Tag - Trump

Chi controlla le terre rare controlla il mondo
Immagine in evidenza da Unsplash Quando a fine anni ’80 Deng Xiaoping affermò che “il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina le terre rare”, in pochi diedero il giusto peso alla dichiarazione dell’allora leader della Repubblica Popolare cinese. Come invece sempre più spesso accade, il Dragone asiatico dimostrò di avere la capacità di immaginare e mettere in atto strategie di lungo termine: le terre rare, infatti, rappresentano oggi uno dei maggiori motivi di frizione geopolitica nel mondo, a causa dell’elevata richiesta e del loro complesso approvvigionamento, di cui la Cina detiene il monopolio. Praticamente nessun settore industriale ad alta tecnologia può farne a meno, da quello militare – per missili guidati, droni, radar e sottomarini – a quello medico, in cui sono impiegate per risonanze magnetiche, laser chirurgici, protesi intelligenti e molto altro ancora. Non fa eccezione il settore tecnologico e in particolare quello legato allo sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Come spiega Marta Abbà, fisica e giornalista esperta di temi ambientali, le terre rare possiedono qualità magnetiche uniche e sono eccellenti nel condurre elettricità e resistere al calore, e anche per questo risultano essenziali per la fabbricazione di semiconduttori, che forniscono la potenza computazionale che alimenta l’AI, per le unità di elaborazione grafica (GPU), per i circuiti integrati specifici per applicazioni (ASIC) e per i dispositivi logici programmabili (FPGA, un particolare tipo di chip che può essere programmato dopo la produzione per svolgere funzioni diverse).  Sono inoltre cruciali per la produzione di energia sostenibile: disprosio, neodimio, praseodimio e terbio, per esempio, sono essenziali per la produzione dei magneti utilizzati nelle turbine eoliche.  Senza terre rare, quindi, si bloccherebbe non solo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma anche quella transizione energetica che, almeno in teoria, dovrebbe accompagnarne la diffusione rendendola più sostenibile. Insomma, tutte le grandi potenze vogliono le terre rare e tutte ne hanno bisogno, ma pochi le posseggono. TERRE RARE, MINERALI CRITICI E AI Le terre rare (REE) sono un gruppo di 17 elementi chimici con proprietà simili e spesso presenti insieme nei minerali: lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio, ittrio e scandio. Le materie prime critiche, di cui possono far parte anche alcune terre rare, sono invece quei materiali identificati dai vari governi come economicamente e strategicamente essenziali, ma che presentano un alto rischio di approvvigionamento a causa della concentrazione delle fonti e della mancanza di sostituti validi e a prezzi accessibili. Nel 2024 il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato il Regolamento europeo sulle materie prime critiche, elencandone 34, di cui 17 definite “strategiche”, il cui controllo o accesso influisce direttamente su obiettivi di sicurezza, sviluppo tecnologico e autonomia industriale. Le terre rare, in realtà, spiega ancora Marta Abbà, non sono rare, ma la loro presenza nel mondo non è omogenea e l’estrazione e la lavorazione risultano molto costose e inquinanti.  Le maggiori riserve sono possedute dalla Cina, in cui ammontano, secondo le stime, a 44 milioni di tonnellate, con una capacità estrattiva che nel 2024 ha toccato la cifra di 270mila tonnellate all’anno. Altri stati che possiedono significative riserve sono il Brasile (21 milioni di tonnellate, attualmente ancora pochissimo sfruttate), l’Australia (5,7 milioni di tonnellate), l’India (6,9 milioni di tonnellate), la Russia (3,8 milioni di tonnellate) e il Vietnam (3,5 milioni di tonnellate).  A questo gruppo di paesi si è aggiunta di recente la Groenlandia, salita alla ribalta delle cronache per i suoi enormi giacimenti di materie prime critiche e per il conseguente interesse mostrato da Stati Uniti, Unione Europea e Cina. Il sito più rilevante, Kvanefjeld, nel sud dell’isola, è considerato uno dei più promettenti a livello globale e, secondo le stime della società che ne detiene la licenza estrattiva, potrebbe contenere fino al 15% delle riserve mondiali conosciute di terre rare. A far gola alle grandi potenze tecnologiche sono in particolare l’alluminio, derivato della bauxite, e il silicio, necessari per la produzione dei wafer (la base di silicio su cui vengono costruiti i microchip) e per l’isolamento dei chip, il niobio, utilizzato nei cavi superconduttori, il germanio, necessario per i cavi in fibra ottica utilizzati per la trasmissione di dati ad alta velocità, cruciale per l’AI, e ancora gallio, tungsteno, neodimio, ittrio, tutti componenti essenziali per l’industria dei microchip.    Per via delle loro applicazioni nell’industria high tech, molti di questi materiali ed elementi sono stati identificati come strategici sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti e sono per questo oggetto di accordi e trattati bilaterali con i paesi produttori.  Nonostante la presenza di alcune riserve di terre rare in entrambe le regioni, il fabbisogno risulta infatti di gran lunga superiore alla capacità produttiva domestica, obbligando di fatto sia Washington che Bruxelles a importare le materie dall’estero, prima di tutto dalla Cina e in secondo luogo, per quanto riguarda l’Unione Europea, dalla Russia.  Per questo motivo, Dewardric L. McNeal, direttore e analista politico della società di consulenza Longview Global, ha affermato alla CNBC che “gli Stati Uniti devono ora trattare le materie prime critiche non come semplici merci, ma come strumenti di potere geopolitico. Come la Cina già fa”. IL POTERE DEL DRAGONE ASIATICO E LE RISPOSTE USA Dopo settimane di tensioni e accuse reciproche per i dazi imposti dall’amministrazione Trump, il governo di Pechino ha deciso di rallentare l’export di terre rare tra aprile e maggio, come già fatto in precedenza sia nel 2023 che nel 2024, quando alla scrivania dello studio ovale sedeva ancora Joe Biden e il tema caldo di discussione era l’isola di Taiwan. Per farsi un’idea della portata di questa mossa, basti pensare che, come stimato dal Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS), se la Cina imponesse un divieto totale sulle esportazioni dei soli gallio e germanio, minerali utilizzati in alcuni semiconduttori e in altre produzioni high tech, il PIL statunitense potrebbe diminuire di 3,4 miliardi di dollari. Anche per questo, il tono di Washington da inizio giugno è diventato più conciliante e il rapporto tra le due potenze si è andato normalizzando, fino ad arrivare il 28 giugno al raggiungimento di un accordo tra i due paesi. Nonostante i dettagli siano ancora scarsi, il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha dichiarato che la Cina ha accettato di facilitare l’acquisizione da parte delle aziende americane di magneti, terre rare cinesi e altri materiali fondamentali per l’industria tecnologica.  Quella che Trump ha festeggiato come una sua grande vittoria diplomatica, ha però reso ancor più evidente come le catene di approvvigionamento dei minerali critici siano molto concentrate, fragili e soprattutto troppo esposte all’influenza e al controllo di Pechino. Come abbiamo visto, la Cina è il paese in cui si trovano le maggiori riserve mondiali di terre rare, ma non è solo questo elemento a spostare l’ago della bilancia geopolitica a favore del dragone asiatico. L’influenza della Cina abbraccia infatti anche i paesi “amici”, come la Mongolia e il Myanmar, secondo produttore mondiale di terre rare pesanti (più scarse e più difficili da separare), le cui principali operazioni minerarie sono significativamente partecipate da Pechino, estendendo ulteriormente il controllo effettivo della potenza asiatica. La posizione dominante della Cina è determinata anche dal fatto di possedere il monopolio di fatto della raffinazione, cioè la complessa operazione metallurgica per trasformare la materia prima grezza in materiali utilizzabili. Un processo non solo complesso, ma altamente inquinante e di conseguenza quasi impossibile da eseguire in Europa o negli Stati Uniti, a causa dei più elevati standard di compliance ambientale che ne farebbero schizzare il costo alle stelle.  Il processo di raffinazione richiede infatti un uso estensivo di sostanze chimiche, in particolare acidi forti (come l’acido solforico, nitrico o cloridrico) per separare le terre rare dai minerali a cui sono legate, creando delle scorie tossiche molto difficili da smaltire, se si seguono, appunto, standard elevati di tutela ambientale. Un esempio del devastante impatto ambientale di questo processo è particolarmente visibile nella città di Baotou, nella vasta area industriale della regione cinese della Mongolia Interna, dove il panorama è dominato da un lago artificiale del diametro di circa 9 chilometri, composto interamente da fanghi neri e sostanze chimiche tossiche, risultato degli sversamenti di rifiuti di scarto derivanti dall’estrazione e raffinazione delle terre rare. L’Occidente, in pratica, ha scelto di esternalizzare le negatività ambientali derivanti dall’estrazione di terre rare in Cina e questa, da parte sua, ha accettato di buon grado, dando priorità al potere economico e geopolitico che ne deriva rispetto alla salute dei suoi cittadini e alla tutela del proprio ambiente naturale. La dipendenza delle catene di approvvigionamento occidentali diventa ancor più evidente se si prende come esempio la miniera di Mountain Pass in California, una delle maggiori operazioni statunitensi nel settore delle terre rare. Nonostante produca circa il 15% degli ossidi di terre rare a livello globale, si trova a dover inviare l’intera produzione in Cina per le fasi di separazione e raffinazione.  Per questo motivo, il Pentagono nel 2020 ha assegnato 9,6 milioni di dollari alla società MP Materials per la realizzazione di un impianto di separazione di terre rare leggere a Mountain Pass. Nel 2022, sono stati investiti ulteriori 35 milioni di dollari per un impianto di trattamento di terre rare pesanti. Questi impianti, spiega il Center for Strategic and International Studies, sarebbero i primi del loro genere negli Stati Uniti, integrando completamente la catena di approvvigionamento delle terre rare, dall’estrazione, separazione e lisciviazione (un processo chimico che serve a sciogliere selettivamente i metalli desiderati dal minerale) a Mountain Pass, fino alla raffinazione e produzione di magneti a Fort Worth, in Texas. Tuttavia, anche quando saranno pienamente operativi, questi impianti saranno in grado di produrre solo mille tonnellate di magneti al neodimio-ferro-boro entro la fine del 2025 — meno dell’1% delle 138mila tonnellate prodotte dalla Cina nel 2018. Non sorprende, dunque, che gli Stati Uniti, come vedremo, stiano cercando strade alternative in grado di diversificare maggiormente la propria catena di approvvigionamento di questi materiali. Ne è un esempio l’accordo fortemente voluto dall’amministrazione USA con l’Ucraina che, dopo un tira e molla di diverse settimane, culminato con la furiosa lite di fine febbraio nello studio ovale tra Donald Trump e JD Vance da una parte e Volodymyr Zelensky dall’altra, ha infine visto la luce a inizio maggio. L’accordo, in estrema sintesi, stabilisce che l’assistenza militare americana sarà considerata parte di un fondo di investimento congiunto dei due paesi per l’estrazione di risorse naturali in Ucraina. Gli Stati Uniti si assicurano inoltre il diritto di prelazione sull’estrazione mineraria pur lasciando a Kiev l’ultima parola sulle materie da estrarre e l’identificazione dei siti minerari. L’accordo stabilisce infine che la proprietà del sottosuolo rimarrà all’Ucraina, cosa non scontata date le precedenti richieste da parte di Washington in tal senso. Quello con l’Ucraina è solo uno dei tanti tavoli di trattativa aperti dalle diverse amministrazioni statunitensi con paesi ricchi di materie critiche: dall’Australia al vicino Canada, passando per il Cile, ricchissimo di litio, e poi ancora il Brasile, dove si estrae il 90% del niobio utilizzato per la produzione di condensatori, superconduttori e altri componenti ad alta tecnologia, e il Vietnam, con cui l’allora presidente Joe Biden ha siglato un accordo di collaborazione nel settembre 2023. È evidente come gli Stati Uniti, da diversi anni, stiano mettendo in campo tutte le risorse economiche e diplomatiche a disposizione per potersi assicurare il necessario approvvigionamento di materie critiche e terre rare, senza le quali la Silicon Valley chiuderebbe i battenti in pochi giorni. LA GLOBAL GATEWAY EUROPEA In Europa la situazione è anche peggiore rispetto agli Stati Uniti. Non solo l’Unione Europea importa oltre il 98% delle terre rare raffinate, con la Cina ovviamente nel ruolo di principale fornitore, ma è anche sprovvista di giacimenti importanti. Uno dei pochi siti promettenti è stato individuato nel 2023 a Kiruna, nella Lapponia svedese, e secondo l’azienda mineraria di stato svedese LKAB potrebbe arrivare a soddisfare, una volta a pieno regime, fino al 18% del fabbisogno europeo di terre rare.  C’è però un enorme problema, oltre a quello già descritto dell’impatto ambientale: è difficile pensare che possa entrare in produzione prima di almeno una decina di anni. Troppi, considerato che le battaglie per la supremazia tecnologica e per la transizione energetica si stanno combattendo ora. Un discorso a parte merita la Groenlandia, territorio autonomo posto sotto la Corona danese, ricchissima di materie prime critiche, terre rare e anche uranio, ma dove le leggi attuali sono molto restrittive in termini di estrazione e che, per di più, è entrata nel mirino dell’amministrazione Trump, diventando oggetto di forti frizioni politiche.  L’interesse dell’Unione Europea nei confronti della grande isola artica è sancito dall’accordo firmato nel novembre del 2023 tra le due parti, che dà il via a un nuovo partenariato strategico tra i due soggetti, il cui cuore pulsante è rappresentato dallo sfruttamento congiunto delle materie prime. Anche in questo caso, però, come per il giacimento di Kiruna, si tratta di un progetto a lungo termine che difficilmente potrà vedere la luce e dare risultati concreti in tempi brevi. L’Unione Europea ha quindi deciso di muoversi sulla scia degli Stati Uniti e della “Nuova Via della Seta” cinese, cercando di chiudere accordi bilaterali di investimento e scambio commerciale con diversi paesi ricchi di materie prime critiche. La strategia “Global Gateway” lanciata nel 2021 rappresenta uno dei più grandi piani geopolitici e di investimento dell’Unione, che ha messo sul tavolo oltre 300 miliardi di euro fino al 2027, con l’obiettivo dichiarato, tra gli altri, di diversificare le fonti di approvvigionamento delle materie critiche. La Global Gateway, a cui si è aggiunto nel 2023 il Critical Raw Material Act, che pone obiettivi specifici di approvvigionamento al 2030, ha portato a diversi accordi fondamentali per la sopravvivenza dei piani di transizione digitale ed energetica del continente: Argentina, Cile e Brasile in America Latina; Kazakistan, Indonesia e Mongolia in Asia; Namibia, Zambia, Uganda e Rwanda in Africa sono alcuni dei paesi con cui la Commissione Europea ha già siglato delle partnership strategiche o ha intavolato delle discussioni di alto livello per agevolare degli investimenti comuni nell’estrazione di terre rare, proprio come fatto dagli Stati Uniti con l’Ucraina.   Considerata la volontà dell’Unione Europea di competere nel settore dell’intelligenza artificiale, quantomeno per ciò che riguarda l’espansione dei data center sul territorio, una robusta e diversificata rete di approvvigionamento delle materie prime critiche è fondamentale. Come si legge infatti sul sito della Commissione Europea, “nel corso del 2025, la Commissione proporrà il Cloud and AI Development Act, con l’obiettivo almeno di triplicare la capacità dei data center europei nei prossimi 5-7 anni e di soddisfare appieno il fabbisogno delle imprese e delle pubbliche amministrazioni europee entro il 2035. La legge semplificherà l’implementazione dei data center, individuando siti idonei e snellendo le procedure autorizzative per i progetti che rispettano criteri di sostenibilità e innovazione. Allo stesso tempo, affronterà la crescente domanda energetica promuovendo l’efficienza energetica, l’adozione di tecnologie innovative per il raffreddamento e la gestione dell’energia, e l’integrazione dei data center all’interno del sistema energetico più ampio”. Il piano non solo è ambizioso in termini di obiettivi, ma tiene strettamente legate le due facce della strategia generale europea, ovvero lo sviluppo tecnologico e la transizione verde entro il quale deve essere inquadrato. Impossibile pensare di fare l’uno o l’altra, tantomeno entrambi, senza le materie prime necessarie.  AFRICA, VECCHIA E NUOVA TERRA DI CONQUISTA In questo quadro geopolitico già di per sé complesso, un discorso a parte meritano i paesi del Sud Globale e in particolare quelli africani, che come si è visto sono quelli in cui si trovano le maggiori riserve di materie prime critiche e terre rare.   Il timore, come già raccontato nel reportage dall’AI Summit di Parigi, è che ancora una volta si vada a configurare un modello di estrattivismo colonialista, in cui i paesi più ricchi, dove avviene la produzione di tecnologia, si arricchiranno ancor di più, mentre i paesi più poveri, da dove vengono prelevate le materie prime, subiranno i devastanti impatti sociali e ambientali di queste politiche. Il rapporto “Rare Earth Elements in Africa: Implications for U.S. National and Economic Security”, pubblicato nel 2022 dal Institute for Defense Analyses, una società senza scopo di lucro statunitense, è molto esplicito nel prevedere un aumento dell’influenza del continente africano nel settore e le problematiche che ciò può comportare. “Man mano che le potenze globali si rivolgono ai mercati africani per rafforzare la propria influenza”, si legge nell’executive summary del rapporto, “è probabile che l’estrazione delle terre rare nel continente aumenti. In Africa si contano quasi 100 giacimenti di terre rare, distribuiti in circa la metà dei paesi del continente. Cinque paesi — Mozambico, Angola, Sudafrica, Namibia e Malawi — ospitano da soli la metà di tutti i siti di giacimento di terre rare in Africa. Attualmente, otto paesi africani registrano attività estrattiva di REE, ma a gennaio 2022 solo il Burundi disponeva di una miniera operativa in grado di produrre a livello commerciale. Tuttavia, altri paesi potrebbero raggiungere presto capacità produttive simili”. La parte che più interessa in questo frangente è però il punto in cui i ricercatori sottolineano come “la gestione delle risorse naturali in Africa e gli indicatori di buona governance devono migliorare, se si vuole garantire che i minerali di valore non portino benefici solo alle imprese americane, ma anche ai cittadini africani”. Considerando che la “Academy of international humanitarian law and human rights” dell’Università di Ginevra ha mappato 35 conflitti armati attualmente in corso nell’Africa subsahariana, di cui molti hanno proprio come causa il possesso delle risorse minerarie, sembra difficile prevedere che questa volta la storia prenda una strada diversa da quella già percorsa in passato. ROTTE ALTERNATIVE In virtù delle complessità descritte per l’approvvigionamento delle terre rare e, più in generale, delle materie prime critiche, alcune società stanno sperimentando delle vie alternative per produrle o sostituirle. La società britannica Materials Nexus, per esempio, ha dichiarato a inizio giugno di essere riuscita a sviluppare, grazie alla propria piattaforma di AI, una formula per produrre magneti permanenti senza l’utilizzo di terre rare. La notizia, ripresa dalle maggiori testate online dedicate agli investimenti nel settore minerario, ha subito destato grande interesse, non solo perché aprirebbe una strada completamente nuova per i settori tecnologico ed energetico, ma perché sarebbe uno dei primi casi in cui è l’intelligenza artificiale stessa a trovare una soluzione alternativa per il suo stesso sviluppo. Secondo Marta Abbà, se anche la notizia data da Material Nexus dovesse essere confermata, ci vorrebbero comunque anni prima di arrivare alla messa in pratica di questa formula alternativa. Sempre che – cosa per nulla scontata – la soluzione non solo funzioni davvero, ma si dimostri anche sostenibile a livello economico e a livello ambientale. È più realistico immaginare lo sviluppo di un’industria tecnologicamente avanzata in grado di riciclare dai rifiuti sia le terre rare che gli altri materiali critici, sostiene Abbà. Prodotti e dispositivi dismessi a elevato contenuto tecnologico possono in tal senso diventare delle vere risorse, tanto che l’Unione Europea ha finanziato 47 progetti sperimentali in questa direzione. Tra questi, c’è anche un promettente progetto italiano: Inspiree, presso il sito industriale di Itelyum Regeneration a Ceccano, in provincia di Frosinone. È il primo impianto in Europa per la produzione di ossidi e carbonati di terre rare (neodimio, praseodimio e disprosio) da riciclo chimico di magneti permanenti esausti. L’impianto di smontaggio, si legge nel comunicato di lancio del progetto, potrà trattare mille tonnellate all’anno di rotori elettrici, mentre l’impianto idrometallurgico a regime potrà trattare duemila tonnellate all’anno di magneti permanenti ottenuti da diverse fonti, tra cui anche hard disk e motori elettrici, con il conseguente recupero di circa cinquecento tonnellate all’anno di ossalati di terre rare, una quantità sufficiente al funzionamento di un milione di hard disk e laptop, e di dieci milioni di magneti permanenti per applicazioni varie nell’automotive elettrico. Nonostante questi progetti, l’obiettivo europeo di coprire entro il 2030 il 25% della domanda di materie prime critiche, tra cui le terre rare, grazie al riciclo, appare ancora molto distante, considerando che a oggi siamo appena all’1%. La strada dell’economia circolare è sicuramente incerta, lunga e tortuosa, ma allo stesso tempo più sostenibile di quella estrattivista e in grado di garantire una strategia di lungo periodo per il continente europeo. L'articolo Chi controlla le terre rare controlla il mondo proviene da Guerre di Rete.
Gli Stati Uniti trasferiscono le forze dalle basi del Golfo in vista di un possibile attacco all’Iran
Washington – The Cradle. Il 18 giugno, gli Stati Uniti hanno iniziato a trasferire aerei e mezzi navali da siti militari chiave nell’Asia occidentale, a causa del timore di una potenziale ritorsione iraniana, hanno dichiarato ai giornalisti due funzionari statunitensi in condizione di anonimato. L’operazione di riposizionamento include aerei non ospitati nei rifugi rinforzati della base aerea di al-Udeid in Qatar, e navi militari precedentemente di stanza nel porto del Bahrein, sede della Quinta Flotta della Marina statunitense. Un funzionario ha affermato che gli spostamenti rientrano nelle procedure standard di protezione delle forze armate. “Non è una pratica insolita”, ha affermato il funzionario. “La protezione delle forze armate è la priorità”. L’ambasciata statunitense a Doha ha emesso un’allerta di sicurezza il giorno successivo, intimando al personale dell’ambasciata e ai cittadini statunitensi di aumentare la vigilanza e annunciando una restrizione temporanea all’accesso ad al-Udeid, la più grande installazione militare statunitense della regione. Queste misure giungono mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump continua a mostrare ambiguità sull’eventuale adesione di Washington alla guerra in corso di Israele contro l’Iran. “Potrei farlo. Potrei non farlo. Voglio dire, nessuno sa cosa farò”, ha detto Trump ai giornalisti mercoledì fuori dalla Casa Bianca. Secondo un articolo di Bloomberg che cita fonti anonime, alti funzionari statunitensi si stanno preparando per un possibile attacco all’Iran nei prossimi giorni, con alcuni che indicano il fine settimana come una potenziale finestra temporale. La situazione è stata descritta come instabile e soggetta a cambiamenti. Dall’inizio della campagna aerea israeliana, il 13 giugno, attacchi aerei hanno colpito le infrastrutture nucleari e missilistiche iraniane, provocando evacuazioni di massa a Teheran e altrove. Israele sostiene che l’operazione mira a impedire all’Iran di produrre un’arma nucleare. Teheran nega di voler sviluppare armi nucleari. L’inviato iraniano alle Nazioni Unite a Ginevra ha dichiarato mercoledì che Teheran ha avvertito Washington che risponderà con decisione se gli Stati Uniti saranno direttamente coinvolti nello sforzo bellico israeliano. “Se confermiamo il coinvolgimento [diretto] degli USA negli attacchi contro di noi, risponderemo”, ha dichiarato l’ambasciatore Ali Bahreini. “Non mostreremo alcuna riluttanza nel difendere il nostro popolo, la nostra sicurezza e il nostro territorio: risponderemo con serietà e forza, senza ritegno”. Bahreini ha aggiunto che Teheran considera già Washington complice delle azioni israeliane e ha espresso preoccupazione per il fatto che gli Stati Uniti possano contribuire a un potenziale attacco all’impianto nucleare fortificato iraniano di Fordow. Gli Stati Uniti hanno inoltre dispiegato più truppe e aerei da combattimento nella regione e mantengono circa 60 mila militari in tutta l’Asia occidentale. Traduzione per InfoPal di F.H.L.
No kings day a Firenze
Anche Firenze si è associata alle iniziative del “No kings day” per protestare contro il governo Trump in solidarietà con le donne, gli immigrati, la comunità LGBTQ+ e tutti coloro che vedono minacciati i propri diritti da tale amministrazione. Circa 100 persone, statunitensi e non solo, hanno risposto all’appello dell’Associazione Good Trouble Firenze e si sono radunate nel pomeriggio del 14 giugno in via dei Gondi, a lato di Palazzo Vecchio. I manifestanti esibivano cartelli in inglese, colorati e dal contenuto ironico. Si leggeva ad esempio “melt ICE”, in riferimento all’ Immigration and Customs Enforcement (ICE), la famigerata agenzia federale statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione o “I think therefore I am not a Trump supporter”. Diversi oratori si sono alternati al microfono in inglese e in italiano, intervallati da interventi musicali, tra cui una partecipatissima Bella Ciao e la canzone del Che, suonati da un gruppo di musicisti sudamericani. Il mattino seguente i partecipanti sono stati poi allietati dalle notizie provenienti da media indipendenti americani riguardo al fallimento della parata organizzata da Trump a Washington, per celebrare il proprio 79 esimo compleanno in coincidenza con il 250 esimo anniversario della fondazione dell’esercito statunitense. Per la parata – costata all’erario USA 45 milioni di dollari, con il coinvolgimento di 7000 uomini, 150 mezzi terrestri e 50 aerei – erano attese 200 mila persone, ma ne sono arrivate solo 20 mila, come si è potuto osservare dalle tribune allestite restate semi vuote. Dalle facce evidentemente deluse di Trump e dei suoi collaboratori è stato possibile rilevare tutto il loro disappunto per il clamoroso fiasco di un evento che, nelle intenzioni del borioso presidente, avrebbe dovuto assomigliare alla parata del 14 luglio a Parigi. A tale notizia non è stato purtroppo dato il giusto risalto dai media italiani. Sono andate invece bene le manifestazioni del “No kings day”, che si sono svolte in 2000 città statunitensi, con il coinvolgimento di circa 11 milioni di americani, e in numerose città europee e non solo, tra cui appunto anche Firenze. https://www.facebook.com/profile.php?id=61576013661049 https://economictimes.indiatimes.com/news/international/global-trends/trumps-45-million-birthday-parade-turns-into-a-drowsy-disaster/articleshow/121861068.cms?utm_source=chatgpt.com Enrico Campolmi
Le proteste dell’ICE si estendono da Los Angeles a New York
New York – Press TV. Mentre le rivolte a Los Angeles contro gli agenti dell’ICE e il Presidente Trump prendono una piega violenta, la città di New York, tra le altre città degli Stati Uniti, ha iniziato la propria manifestazione di solidarietà con i manifestanti di Los Angeles. I manifestanti hanno occupato le strade di fronte al tribunale federale per chiedere all’ICE di interrompere la sua campagna contro immigrati e lavoratori a New York. Manifestanti e oratori hanno accusato l’amministrazione Trump di applicare politiche fasciste contro il popolo, mentre mostravano cartelli che riconoscevano che gli USA sono fatti di immigrati. Uno striscione illustrava la lotta comune dei palestinesi e dei nativi statunitensi sotto i regimi imperialisti degli Stati Uniti e dei loro alleati. > “Chiaramente, quello che sta succedendo è anormale. Si tratta di vere […] > violazioni della legge, dei diritti e dei diritti umani. E sono contento che > ci siano persone qui per dire qualcosa al riguardo”. > > Manifestante 01. > “Gli Stati Uniti sono pesantemente militarizzati, le implicazioni e l’impatto > che hanno avuto a livello globale sono incredibili, e le persone devono > comprendere il tipo di impatto e il messaggio che gli USA inviano. E per loro > iniziare a diffondere questo regime pieno d’odio, deportando gli immigrati, > ovviamente, persone che hanno costruito questo paese. Voglio dire, tutti noi > proveniamo da famiglie di immigrati”. > > Manifestante 02. L’invio di Marines e della Guardia Nazionale statunitensi a Los Angeles ha fatto infuriare i manifestanti di New York, che ora hanno lanciato una serie di proteste contro l’ICE. I newyorkesi adesso stanno prendendo posizione in solidarietà con i manifestanti di Los Angeles e gli immigrati, in una situazione che potrebbe trasformarsi in una serie di manifestazioni anti-Trump a livello nazionale. Proteste in tutto il paese si sono svolte in molti stati, come California, Texas e Colorado. Gli oratori di New York hanno sottolineato l’unità della popolazione contro il programma capitalista e razzista che separa famiglie e bambini. Le forze statunitensi sparano gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti a Los Angeles. > “Non si tratta di chi è legale o chi è illegale, perché, come ha detto mio > fratello, non c’è nessuno illegale su terra rubata. Si tratta di una guerra > contro gli immigrati e le persone di colore. L’attuazione di un nuovo divieto > per musulmani e africani è iniziata ieri. Sorpresa, sorpresa: i paesi presenti > nella lista sono tutti neri e ispanici, e per lo più a maggioranza musulmana”. > > Linda Sarsour, attivista. > Sono qui oggi perché stanno sequestrando e facendo sparire persone. Sono > un’educatrice e non posso restare a guardare mentre famiglie e bambini vengono > strappati dalle loro case, e c’è un filo diretto con l’ICE, con Gaza, con la > Cisgiordania. […] non possiamo ignorare il fascismo qui o all’estero. > > Manifestante 03. Mentre Los Angeles ora affronta i Marines e la Guardia Nazionale, molti temono che la stessa sorte possa toccare a New York. Detto e fatto, una cosa è certa: il potere degli immigrati, dei lavoratori e degli oppressi rimane dominante di fronte all’oppressione. Traduzione per InfoPal di F.H.L.
#norearmeurope #noponte L’Italia si inginocchia a #Trump: 5% di spesa #militare Il Governo #Meloni favorevole alla proposta di un nuovo obiettivo di spesa per la guerra pari al 5% del PIL avanzata dal Segretario Generale della #NATO Mark Rutte https://radioblackout.org/2025/06/litalia-si-inginocchia-a-trump-5-di-spesa-militare/
Nell’era Trump, la lotta ai migranti passa anche dalle app
Immagine in evidenza da RawPixel, licenza CC 1.0 Nelle ultime settimane, hanno suscitato grande scalpore alcune applicazioni sviluppate per segnalare alle autorità competenti i cittadini stranieri che vivono illegalmente negli Stati Uniti. In particolare, secondo The Verge, a ricevere il sostegno di Donald Trump e dei filotrumpiani è stata ICERAID, un’app che promette di premiare con una criptovaluta proprietaria, il token RAID, “i cittadini che acquisiscono, caricano e convalidano le prove fotografiche di otto categorie di sospette attività criminali”. Tra queste i maltrattamenti di animali, i rapimenti, gli omicidi, le rapine, gli atti terroristici e, naturalmente, l’immigrazione clandestina.  L’idea alla base dell’applicazione è quella di trasformare i cittadini in veri e propri “cacciatori di taglie”, permettendo loro di combattere la criminalità in collaborazione con le forze dell’ordine e le agenzie di sicurezza. Con ICERAID, gli americani hanno infatti la possibilità di scattare e caricare la foto di un presunto reato in corso, fornendo tutte le informazioni utili per consentire alle autorità competenti di intervenire, ma solo dopo che la veridicità della segnalazione è stata confermata (al netto degli errori) da un’intelligenza artificiale. Ma non è tutto. Come riportato da Newsweek, l’app vanta un “programma di sponsorizzazione” che promette di “ricompensare gli immigrati privi di documenti e senza precedenti penali che si fanno avanti, attraverso un programma di sostegno in cui vengono aiutati a perseguire lo status legale negli Stati Uniti tramite vari percorsi, tra cui l’assistenza per la ricerca di un avvocato specializzato in immigrazione”.  Eppure, nonostante i sostenitori di Trump abbiano promosso ICERAID in ogni modo possibile, l’applicazione non sembra star riscuotendo il successo sperato. Allo stato attuale, risultano solo otto segnalazioni di attività criminali da parte dei cittadini statunitensi, di cui soltanto tre ritenute valide dall’AI dell’applicazione. Una delle ragioni è probabilmente il fatto che l’app è stata rilasciata sul mercato senza che la sua criptovaluta fosse ancora disponibile, il che ha reso gli americani restii a utilizzarla. Ma anche la cattiva reputazione del fondatore del progetto Jason Meyers – accusato di appropriazione indebita di fondi in una delle sue attività precedenti – non ha contribuito alla credibilità di ICERAID. Di certo, i sostenitori di Trump e gli esponenti della destra americana stanno cercando di trasformare i cittadini comuni in “vigilantes” pronti a dare la caccia agli immigrati clandestini, con o senza il supporto della tecnologia. A gennaio un senatore dello Stato del Mississippi ha presentato una proposta di legge che prevedeva una ricompensa di 1.000 dollari per i cacciatori di taglie che avrebbero portato a termine la cattura di immigrati entrati nel paese senza autorizzazione. Fortunatamente, la proposta non è mai diventata legge, ma ha comunque dimostrato qual è la direzione che sta prendendo la destra americana.  TRUMP STA SPINGENDO GLI IMMIGRATI ALL’AUTOESPULSIONE CON UN’APP Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sembra intenzionato a utilizzare ogni mezzo possibile per mantenere la promessa di combattere l’immigrazione clandestina e contenere i flussi di migranti in ingresso al confine sud-occidentale del Paese. Proprio qualche settimana fa, la segretaria alla Sicurezza nazionale Kristi Noem ha infatti annunciato il lancio dell’app Cbp Home, dotata di una funzione specifica che “offre ai cittadini stranieri la possibilità di andarsene ora e di auto-espellersi, il che darebbe loro l’opportunità di tornare legalmente in futuro e vivere il sogno americano”. Più nel dettaglio, l’applicazione non è altro che la versione completamente rinnovata di Cbp One, un’app promossa dall’amministrazione Biden per agevolare i migranti nel fissare un appuntamento per avviare le pratiche di richiesta di asilo negli Stati Uniti. Ora, invece, con Donald Trump l’applicazione ha preso tutta un’altra forma. Secondo quanto riferito da Newsweek, Cbp Home offre alle persone che si trovano illegalmente nel paese, o a cui è stata revocata la libertà vigilata, la possibilità di comunicare al Dipartimento di Sicurezza Nazionale (DHS) la loro volontà di abbandonare gli Stati Uniti, così da evitare “conseguenze più dure”, come la detenzione o l’allontanamento immediato. Per accertarsi che abbiano davvero abbandonato gli Stati Uniti, l’app chiede una conferma della loro espulsione. “Se non lo faranno, li troveremo, li deporteremo e non torneranno mai più”, ha chiosato la segretaria Noem, facendo riferimento all’attuale legge sull’immigrazione degli Stati Uniti, che può impedire a chi è entrato illegalmente nel paese di rientrarvi entro un periodo di tempo che varia dai tre anni a tutta la vita. La nuova funzione di auto-espulsione di Cbp Home, infatti, fa parte di “una più ampia campagna pubblicitaria nazionale e internazionale da 200 milioni di dollari”, che include annunci radiofonici, televisivi e digitali in diverse lingue per dissuadere i migranti dal mettere piede sul suolo statunitense. In questo modo, Donald Trump spera di mantenere la promessa fatta durante la sua campagna elettorale: attuare “il più grande programma di espulsione nella storia del paese”. Ad aprile dello scorso anno, in un’intervista al TIME, l’allora candidato repubblicano aveva dichiarato la sua intenzione di voler espellere dagli Stati Uniti “dai 15 ai 20 milioni di migranti”. Già dal suo primo giorno come presidente, Trump ha dimostrato di voler onorare quanto promesso. Poche ore dopo il suo insediamento, ha firmato una direttiva per dichiarare l’emergenza migratoria nazionale al confine con il Messico, e ha riattivato il programma “Remain in Mexico”, che costringe i richiedenti asilo a rimanere in Messico in attesa che venga elaborato il loro status di immigrati. Inoltre, coerentemente con le sue promesse elettorali, Trump ha presentato una proposta di legge per eliminare la concessione della cittadinanza automatica ai figli degli immigrati nati negli Stati Uniti. LA TECNOLOGIA PER DIFENDERSI DALLA POLITICA DI TRUMP Con l’intensificarsi delle azioni, politiche e non, messe in campo da Donald Trump per combattere l’immigrazione clandestina, anche i migranti stanno ricorrendo alla tecnologia per sfuggire ai raid delle forze dell’ordine e assicurarsi una permanenza nel paese. Secondo quanto riferito da Newsweek, nelle ultime settimane sta riscuotendo un buon successo SignalSafe, un’app di community reporting usata dai migranti o chi li aiuta per segnalare le operazioni degli agenti federali e della polizia locale. Una piattaforma che dichiara di non voler ostacolare le attività dell’ICE (United States Immigration and Customs Enforcement), ma che ha l’obiettivo di “dare potere alle comunità fornendo ai cittadini uno strumento per segnalare e condividere quello che accade negli spazi pubblici”, come riferiscono gli sviluppatori dell’applicazione, che per il momento hanno preferito mantenere segreta la loro identità.  Proprio allo scopo di “garantire la qualità e l’affidabilità” delle informazioni, SignalSafe utilizza “un’intelligenza artificiale avanzata per filtrare le segnalazioni inappropriate o palesemente false non appena arrivano”, che passano poi al vaglio di moderatori umani, i soli a poterle etichettare come verificate o revisionate. In questo modo gli sviluppatori si assicurano che gli utenti abbiano accesso a informazioni veritiere, che possano aiutarli a “prendere decisioni che proteggano se stessi e gli altri”. Negli ultimi anni, l’ICE è stata fortemente contestata per le sue pratiche che includono, tra le atre cose, l’uso di furgoni neri, passamontagna e incursioni improvvise. Una strategia di intervento che fa paura, e che spinge i migranti a rivolgersi alla tecnologia per cercare di tenere al sicuro famiglie, amici e conoscenti. Non stupisce, quindi, che SignalSafe non sia il solo strumento a cui gli immigrati stanno facendo riferimento per evitare l’espulsione dagli Stati Uniti.  Alla fine del mese di marzo, il Washington Post ha riferito che gli immigrati clandestini stanno facendo un largo uso dei social media per “condividere in tempo reale la posizione di veicoli e agenti dell’ICE”, utilizzando parole in codice come “camioncino dei gelati” per segnalare un furgone nero nei paraggi, così da evitare la censura sulle piattaforme e permettere ai loro coetanei di sfuggire ai controlli delle autorità competenti. Questa strategia, com’è facile immaginare, ha irritato i sostenitori di Donald Trump, che hanno reagito mostrando tutta la loro disapprovazione sui social media. Nelle prime due settimane di marzo, stando ai dati della società di analisi Sprout Social, ci sono state quasi 300.000 menzioni dell’ICE nei contenuti pubblicati su X, Reddit e YouTube (un aumento di oltre cinque volte rispetto allo stesso periodo di febbraio), il che dimostra quanto la questione dell’immigrazione clandestina sia al centro del dibattito pubblico.  In queste settimane i sostenitori di Trump stanno pubblicando decine e decine di segnalazioni false sulle attività dell’ICE, così da alimentare i sentimenti di paura e confusione negli immigrati clandestini che cercano di salvaguardare la loro permanenza negli Stati Uniti. Una strategia che non sempre sembra funzionare. Come riferisce il Washington Post, i migranti preferiscono setacciare i social media alla ricerca delle informazioni giuste piuttosto che incontrare le forze dell’ordine, anche se questo richiede più tempo. E hanno valide ragioni per farlo, considerando che i filotrumpiani non perdono occasione per creare scompiglio. Lo dimostra la storia di People Over Papers, una mappa collaborativa che segnala i presunti avvistamenti dell’ICE in tutto il Paese e che ha ricevuto più di 12.000 segnalazioni da quando è diventata virale su TikTok alla fine dello scorso gennaio. Secondo quanto raccontato da Celeste, fondatore del progetto, dopo che gli account X Libs of TikTok e Wall Street Apes hanno pubblicato un post in cui sostenevano che People Over Papers aiutasse i criminali a eludere le forze dell’ordine, la mappa è stata invasa da decine e decine di segnalazioni false. Eliminate una a una dai volontari che seguono il progetto.  GLI STRUMENTO DI SORVEGLIANZA NELL’IMMIGRAZIONE Se ICERAID e SignalSafe sono due applicazioni che coinvolgono i cittadini in materia di immigrazione clandestina negli Stati Uniti, non va dimenticato che già da qualche tempo il governo utilizza la tecnologia per sorvegliare gli immigrati che non godono di uno status legale nel paese, anche se non sono detenuti in carcere o in altre strutture specializzate, applicando loro strumenti di localizzazione come smartwatch e cavigliere. Nello specifico, secondo quanto riferito dal New York Times, le autorità governative stanno utilizzando l’app SmartLink sviluppata da Geo Group, uno dei più grandi fornitori statunitensi in ambito penitenziario, per monitorare la posizione dei clandestini identificati dall’ICE. Grazie al programma “Alternative to detection”, questi possono continuare a vivere nel paese, purché segnalino alle forze dell’ordine la loro posizione attraverso l’applicazione quando richiesto, semplicemente scattandosi un selfie e caricandolo in-app.  Un metodo di sorveglianza imvasivo, il cui uso sembra essere cambiato radicalmente con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Già dai primi mesi del suo mandato, infatti, l’app sembra sia stata usata per comunicare all’ICE la posizione degli immigrati, facilitandone così l’arresto. Secondo il Dipartimento di Sicurezza Nazionale, nei primi 50 giorni di mandato del nuovo presidente sono infatti stati arrestati più di 30.000 immigrati.  Non c’è da stupirsi, quindi, che Geo Group sia la compagnia che ha ricevuto più finanziamenti governativi di ogni altra. O che le politiche di immigrazione del presidente degli Stati Uniti abbiano fatto impennare il valore delle sue azioni sul mercato. Eppure, nonostante i sostenitori di Trump abbiano elogiato e supportato in ogni modo possibile questa tecnologia, gli esperti di sicurezza ne hanno criticato aspramente l’uso. “Il governo la presenta come un’alternativa alla detenzione”, ha dichiarato Noor Zafar, avvocato senior dell’American Civil Liberties Union, un’organizzazione non governativa per la difesa dei diritti civili e delle libertà individuali negli Stati Uniti. “Ma noi la vediamo come un’espansione della detenzione”. L'articolo Nell’era Trump, la lotta ai migranti passa anche dalle app proviene da Guerre di Rete.
La bufala del “genocidio bianco” usata contro il Sudafrica anti-apartheid
Le radici storiche della “teoria del genocidio bianco” La storia del fatidico “genocidio bianco” è equiparabile alla teoria assurda diffusa dei movimenti dell’alt-right legati a Steve Bannon sul “Piano Kalergi” e la “sostituzione etnica”. Si tratta di teorie artificiali create ad hoc ad uso e consumo della popolazione ultraconservatrice occidentale bianca per seminare l’idea che si voglia rendere “la razza bianca” una minoranza. Partendo dal fatto che basta guardare un mappamondo per vedere che da sempre gli esseri umani di pelle chiara sono una minoranza, queste teorie del “genocidio bianco” non nascono in questi anni ma hanno origine lontana, diffondendosi in seno a gruppi legati al neonazismo, all’estrema destra, al nazionalismo e al suprematismo bianco. Secondo queste teorie l’immigrazione, l’integrazione, oltre a fattori come la denatalità nonché la tutela di diritti come la legalizzazione dell’aborto e la contraccezione verrebbero deliberatamente promossi in quei Paesi dove prevale la cosiddetta “razza bianca” con l’intenzione di causarne l’estinzione. https://www.ingentaconnect.com/contentone/lwish/sou/2017/00000066/00000066/art00006 (Kevin C. Thompson, WATCHING THE STORMFRONT: White Nationalists and the Building of Community in Cyberspace, in Social Analysis: The International Journal of Social and Cultural Practice, vol. 45, n. 1, aprile 2001, pp. 32-52) Preoccupazioni della stessa natura si trovavano già espresse in alcune parti del Mein Kampf di Adolf Hitler (1925), poi riprese nel documento citato del 1934, nel quale il futuro dittatore della Germania nazista spiegava quelli che, a suoi dire, erano i pericoli che correva parte dell’Europa con la progressiva “negrizzazione della razza bianca”. (Adolf Hitler, Mein Kampf , Monaco di Baviera, ed. Franz Eher e Successori, 1925, pag. 642, traduzione italiana presente in: Giorgio Galli, Il «Mein Kampf» di Adolf Hitler. Le radici della barbarie nazista, Kaos Edizioni, 2002) La questione apparve per la prima volta, sporadicamente, nelle pubblicazioni neo-naziste White Power e WAR (Michael Novick, White Lies, White Power: The Fight Against White Supremacy and Reactionary Violence, Common Courage Press, 1995, p. 155) negli anni ’70 ed ’80, in tesi che si focalizzavano soprattutto contraccezione e sull’aborto, oltreché sull’immigrazione. In Italia, negli anni Novanta, fu attivista dell’estrema destra italiana Franco Freda a contribuire maggiormente a questa assurda idea, con il suo testo I lupi azzurri. Documenti del Fronte Nazionale, diffondendo l’idea che “l’immigrazione di elementi non indoeuropei” fosse un attacco per “distruggere la razza bianca”. Nel 1995 il neonazista David Lane – membro fondatore dell’organizzazione terroristica suprematista bianca The Order ed autore degli slogan suprematisti delle “quattordici parole” e degli “ottantotto precetti” – nel suo manifesto White Genocide del 1995 (scritto mentre era incarcerato a vita) approfondisce questa teoria, affermando che le politiche dei governi di molti Paesi occidentali avevano l’intento di distruggere la “cultura europea bianca” rendendo i bianchi una “specie estinta”. Uno dei capisaldi di questa teoria è la negazione di valore alla lotta al razzismo. Nel 2005 il neonazista Alain Finkielkraut (A. Finkielkraut, Nous autres, modernes: Quatre leçons, Ellipse, Paris 2005; trad. it. Noi, i moderni, Lindau, Torino, 2006) dichiarò che «l’antirazzismo è per il XXI secolo quello che è stato il comunismo nel XX secolo»; mentre il nazionalista bianco Robert Whitaker coniò l’espressione “anti-razzista è una parola in codice per anti-bianchi” e il termine “anti-White” (anti bianco) per descrivere coloro che ritiene siano responsabili del genocidio dei bianchi. L’uso del termine «genocidio» viene assurdamente strumentalizzato in un’accezione che va ben al di là della definizione strettamente legale , parificando eventi storici a veri e propri attentati contro la vita umana, siano essi l’omicidio (ad esempio presentando il meticciato come attentato all’integrità genetica di una “razza”) o il suicidio (una società che si autocondanna all’estinzione). Per avallare una lettura distorta ed ampliata di taluni eventi contemporanei, se ne offre così una chiave interpretativa distopica: essi non sarebbero frutto di forze storiche determinate da flussi epocali, ma della pianificazione voluta e consapevole da parte di una élite in malafede, che tradirebbe la sua vocazione di ceto dirigente di una nazione. E’ su queste basi che assieme alle teorie cospirazioniste della «sostituzione etnica» e di «Eurabia», in seguito alla crisi europea dei migranti negli anni 2010 la teoria sul “genocidio della razza bianca” si è diffusa dai movimenti estremisti di destra, raggiungendo purtroppo anche settori del senso comune moderato. https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/15/attilio-fontana-lega-razza-bianca-e-rischio-dobbiamo-ribellarci-dopo-berlusconi-destra-e-gara-di-xenofobia/4093643/ La teoria si è diffusa molto in questi anni negli USA, rispetto alla nicchia di estrema destra dove era confinata, grazie ai nuovi mass media specie in seguito all’elezione di Donald Trump.   La bufala del “genocidio bianco in Sudafrica” In seguito alla vittoria di Nelson Mandela e alla fine dell’apartheid razzista e colonialista bianca in Sudafrica, figure di estrema destra come il cantante Steve Hofmeyr e il partito extraparlamentare boero Afrikaner Weerstandsbeweging (AWB) sostengono l’esistenza di un «genocidio bianco» in Sudafrica. Il terrorista norvegese di estrema destra Anders Breivik – autore della strage nazista di Utøya in cui morirono 77 militanti socialisti – nel suo manifesto dal titolo 2083: una dichiarazione di indipendenza europea dedicò un’intera sezione a un presunto «genocidio» contro gli afrikaner, i boeri di origine olandese, menzionando ripetutamente presunti episodi di persecuzione dei bianchi in quel Paese. Anche Mike Cernovich, commentatore statunitense di estrema destra, sostenne la veridicità di tale genocidio in Sudafrica. In cosa consiste questa “menzogna di guerra”? Diffondere notizie false su un presunto genocidio che il governo socialista, panafricanista e anti-apartheid di sinistra guidato da Matamela Cyril Ramaphosa starebbe attuando contro i “boeri bianchi” (per inciso, i discendente dei coloni occidentali – spesso guidati anche da ideali nazisti e fascisti – che perseguitarono, discriminarono, criminalizzarono e ghettizzarono i neri sudafricani fino al 1994). Si tratta di una vergognosa bufala, una “menzogna di guerra”, una fake news istituzionale che si diffuse nel 2018 dopo la trasmissione del documentario Farmlands dell’attivista canadese Lauren Southern realizzato per Rebel Media, in cui si documentavano assalti alle fattorie in Sudafrica. Per lo stesso canale la giornalista britannica Katie Hopkins aveva girato un analogo documentario dal titolo Plaasmoorde: The Killing Fields. A cavalcare la vicenda, distorcendola e strumentalizzandola, furono gli Stati Uniti dell’alt-right razzista, xenofoba, suprematista bianca ed imperialista di Donald Trump, facendo girare informazioni su social media e su canali di gatekeeping con il fine di intercettare gli utenti della controinformazione e spacciare come “contro-notizia” una vergognosa menzogna al fine di prendere di mira il Sudafrica. Ad agosto 2018 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump fu accusato di appoggiare tale teoria quando su twitter chiese al segretario di Stato Mike Pompeo di far chiarezza su «gli espropri e le confische dei terreni e le uccisioni su larga scala dei contadini [bianchi]». A riportare tale tesi sono anche la giornalista conservatrice statunitense Ann Coulter, il politico britannico ultraconservatore Nigel Farage e il politico di destra olandese Geert Wilders. La notizia è stata rilanciata in questi anni dalla galassia mediatica di QAnon in funzione anti-socialista ed in Italia è stata resa nota dall’ambiguo sito ImolaOggi fin dal 2016. Nel 2016 vi è il lancio di un articolo dal titolo fuorviante e distorto Razzismo: la barbarie avanza in Sudafrica, gli eredi di Mandela bruciano la storia “bianca”, nel quale si affermava che a Città del Capo gli studenti neri di un movimento chiamato “Rhodes Must Fall” avessero bruciato “arte, libri, letteratura, pittura e qualsiasi cosa ritenuta collegata al “diavolo bianco” . Hanno inzuppato dipinti storici e scritti nella benzina e poi li hanno bruciati insieme ad opere d’arte e libri risalenti ai secoli passati, dopo aver vandalizzato l’Università. Hanno minacciato la vita dei bianchi nella zona.  In seguito ha continuato a dar fuoco ad autobus e uffici. Ritengono che “l’uomo bianco” stia finalmente avendo quello che si merita.”  Notizia che, oltre a non avere fondamento ribaltava la situazione reale: il Sudafrica, pur essendo un Paese che ha lottato contro l’apartheid bianca, risente ancora oggi della divisione interna tra bianchi e neri, della discriminazione razziale nei confronti dei neri e situazioni di sfruttamento. Ma l’articolo insisteva: “I bianchi in Africa sono vittime di  persecuzioni, espulsioni, sanzioni e sono spesso uccisi o perseguitati a causa della presunta “colpa” della colonizzazione. Eppure, dalla fine della colonizzazione, gli africani sono tornati indietro al tribalismo, alle malattie e alla povertà estrema. Nonostante i bianchi siano una piccola minoranza, sono incolpati di tutti i problemi – anche quando non hanno alcuna influenza sulle decisioni. Europa e America si rifiutano di dare lo status di rifugiato alla minoranza bianca, così migliaia di agricoltori bianchi vengono uccisi o torturati ogni anno per la loro razza. Sentimenti simili, come mostrato nel video, sono espressi in altre parti dell’Africa.” Farebbe ridere se non facesse piangere. Si tratta di notizie volte a stravolgere la storia politica e culturale del Sudafrica date in pasto a chi non conosce quella storia. Nel marzo 2016 viene pubblicato un altro articolo dal titolo Il vero RAZZISMO: cartoline dal Sudafrica, la mattanza dei bianchi in cui addirittura si parla de “l’inferno delle bidonville per i bianchi impoveriti dalla shock economy e dalle leggi razziali “black only” del governo dell’ANC e la quotidiana giungla urbana di una società ad altissimo tasso di violenza che non risparmia alcuna etnia, fatta di diseguaglianza, discriminazione e segregazione sotto altro nome, non ci rimane la sensazione di aver visitato la “nazione arcobaleno” secondo la narrazione allucinatoria della propaganda del politicamente corretto, ma un paese che è veramente un paradiso di crudeltà in preda ad un’apocalisse sadica, come l’ha definito lo scrittore Dan Roodt. Un anus mundi dove sta prevalendo una cultura della vendetta e del saccheggio e che trae ispirazione per le sue orge di ultraviolenza da ancestrali riti di stregoneria ed omicidio rituale.” Un ribaltamento totale della situazione dove i colonizzatori diventano le vittime del popolo discriminato. Si parla addirittura di Ciò “quotidiano pogrom” verso gli agricoltori in Sud Africa, “in larghissima maggioranza bianchi” e di “assalti alle fattorie (…) documentati e verificati dal 2012 ad oggi”. Poi miracolosamente le notizie su questo “genocidio” scompaiono dalla circolazione e riappaiono dopo 2 anni in cui anche uno dei peggiori quotidiani della destra italiana, Libero, ne parla come se fosse un fatto serio. Bisognerà aspettare il 3 maggio 2018 quando ImolaOggi ripubblica un articolo dal titolo Sudafrica, il vero razzismo: è genocidio di bianchi, in cui si afferma: “Grazie all’indottrinamente di massa, l’opinione pubblica è convinta che il razzismo sia una pratica “razzista” operata dai bianchi sulla pelle dei neri. Convincimento infondato! Da anni in Sud Africa, complice il silenzio dei politici occidentali, i coloni boeri sono oggetti di rapine, saccheggi e assassini commessi da bande di neri.” Il 7 agosto 2018, sempre ImolaOggi pubblica un articolo dal titolo Sudafrica: bianchi in fuga dalle violenze dei neri. La Russia accoglie 15mila boeri in cui si legge: “In fuga da violenze e odio razziale. Sono migliaia i boeri, gli agricoltori sudafricani discendenti dai coloni inglesi, olandesi, tedeschi e francesi, che stanno lasciando le proprie terre per sfuggire alle persecuzioni. Ad accoglierli a braccia aperte non ci sono più i Paesi occidentali, ma la Russia di Vladimir Putin. Per ora 30 famiglie sono già arrivate nella regione di Stavropol. Sono solo una piccola porzione dei 15mila afrikaner che stanno programmando di emigrare in Russia. Un vero e proprio esodo, scatenato dalla decisione del neo presidente sudafricano Cyril Ramaphosa di espropriare i terreni dei bianchi e restituirli alla popolazione nera. In effetti, le percentuali, come nota Libero, mostrano una evidente sproporzione. I boeri, che rappresentano solo il 9% degli abitanti controllano i due terzi dei terreni agricoli della nazione. Ma lo scontro su quella che il governo non ha esitato a definire “un’eredità dell’apartheid”, è passato ben presto dalle parole ai fatti.” Un articolo i cui contenuti ricordano tanto i titoloni dei media mainstream occidentali quando la Rivoluzione Cubana guidata da Fidel Castro portò avanti la Riforma Agraria e mise fuori legge la borghesia: in Occidente si piangeva per l’esproprio che subirono i ricchi aristocratici proprietari di latifondi di canna da zucchero che per anni avevano avuto il permesso di sfruttare incondizionatamente la popolazione cubana. Ritornando alla menzogna diffusa dall’alt-right, interessante è vedere come negli articoli che diffondono questa assurdità si cerchi in tutti i modi di prendere di mira il grande rivoluzionario Nelson Mandela che viene accusato di essere la giustificazione di questo “genocidio” in quanto accusato – senza alcuna prova e fonte – di cantare “Uccidi il boero” (Genocidio Bianco in Sudafrica, di D. Duke, 2010) diffondendo un link di YouTube che non è nemmeno attivo (https://youtu.be/DLxKcNVbrMQ). Da qualche mese è stata rilanciata la fake news del “genocidio bianco in Sudafrica” proprio per demonizzare il Paese africano nato dalla grande rivoluzione umanista, socialista, anti-apartheid e fondata sull’ideale Ubuntu del grandissimo rivoluzionario e combattente per i diritti umani Nelson Mandela. Ha fatto scalpore agli inizi di aprile 2025 quando Donald Trump ha palesemente minacciato di disertare il vertice dei leader del G20, in programma il prossimo novembre in Sudafrica, rilanciando le accuse contro il governo sudafricano di “esproprio delle terre” dei bianchi e di “genocidio”. “Come si può aspettare che noi andiamo all’importante incontro del G20 in Sudafrica quando l’esproprio della terra e il genocidio sono il principale argomento di conversazione? Stanno prendendo le terre dei farmer bianchi e li stanno uccidendo insieme alle loro famiglie.” – ha scritto nella notte su Truth Social il presidente – “E’ qui che vogliamo andare per il G20? Non penso proprio!”, aggiunse il tycoon. Già in passato Trump aveva parlato di “uccisioni in larga scala” di farmer bianchi, riecheggiando le accuse di “genocidio dei bianchi” rivolte da Elon Musk, il suo consigliere che è nato e cresciuto in Sudafrica. Accuse che recentemente un tribunale sudafricano hanno riconosciuto come “non reali” e “chiaramente immaginarie”. Non dimentichiamoci inoltre che Elon Musk era figli di suprematisti bianchi che, proprio durante gli anni dell’apartheid in Sudafrica hanno fatto fortuna essendo proprietari di miniere di smeraldi. Musk è ostile ai governi progressisti e socialisti e non si deve dimenticare che finanziò il golpe fascista di Jeanine Anez in Bolivia contro Evo Morales per i ricchi altopiani traboccanti di litio. Il 21 maggio 2025, ricevendo il Presidente sudafricano Cyril Ramaphosa alla Casa Bianca, Trump ha dichiarato: “Molte cose brutte stanno accadendo in Sudafrica. Abbiamo accolto delle persone che si sentivano perseguitate. Le loro terre vengono espropriate, loro vengono uccisi e il governo non fa nulla”. Un’affermazione vergognosa soprattutto con l’aggravante di essere accusatoria, vessatoria e falsa. L’ONG Africa Check definisce false tali affermazioni, asserendo che «i bianchi hanno meno probabilità di essere uccisi rispetto a qualsiasi altro gruppo razziale» e che «laddove i bianchi rappresentano circa il 9% della popolazione sudafricana essi sono solo l’1,8% delle vittime di omicidi». Non è un caso che il Sudafrica sia preso di mira proprio in questo periodo. Il Sudafrica è membro dei Brics ed è sfuggito alla gabbia dell’anglosfera atlantista. Il Sudafrica è tra i paesi che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, anche se non tutti i Paesi nel mondo lo hanno ancora fatto. E’ un Paese, il Sudafrica, che ha intentato la causa presso la Corte Internazionale di Giustizia contro Israele, accusandolo di violare la “Convenzione sul genocidio” in merito alla situazione a Gaza. Il Sudafrica sostiene che Israele abbia compiuto atti di genocidio, in violazione della Convenzione sul genocidio, con accuse chiare: uccisione di massa di palestinesi, tra cui civili; inflizione di gravi danni fisici e mentali; espulsione e il displacement forzato; attacco al sistema sanitario di Gaza; misure per prevenire la nascita di bambini palestinesi. Il Sudafrica ha specificato che Israele ha portato avanti una campagna di azioni che rientrano nella definizione di genocidio, inclusi attacchi a zone designate sicure e uso di bombe potenti.Questo non può che dare fastidio all’Amministrazione Trump, chissà, forse con l’obiettivo di avviare l’ennesima “rivoluzione colorata” in Sudafrica contro il governo di Ramaphosa con la solita strategia della “redutio ad Hitlerum”.  Per quanto possa avere tutte le contraddizioni possibili ed immaginabili, il governo di Ramaphosa non è artefice di nessun “genocidio bianco”, ma anzi è il discendente di quel governo che pose fine all’apartheid razzista e colonialista dei bianchi che per decenni hanno cercato – e ancora cercano – di fare da padroni in un territorio che hanno depredato, sfruttando la popolazione autoctona. Lorenzo Poli
#stopnucleare - L’appello dei Premi Nobel a #Trump e #Putin: le Organizzazioni Nihon Hidankyo, ICAN e IPPNW chiedono di mettere in salvo l’umanità fermando l’escalation #nucleare di Laura Tussi e Antonio Mazzeo - 21/05/2025 “Nessuno dei nove paesi che possiedono armi nucleari - Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord - sembra attualmente interessato al disarmo nucleare e al controllo degli armamenti.” https://www.farodiroma.it/lappello-dei-premi-nobel-a-trump-e-putin-le-organizzazioni-nihon-hidankyo-ican-e-ippnw-chiedono-di-mettere-in-salvo-lumanita-fermando-lescalation-nucleare-laura-tussi-e-antonio-mazzeo/
Il gorgo trumpiano
Mentre la retorica politica non nasconde la verità sulla funzione dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, la demagogia propagandistica sulla loro gestione invece ne cela l’aberrante realtà, recentemente testimoniata da un giovane recluso e nel 2024 dettagliatamente descritta nel “libro bianco” pubblicato da Altrɘconomia. Gli autori dell’inchiesta sono Lorenzo Figoni, consulente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e policy advisor per ActionAid Italia, e il reporter di Altrɘconomia, Luca Rondi, che i redattori di PRESSENZA avevano intervistato nel gennaio scorso 1 e hanno interpellato all’incontro organizzato il 6 maggio a Casale Monferrato da alcune associazioni locali e il 13 maggio interverrà a un’iniziativa organizzata da Como Senza Frontiere insieme a Igor Zecchini della Rete Mai Più Lager – No ai CPR. Quali implicazioni ha la dichiarazione con cui Donald Trump ha messo in dubbio il diritto dei migranti al due process che la Costituzione degli USA garantisce a cittadini e residenti nella nazione americana? Luca Rondi : “Trump è l’esasperazione di un modello messo in pratica anche altrove. Mostrare le catene ai piedi delle persone rimpatriate serve a fare scalpore. Invece con questa affermazione Trump ha sollevato il velo che ammanta una verità: siccome la tutela giuridica dei migranti è lacunosa, i diritti dei rimpatriati non sono riconosciuti dagli ordinamenti di molte nazioni, degli USA come di tanti altri paesi, tra cui anche l’Italia”. Infatti nel vortice di ingiustizie generato dalla collisione tra le lacune nella tutela dei diritti umani con una sequela di leggi e decreti italiane infatti ogni anno viene spezzata la vita di da 7 a 8 mila persone recluse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio “ex art. 14 D. Lgs. 286/1998 istituiti per consentire l’esecuzione del provvedimento di espulsione” 2 . I CPR sono dove i migranti vengono trattenuti in detenzione amministrativa per il periodo di tempo che intercorre dall’arresto all’accertamento delle loro identità e del loro status e nell’organizzazione del loro ritorno al paese di provenienza. Le statistiche però mostrano che una metà di loro sia destinata al rimpatrio, l’altra metà invece no, perciò che molti vengano reclusi nei CPR per errore. I video diffusi da un giovane arrestato nel febbraio scorso 3 provano che i detenuti sono ammassati in spazi angusti e malsani, malnutriti, maltrattati e sedati con psicofarmaci e, come Luca Rondi ha sottolineato presentando l’inchiesta a Casale Monferrato, costretti a subire condizioni che un magistrato ha definito peggiori del “41bis”, cioè del famigerato regime carcerario italiano più restrittivo possibile. Ciascun CPR è amministrato dalle prefetture locali applicando le direttive del Ministero degli Interni, che nel 2016 ne aveva pianificato l’apertura di uno in ognuna delle 20 regioni. Attualmente sono in funzione una decina di strutture, fatiscenti, a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo (GO), Macomer (NU), Milano, Palazzo San Gervasio (PZ), Roma, Torino e Trapani e il complesso adibito allo scopo a Gjader, in Albania. Nei dati e documenti raccolti da Luca Rondi insieme a Lorenzo Figoni inoltre emerge che la gestione dei CPR sfugge a ogni controllo da, ormai, numerosi anni e tanti governi di vari “colori”. Nell’incontro a Casale Monferrato Luca Rondi ha riferito di molti sperperi in cui, palesemente, si riscontrano le evidenze di lucri. Ad esempio l’eclatante fornitura di servizi affidata a una società “fantasma”, estinta molto prima dell’assegnazione dell’appalto e confermata persino dopo che tale incongruenza era stata segnalata. Inoltre, l’assurdità di un programma di attività ricreative e, in particolare, di un gioco ludo-didattico su cui Luca Rondi ha soffermando l’attenzione della platea monferrina. Palesemente infatti il passatempo di cui il programma spiega con enfasi che è stato appositamente congeniato per intrattenere e, al contempo, educare i detenuti nei CPR perché per insegnare loro la regola aurea “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” ha la stessa funzione dell’insegna Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi) apposta sul cancello del campo di concentramento di Auschwitz. E che questa analogia sia aderente alla realtà italiana storica e attuale lo confermano molti fatti inconfutabili. Prima dei nazisti in Europa, campi di concentramento in cui deportare civili in massa furono allestiti in Africa da Pietro Badoglio, il generale italiano responsabile di molti crimini di guerra e contro l’umanità, che consegnò le colonie al regime fascista e a cui in Monferrato è dedicato un museo in cui sono esposti i cimeli delle sue imprese decantate nelle rime di Faccetta Nera che nei giorni scorsi al raduno nazionale degli alpini è stata “sfacciatamente” cantata in risposta alle proteste contro il Remigration Summit. 1 – Chiusi i manicomi. Aperti i CPR – Luca Rondi con Ettore Macchieraldo e Valentina Valle, PRESSENZA / 11.01.2025 2 – Ministero dell’Interno / sistema accoglienza sul territorio/ centri per l’immigrazione 3 – La storia di M. che su TikTok documenta la vita dentro i Centri di permanenza per il rimpatrio – Aurora Mocci, Altrɘconomia / 09.05.2025 * Luca Rondi e Lorenzo Figoni – GORGO CPR. TRA VITE PERDUTE, PSICOFARMACI E APPALTI MILIONARI * Luca Rondi e altri – Chiusi dentro. I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo * Luca Rondi e Duccio Facchini – Respinti. Le “sporche frontiere” d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo   Il prossimo incontro con Luca Rondi è a Como, martedì 13 maggio alle h 21, presso l’Oratorio di Rebbio (via Lissi 11). Delle funzioni repressive del sistema carcerario si parlerà anche a Torino, venerdì 16 maggio alle 18:30, alla Libreria Belgravia (via Vicoforte 14), un appuntamento nel calendario del Salone del Libro che coinvolge l’Associazione Editoriale Multimage insieme alla redazione di PRESSENZA.   Redazione Piemonte Orientale
Messico, Sheinbaum risponde a Trump: “La nostra sovranità non è in vendita”
La decisa risposta di Sheinbaum a Trump sull’invio di truppe statunitensi in Messico La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha sottolineato sabato che non consentirà lo schieramento di truppe statunitensi sul territorio messicano. Le dichiarazioni arrivano in risposta a un articolo del Wall Street Journal che ha rivelato i dettagli di una telefonata di metà aprile con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in cui quest’ultimo ha lasciato intendere che le truppe statunitensi sarebbero entrate in Messico per combattere il narcotraffico. “Ieri, un quotidiano statunitense, il Wall Street Journal , ha riportato che il presidente Trump, nelle sue telefonate, mi ha detto che era importante che l’esercito degli Stati Uniti entrasse in Messico per aiutarci nella lotta al narcotraffico. E sapete cosa gli ho risposto: ‘No, presidente Trump, il territorio è inviolabile, la sovranità è inviolabile, la sovranità non è in vendita, la sovranità è amata e difesa’” – ha dichiarato Sheinbaum durante l’inaugurazione dell’Università del Benessere nello stato del Messico. “Possiamo condividere le informazioni, ma non accetteremo mai la presenza dell’esercito degli Stati Uniti sul nostro territorio “, ha affermato, aggiungendo di essere disposta a “collaborare e cooperare”, ma che non permetterà la “subordinazione” della nazione. “Il Messico è un Paese libero, indipendente e sovrano. Questo è ciò che vuole il popolo messicano, ed è ciò che il Presidente della Repubblica difende sempre “, ha aggiunto. Come alternativa alla presenza militare, Sheinbaum ha affermato che gli Stati Uniti potrebbero intervenire controllando il flusso di armi nel territorio messicano. Riguardo a questa proposta, ha affermato che aveva già avuto un esito positivo, poiché il giorno prima Trump “aveva emesso un ordine affinché fossero predisposti tutti gli strumenti necessari per impedire che armi provenienti dagli Stati Uniti entrassero nel nostro Paese”. Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato pubblicamente che il suo Paese è pronto ad adottare misure unilaterali se le autorità messicane non riusciranno a smantellare i cartelli. “Il Messico ha una paura terribile dei cartelli”, ha dichiarato in un’intervista alla Fox News , poco dopo la sua comunicazione diretta con Sheinbaum a metà aprile. “Vogliamo aiutarla. Vogliamo aiutare il Messico, perché non si può governare un paese così. Semplicemente non si può”, ha sostenuto. (Con informazioni da RT in spagnolo ) https://www.youtube.com/watch?v=-UPLncECa3o Fonte: http://www.cubadebate.cu/noticias/2025/05/03/contundente-respuesta-de- sheinbaum-a-trump-sobre-el-envio-de-militares-de-eeuu-a-mexico-video/ Traduzione: italiacuba.it Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba