCIDIO SOTTO TRACCIA Con con Walter Massa, presidente nazionale Arci, Moni Ovadia, Maya Issa, presidente del Movimento Studenti Palestinesi, Palestine Chronicle, Vito Scalisi, presidente di Arci Roma 20:15 – 20:50 PALCO A PERCHÉ QUI, PERCHÉ ORA: CIAO LABARO con Daniele Torquati, presidente del Municipio Roma XV; Luigia Chirizzi, assessora LL.PP Municipio Roma XV; Gaetano Seminatore, segreteria romana Pci; Stefania Piccinnu, presidente Arci No Problem; Vincenzo Pira, Comitato di Quartiere Labaro. GIOVEDÌ 26 GIUGNO 18:00 – 18:30 PALCO B PRESENTAZIONE DI FESTA! IL MANIFESTO DEI FESTIVAL PROMOSSO DA ARCI con Marco Trulli, responsabile Cultura e Giovani di Arci Nazionale 18: 30 – 20:00 LA CITTÀ DELLA NOTTE.  COPROGETTARE E COPROGRAMMARE IL TEMPO E GLI SPAZI DELLE CULTURE con Marco Trulli, responsabile Cultura e Giovani di Arci Nazionale; Erica Battaglia, presidente Commissione Cultura Roma Capitale; Tatiana Marchisio, assessora politiche culturali Municipio Roma XV; Claudio Cippitelli, sociologo; Raniero Pizza, direttore artistico Monk Club; Tommaso De Angelis, Zalib-Centro Giovani; Daniela Lebano, delegata Arci Roma, Francesca Coleti, responsabile Terzo Settore Arci Nazionale; conduce Leonardo Zaccone (Sveja) VENERDÌ 27 GIUGNO CITTADINЗ DEL MONDO. ARCI ROMA PER LA GIORNATA DEL RIFUGIATO IN COLLABORAZIONE CON I PROGETTI SAI-AIDA DI ROMA E MONTEROTONDO 18:30 – 20:00 PALCO B DALL’ACCOGLIENZA ALLA CITTADINANZA – SIAMO TUTTЗ MIGRANTЗ Modera Annalisa Camilli, giornalista; Mattia Fonzi (Openpolis) presenta il report “Accoglienza al collasso. Centri d’Italia 2024”, con Agnese Rollo, assessora politiche sociali Municipio Roma XIV; Anci Lazio; Valerio Tursi, progetto Sai-Gea; Francesca De Masi, presidente cooperativa Be Free; Sara Grimaldi, coordinatrice progetto Sai-Aida; Marta Bonafoni, segreteria Pd; Alberto Grandi, docente di Storia del Cibo; Antonio Maurizio Loiacono, storico ed esperto di storia delle religioni, specializzato nella presenza araba e nei rapporti interculturali e interreligiosi nell’Italia meridionale altomedievale; Papia Aktar, delegata alle politiche sulle migrazioni di Arci Roma SABATO 28 GIUGNO 19:30 – 20:30 PALCO B MILANO-ROMA, DUE MODELLI, UNA SOLA RISPOSTA: RESISTENZA! con Alvise Tassell (Ecoresistenze Milano); Rocco Spinelli (Milano Città Pubblica); David Di Bianco (Coord Tavoli del Porto Fiumicino); Giancarlo Storto (Carteinregola Roma); Michele Itasaka (Comitato Si al Parco, Si all’Ospedale, No allo Stadio – Roma); Comitato San Siro Città Pubblica – Milano; Barbara Manara, delegata Pace e pianeta Arci Roma. 20:30 PALCO B IL PREZZO CHE PAGHIAMO – DOCUMENTARIO Scritto e diretto da Sara Manisera, prodotto da Greenpeace e ReCommon, Italia 2025, 37’ a seguire dibattito con Diletta Bellotti, L’Espresso; Felice Moramarco, Greenpeace Italia; Eva Pastorelli, ReCommon; Luca Manes, ReCommon DOMENICA 29 GIUGNO 18:00 – 19:00 PALCO B NON SI CALPESTA L’ERBA. STILI DI VITA, LAVORO, E SALUTE NEL MIRINO DEL PROIBIZIONISMO con Matteo Mantero, autore di “Una pianta ci salverà. Storia virtuosa della canapa”; Chiara Lo Cascio (Canapa Sativa Italia), Leonardo Fiorentini (segretario di Forum Droghe) modera Paolo Occidente (Pot Radio) 19:30 – 20:45 PALCO B REPRESSIONE, OSSIA IL RIARMO VISTO DAL FRONTE INTERNO con Paolo Di Vetta (Movimenti per il diritto all’abitare), Linda Meleo (M5s Roma), Valerio Zaratti (Europa Verde Roma), Luca Blasi (Rete A Pieno Regime), Eliana Como (minoranza Cgil-Le radici del sindacato), Daniele Leppe (giurista), Beatrice Gamberini (Pap), coordina Gianluca Cicinelli (direttore Diogene Notizie) IL CARTELLONE – PROGRAMMA DEGLI SPETTACOLI INGRESSO SEMPRE GRATUITO   MERCOLEDÌ 25 GIUGNO 21.00 PALCO A NAZRA PALESTINE SHORT FILM FESTIVAL – CORTOMETRAGGI due pellicole centrate sulla vita e la resistenza delle donne e dei giovani palestinesi The Poem We Sang – BEST EXPERIMENTAL SHORT FILM 21.30 diretto da Annie Sakkab, Palestina 2023 Mate Superb –  BEST DOCUMENTARY SHORT FILM 22.30 diretto da Hamdi AlHaroub, Palestina 2013 21.30 PALCO A NO OTHER LAND – FILM diretto da Yuval Abraham, Basel Adra Hamdan Ballal, Rachel Szor, Palestina, Norvegia 2024 La storia di amicizia tra l’attivista palestinese Basel e il giornalista israeliano Yuval. Ha vinto un premio ai Premi Oscar e ha ottenuto una candidatura al Festival di Berlino GIOVEDÌ 26 GIUGNO 21:30 PALCO A LOS3SALTOS CUMBIA Pionieri della cumbia made in Italy, dosano in maniera fresca e spontanea la scrittura dei testi in madre lingua alla mescolanza di ritmi trascinanti, dando vita ad una formula del tutto nuova nella scena musicala italiana in cui la cumbia e le sue derivazioni divengono un potentissimo mezzo per declinare la propria “occidentalità”. Ad oggi i Los3saltos sono arrivati al traguardo del quarto disco “Temporada”. Dall’inizio del 2017 Los3saltos è parte integrante dell’Istituto Italiano di Cumbia, progetto fondato e capitanato da Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti e prodotto dall’etichetta indipendente La Tempesta, che ha portato parte del gruppo romano ad esibirsi su alcuni dei palchi più importanti d’Italia sia nei grandi festival che in prestigiosi club. 22:30 PALCO A GHETTO KUMBÉ AFRO-FUTURISTIC ELECTRO CARIBBEAN I famosi cantanti e percussionisti “maghi” colombiani, evocatori degli spiriti pagani della rumba digitale faranno tappa a Roma alla Festa dei Circoli Arci Roma durante il loro sesto Tour europeo. Un potente mix di ritmi elettronici caraibici, tradizioni afro-colombiane e dell’Africa occidentale. I Ghetto Kumbé sono il punto d’incontro di 3 grandi musicisti della costa caraibica colombiana. Melodie africane e colombiane incontrano tamburi, ritmi, ed elettronica di stampo Tech/House. I Ghetto Kumbé sono creatori di paesaggi sonori afro-futuristi. Il punto di forza dei GHETTO KUMBÉ è ovviamente il live grazie anche alla loro originaria identità visiva, fatta di maschere etno-futuristiche fluorescenti, visual abbinati ma soprattutto un sound potentissimo, un rituale di ballo che viene dal passato e proiettato nel futuro. VENERDÌ 27 GIUGNO 21.30 PALCO A STAND UP/ RASSEGNA STAMPA NON RICHIESTA un monologo tragicomico di e con Le Recensioni non Richieste Le Recensioni non richieste, autore di satira, psicologo, gay, transfemminista, cofondatore del progetto di queer comedy “Fraciche”. 22.30 PALCO A FUCKSIA HYBRID LIVE – DJSET Le Fucksia sono una band Italo brasiliana formata da Mariana Mona Oliboni, Marzia Stano e Poppy Pellegrini. Transfemministe e queer, sono la combinazione perfetta tra attitudine punk, sonorità techno/dance e psichedelia. Il progetto “Fucksia” Hybrid è una combinazione tra un DJ set e un concerto live, con sessioni di 45/50 minuti ciascuna. “Fucksia” Hybrid integra di stili musicali diversi dall’elettronica, al funky brasilero, dai ritmi tropicali allo psytech e acid tekno live. SABATO 28 GIUGNO 22.30 PALCO A RON GALLO LIVE, NEW JERSEY – GARAGE ROCK “Il mondo è fottuto, ma l’universo è dentro di te” è il filo conduttore di tutti e 5 gli album di Ron Gallo: essere umano, cantautore, musicista e disruptor costruttivo. Il suo album di debutto “HEAVY META”, descritto da NPR come “elettricità letterata”, è stato pubblicato con un ampio successo di critica e un tour mondiale, e un singolo di successo improbabile, “Young Lady, You’re Scaring Me”, che ha totalizzato oltre 61 milioni di streaming. Si è esibito al Coachella, al Bonnaroo, al Governors Ball e al Pukkelpop. Il suo ultimo album, “FOREGROUND MUSIC”, pubblicato dalla leggendaria etichetta indie Kill Rock Stars, affronta i cattivi della nostra società e aiuta coloro che ne sono schiacciati, trovando un modo per ridere dell’assurdità di tutto ciò attraverso 11 tracce di punk eccentrico, pop weirdo e garage rock distorto. DOMENICA 29 GIUGNO 21.30 PALCO A Wogiagia LIVE reggae La Wogiagia crew nasce nel febbraio 1999 nella periferia Nord di Roma e da allora non ha mai smesso di suonare. 22.30 PALCO A MEFISTO BRASS LIVE STREET BAND “Sound System a Energia Polmonare”: il gruppo, con un organico da Street Band, attinge dalle sonorità tipiche della musica elettronica, riformulandole e adattandole a una formazione composta esclusivamente da strumenti a fiato e percussioni. Il progetto nasce nel 2019 a Milano e, proponendo un repertorio di brani originali, si inserisce nella scena dapprima milanese e poi italiana anche grazie a un’intensa attività di busking e performance di strada. Dal loro esordio, grazie alla dirompente carica del loro live show, i Mefisto hanno collezionato più di 180 esibizioni presso locali, sale da concerto e festival in Italia ed Europa. Nel 2020 i Mefisto pubblicano il loro primo EP, “Amhardcore” e a Marzo 2024 è uscito il loro primo album “Totem”. Dal 25 al 29 giugno al Parco Marta Russo, viale Gemona del Friuli (Labaro) ➳Public water                 ★          Free Entry             ★                     Kids Area Una iniziativa di Arci Roma con Roma Incontra il Mondo per Tessere la Città In collaborazione con Progetti Sai/Aida Roma e Monterotondo Ucca, ReCommon, Greenpeace  The post Lotta e gioco per far incontrare le sinistre first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Lotta e gioco per far incontrare le sinistre sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Dalla Palestina al mondo: Sumud ArtFest è a Roma
DAL 20 AL 22 GIUGNO AL CIRCOLO ARCI “CONCETTO MARCHESI”, MUSICA, CANTI, MOSTRE E INCONTRI CHE TESTIMONIANO LA VIVIDA REALTÀ DEL MONDO FEMMINILE DI PALESTINA E DEL MEDIO-ORIENTE Dal 20 al 22 giugno a Roma, al Circolo ARCI “Concetto Marchesi” (via del Frantoio 9c), il festival si annuncia come momento culminante delle proteste, delle mobilitazioni e delle iniziative della società civile che fronteggia l’ignavia complice del governo italiano e il riarmo dell’Europa e fa eco alle proteste mondiali contro il genocidio perpetrato dal governo Netanyau. I tre giorni offrono un denso calendario di musica, canti, mostre e incontri che testimoniano la vivida realtà del mondo femminile di Palestina e del medio-oriente in cui confluiscono sonorità e sensibilità arabe, curde, libanesi, in una strepitosa estetica mediterranea di contaminazioni. Il cuore della manifestazione batte in due tempi che scandiscono il pulsare etico ed estetico della cultura e della bellezza delle genti di Palestina. Si inizia venerdì 20 con Beat SB Roma, una performance di musica, skateboarding e arte urbana. Saranno quindi presentati due libri importanti: Questa terra è donna, di Cecilia Della Negra dedicato ai movimenti femministi e Il loro grido e la mia voce. Poesie da Gaza, con Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti. Seguirà l’incontro con Humans Rights Defenders sulle pratiche di interposizione umana nei territori occupati. L’altro tempo da vivere e ascoltare nei tre giorni è quello di una riflessione sul “Modello Israele” di potere sulla vita, esempio neo-coloniale di guerra cosmica intrapresa a partire dal secondo decennio di questo secolo. Dalle 18,00 Modera Federica D’Alessio (fondatrice di Kritica) con Raffaella Bolini (Campagna Stop ReARM), Marianna Lentini (Sociologa e Scrittrice), Patrizia Cecconi (Sociologa e Giornalista free lance), Alba Nabulsi (Giornalista e Docente), Francesco Romeo (Giurista, “A pieno Regime”). A seguire lo scintillante concerto di Toufiq Koleilat con la CIP Orkestra: musica tradizionale, folk e sonorità mediterranee; la comicità di Marco Passiglia e poi ancora musica con Los 3 Saltos. Sabato 21: manifestazione STOP REARM EUROPE, il Festival si trasferisce in piazza e partecipa al corteo nazionale. Al ritorno, alle 18,30 “Voci dalla Palestina”, testimonianze dirette da Gaza e dalla Cisgiordania, quindi presentazione del progetto ACQUA PER GAZA. Alle 19,00 presentazione della mostra BE MY VOICE di e con Marcella Brancaforte e Alhassan Selmi. In diretta da Gaza interverranno il giornalista Alhassan Selmi e da Trieste il giornalista Raffaele Oriani. Insieme presenteranno Hassan e il genocidio con i testi dei due autori e le immagini in mostra. Modera Clara Habte (Rete NO Bavaglio). Dalle 20,00 sul palco Alessandra Ravizza e Tareq Abusalameh racconteranno con il canto storie tra Genova e Gerusalemme. Lei, cantautrice genovese e autrice del libro Il maestro di Gaza. Lui, musicista e cantautore palestinese, raccoglie memorie collettive e le trasforma in canzoni con l’oud. Alle 21,30 è la volta di Lavinia Mancusi con “Voci e suoni dal Sud del mondo”. Cantante e polistrumentista romana, Lavinia Mancusi intreccia folk e musica mediterranea in una performance che è memoria e resistenza. Alle 22,00 sale sul palco Francesca Fornario, Autrice, giornalista e voce brillante della satira italiana 5 giorni alla settimana con “Un giorno da pecora” su RadioRai. Domenica 22 ci saranno gli artisti di strada e il magnifico FRENTE MURGUERO ROMANO Carnaval, resistenza e tamburi in marcia. A seguire DABKA Rouh el Dabke, gruppo di danza tradizionale palestinese con sede a Roma. Alle 17,00 presentazioni di La storia nascosta del sionismo, del filosofo statunitense Ralph Schoenmann, scomparso nel 2023, con Karim Farsah e Maria di Gaza e Onde di terra di Ibrahim Nasrallah, nato in un campo profughi e autore di numerose raccolte di poesia, romanzi, saggi; legge Amma Maria Bruni. Alle 18,00 è tutto da seguire il dibattito Libere tutte: dalla Palestina al mondo. Culture, resistenze, decolonizzazione, con Francesca Cusumano (giornalista), Maya Issa, attivista e presidente del movimento degli studenti palestinesi in Italia, Yasmine Aljarba, artista palestinese, specializzata in pittura ad olio e acrilico, fotografia concettuale e video arte, Sabreen Mukarker fotografa e artista visuale di Beit Jala, Rawa, (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) organizzazione femminile afghana indipendente affermata tra i rifugiati in Afghanistan e in Pakistan (videomessaggio registrato da CISDA), Zilan Diyar giornalista e attivista del movimento delle donne curde, Jin Jiyad Azadi (Donna vita libertà, in collegamento), Parisa Nazari iraniana, interprete, mediatrice culturale e attivista femminista. La sera alle 20,00 va in scena Gaza siamo noi dell’autrice e attrice Anna Maria Bruni: la sua voce dà corpo alle responsabilità collettive, alle lotte dimenticate, ai territori che resistono. A seguire Yallarabì, musica migrante e suoni di resistenza e Nora Tigges con Zenìa, canti antichi per mondi liberati. Nei tre giorni lo spazio cineforum sarà affollato di incontri, scambi e gioia di stare insieme. Assolutamente da vedere From Ground Zero, un film antologico del 2024 diretto da 22 registi palestinesi sulla situazione attuale della popolazione della Striscia di Gaza e Naila and the Uprising di Julia Bacha (2017), un documentario incentrato sulla storia della femminista palestinese Naila Ayesh, che si trova a dover conciliare amore, legami familiari e lotta per la libertà, e di altre donne palestinesi che hanno avuto ruoli di primo piano nella Prima Intifada. Tra le mostre permanenti nei tre giorni segnaliamo BE MY VOICE di e con Marcella Brancaforte, presentata in diretta da Gaza dal giornalista Alhassan Selmi e da Trieste dal giornalista Raffaele Oriani. E SGUARDI un progetto intenso e intimo, nato dall’incontro umano e artistico tra Roberta Pastore e Souleyman Barry a cura di Baobab Experience. Da non perdere le cene di cucina popolare palestinese di Samir che porterà in tavola i sapori della tradizione gastronomica palestinese. Da visitare gli stand delle associazioni che tanto hanno contribuito in questi mesi. Tra le realtà presenti e promotrici dell’evento: Defend Gaza & Rojava, Un Ponte Per, Assopace Palestina, Cultura è Libertà, BDS, CISDA, Baobab Experience, Biblioteca Livio Maitan, ARCI.  La lunga diretta di SUMUD Radio proporrà interviste agli ospiti del festival, incontri con giornalisti e analisti, approfondimenti e una rassegna stampa quotidiana. ASCOLTALA su https://zeno.fm/radio/radio-res-network/ Contatto SUMUD ArtFest: Email: festivalpalestina@proton.me Telefono / WhatsApp: +39 351 5430778 Social media: Instagram → @sumud_artfest_roma – Facebook → Sumud ArtFest Ascolta SUMUD Radio: Tutti i podcast su: https://open.spotify.com/show/ 6xaCS1kfDWSDr9fa3khoUb?si=8a7478e6402340d4  Tutto il ricavato sarà destinato ai progetti di solidarietà internazionale in Palestina. The post Dalla Palestina al mondo: Sumud ArtFest è a Roma first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Dalla Palestina al mondo: Sumud ArtFest è a Roma sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Giovani, carini e appena arruolati. Praticamente infiltrati
DOPO LA DENUNCIA DI PAP ABBIAMO RIPERCORSO DUE CELEBRI CICLI DI INFILTRAZIONI NELLO STATO SPAGNOLO E IN GRAN BRETAGNA una versione di questo articolo è apparsa sul quotidiano Diogene Notizie Potere al Popolo ha denunciato il 27 maggio che per ben dieci mesi un giovane agente di polizia, fresco di corso, ha partecipato a riunioni, manifestazioni di piazza, assemblee nazionali, volantinaggi e alla vita quotidiana di partito a Napoli. Perché questa operazione? si chiede Pap, e ancora: chi l’ha decisa, pianificata, ordinata?  La rivelazione arriva dopo il caso Paragon-Mediterranea emerso quando una comunicazione ufficiale di Meta, proprietaria di Whatsapp ha avvertito Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, che il suo telefono era stato violato da una operazione di “spyware” ad alto livello, attraverso l’uso di un software definito “tra i più sofisticati al mondo”. Era il 31 gennaio scorso e Meta consigliava di cambiare subito il cellulare e, quasi contestualmente, testate internazionali davano notizia della violazione dei sistemi di sicurezza di Whatsapp, che coinvolgeva 90 “target” in tutto il mondo, in particolare attivisti della società civile e giornalisti. Il sospetto che il governo Meloni spii partiti di opposizione, ong e giornalisti è fortissimo (una pratica che non disdegnava nemmeno Conte e supponiamo sia bipartisan) e non sembrano convincenti le smentite di rito di Palazzo Chigi tanto su Paragon, sistema di fabbricazione israeliana, tanto su Pap, tanto sul razzismo così diffuso in polizia al punto da inorridire perfino il Consiglio d’Europa. Ma sono legali in Italia le infiltrazioni di poliziotti in organismi che operano alla luce del sole? In qualche modo deve essere autorizzata in un contesto di indagini su droga, armi, terrorismo ma quest’ultimo concetto è così dilatabile che una “funzione di monitoraggio” da parte dell’intelligence è attività nota negli ambiti parlamentari. Non ci sono state ancora repliche ufficiali alla denuncia di Pap. il sito Fanpage 48 ore dopo ha scritto che l’agente in questione appartiene all’antiterrorismo, ovvero la polizia politica. Le fonti del sito dicono che il poliziotto avrebbe partecipato alla vita di Pap senza un mandato, nessuna autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria sarebbe stata emessa in tal senso. Il ventunenne, dopo il diploma nel 223° corso, avrebbe esordito nel dicembre del 2023 nella Questura di Milano, sezioni operative interne, dove per molti anni aveva lavorato suo padre, anche lui poliziotto, e da lì trasferito alla Direzione centrale polizia di prevenzione, sezione operazioni interne, per approdare in Pap  dall’ottobre del 2024. Che fosse lì senza un mandato preciso da parte dei suoi superiori non convince Fanpage e nemmeno altri, compresi i parlamentari di opposizione che hanno presentato già tre interrogazioni Vista la smentita maldestra di un’infiltrazione altrettanto maldestra, resta la domanda: chi ha autorizzato quel poliziotto? Forse l’AISI? Certo i precedenti non mancano, soprattutto di quell’infiltrazione di piazza, ovvero finti manifestanti traditi da particolari del loro outfit oppure dal bozzo del calcio della pistola. Una delle più celebrate infiltrazioni è quella dell’agente immortalato, in borghese, mentre faceva oscillare un cellulare assieme a un gruppo di squadristi che presero d’assalto la sede della Cgil nell’ottobre del 2021. Riavvolgendo il nastro, un altro famoso è Giovanni Santone, fotografato da Tano D’Amico il 12 maggio del 1977, in tenuta settantasettina ma con la pistola d’ordinanza in pugno. Osservatorio Repressione, in un pezzo di qualche anno fa, ricorda che gli infiltrati a volte stanno lì per provocare, altre per uccidere, oltre che per spiare. Certo, l’evoluzione tecnologica, con ogni probabilità ha alleggerito l’esigenza di mimetizzarsi per captare segnali di movimento. TANA PER NIEVES Giovane e appena arruolato: la vicenda del poliziotto infiltrato ricorda da vicino quello che sta accadendo nello Stato Spagnolo dove già sono stati scoperti almeno tredici casi di infiltrazione di agenti da quando, nel 2022, due media alternativi – La Directa, catalano, e El Salto – hanno avviato un’inchiesta su questo tipo di pratiche di polizia tra gruppi anarchici, occupazioni di case, organizzazioni ambientaliste. La numero 12 è venuta fuori poche settimane fa, il 23 aprile: dietro la falsa identità di Nieves López Medina si nascondeva una funzionaria di polizia che rispondeva alle iniziali di N.M.C.F., diplomata alla 37° corso dell’Accademia di Avila e infiltrata a Madrid, all’interno di gruppi ambientalisti come Rebelión o Extinción e Fridays For Future per circa sei mesi. Il profilo di Nieves coincide con quello della maggior parte dei casi scoperti compreso quello venuto alla luce a Napoli: un’agente appena diplomata alla Scuola Nazionale di Polizia di Avila, che viene introdotta nei movimenti sociali poco dopo il suo giuramento. E’ da notare che l’infiltrazione sotto finta identità di Nieves è avvenuta quando molti di questi casi erano già venuti alla luce; infatti, uno degli agenti scoperti da El Salto, Mavi, è stato scoperto nel marzo 2023, mentre Nieves ha cercato di entrare in questi stessi ambienti nel dicembre dello stesso anno. Di Nieves sappiamo qualcosa di più di quanto si sa dell’infiltrato presunto in Pap: è entrata per la prima volta in contatto con l’ambiente militante quando ha compilato un modulo per partecipare a un’azione di disobbedienza civile contro l’industria dei combustibili fossili organizzata da Rebellion o Extinction (XR). È apparsa per la prima volta in una formazione che si è svolta il 10 dicembre 2023 per preparare questa azione. Il giorno seguente, una trentina di attivisti sono entrati nel recinto di Arganzuela per ancorarsi agli alberi e impedirne l’abbattimento. Sono stati tutti sgomberati con violenza e multati per disobbedienza. Nieves ha partecipato all’azione. Tuttavia, il suo atteggiamento ha presto generato diffidenza tra i suoi nuovi compagni. Da quando la sua collega Mavi si è infiltrata in XR nel 2022, gli attivisti spagnoli sanno che “nei movimenti per il clima ci sono agenti che fanno solo disobbedienza civile, quindi abbiamo imparato a tenerli d’occhio”. Oltre a XR, Nieves partecipava alle assemblee di Fridays For Future. Aveva trent’anni, era arrivata in moto e diceva di essere una magazziniera in un Carrefour. In FFF la maggior parte sono studenti, anche liceali, e nessuno gira in moto. Inoltre non aveva profili social. Fin dall’inizio, Nieves ha mostrato un grande interesse per la disobbedienza civile non violenta e ha chiesto con insistenza di far parte del comitato “relazioni esterne”, cosa insolita per un nuovo membro. Probabilmente il suo obiettivo era quello di avvicinarsi a gruppi più radicali come Futuro Vegetal. Quando è stata multata per “disobbedienza” non ha esitato a inviare la multa a XR affinché la aiutasse a fare ricorso e proprio questo ha permesso al gruppo ambientalista di ottenere una fotocopia della sua carta d’identità farlocca. Con quel documento XR ha richiesto un certificato di nascita all’anagrafe ma non c’era non traccia di lei all’Ufficio del Registro Civile nonostante quella carta d’identità dichiarasse che era nata a Murcia. Tana per Nieves. El Salto ha chiesto chiarimenti al Ministero dell’Interno ricevendo come unica risposta un appello all’articolo 104 della Costituzione spagnola, che stabilisce che “le Forze e i Corpi di Sicurezza dello Stato garantiscono la sicurezza e il libero esercizio dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini, e che agiscono in questi termini, con una rigorosa sottomissione all’ordinamento giuridico”. Da parte sua, la Stazione Generale di Polizia di Madrid, dove sarebbe stata assegnata, si è rifiutata di fare qualsiasi tipo di valutazione. Vale la pena ricordare che, in base all’attuale quadro giuridico iberico, questo tipo di infiltrazione può essere effettuata solo su ordine del tribunale, nei casi di terrorismo, criminalità organizzata e traffico di droga. MARÍA, INFILTRATA CON LA SUA VERA MADRE A Girona, in Catalogna, a un anno e mezzo dalla denuncia, il tribunale ha rifiutato di incriminare una poliziotta infiltrata con un’ordinanza di sole quattro pagine, in cui si conclude che l’agente non avrebbe oltrepassato i suoi limiti. L’ordinanza di archiviazione riconosce che María Isern Torres, agente sotto copertura, stabilì la relazione con l’attivista indipendentista Òscar Campos per ordine dei suoi comandanti, ma non ammette che “fu iniziata e mantenuta in condizioni di disparità” né che l’intenzione fosse quella di “danneggiarlo psicologicamente”. La denuncia accredita, attraverso una perizia, i “postumi psicologici sotto forma di disturbo depressivo e sintomi di stress post-traumatico” causati da “una relazione sentimentale fallace, ingannevole e spuria” e dall’“invasione dei diritti fondamentali”. Durante l’infiltrazione, l’agente ha persino coinvolto la sua vera madre nell’operazione, fornendo una copertura per la missione che era stata assegnata alla figlia. L’attivista di Girona ha soggiornato nella casa di famiglia a Palma, dove madre e figlia hanno mentito sull’attività lavorativa dell’infiltrata. Da quel momento in poi, la madre stabilì una stretta relazione telefonica con la persona spiata e il suo entourage a Girona, con cui condivise momenti di intimità. La relazione è avvenuta tra il 2020 e il 2023. Maria Isern Torres, in realtà è un’agente del Cuerpo Nacional de Policía, operante sotto il falso nome di Maria Perelló Amengual. Nel luglio 2023, Campos scoprì la vera identità e denunciò pubblicamente la “torturadora a les ordres de l’Estat espanyol” (“torturatrice agli ordini dello Stato spagnolo”). La Procura di Girona ha giustificato l’operazione sostenendo che l’agente agiva nell’ambito delle sue funzioni per prevenire azioni secessioniste, ritenendo quindi legittima la sua infiltrazione nei movimenti sociali catalani. L’intera vicenda è stata documentata nel reportage “Infiltrats”, prodotto da 3Cat e La Directa, che ha portato all’attenzione pubblica le modalità e le implicazioni delle infiltrazioni della polizia spagnola nei movimenti sociali catalani. Queste infiltrazioni della polizia violano i diritti fondamentali e sono più tipiche di uno Stato di polizia che dello Stato di diritto ma la sentenza del tribunale, pur riconoscendo che la relazione sentimentale, ha facilitato l’accesso dell’agente alla sfera privata di Òscar Campos e ad attività riservate, afferma che non ci sono elementi nella denuncia per ritenere che non ci sia stato consenso. Anche la denuncia per tortura contro Ramon, infiltrato della polizia nei movimenti sociali di Valencia, è stato definitivamente archiviata lo scorso 5 maggio. Ora, ovviamente, di Nieves non si hanno più tracce e gli attivisti ritengono che probabilmente è stata fatta fuori perché non è riuscita a passare inosservata. Ci si interroga sulla relativa facilità con cui è stato possibile smascherare l’infiltrazione: o la Brigata d’Informazione l’ha messa lì apposta per far credere che XR fosse già in grado di individuare gli infiltrati, oppure era semplicemente stupida. Di sicuro i movimenti denunciano la crudeltà di un metodo che genera paranoia, sfiducia, indignazione e paura tra gli attivisti. L’INFILTRAZIONE COME FORMA DI TORTURA Pau Pérez-Sales, psichiatra e direttore del SIRA, un centro di assistenza alle vittime di tortura e maltrattamenti, ha spiegato a El Salto che l’infiltrazione è una tortura perché “per essere considerata tale, devono essere presenti quattro elementi: devono esserci gravi sofferenze, deve esserci intenzionalità, deve esserci uno scopo, come ottenere informazioni, punire, umiliare, reprimere o discriminare e, infine, deve essere eseguita da un funzionario statale”. L’eco di queste vicende nello stato spagnolo ha stimolato il progetto militante di pubblicazione, lo scorso febbraio, di un “Manual para destapar a un infiltrado”, operazione che ha infastidito sia la polizia sia i politici che la fiancheggiano. Sabato 24 maggio il Comune di Malaga ha cercato di impedire la presentazione del manuale comunicando agli organizzatori che era necessario avere un permesso speciale in base alla legge sugli spettacoli pubblici, una norma che non può essere applicata a proposte no-profit e a eventi pubblici come la presentazione di un libro, attività peraltro garantite dall’articolo 20 della Costituzione spagnola sulla libertà di espressione e di cultura, e dall’articolo 21 che tutela la libertà di riunione pacifica in spazi privati. A proposito di Nieves è stato detto che almeno, a differenza di Mavi (un altro finto ecologista, vero sbirro) non è andata a letto con nessuno. Non possono dire altrettanto le decine di donne britanniche vittime di altrettanti agenti infiltrati per decenni nelle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, ecologista del Regno Unito. LO SCANDALO SPYCOPS Per oltre quarant’anni, la polizia britannica ha condotto un’operazione segreta di spionaggio su migliaia di cittadini. L’opinione pubblica non aveva alcun sentore di questa operazione segreta e solo un ristretto numero di ufficiali di polizia ne era a conoscenza. La polizia ha inviato 140 agenti sotto copertura per spiare più di 1.000 gruppi politici e compilare file riservati sulle attività politiche degli attivisti. La storia, partita nel 1968, è venuta alla luce nell’autunno 2010 quando cominciarono a emergere notizie su Mark Kennedy, un agente di polizia sotto copertura, noto come Mark Stone, che si era infiltrato nei gruppi di protesta ambientalisti  provocando molti arresti. Stone viveva tra gli attivisti ed era riuscito ad assumere un ruolo di primo piano in molte azioni, stringendo relazioni intime a lungo termine e relazioni sessuali più brevi con molte donne. In generale era visto come un membro fidato del movimento. E’ attiva una campagna – Police Spies Out of Lives – a sostegno delle donne colpite da relazioni intime con agenti di polizia sotto copertura della SDS, Special Demonstration Squad della Metropolitan Police Special Branch e della National Public Order Intelligence Unit (NPIOU) controllata dall’Association of Chief Police Officers (ACPO). Negli anni sono stati svelati sempre più dettagli, grazie soprattutto al lavoro investigativo degli attivisti e dei giornalisti. Rivelazioni che hanno costretto Theresa May, quando era ministro degli Interni, a commissionare un’inchiesta pubblica guidata da un giudice in pensione, Sir John Mitting partita nell’estate del 2020, con sei anni di ritardo. C’è da capire come gli agenti sotto copertura abbiano ingannato le donne in relazioni intime a lungo termine, alcune durate molti anni e “allietate” dalla nascita di figli. L’inchiesta ha recentemente ammesso per la prima volta che il monitoraggio dei sindacalisti da parte di agenti sotto copertura dell’SDS può essere stato utilizzato dai datori di lavoro a fini di blacklist. Nel 2009, si legge sul Guardian, i membri di un sindacato che erano stati presi di mira dai datori di lavoro per essere licenziati a causa delle loro attività sindacali sono stati riconosciuti come vittime di uno scandalo decennale di liste nere. Un’incursione nella Consulting Association, un’organizzazione segreta che gestiva la lista nera, ha portato alla luce migliaia di file sui lavoratori edili, utilizzati dalle principali imprese edili per “vagliare” l’appartenenza al sindacato dei candidati al momento dell’assunzione. Gli agenti sotto copertura hanno adottato misure elaborate per sviluppare i loro falsi personaggi. Rubavano l’identità di bambini morti, dopo aver setacciato pagine di certificati di morte per trovare una corrispondenza adeguata. Le spie ricevevano documenti ufficiali come patenti di guida e passaporti con nomi falsi, in modo che i loro travestimenti apparissero credibili alla cerchia di manifestanti in cui si infiltravano. Durante le missioni, che in genere duravano quattro anni, gli agenti sotto copertura fingevano di essere manifestanti impegnati. Ma per tutto questo tempo hanno fornito ai loro superiori informazioni sui piani e sui movimenti dei manifestanti. I loro rapporti includevano anche valutazioni delle figure chiave all’interno dei gruppi. L’elenco completo dei gruppi politici presi di mira dal 1968 non è stato pubblicato dall’inchiesta pubblica. Tuttavia, un’analisi dei gruppi pubblicati suggerisce che le spie della polizia hanno monitorato soprattutto gruppi di sinistra e progressisti che sfidavano lo status quo, mentre solo tre gruppi di estrema destra sono stati infiltrati: il British National Party, Combat 18 e la United British Alliance. Un gruppo trotzkista in particolare – il Socialist Workers Party (SWP) – è stato pesantemente infiltrato con più di 20 agenti, molto più di qualsiasi altro gruppo. CON CINISMO E VIGLIACCHERIA Dopo che l’esistenza dell’operazione segreta è stata resa nota nel 2010, le donne si sono raggruppate e hanno intrapreso con successo un’azione legale contro la polizia ottenendo decine di risarcimenti. Quando le donne hanno iniziato a fornire i loro resoconti e a condividere le loro storie, è emerso chiaramente che il comportamento degli uomini nelle relazioni, i loro retroscena e i metodi per sparire discretamente presentavano notevoli somiglianze che suggerivano metodi sistematici di infiltrazione e minavano il mito dell’agente disonesto. Raccontano i legali che è stato evidente che tutte le donne hanno subito un notevole impatto emotivo e psicologico dalla scoperta dell’inganno e della violazione personale. In particolare, il loro senso di sicurezza nel mondo in cui vivevano e la capacità di fidarsi degli altri erano stati gravemente danneggiati. Tuttavia, poiché le loro esperienze erano insolite ma simili, e poiché provenivano tutte da ambienti politicamente impegnati, hanno rapidamente sviluppato un approccio di sostegno reciproco e collettivo per lavorare insieme al loro caso legale. Ci sono ancora troppi agenti, secondo Police Spies Out of Lives, la cui identità reale e fittizia rimane segreta. Sono stati scoperti altri comportamenti scorretti. In casi giudiziari che riguardavano l’incriminazione di attivisti, gli agenti sotto copertura e i loro supervisori hanno nascosto prove vitali che avrebbero potuto portare alla loro assoluzione. Finora si sa che almeno 50 manifestanti sono stati condannati o perseguiti ingiustamente perché le prove relative alle attività delle spie della polizia sono state ingiustamente insabbiate nei procedimenti giudiziari. Solo uno degli agenti sotto copertura è diventato un informatore. Peter Francis, che è stato inviato a spiare i manifestanti antirazzisti per quattro anni negli anni Novanta, ha rivelato come funzionava la sua ex unità, la Squadra speciale per le dimostrazioni. Ha anche rivelato che la squadra aveva raccolto informazioni sui genitori di Stephen Lawrence nel momento in cui stavano conducendo una campagna per convincere la polizia a condurre un’indagine adeguata sull’omicidio razzista del figlio. Lawrence, studente di origine giamaicana, fu ucciso il 22 aprile 1993 a Eltham, nel sud-est di Londra da un branco di ragazzi bianchi mentre aspettava l’autobus con un amico. Il rapporto Macpherson del 1999 concluse che la Metropolitan Police era “istituzionalmente razzista”. La polizia è stata costretta ad ammettere che i suoi agenti sotto copertura avevano spiato almeno 18 famiglie in lutto che si battevano per ottenere giustizia dalla polizia. Tra queste c’erano anche famiglie i cui parenti erano stati uccisi o erano morti sotto la custodia della polizia. L’inchiesta pubblica sull’uso di agenti sotto copertura nel Regno Unito, nota come Spycops Inquiry o Undercover Policing Inquiry, è attualmente in corso ma sta affrontando numerose difficoltà operative, ritardi e critiche da parte delle vittime e dei partecipanti. L’inchiesta, spiega Campaign Opposing Police Surveillance, è suddivisa in “tranche” tematiche. Le udienze della Tranche 2 (1983–1992) si sono svolte tra luglio 2024 e febbraio 2025. La Tranche 3 (1993–2007), inizialmente prevista per aprile 2025, è stata posticipata a ottobre 2025. È probabile che anche la Tranche 4, dedicata alla National Public Order Intelligence Unit (NPOIU), subisca ritardi. Più di 100 vittime e gruppi coinvolti hanno firmato una lettera aperta rifiutandosi di fornire prove entro le scadenze imposte, considerate irragionevoli. Il sito Freedom News riferisce che, nonostante il rinvio delle udienze, i termini per la presentazione delle testimonianze non sono stati estesi, suscitando accuse di trattamento iniquo. Inoltre l’inchiesta sta procedendo in modo squilibrato, favorendo le forze dell’ordine: mancanza di trasparenza, distruzione intenzionale di documenti da parte della polizia e pressione esercitata per rispettare una scadenza finale arbitraria fissata per dicembre 2026, che potrebbe compromettere la credibilità dell’intero processo che dovrebbe essere cruciale nel dibattito sul controllo democratico delle forze di polizia nel Regno Unito. Solo nel luglio 2024, la Metropolitan Police ha pubblicamente condannato le operazioni della Special Demonstration Squad (SDS), ammettendo gravi violazioni, tra cui relazioni sessuali ingannevoli con attiviste e infiltrazioni in gruppi per la giustizia razziale. Tre mesi più tardi, nuove prove hanno suggerito che Bob Lambert, ex agente sotto copertura e figura chiave dell’inchiesta, avrebbe partecipato a un incendio doloso in un negozio Debenhams nel 1987 mentre si fingeva attivista per i diritti degli animali. Della brutalità e della spregiudicatezza della polizia francese s’è letto molto anche in Italia in questi anni, segno che questa ondata di malapolizia è sintomo delle tendenze più ampie di regimi ormai post-democratici tuttavia oltralpe è stata registrata un’infiltrazione al contrario: nel settembre 2020, la pubblicazione del libro Flic di Valentin Gendrot ha fatto scalpore. Dopo aver trascorso due anni sotto copertura nella polizia di Parigi, dove era stato assunto come dipendente a contratto (tra gli “assistenti di sicurezza”, poi ribattezzati “assistenti di polizia”), il giornalista ha descritto una quotidianità mediocre, la miseria sociale e la mancanza di rispetto per gli utenti. Soprattutto, ha accusato diversi suoi colleghi, di stanza nel 19° arrondissement di Parigi, di aver commesso atti di violenza e di averli coperti con false denunce. Le sue rivelazioni hanno indotto la magistratura ad aprire un’inchiesta. Ma questa è un’altra storia.     The post Giovani, carini e appena arruolati. Praticamente infiltrati first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Giovani, carini e appena arruolati. Praticamente infiltrati sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.