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Donne migranti e diritto alla salute: il ruolo delle operatrici dei servizi in Lombardia
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Università degli Studi di Padova Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata Corso di Laurea Magistrale in Pluralismo culturale, mutamento sociale e migrazioni DONNE MIGRANTI E DIRITTO ALLA SALUTE: IL RUOLO DELLE OPERATRICI DEI SERVIZI IN LOMBARDIA Tesi di laurea magistrale di Valentina Piantoni (2023/2024) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE Questo lavoro nasce dal desiderio e dalla necessità personale di approfondire il tema della salute e del benessere delle donne, in particolare di quelle che hanno vissuto un’esperienza migratoria. L’obiettivo è quello di fornire un quadro conoscitivo utile a favorire l’empowerment delle donne attraverso l’offerta di servizi accessibili e inclusivi. Con la persistenza dei flussi migratori verso l’Italia, emerge infatti il bisogno di garantire alla popolazione migrante una tutela effettiva del proprio diritto di salute. In questo contesto, le problematiche legate all’esercizio di tale diritto incidono in modo particolare sulle donne migranti, soprattutto in relazione alla salute sessuale e riproduttiva. La domanda di ricerca di questo elaborato si concentra sull’analisi del sistema sociosanitario con cui le donne migranti si confrontano, indagando le modalità di accoglienza e le criticità che possono emergere nel garantire un accesso adeguato e inclusivo ai servizi, basandosi prevalentemente sulle rappresentazioni di operatori e operatrici esperti. Per rappresentare in modo significativo il fenomeno in esame, si propone un approccio che consideri le dimensioni di migrazione, genere e salute. Da un lato, le persone migranti affrontano difficoltà specifiche legate al processo migratorio, che possono influire profondamente sulla loro salute; dall’altro, le differenze di genere influenzano non solo l’accesso ai servizi sanitari, ma anche l’esperienza stessa del benessere. La condizione di salute, quindi, è modellata da molteplici fattori sociali, economici e ambientali, che si sovrappongono e interagiscono tra loro. Ciascuna di queste dimensioni può generare forme di discriminazione che si influenzano reciprocamente, rendendo fondamentale un’analisi intersezionale per superare categorizzazioni rigide e riconoscere come migrazione, genere e salute si combinino in modi complessi, creando esperienze uniche per ciascuna persona. Questo approccio permette inoltre di sviluppare strumenti e politiche più inclusivi ed efficaci, in grado di rispondere ai bisogni diversificati delle persone migranti, in particolare di coloro che si trovano all’intersezione di più forme di discriminazione. La scelta di approfondire, in questo contesto, il tema della violenza di genere è dettata dalla consapevolezza dell’impatto che essa ha sulla salute e lo stato di vulnerabilità in cui le donne migranti si possono ritrovare, a causa di elementi legati al processo migratorio stesso o di barriere che possono incontrare nel paese di arrivo. La tesi è suddivisa in tre capitoli. Il primo capitolo introduce il tema delle migrazioni femminili, evidenziando come il genere influisca non solo sull’aspirazione e la capacità di migrare, ma anche sulle modalità in cui viene vissuta l’esperienza migratoria. Viene poi introdotto il concetto di intersezionalità, che permette di portare alla luce condizioni di marginalizzazione spesso invisibili, evidenziando i molteplici livelli di discriminazione che possono emergere dall’interazione tra diverse dimensioni identitarie, esperienze di vita – come le migrazioni – e risorse disponibili. Il secondo capitolo approfondisce gli aspetti ritenuti fondamentali per la salute delle donne migranti. Il processo migratorio si articola in diverse fasi, ognuna delle quali presenta fattori che possono incidere significativamente sul benessere e la salute delle persone. Per le donne, i determinanti sociali legati alla migrazione possono limitare in modo sostanziale l’accesso alle cure sanitarie. Queste limitazioni riguardano la comprensione, l’accettazione e, infine, la disponibilità dei servizi. La centralità del tema della salute sessuale e riproduttiva, e la priorità a essa riservata, si spiegano attraverso la molteplicità dei diritti a essa collegati e i numerosi fattori che vi si intrecciano. Tra questi, il diritto di vivere esperienze sessuali appaganti e sicure, libere da coercizioni, discriminazioni e violenza, di avere un approccio positivo e rispettoso alla sessualità e alle relazioni sessuali, così come il diritto a decidere se e quando riprodursi. La violenza subita ha un impatto significativo sulla salute: diversi studi (Romito, Folla e Melato, 2016 1) hanno identificato alcuni sintomi come possibili segnali di violenza di genere, passata o attuale. Alcune analisi (Baraldi, Barbieri e Giarelli, 2008 2) hanno approfondito in particolare i processi di somatizzazione vissuti dalle donne migranti, mettendo in luce specifiche difficoltà legate alla migrazione stessa, oltre che a problemi socioeconomici e linguistici. Ciò evidenzia l’importanza di una formazione specifica per il personale medico e sanitario, affinché possa riconoscere i segnali della violenza di genere e trattare ogni sintomo in una prospettiva olistica, tenendo in considerazione, allo stesso tempo, fattori biologici, sociali, psicologici e culturali. A tal proposito, viene approfondito il tema della medicina narrativa, che si basa sulla capacità di riconoscere, comprendere e interpretare le storie di malattia e non solo, attraverso lo sviluppo di competenze quali empatia, fiducia e sensibilità. Questo approccio valorizza il racconto del paziente, rendendolo uno strumento essenziale per costruire un rapporto di fiducia e un progetto terapeutico efficace. Infine, il terzo capitolo presenta la ricerca svolta: attraverso interviste di tipo qualitativo si è esplorato il rapporto tra le donne migranti e i servizi sociosanitari del territorio lombardo, con l’obiettivo di identificare le criticità esistenti e proporre soluzioni per migliorare l’accessibilità e l’adeguatezza dei servizi. Per questo scopo, sono state condotte dieci interviste semi-strutturate con operatrici e professioniste dei servizi sociali e sanitari, nonché due interviste con utenti di un centro di seconda accoglienza per donne vittime di violenza. In conclusione, l’analisi delle interviste offre una panoramica delle barriere strutturali che ostacolano l’accesso ai servizi per le donne migranti. Queste barriere includono sia limitazioni di natura burocratica e linguistica, sia ostacoli derivanti da pregiudizi culturali e da una sensibilità limitata nei confronti delle loro esigenze. Inoltre, emerge il ruolo cruciale svolto dai professionisti, i quali possono, a seconda dei casi, facilitare o complicare l’esperienza delle donne con i servizi. La ricerca si propone di creare spazi di dialogo e riflessione, analizzando problematiche, esperienze e strategie adottate per migliorare l’accoglienza e l’integrazione delle donne migranti. 1. La violenza sulle donne e sui minori, Carocci Editore ↩︎ 2. Immigrazione, mediazione culturale e salute, Franco Angeli Editore ↩︎
Maternità sotto accusa
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Università di Trento Master in Diritto e Politiche delle Migrazioni MATERNITÀ SOTTO ACCUSA MADRI MIGRANTI E VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA: UN’ANALISI DELLA PROCEDURA DI VALUTAZIONE DELL’IDONEITÀ GENITORIALE Tesi di master di Gemma Martini (A.A. 2024/2025) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE La tesi analizza in chiave critica le modalità con cui viene valutata l’idoneità genitoriale delle madri migranti nei contesti istituzionali, evidenziando il rischio concreto di una vittimizzazione secondaria. Tale rischio emerge quando le donne, già vulnerabili per ragioni socioeconomiche, culturali o legate al percorso migratorio, si trovano a dover affrontare procedure valutative che, anziché riconoscere la complessità della loro condizione, ne accentuano la marginalizzazione. Il lavoro si apre con una ricostruzione teorica dei concetti di genitorialità, migrazione e bias culturale, osservandone l’impatto sulla condizione delle madri migranti. Viene quindi approfondita la cornice normativa e operativa entro cui i servizi sociali e i giudici italiani operano nelle valutazioni dell’idoneità genitoriale, con riferimento ai casi in cui le famiglie sono coinvolte in percorsi di tutela minorile. Attraverso l’analisi di documenti istituzionali, linee guida, casi di studio e letteratura scientifica nazionale e internazionale, la tesi evidenzia come il vissuto migratorio, la precarietà abitativa e lavorativa, le barriere linguistiche e i differenti modelli educativi possano essere letti dagli operatori come segnali di inadeguatezza genitoriale, piuttosto che come elementi contestuali da comprendere, accompagnare e sostenere. Questa lettura rischia di rafforzare stereotipi e pratiche valutative implicitamente discriminatorie, producendo forme di vittimizzazione secondaria istituzionalizzata. Particolare attenzione è riservata alla posizione delle madri migranti, spesso esposte a un duplice giudizio: in quanto madri e in quanto straniere. Le prassi valutative tendono a mettere in discussione la loro competenza educativa sulla base di criteri etnocentrici e culturalmente orientati, senza considerare adeguatamente le differenze culturali e i differenti approcci educativi. La tesi si conclude con una riflessione sui possibili approcci alternativi, attenti alla dimensione interculturale e alla valorizzazione dell’interdisciplinarità orientata alla costruzione di interventi realmente emancipanti. Viene proposta una maggiore integrazione tra servizi sociali, mediazione culturale e reti comunitarie, al fine di favorire una valutazione più equa e rispettosa dei diritti delle madri migranti e dei loro figli.
Geografie di confinamento e governance dell’eccezione: i campi per persone in movimento in Grecia. Corinto come lente di analisi
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Università di Bologna Dipartimento Scienze Statistiche “Paolo Fortunati” – STAT Corso di Laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale GEOGRAFIE DI CONFINAMENTO E GOVERNANCE DELL’ECCEZIONE: I CAMPI PER PERSONE IN MOVIMENTO NELLA GRECIA CONTINENTALE. CORINTO COME LENTE DI ANALISI Tesi di laurea in Geografia dell’Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile Elisa Lista (A.A. 2024/2025) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE La seguente tesi si propone di analizzare in che modo la configurazione architettonica e spaziale, la localizzazione geografica e il sistema di governance dei campi per richiedenti asilo situati nell’entroterra greco – con particolare attenzione al campo di Corinto – riflettano e riproducano logiche di controllo, segregazione e marginalizzazione nei confronti delle persone in movimento che vi risiedono. Le stesse logiche di contenimento che caratterizzano le politiche migratorie e d’Asilo dell’Unione Europea. L’obiettivo è quello di interrogare le modalità attraverso cui il campo – lungi dall’essere uno spazio neutro – si configura come un dispositivo attivo nella gestione dei corpi dei migranti. Al tempo stesso, la ricerca intende esplorare come tale geografia venga quotidianamente vissuta, rinegoziata e abitata dalle persone che vi passano attraverso. La riflessione si articola attorno ad alcune domande centrali: Che cosa si intende per “forma campo” (Rahola, 2003)? In che modo le scelte architettoniche, infrastrutturali e localizzative influenzano la vita quotidiana dei migranti? Come si intreccia l’organizzazione spaziale dei campi con la logica di contenimento che sottende le politiche europee in materia di migrazione e asilo? In che modo questo si declina nel contesto dei campi della Grecia continentale? Qual è l’impatto della governance multilivello dell’accoglienza – e in particolare della gestione dei fondi europei per la migrazione – nel plasmare materialmente e simbolicamente questi spazi? Infine, quali forme di socialità e resistenza emergono all’interno di ambienti pensati per segregare? Per rispondere a questi interrogativi, è stato adottato un approccio misto, integrando strumenti di tipo qualitativo e autoetnografico con strumenti di tipo quantitativo. La ricerca si è articolata in due momenti di studio sul campo e in un’estensiva analisi documentale. Nel corso di due mesi trascorsi a Corinto, nell’estate 2024, è stata condotta un’osservazione partecipante volta a comprendere le dinamiche quotidiane della vita nel campo di Corinto e a costruire relazioni che hanno permesso di accedere a spazi, pratiche e narrazioni spesso inaccessibili a osservatori esterni. Il coinvolgimento diretto e prolungato e le interazioni informali hanno reso possibile la raccolta di dati qualitativi densi e l’accesso a informazioni sul funzionamento del campo assenti nei report ufficiali del Governo greco. Nel dicembre 2024 è stato effettuato un breve ritorno in Grecia, finalizzato alla raccolta di ulteriori testimonianze e documentazione fotografica, attraverso un lavoro congiunto con Gaia Brunialti. Una parte delle informazioni presentate – in particolare nell’ultimo capitolo – derivano dalle esperienze condivise da persone che hanno vissuto per mesi o anni all’interno del campo di Corinto e che hanno acconsentito a raccontare le loro storie, anche attraverso interviste in differita nei mesi successivi al mio ritorno, e a condividere fotografie degli spazi interni del campo. Per tutelarne l’anonimato e proteggere la loro posizione giuridica – spesso precaria e vulnerabile – ogni riferimento personale è stato reso non identificabile. La maggior parte degli interlocutori coinvolti sono giovani uomini provenienti da Afghanistan, Iraq, Palestina e Iran. L’assenza di testimonianze femminili costituisce un limite dell’indagine, riconducibile alla ridotta partecipazione delle donne alle attività del Community Center, alla barriera linguistica importante e alla diffidenza nel condividere informazioni personali. A complemento del lavoro qualitativo, si è affiancato un approfondito lavoro di ricerca documentale e quantitativa relativa alla governance dei fondi europei destinati alla gestione dei flussi migratori e all’accoglienza in Grecia. Sono state esaminate e confrontate fonti ufficiali e primarie, come documenti di programmazione finanziaria forniti dal Ministero dalla Migrazione e dell’Asilo Greco e dalla Commissione Europea, affiancate a report di monitoraggio di organizzazioni come Il Greek Council for Refugees, Refugee Support Aegean e Mobile Info Team, e schede informative dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). All’analisi della letteratura scientifica sul ruolo politico della geografia dei campi profughi, si affianca un’analisi cartografica basata su immagini satellitari e fotografie aeree che consentono di osservare la “mappa dei campi” presenti sul territorio greco e la configurazione spaziale del territorio che li circonda. Il lavoro di ricerca non è stato privo di ostacoli, in particolare nell’accesso a dati ufficiali e fonti istituzionali. La trasparenza da parte del governo greco risulta limitata, sia per quanto riguarda la pubblicazione di dati relativi ai campi, sia in merito all’impiego dei fondi europei destinati alla loro gestione. Sia sul sito del Ministero greco della Migrazione e dell’Asilo, sia su quello della Commissione Europea, reperire dati primari e non aggregati relativi all’utilizzo dei fondi europei risulta particolarmente complesso. Le informazioni pubblicate riguardano prevalentemente programmi generali di intervento, spesso espressi in termini vaghi o incoerenti tra loro. Non sono disponibili dati dettagliati sulle singole voci di spesa, né è possibile accedere a documentazione specifica per ciascun campo profughi. La trasparenza è quindi limitata a una panoramica delle misure di intervento o a progetti estesi all’insieme dei centri di accoglienza presenti sul territorio greco, senza distinzione tra strutture, località o modalità di implementazione. L’accesso ai campi da parte delle ONG è fortemente regolato, e l’interazione con il personale interno spesso subordinata a lunghe trafile burocratiche, raramente efficaci. Le principali organizzazioni internazionali coinvolte nella governance dei campi, come l’OIM, si limitano alla diffusione di dati quantitativi sulla popolazione residente, evitando di affrontare in maniera critica le condizioni materiali dell’accoglienza. Ostacoli significativi emergono anche nell’acquisizione di testimonianze dirette da parte delle persone che vivono nei campi. Tali difficoltà riflettono, in parte, l’esigenza di adottare modalità di ascolto attente e non intrusive: esporre la propria esperienza può essere difficile per le persone in movimento, soprattutto quando segnata da violenze e vissuti dolorosi. In secondo luogo, condividere informazioni può rischiare di compromettere il buon andamento della richiesta d’asilo o il rapporto con le autorità che gestiscono i campi. Per queste ragioni, è stato fondamentale adottare un approccio cauto e sensibile, che lasciasse spazio e voce alle persone in movimento nei limiti tracciati da loro stesse. La tesi si articola in cinque capitoli. Il primo capitolo offre una panoramica del contesto migratorio che ha interessato la Grecia negli ultimi anni, un crocevia tra la Rotta migratoria del Mediterraneo Orientale e la Rotta Balcanica. Sebbene geograficamente concepita come territorio di transito, la Grecia si è trasformata, a partire dal 2016 e in seguito all’accordo UE-Turchia, in un punto di stallo per migliaia di persone in movimento. In questo quadro, si analizza la politica di esternalizzazione dell’Unione Europea, che scarica la responsabilità di gestione dei flussi migratori agli Stati membri posti ai confini esterni dell’area Schengen, come la Grecia. Il capitolo approfondisce inoltre il funzionamento del sistema d’asilo a livello europeo e greco, evidenziando come i lunghi processi burocratici portino alla congestione di centri di accoglienza e all’istituzionalizzazione dei cosiddetti “campi profughi”. Il secondo capitolo si concentra sull’analisi dei luoghi dell’accoglienza e sulla definizione della “forma campo”, approfondendone la storia e la funzione simbolica. Esplora la configurazione architettonica, spaziale e temporale dei campi, indagando il modo in cui le agenzie umanitarie ne fanno al contempo uno strumento politico di cura, sorveglianza e controllo. Viene inoltre affrontata la questione della depoliticizzazione del richiedente asilo, spesso ridotto alla figura passiva di mera vittima, ma anche la nuova attenzione della letteratura alle forme di socialità, agency e resistenza che emergono all’interno dei campi e che plasmano la loro materialità. Il terzo capitolo è dedicato all’analisi dell’evoluzione del sistema di accoglienza in Grecia e delle modalità di gestione dell’asilo negli ultimi anni. A partire dalla fase emergenziale del 2016, si esamina la transizione dai programmi di accoglienza diffusa alla progressiva centralità dei campi come unica forma di accoglienza prevista. Viene analizzata la distribuzione territoriale dei campi nell’entroterra greco, il loro isolamento spaziale rispetto ai servizi essenziali, le loro caratteristiche materiali. Il capitolo affronta anche le difficoltà incontrate nell’accesso a dati pubblici sui campi, segnalando la limitata trasparenza del Governo greco nella gestione dei siti e le limitazioni nell’ingresso, che spesso impediscono di raccogliere testimonianze dirette dei residenti. Il quarto capitolo è dedicato all’analisi dei fondi europei destinati alla gestione dei flussi migratori in Grecia, con un confronto tra il ciclo di programmazione 2014-2020 e l’attuale ciclo di programmazione 2021-2027. L’attenzione si concentra in particolare sui fondi utilizzati per la gestione dei campi dell’entroterra greco e sulla governance multilivello dell’accoglienza, che coinvolge attori istituzionali europei, autorità greche, organizzazioni internazionali e soggetti privati. Vengono infine discusse le implicazioni materiali derivanti dallo spostamento delle competenze gestionali dei campi esclusivamente nelle mani delle autorità greche, evidenziando il peggioramento delle condizioni di vita per i richiedenti asilo che vi abitano.  Il quinto capitolo si focalizza sul caso studio del campo di Corinto, adottando una prospettiva etnografica e spaziale e dando voce alle narrazioni delle persone in movimento che l’hanno abitato. Viene percorso il tragitto che collega il centro urbano al campo, analizzando gli spazi che lo compongono, con l’aggiunta di considerazioni derivanti dall’osservazione di immagini satellitari che mostrano la configurazione del territorio che lo circonda. L’attenzione si focalizza sulla carenza strutturale di servizi essenziali e sulle condizioni materiali di vita, ma anche sulle forme di appropriazione e politicizzazione dello spazio – come i graffiti – e sulle pratiche di socialità quotidiana. In parallelo, si affronta la condizione di sospensione e immobilità che caratterizza l’esperienza dell’attesa in un campo.
Non-Refoulement undermined: legal obligations and migrant realities in Italy’s externalization of asylum
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Dalarna University Degree Project Master’s Degree All the Voices Matter NON-REFOULEMENT UNDERMINED: LEGAL OBLIGATIONS AND MIGRANT REALITIES IN ITALY’S EXTERNALIZATION OF ASYLUM Tesi di ricerca di Riccardo Zellini (2025) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE Negli ultimi anni, l’Italia ha fatto sempre più ricorso a strategie di esternalizzazione, spostando le proprie responsabilità in materia d’asilo verso Paesi terzi come la Libia dal 2017 e l’Albania dal 2023. Questi accordi vengono spesso presentati come strumenti necessari per la gestione dei flussi migratori, ma un’analisi più attenta mostra che raramente raggiungono gli obiettivi dichiarati. Le persone continuano a partire, non per ingenuità o disinformazione, ma perché restare, per molti, non è un’opzione praticabile. Questa ricerca analizza il divario crescente tra gli impegni giuridici assunti dall’Italia, in particolare rispetto al principio di non-refoulement, e le pratiche concrete attuate lungo i confini. Alla riflessione giuridica si affiancano le voci di 24 migranti subsahariani che vivono in Italia in condizioni di irregolarità. I loro racconti offrono uno sguardo diretto e spesso ignorato dai promotori delle politiche, gli Stati. Ciò che emerge è un quadro in cui la governance migratoria tende a privilegiare il controllo sulla protezione, e la forma sulla sostanza. Le strategie di esternalizzazione che spesso si legano con il meccanismo di paese terzo sicuro, non fermano le migrazioni, ma semplicemente spostano il peso e la responsabilità verso Paesi con minori garanzie e standard di tutela. Al tempo stesso, queste politiche rischiano di svuotare i principi giuridici che affermano di rispettare, trasformando il diritto d’asilo da strumento di protezione a mezzo di esclusione. La tesi è articolata in cinque capitoli principali, ciascuno dei quali affronta una dimensione specifica del tema centrale: la compatibilità delle politiche di esternalizzazione italiane con il principio di non-refoulement. L’organizzazione dell’elaborato riflette un percorso analitico che si sviluppa progressivamente, partendo dalle basi teorico-giuridiche fino ad arrivare all’analisi empirica e a una riflessione critica conclusiva. Questa tesi non pretende di fornire risposte definitive, ma prova a riportare al centro del dibattito chi ne subisce maggiormente le conseguenze. I migranti non sono solo destinatari delle norme: con le loro esperienze derivate dai risultati del mio questionario, le mettono in discussione, le reinterpretano e, in alcuni casi, le trasformano. Le loro voci ci invitano a ripensare la gestione della migrazione e a chiederci se un sistema costruito sulla deterrenza possa davvero offrire giustizia e come talvolta gli accordi con paesi terzi per ridurre i flussi che giungono su territorio italiano possano assumere tratti che richiamano dinamiche neo-coloniali. Viene richiamata la necessità urgente di ripensare le politiche migratorie europee a partire dalle esperienze reali dei soggetti coinvolti, con un approccio dal basso che possa dare dignità a tutti.
Migrare: essere altrove, esserci altrimenti
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Alma Mater Studiorum – Università di Bologna Dipartimento di scienze dell’educazione “Giovanni Maria Bertin” Master di I° livello in Educatore nell’accoglienza di migranti, richiedenti asilo e rifugiati MIGRARE: ESSERE ALTROVE, ESSERCI ALTRIMENTI ETNOGRAFIA SUL RUOLO DELL’OPERATORE TRA FRAGILITÀ PSICHICA E NUOVE PROSPETTIVE DI ACCOGLIENZA NELLO SPRAR DI “PIAZZA GRANDE” Scarica l’elaborato ABSTRACT Di richiedenti asilo e rifugiati si parla molto ultimamente, spesso evocando in maniera più o meno sottile gli scenari delle guerre lontane e della miseria, ma anche dell’invasione, della minaccia terroristica e della contaminazione. Ma chi sono costoro? Da cosa fuggono, cosa hanno subìto e cosa sperano per il loro futuro? E quale contesto migliore per esplorare la loro esperienza se non quello delle strutture di accoglienza in cui passo per passo si ricostruisce, nella quotidianità della convivenza, il proprio progetto di vita, tra ricordi, scoperte, conflitti, nostalgia, rabbia, aspirazioni, resilienze e ferite dell’anima? Questo lavoro, pertanto, nasce dalla volontà di raccogliere alcune principali riflessioni, in relazione all’approccio metodologico impiegato, alle ragioni che mi hanno indotto a scegliere un orientamento di tipo etnografico, per indagare la tragicità del presente in cui viviamo, e alle difficoltà inerenti la gestione del servizio di accoglienza che, ultimato il processo di indagine e di scrittura, ritengo sia doveroso esplicitare nelle note conclusive. Aggiungo che lo studio sul sistema di accoglienza dovrà essere utile anche per gli operatori del settore, intrappolati in un intricato apparato di poteri e relazioni che merita e richiede un costante livello di riflessione teorica sulle prassi attuali. Come coniugare le differenti esigenze degli attori che si muovono nello scenario e tradurre nella pratica quotidiana quel corpus teorico maturato nella riflessione sul proprio agire, è la sfida principale che cerco di pormi. L’obiettivo maggiore è quella di congiungere, in una sorta di dialogo, il ruolo dell’operatore e quello del tirocinante a quello del beneficiario e riuscire a trovare, così, una funzione pubblica per il sapere e la conoscenza che si produce all’interno dei servizi di accoglienza. Per spiegare come ho condotto l’indagine mi soffermerò brevemente, su come nasce e da dove arriva l’osservazione partecipante. Questo metodo serve per stabilire un’empatia che permetta di rendere nella descrizione il punto di vista della comunità e dei soggetti che si stanno studiando. Fondamentale per questa attività di studio è la capacità “mimetica” dell’antropologo, la sua abilità a conquistare la fiducia, a creare legami e relazioni profonde con l’intervistato. Va sottolineato però che pur impegnandosi, lo studioso non si trasformerà mai in un membro della comunità che studia, il ricercatore deve sempre comprendere l’impossibilità di astrarsi dalla sua posizione, diametralmente differente da chi vive quello che viene raccontato. Ritengo dunque che sia necessario dare rilevanza alle premesse che chiariscano il lavoro di studio qui presentato, per poter considerare almeno una parte di quei presupposti dai quali muovono le osservazioni. Fare una indagine significa, tra le altre cose, sviluppare relazioni più o meno profonde e prolungate con gli attori sociali, con coloro cioè che attraverso i dialoghi, le interazioni, i condizionamenti e le osservazioni offrono il materiale su cui costruire le etnografie. In questo elaborato mi pongo l’obiettivo di raccontare di persone che hanno il desiderio di dare un significato diverso alle loro vite, non solo come vittime di un sistema esclusorio, ma semplicemente per rendere un’immagine meno falsa di quella che si è creata in questi ultimi anni. Perché collocarsi vicino all’esperienza della persona che vive le contraddizioni dell’emigrazione così come è gestita a livello governativo, significa andare oltre un’astratta empatia e giocare, al contrario, una dialettica fra prossimità e distanza, capace di riconoscere, valorizzandoli, quegli attimi in cui la corporeità non solo “resiste” ma si ribella, sfugge, riattivando la capacità di agire anche nell’istante di un gesto ironico, nella durata di un silenzio denso di agentività, o nell’incrocio di sguardi che fondano la presenza e attivano una cornice di relazione dialogica fra osservatore e osservato. Mi soffermerò, seppur brevemente, sugli aspetti che riguardano la gestione delle attività di occupazione dei beneficiari coordinati dagli operatori. Un paragrafo sarà dedicato alla “cena di via Romita” nella quale sono emersi degli aspetti che rimandano alla condivisione, intesa come etica promotrice di sensibilità e di una maggiore uguaglianza. Tra gli altri compiti mi annovero quello di “cucire” le fila del discorso, di comporre insieme le varie parti, senza però seguire un certo ordine cronologico, in modo da ricostruire tassello su tassello un quadro il più possibile chiaro e comprensivo di quelli che potrebbero sembrare «brevi cenni sull’universo» secondo l’espressione di Gramsci. Si intende che l’impossibilità di trattare l’argomento in modo compiuto ed esaustivo, abbia permesso un approccio limitato e provvisorio, dovuto anche alla necessità di risolvere tutto in un arco di tempo di pochi mesi, dal quale emergono tuttavia molteplici riflessioni e nuovi orientamenti di indagine. Un ulteriore margine di riflessione sarà dedicato al mio rapporto con gli utenti cercando di descrivere le attività che essi svolgono, concentrandomi anche sull’imperare delle relazioni di potere nonché sulla gestione del tempo che rappresentano una costante interazione, anche se a volte conflittuale, tra gli operatori e i beneficiari. Prenderò anche in esame il ruolo di “mediatore nell’accoglienza”, ovvero l’operatore, al fine di mettere in luce le dinamiche di interazione sviluppate nella struttura, sia con i beneficiari e sia con lo spazio gestionale e corporeo. Nel fare ciò mi tratterrò sulla particolarità e sulla concretezza delle situazioni di crisi esistenziale, cercando di cogliere l’intreccio e le modalità di interazione tra queste figure, secondo l’iter che porta l’individuo a essere accolto, alla sua permanenza nella struttura e al suo rapporto con gli stessi operatori. Nella seconda parte dell’elaborato cercherò di allacciarmi alla prospettiva assunta dall’etnopsichiatria, secondo la quale la malattia è un fenomeno talmente complesso che, per essere compreso si rende necessario considerare la totalità degli aspetti in esso coinvolti. Rifletterò, inoltre, sulla “condizione di migrante” e sull’insorgere di stati di malessere e sofferenza psichica difficili da superare, ancor più, nell’incertezza che accompagna il loro futuro. Cercherò di interrogarmi sulla genesi delle crisi da “ri-adattamento” e di nostalgia (angoscia territoriale) e sui tempi lunghi di attesa che sono tutti fattori che possono provocare una ri-traumatizzazione secondaria, come è stata definita dal Ministero della Salute. Il fine ultimo è di analizzare, nell’attuale complicata e turbolenta situazione economica, sociale e politica, il modo di gestire il migrante (richiedenti asilo, richiedenti protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria), evidenziando le inevitabili e importanti trasformazioni avvenute.