
Mélenchon a Mediapart: «Non siamo più sulla difensiva»
Popoff Quotidiano - Monday, November 3, 2025Intervista a tutto campo al fondatore di La France insoumise sulla decomposizione politica del Paese (Sarah Benhaïda, Mathieu Dejean e Ellen Salvi, da Mediapart)
Quando lo incontriamo giovedì 30 ottobre nella sede di La France insoumise (LFI), Jean-Luc Mélenchon accusa il colpo. Per la prima volta nella sua storia, il partito di Marine Le Pen ha fatto approvare, quella stessa mattina, uno dei suoi testi all’Assemblea nazionale, con i voti della destra tradizionale: una proposta di risoluzione per denunciare l’accordo del 1968 con l’Algeria.
Malgrado la congiuntura, lo spostamento del dibattito pubblico verso l’estrema destra e la frattura della sinistra, il tre volte candidato alle presidenziali crede tuttavia nella possibilità di una rifondazione politica. Per porre fine al “caos Macron”, continua a chiedere elezioni presidenziali anticipate: «È una corsa contro il tempo per noi, di fronte al Rassemblement national. Ma sono ottimista».
Di fronte a un momento che definisce “dégagiste” (dal verbo dégager “mandare via”, ndr), il leader di LFI ritiene che gli Insoumis abbiano «guadagnato la fiducia popolare» mantenendo la loro strategia, nonostante gli attacchi. Egli afferma di voler lasciare agli altri gli “intrighi politici” per sviluppare il suo concetto di “nuova Francia”: «Un modo per dire: non siamo più sulla difensiva, questo Paese appartiene a tutti noi», spiega.
Mediapart: Quale interpretazione dà del voto della risoluzione del Rassemblement national (RN) che denuncia l’accordo Francia-Algeria del 1968, grazie ai suoi alleati attivi di destra e taciti del centro?
Jean-Luc Mélenchon: I suoi autori mi ispirano un profondo disgusto. Per la Francia, il legame con il Maghreb è un legame familiare e culturale. La guerra senza fine con l’Algeria è anche una lacerazione del nostro popolo. Che tristezza! Il razzismo che tutto questo contiene è prima di tutto una strategia organizzata per dividere il nostro popolo. Si tratta di impedire a una maggioranza sociologica di diventare una maggioranza politica “schematizzando” la sua diversità.
Il voto mostra quanto la destra tradizionale sia assoggettata al RN. È diventata un gruppuscolo, ideologicamente paralizzato, incapace di proporre al nostro Paese un nuovo progetto nato dal suo lavoro. Si è dunque votata a sposare i temi del RN, il cui racconto è ormai egemonico nel blocco borghese. La destra tradizionale spera così di salvare i resti dei propri apparati politici. Ma poiché il blocco liberale si sta sgretolando, il RN ha le mani libere. Il suo obiettivo non è unire le destre, ma assorbirle.
Come combattere questo movimento?
Essendo più forti di loro, quindi conducendo la battaglia, non arretrando mai, cercando costantemente di coinvolgere il maggior numero possibile di persone attraverso l’educazione popolare. Gli Insoumis non sono un’avanguardia rivoluzionaria, ma un movimento di educazione popolare politica. Bisogna educare costantemente, con l’esempio, con la parola, con la lotta. Essere inclusivi, insoumis, positivi.
Giovedì, all’Assemblea, tutta la sinistra è stata definita “partito dello straniero”, “partito dell’Algeria”. Di solito è LFI a ricevere questo tipo di epiteti… Come reagisce?
Faccio fatica a parlarne, perché non voglio dare spazio all’idea di regolare conti personali. Ma è odioso. Lo abbiamo già visto al momento delle rivolte urbane. Mi si è rimproverato a gran voce di non aver invocato la calma. Gli Insoumis invocavano la giustizia. Altrimenti? La calma nell’ingiustizia?
Per molti, la parola degli Insoumis ha un’autorità morale. Dunque è attesa da migliaia di giovani menti. A loro e agli altri, LFI mostra la via d’uscita “dall’alto” dalla situazione di violenza: la giustizia e l’abrogazione della legge “Permis de tuer” (la Loi Cazeneuve o più genericamente “permis de tuer” è la legge del 28 febbraio 2017, che ha modificato le condizioni giuridiche per l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine, ndr). Rifiutiamo il ruolo di cani da guardia della buona società che ha paura del popolo.
La sinistra politicista (i socialisti che hanno votato la fiducia al governo in carica, ndr) non si rende nemmeno conto della responsabilità che si è assunta aiutando la destra e i suoi media a ostracizzarci. Destra ed estrema destra avevano interesse a spostare la linea di demarcazione repubblicana tra la sinistra tradizionale e noi, gli Insoumis, per poter poi saldarsi con il RN. Tutto è diventato più difficile. Non solo dobbiamo portare avanti il programma per convincere la gente, ma anche riparare la demoralizzazione dovuta alle tattiche vergognose dei nostri ex partner e alle loro denigrazioni.
Per conquistare coloro che non votavano più, bisogna meritare la fiducia popolare a contatto con il territorio.
Noi facciamo ampiamente la nostra parte. Gli altri passano il tempo in intrighi politichesi. Non rispettano né il programma firmato né gli accordi elettorali.
Ed ecco Carole Delga [la presidente socialista del consiglio regionale dell’Occitania – ndr] in un’elezione suppletiva [una legislativa organizzata a settembre nella 5ª circoscrizione dei francesi all’estero – ndr] che rifiuta persino il voto al secondo turno a sinistra se si tratta di LFI! Che cosa bisogna fare per compiacerli? Strappare il programma? Dire che la polizia non uccide? Proporre tagli di bilancio come loro e combinazioni con Macron?
Ma la sinistra può vincere alle prossime scadenze elettorali se rimane divisa?
Sarà più difficile, senza dubbio. Ma solo l’unione su un programma di rottura ecologica e sociale può vincere! Lo prova il nostro risultato del 2022, la nostra vittoria del 2024 e tutti gli esempi all’estero. Abbiamo fatto una proposta di federazione. Siamo partner esigenti ma leali e costanti. Certo, la vecchia sinistra respinge il programma comune dopo aver ben approfittato delle candidature condivise. Ma andremo avanti con chi vuole mantenere la parola data.
Questo vale per tutte le elezioni. Per la presidenziale, “la sinistra” è stata unita solo due volte: nel 1965 e nel 1974. Nel 2022 ci sono mancate 420.000 voci per arrivare al secondo turno. Dobbiamo dunque conquistarle. Ci stiamo lavorando. Il secondo turno successivo sarà allora un altro mondo politico.
La realtà è la tripartizione del campo politico. Per vincere, abbiamo bisogno di più di un milione di voti supplementari tra i giovani e nei quartieri popolari astensionisti. Lì si trovano diversi milioni di disorientati e disgustati contro la casta politico-mediatica. Un dégagisme crescente li anima, e si tratta di farne una forza politica positiva, orientata verso un nuovo ideale ecologico e sociale: la Sesta Repubblica.
Abbiamo guadagnato terreno. Siamo seri, coerenti, disciplinati, i nostri eletti lavorano sodo, non siamo divorati dalla lotta degli ego. Nei momenti difficili, sotto i colpi più duri, le minacce di morte, gli insulti, tutti i media contro di noi, con i nostri alleati che ci abbandonavano, abbiamo tenuto duro. Così gli Insoumis hanno guadagnato la fiducia popolare.
Pensa che il precedente delle legislative suppletive divise, senza sostegno dei vostri alleati di sinistra, sia destinato a ripetersi?
Vedremo. È possibile che i socialisti facciano questa scelta. A Parigi e in altre città, non vogliono Insoumis né al primo né al secondo turno. Eppure, nel 2022, su nostra iniziativa, è stata la prima volta nella storia della sinistra che ci sono state candidature uniche al primo turno delle legislative. Siamo andati a cercare il PS, che aveva raccolto l’1,75% dei voti alle presidenziali del 2022.
Poiché avevano toccato il fondo sulla loro linea social-liberale, ci siamo detti: si sono allineati alla linea di rottura. Dunque è la fine dell’era della competizione, comincia l’era dell’emulazione. Ho persino proposto di formare un gruppo unico all’Assemblea. Per fortuna hanno detto di no!
I quartieri popolari si sono mobilitati per voi nel 2022, poi a favore del Nuovo Fronte Popolare (NFP) nel 2024. Pensa che faranno di nuovo questo sforzo, anche se il risultato del voto del 2024 è stato disprezzato?
Sì, lo penso. Ma cominciamo col dire che è nella nostra vocazione rappresentare gli ambienti popolari. Ci accusano di clientelismo, ma allora i movimenti socialista e comunista avrebbero fatto clientelismo per un secolo! Sì, vogliamo rappresentare i proletari, i lavoratori delle piattaforme, le ragazze che hanno studiato e sono disprezzate, i ragazzi che sono smarriti e vogliono cavarsela. Questo è il popolo francese. Ma non è soltanto quello del passato.
La nuova Francia vi è presente in gran numero. Nelle famiglie provenienti dai paesi che furono colonizzati si è ormai alla seconda o terza generazione francese. E tutte queste persone hanno una cultura politica formata dalle lotte di liberazione e contro il colonialismo. Hanno coscienza politica. Ragionano, riflettono. La loro cultura familiare è politicamente orientata. Ecco perché torneranno. Perché capiscono tutto. E non si lasciano più strumentalizzare dalla vecchia sinistra che li ha manipolati. Hanno visto bene il pericolo nel 2024. In quel momento, molte persone mi hanno detto: «Ce ne andremo, perché è troppo pericoloso per i nostri figli». Per me è uno strazio terribile sentire questo. Chi sono i veri repubblicani francesi? Noi! Non i nostri avversari che li minacciano. È una battaglia. Non basterà dire: «Avete visto? La sinistra è unita». Le persone sono molto più esigenti di così!
Dalle europee del 2024 avete concepito il concetto di “nuova Francia”. Pensate che questo contro-racconto sia più efficace nella lotta contro l’estrema destra rispetto alla logica della denuncia?
Un contro-racconto? Perché no, siamo in fase di elaborazione. L’intuizione è nata nel 2024, quando un’idea era ormai matura. La prima volta è stato in un parcheggio dove si teneva un comizio, a Évry, nell’Essonne, dove mi trovavo con Antoine Léaument e Farida Amrani, deputati insoumis del dipartimento. Antoine ha detto: «Basta con i fascisti che dicono: “Siamo a casa nostra”, perché noi, qui, siamo a casa nostra». Grandi applausi. E Antoine ha continuato: «Perché noi siamo nati qui». Applausi. Poi ha cominciato a gridare: «Siamo a casa nostra!» E in quel momento tutti hanno cominciato a gridare: «Siamo a casa nostra!» Di solito è uno slogan fascista. Ma lì, all’improvviso, assumeva un senso repubblicano per un’assemblea variegata e razzializzata. Ecco il popolo francese, il popolo repubblicano. Ho poi condotto tutta la campagna del 2024 su questo tema, quello della “nuova Francia”, ovunque sia passato. «Quando sono nato, una persona su dieci aveva un nonno straniero. Oggi è una su tre», e ho cominciato a dire: «Noi siamo la nuova Francia.»
La nuova Francia è la sua composizione sociale, il suo numero, il fatto che sia massicciamente istruita, connessa e urbanizzata, anche in ambiente rurale… Positiva, rivolta al futuro. Un altro racconto è possibile. Non chiediamo più il favore di essere accettati. Ci appropriamo dei nostri diritti. Qui entra anche la questione femminista. È, in un certo senso, una bomba dentro la bomba. Siamo alla prima o seconda generazione di donne che pensano al di fuori dei concetti che, prima, dominavano le libertà fondamentali come l’accesso alla contraccezione, all’aborto e tutte le questioni che facevano di una condizione biologica un destino sociale. In definitiva, non si tratta più soltanto di rifiutare le discriminazioni. È un’appropriazione del futuro.
Il concetto di nuova Francia è un modo per dire: non siamo più sulla difensiva, questo paese appartiene a tutti noi. È quindi anche la battaglia contro il sessismo e il ritorno del virilismo. E contro il razzismo. È un cambiamento completo della matrice. La fase in cui eravamo in fondo alla trincea è finita: stavolta siamo noi all’offensiva. E questo comprende lo sviluppo della Francia delle nuove frontiere: il mare, lo spazio, il digitale e la cultura.
Nelle ultime settimane, al momento della condanna e poi dell’incarcerazione di Nicolas Sarkozy, si è assistito a un capovolgimento del dibattito pubblico, con prese di posizione in ogni direzione, messe in discussione dello Stato di diritto, una sorta di trumpizzazione dei discorsi… Questo clima generale vi preoccupa? Che cosa riflette, secondo voi?
Sì, mi preoccupa. Ma bisogna vedere cosa c’è sotto tutto ciò. È un’espressione del degagismo attuale. Tutto ciò che costituisce l’ordine costituito è messo in discussione. Tutto, e in ogni direzione. Da qui l’importanza di aprire uno sbocco politico globale e positivo. Un processo molto profondo lavora la società da anni, ovunque. La Francia è nella fase del degagismo aperto, inaugurata dai Gilet gialli. La risposta? Macron organizza un dibattito pubblico e poi archivia il rapporto! Nient’altro!
Da allora, il Gilet giallo è un fantasma che ossessiona la società politica francese. Il degagismo senza risposta colpisce a sua volta Emmanuel Macron. Il nostro successo ne è un’altra espressione. La France insoumise, che lavora per far partire Macron, conta oggi più militanti che mai: ci sono oltre 110.000 iscritti a un gruppo d’azione e più di 450.000 nella lista dei sostenitori.
È questa la vostra interpretazione dei discorsi ascoltati nelle ultime settimane?
È stato un tale flusso contraddittorio! Ecco perché mi sono messo in disparte sul caso Sarkozy. Avevo spiegato, al momento della condanna di Marine Le Pen, che una giustizia senza appello non è più giustizia. Subito si è detto che ero d’accordo con lei! Ma in parte avevo torto. Perché ci sono casi in cui l’esecuzione provvisoria è una necessità assoluta, quando un imputato mette gli altri in pericolo. Ma non mi è piaciuta nemmeno l’atmosfera da caccia all’uomo delle ultime settimane. Per me, la giustizia non è vendetta. E, d’altro canto, non mi sono piaciuti nemmeno i discorsi degli altri in modalità: «Il carcere non è per noi.»
Durante tutto questo periodo, nessuno si è interrogato sul ruolo del carcere. Ugo Bernalicis e Danièle Obono hanno deciso di recarsi alla prigione della Santé per parlare del tasso di affollamento al 190%. Questo regime è barbaro, non risolve nulla, per nessuno. Ma è stato loro rimproverato!
Una tassa sulle multinazionali, un’altra sui “superdividendi”… Gli emendamenti proposti da LFI e adottati all’Assemblea negli ultimi giorni hanno creato un vento di panico nel campo presidenziale. Questa settimana ha segnato la fine del passo a due tra PS e macronisti?
È la seconda volta che facciamo adottare elementi centrali del controbilancio insoumis all’Assemblea senza averne la maggioranza. Dimostriamo che la nostra visione del parlamentarismo ha una realtà costruttiva: l’anno scorso avevamo già recuperato 26 miliardi con l’imposta sulle multinazionali, come oggi. Ma anche 12 miliardi con quella sui superprofitti e 13 miliardi con la tassa Zucman integrale. È ancora una goccia d’acqua rispetto alle fortune accumulate.
Oggi arriviamo alla caricatura della politica dell’offerta sostenuta da tutti i liberali, da Faure ad Attal. Si riduce a un esercizio contabile. Il centro vuole 40 miliardi di risparmi. Come? Con tagli di bilancio. Il Rassemblement national, 60 miliardi. E i socialdemocratici del PS, 20 miliardi. Tutti e tre sono su una linea contabile: i tagli come unico progetto.
Il patto tra socialisti e macronisti è stato preparato contrapponendo il nostro slogan “tutto il programma, nient’altro che il programma” del 2024 al metodo cosiddetto del “compromesso”. Ma noi non siamo all’Assemblea per “andarci d’accordo”! Ci siamo per prendere decisioni, dopo essere stati eletti con un mandato basato su un programma chiaramente enunciato. Si propone, si vota e si applica la decisione presa. Ma Lecornu rispetterà davvero il voto ottenuto sulla tassa per le multinazionali?
Lei parla di un bilancio ridotto a un “esercizio contabile”. I dibattiti si cristallizzano attorno alla questione del debito e alla necessità di avere un bilancio in equilibrio. Non bisognerebbe forse abbandonare questa visione contabile per proporre un altro modello economico?
La Francia è vittima di un metodo assurdo: la finanziarizzazione del debito degli Stati e il potere attribuito alle agenzie di rating, trasformate in giudici delle nazioni. Da allora, la paura del debito è diventata un argomento di panico. Eppure, il debito è una catastrofe solo se si aggrava la situazione con tagli di bilancio. Perché così si uccide la crescita, e dunque le entrate fiscali per il bilancio successivo. E il deficit si aggrava automaticamente.
Noi pensiamo che sia necessario aumentare le entrate, perché la priorità è che il Paese possa investire. Se spende, la macchina riparte. Con una maggiore produzione, ci saranno più entrate fiscali e quindi meno deficit. Con il nostro metodo, e con le nostre nuove entrate, guadagneremo due punti di PIL nel 2026, ridurremo il deficit di 27 miliardi e abbasseremo la disoccupazione di un punto.
Certo, nessuno può rilanciare l’economia di un Paese nella direzione diametralmente opposta a quella del resto del mondo nel giro di un mandato presidenziale! Ma bisogna pianificare e agire in fretta. In un anno si possono rimettere in sesto i conti della Sicurezza sociale, che è il cuore del nostro contro-modello. E, per estensione, rivoluzionare molti altri ambiti.
Attualmente, i risparmi previsti nel settore sanitario si limitano a tagli di bilancio. Nessuno annuncia una lotta per combattere l’epidemia di diabete, le malattie cardiovascolari, i due morti al giorno sul lavoro, l’aumento dei tumori, i nitriti nell’alimentazione… e, attraverso questa via, realizzare risparmi. Perché queste disgrazie evitabili costano miliardi.
L’inizio del cambiamento di regime economico è la fine del sistema di maltrattamento ecologico e sociale delle popolazioni. Bisogna cambiare paradigma. La nostra linea d’azione è la ripresa ecologica e sociale, la politica del portafoglio ordini pieno e della visibilità economica pianificata.
La tassa Zucman, su cui il PS aveva fatto un “casus belli”, è stata respinta venerdì dall’Assemblea…
La proroga concessa dal PS a Sébastien Lecornu al prezzo della frattura della sinistra si è trasformata, ancora una volta, nella ridicolizzazione del PS, permettendo un nuovo salvataggio di Macron. Ha rivelato l’estremo dilettantismo del PS nella negoziazione sui temi tecnici più elementari.
La tassa Zucman, la sospensione della riforma delle pensioni, la fantomatica imposta sulla fortuna: tutto è finito in farsa. Solo un’elezione presidenziale anticipata restituirebbe dignità al dibattito, serietà alle scelte e permetterebbe una rifondazione politica del Paese. Come si può immaginare di prolungare ancora per due anni questa agonia politica?
Il gruppo parlamentare di La France Insoumise ha depositato questa settimana una proposta di legge per abrogare un progetto di legge del governo che, a partire da novembre 2026, limiterà gli scoperti bancari dei privati, in conformità a una direttiva europea. Perché, secondo lei, questo testo è inaccettabile?
Macron ha distorto una direttiva europea per assimilare gli scoperti bancari ai crediti al consumo. Non c’entra nulla. Undici milioni di francesi saranno messi con le spalle al muro ogni mese. Clémence Guetté lancia una petizione ufficiale sul sito dell’Assemblea per ottenere l’abrogazione.
Il sistema teme una nuova crisi dei subprime. Il debito privato è più importante e più pericoloso del debito pubblico. Il rischio di crollo ritorna, come nel 2008. Allora la crisi era partita dal divorzio di un americano che non poteva più pagare la rata della sua casa. Oggi, tra le criptovalute, la bolla finanziaria sull’intelligenza artificiale, l’esplosione delle quotazioni di Borsa senza alcun legame con l’attività reale, e la cartolarizzazione dei debiti delle imprese, ci stiamo dirigendo verso un’esplosione peggiore di quella del 2008.
A 17.000 chilometri da Parigi, in Kanaky-Nuova Caledonia, un’altra mobilitazione si risveglia per contrastare i nuovi tentativi di forzatura su questo dossier. È possibile un nuovo sollevamento?
È quasi una certezza. Le condizioni economiche, culturali e sociali sono peggiori rispetto al 2024. Di fronte a persone che non hanno più alcuna prospettiva, alcuna speranza, intorno alle quali tutto è distrutto, lo Stato francese risponde: “Non ricostruiremo finché non vi sarete calmati.” È la vecchia logica coloniale. La pace prima, e poi vedremo per i diritti. Non ha mai funzionato.
Il popolo francese ha riconosciuto che in Nuova Caledonia un popolo ne colonizzava un altro. Dunque, nessuna soluzione è possibile senza l’accordo dei Kanak. Se il FLNKS (Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista) dice no, allora è no. Non spetta ai Kanak giustificare perché non sono d’accordo. Bisogna trovare un’altra via. Ma non rinviare con la forza le elezioni. Concretamente, questo significa che bisogna discutere senza tregua né pausa, tutto il tempo.
Manuel Valls ce n’est pas ma tasse de thé (non è la mia passione, ndr), ma conosce bene il dossier. È un rocardiano. È arrivato fin dove poteva e ha convinto gli indipendentisti con la formula dell’“indipendenza-associazione”. Dal punto di vista dei Kanak, è un segnale forte. L’estromissione di Valls dal governo significa che Macron tornerà a forzare la mano.
È lui il grande colpevole di tutto questo disastro. E continua con lo stesso metodo, assistito da Sébastien Lecornu, che condivide la sua brutalità. Non è stato lui a inviare il RAID in Guadalupa durante le rivolte del 2021? I dirigenti macronisti sono violenti, sempre più isolati, e nelle situazioni difficili mostrano un senso di onnipotenza molto puerile.
Il che riporta alla questione del regime della Quinta Repubblica…
Certo. Questa crisi è inevitabile. Emmanuel Macron, con una disinvoltura attiva, mette fuoco a tutti i punti sensibili che la maggior parte degli statisti cerca di evitare che si incendino contemporaneamente. Avremo una crisi nazionale, a partire dalla Kanaky, dalla Corsica e dai Caraibi. A ciò si aggiungeranno una crisi sociale e sanitaria, con la devastazione della Sicurezza sociale, e una crisi economica, vista la situazione in cui Macron ha ridotto il Paese.
Tutto questo si fonde in un processo unico, nel quale masse di persone diventano “dégagistes” per mancanza di fiducia in qualsiasi autorità. È una corsa contro il tempo per noi, di fronte al Rassemblement National. Ma io sono ottimista. Perché anche i gruppi di potere del Paese capiscono che tutto ciò sta andando troppo oltre, e che non è La France Insoumise la responsabile della “bordélisation”, al contrario. Si è detto che io fossi l’ingegnere del caos solo perché applichiamo una strategia che si traduce in vittorie elettorali e parlamentari. Il caos è Macron. Chi altro in Europa ha rifiutato di riconoscere il risultato delle elezioni legislative?
Noi siamo la soluzione al caos chiedendo le sue dimissioni e proponendo la nostra offerta di una Sesta Repubblica. Anche a destra ci sono persone ragionevoli che ne parlano. Ci sono quelli che pensano che non si debba toccare il presidente della Repubblica e quindi le istituzioni… ma proprio per la stabilità della democrazia, bisogna mettere presto quest’uomo nell’impossibilità di nuocere, perché distruggerà tutto nel disordine. Tutti vedono che agisce in modo sconsiderato al servizio degli ultraricchi. Sarebbe meglio che il cambiamento di Repubblica avvenisse nella pace civile e attraverso un processo democratico.
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