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A Vienna “i ricchi” cercano di preconfezionare il bilancio della UE
Neanche il tempo di archiviare il discorso-fiume del generale von der Leyen al Parlamento europeo (i toni militareschi, compreso l’elogio postumo ai “Fratelli della foresta” baltici – collaborazionisti delle SS poi dediti al terrorismo anti-sovietico – hanno cancellato qualsiasi vago accenno politico) che ecco partire le coltellate tra “fratelli nel […] L'articolo A Vienna “i ricchi” cercano di preconfezionare il bilancio della UE su Contropiano.
Blocchiamo tutto: la rivolta esplode in tutta la Francia
10 settembre: un movimento sociale non è mai scritto prima ma gli appelli di luglio e agosto sono stati rispettati (vedi qui alcuni video della rivolta: shorts/Jw8 , hshorts/n8qn, watch?v=0X8p5pcs3wc)_ Il movimento, nato in risposta alle proposte di bilancio dell’ex Primo Ministro François Bayrou, si è già manifestato nella regione di Parigi, a Montpellier, a Clermont-Ferrand, a Grenoble, La Rochelle, a Tolosa, a Rennes, a Strasburgo, a Marsiglia e alle 10 del 10 mattina la gendarmerie nationale ha contato 154 azioni e 4 000 manifestant* (probabilmente dieci volte di più). 105 persone sono state identificate. Sophie Binet, segretaria nazionale della CGT, ha segnalato che 715 scioperi in corso. In Bretagne le mobilitazioni sono considerate le più radicali con un bus in fuoco che blocca la tangenziale di Rennes. A Parigi, la tangenziale e i suoi accessi sono bloccati in più punti. Tanti liceei sono “bloccati”. Sabotaggi nei trasporti e grande raduno alle 11  davanti alla gare du Nord. A Marsiglia, tante azioni simultanee fra cui picchetto davanti un fabbricante di componenti di armamenti accusato di fornire Israele. A Lione, tensioni tra la polizia e manifestant*. La prefettura del Rodana a annunciato di aver disperso i gruppi dei bloccaggi. Una manifestazione partirà alle 12. A Toulouse numerose mobilitazioni bloccano la circolazione dei treni e un incendio bloca la linea Toulosa-Auch. Vicimo a Douai, l’accesso a un deposito Amazon è bloccato. A Caen il viadotto di Cadix è bloccato da quattro ore.  Con un vocabolario marziale, la prefettura del Rodano a annunciato d’aver ripreso uno a uno i blocchi stradali installati dai manifestant*. Student* arano presenti anche nei blocchi stardali in collera di fronte all’aumento dei costi d’iscrizione, in particolare per gli studenti stranieri e contro l’inazione del governo difronte al genocidio in Palestina: Siamo qui anche se Macron non vuole. La nomina di Sébastien Lecornu come nuovo capo del governo suscita ancora più indignazione. Il paese resterà ingovernabile. E’ la debolezza del governo e la collera del popolo. E’ totalmente ridicolo questo nuovo primo ministro. E’ l’apertura delle porte all’estrema destra. Macron non ascolta il popolo, non ascolta nulla. Non vuole mollare. La sinistra aveva vinto e lui rimette la destra al potere. Comunque durerà al massimo tre mesi, come gli altri. Mediapart     Salvatore Turi Palidda
Francia: 10 settembre blocchiamo tutto
10 settembre, giornata di mobilitazione in tutta la Francia contro il governo Macron, che proprio ieri ha visto avvicendarsi il sesto premier delle sue legislature, Sebastian Lecornu, ex ministro della difesa. Una mobilitazione che è cresciuta nelle settimane scorse dopo le dichiarazioni del dimissionario Bayrou sulle politiche di austerità e la cancellazione di alcune giornate di festività. Partita da appelli sui social network slegati da particolari realtà politiche è stata accolta dalle realtà di movimento e sindacali. Nella corrispondenza facciamo un quadro di quello che è avvenuto fino a questo momento nella città di Parigi: blocchi dei trasporti pubblici, delle scuole, delle principali arterie della città, assemblee sui posti di lavoro. Una partecipazione soprattuto giovanile e studentesca, non solo fuori dai luoghi della formazione, ma anche a sostegno degli scioperi e dei blocchi sui posti di lavoro. Un movimento che si sta già dando dei prossimi appuntamenti, in particolare per il 18 settembre, giornata lanciata della CGT, come tentativo di non legarsi direttamente a questo 10 settembre, ma che dall'aria che si respira in piazza, cioè quella di superare le divisione, sembra che verrà attraversata da chi in queste ore sta bloccando le città di tutta la Francia.
Lecornu primo ministro, la Francia in fiamme
La crisi francese è una tragedia per l’Unione Europea. Nello stesso momento in cui Ursula von der Leyen legge il suo «discorso sullo stato dell’Unione» davanti ad un parlamento distratto e spaccato (ne parleremo a parte), si insedia il nuovo primo ministro scelto da Emmanuel Macron e parte la prevista […] L'articolo Lecornu primo ministro, la Francia in fiamme su Contropiano.
[Ora di buco] La scuola non tace: stop al genocidio (1/3: trasmissione intera)
Inizia l'anno scolastico 2025/26 de L'oradibuco con la consapevolezza che la scuola apre ancora una volta durante il genocidio in corso a Gaza. Diamo quindi voce a quanto accade nelle scuole con una corrispondenza con Roberta Leoni, presidente dell'osservatorio contro militarizzazione della scuola, sul cui sito trovate tutte le iniziative. Concludiamo con una corrispondenza di Sara Garbagnoli: lunedì 1° settembre Caroline Grandjean-Paccoud, 42enne direttrice e insegnante della scuola del villaggio di Moussages, nel Cantal (Alvernia) si è suicidata. E' stata per due anni attaccata per il suo lesbismo, le compagne francesi denunciano un lesbicidio di Stato.
Francia senza governo, Macron prova a fregarsene
Il neoliberismo è morto, ma non se n’è accorto… La caduta del governo francese, diretto peraltro da un vecchio attrezzo dell’establishment transalpino come Bayrou, era così scontata fin dall’inizio che veramente viene da chiedersi come abbiano potuto pensare di metterlo in piedi lo stesso. Ieri l’Assemblea Nazionale ha messo fine […] L'articolo Francia senza governo, Macron prova a fregarsene su Contropiano.
Se cade Bayrou, cade anche Macron?
Articolo di Aurélie Dianara In Francia, un nuovo movimento sociale nato in piena estate minaccia di «bloccare tutto» a partire dal 10 settembre per protestare contro le nuove misure di austerità annunciate dal governo. Con grande sorpresa di tutti, il primo ministro François Bayrou ha chiesto un voto di fiducia all’Assemblea Nazionale l’8 settembre, pur essendo quasi certo di perderlo. A meno di un improbabile colpo di scena, dovrà quindi rassegnare le dimissioni, il che potrebbe tagliare le gambe alla mobilitazione in corso – almeno questo è ciò che spera il presidente Emmanuel Macron. Mentre la Francia è impantanata da più di un anno in una grave crisi di regime, la sequenza politica e sociale che si apre questa settimana si preannuncia quindi decisiva. Segnerà finalmente il crollo della macronia e delle sue politiche neoliberiste? Potrà costituire un’opportunità per la sinistra di rottura o rischia di portare al tanto temuto arrivo al potere dell’estrema destra? Tutto dipenderà dalla forza e dall’evoluzione di questo movimento popolare, e dalla sua unione con le forze sindacali e progressiste. L’OSTINAZIONE NEOLIBERISTA DELLA MACRONIA Lo scorso 15 luglio, sperando senza dubbio di approfittare dell’apatia politica estiva, Bayrou ha presentato, in una conferenza stampa dai toni apocalittici, il suo progetto di bilancio per i prossimi anni. Secondo lui, la Francia si troverebbe «in una situazione di estremo pericolo» a causa del suo indebitamento eccessivo (114% del Pil) e del livello del suo deficit (5,4% del Pil). Il primo ministro, membro della coalizione presidenziale, raccomandava quindi 43,8 miliardi di euro di risparmi a partire dal 2026. Risparmi che dovrebbero essere realizzati, ovviamente, a spese dei ceti sociali più fragili:  un’ennesima riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione, la mancata sostituzione di un funzionario pubblico su tre, il congelamento delle pensioni, delle prestazioni sociali e dei finanziamenti degli enti locali, la soppressione del rimborso di alcuni farmaci, nuove privatizzazioni, ecc. E, come se non bastasse, la soppressione di due giorni festivi senza compenso salariale, il che equivarrebbe a far lavorare ogni lavoratore e lavoratrice un trimestre in più, gratuitamente, nel corso della sua vita. Senza contare che il bilancio dell’esercito deve ancora essere aumentato (per arrivare a 64 miliardi nel 2030 contro i 32 miliardi del 2017), mentre il bilancio della transizione ecologica, degli ospedali e dell’istruzione ristagna ben al di sotto del fabbisogno. Bayrou si ostina quindi a perseguire la politica dei suoi predecessori dall’era Macron: quella «politica dell’offerta» che consiste nel derubare i poveri per arricchire i ricchi. Non si parla quindi di ripristinare l’imposta sul patrimonio (4,5 miliardi di euro persi all’anno), di abolire la flat tax sui redditi da capitale (9 miliardi all’anno) o di mettere in discussione gli aiuti pubblici alle imprese concessi senza contropartita sociale o ecologica (211 miliardi all’anno). Eppure sono proprio le politiche di riduzione delle imposte sulle imprese e sulle famiglie più ricche che hanno aumentato il deficit pubblico e portato all’attuale situazione di indebitamento. Da quando è salito al potere nel 2017, Macron ha creato 1.000 miliardi di debiti. Nel frattempo, la ricchezza delle 500 persone più ricche di Francia è raddoppiata. Il primo ministro, che ha sostenuto tutti i governi che si sono succeduti nell’era Macron, è quindi uno dei responsabili di questo aumento del debito pubblico, che ora vuole far pagare ai meno fortunati. Non sorprende, quindi, che il Piano Bayrou abbia acceso la miccia.  Il rifiuto di Macron di rispettare il risultato delle urne dopo le elezioni legislative del luglio 2024, vinte dalla coalizione di sinistra del Nouveau Front Populaire (Nfp), e la sua ostinazione nel nominare primi ministri provenienti dalla destra e dal centro-destra, avevano già provocato una crisi politica e istituzionale senza precedenti. La crisi economica e sociale che si profila all’orizzonte rischia di essere esplosiva. Inoltre, quest’estate, una petizione contro la legge Duplomb sull’agricoltura, che prevedeva in particolare l’autorizzazione dell’acetamiprid (un pesticida tossico), ha raccolto oltre due milioni di firme, un record per questo tipo di strumento democratico, indicando già un clima sociale teso. «BLOCCHIAMO TUTTO»: COME IL PIANO BAYROU HA ACCESO LA MICCIA Durante tutta l’estate, i media mainstream non hanno mancato di descrivere la mobilitazione popolare prevista per il 10 settembre come un movimento a volte «nebuloso» e «confuso», a volte «complottista», «di estrema destra», o addirittura «guidato dalla Russia». Bisogna dire che lo slogan «Blocchiamo tutto» appare come un appello proteiforme ripreso da tutte le parti sui social network. Gli iniziatori dell’appello sono enigmatici: sarebbe stato lanciato inizialmente da Les essentiels (Gli essenziali), un collettivo apparso a metà maggio sui social network, in particolare su Tiktok. Inizialmente marginale, il loro pubblico è esploso a luglio, all’indomani degli annunci di Bayrou. Sul loro sito, Les essentiels rivendicano di non avere portavoci e descrivono in dettaglio le loro proposte in un piano denominato «France souveraine» (Francia sovrana): uscire dall’Unione europea, alleggerire gli «oneri» a carico dei padroni, creare un prestito nazionale per riacquistare il debito pubblico e rilocalizzare l’occupazione tassando le importazioni. Denunciano i media, accusati di essersi allineati agli interessi dei potenti, e assicurano che la Francia sarebbe nelle mani di reti segrete (in particolare la massoneria), il che conferisce loro effettivamente toni complottisti. Oltre a proporre il divieto di «affiliazioni occulte» per chiunque abbia potere di influenza e di decisione, chiedono lo scioglimento dei partiti politici, colpevoli secondo loro di bloccare la democrazia. Ma il 10 settembre è poi diventato il punto di convergenza di tutte le proteste; l’effetto valanga dei social network ha diluito i discorsi fascisti e complottisti e le rivendicazioni sociali hanno preso il sopravvento su tutto il resto. Sul sito «Indignons-nous, bloquons tout» (Indigniamoci, blocchiamo tutto), che raccoglie la maggior parte delle iniziative, si parla solo di opporsi al piano Bayrou e di censurare il governo. Quello che sta emergendo è un movimento senza un unico vessillo, che si sta costruendo al di fuori delle organizzazioni tradizionali e che cresce di settimana in settimana, attraverso assemblee generali locali, gruppi locali «indigniamoci» su Telegram, condivisioni sui social network, gruppi di lavoro e volantini artigianali. Ogni gruppo locale è teatro di accesi dibattiti tra ex gilet gialli, elettori di Marine Le Pen, sindacalisti, insubordinati o semplici cittadini senza etichetta partitica. Studenti, lavoratori di diversi settori, disoccupati e pensionati discutono di una fiscalità più equa e dei mezzi per bloccare tutto (rifiutarsi di consumare, svuotare i conti bancari, bloccare gli assi di trasporto o i centri logistici, fare lo sciopero generale, effettuare operazioni di pedaggio gratuito sulle autostrade, manifestare, occupare piazze o rotatorie, ecc.). Se la genesi del movimento – nato sui social network in relazione alle questioni di giustizia fiscale, apartitico – può far pensare a quella dei gilet gialli, c’è una differenza sostanziale: questa volta, la maggior parte delle organizzazioni di sinistra ha deciso fin dall’inizio di unirsi alle sue fila. Per quanto riguarda i partiti politici, La France Insoumise (Lfi) in primo luogo, il Nouveau Parti Anticapitaliste, Révolution Permanente, gli Ecologisti, il Partito comunista e persino il Partito socialista (Ps) hanno annunciato che sosterranno o si metteranno al servizio del movimento, pur insistendo sull’importanza di rispettare la sua indipendenza e autonomia. Una parte dei sindacati, spinta dalla propria base, ha poi deciso di unirsi al movimento: la Cgt ha indetto uno sciopero per il 10 settembre, mettendo in guardia dai tentativi di infiltrazione dell’estrema destra, così come Solidaires e diversi sindacati locali. La Cfdt e la Fo, più a destra, mantengono una maggiore distanza per il 10, ma l’intersindacale ha indetto una mobilitazione per il 18 settembre. Anche numerosi sindacati e organizzazioni giovanili hanno invitato a mobilitarsi il 10 settembre, così come associazioni della società civile – come Attac –, organizzazioni femministe – come il movimento #NousToutes – e collettivi che lottano per il clima e l’ecologia – come i Soulèvements de la Terre. Il Rassemblement National (Rn), dal canto suo, ha deciso di non associarsi alla mobilitazione e ha dichiarato che «non ha la vocazione di essere l’organizzatore di manifestazioni». Ciò non significa, ovviamente, che non ci saranno militanti o elettori di estrema destra nel movimento, come del resto è avvenuto all’inizio dei Gilet Gialli. Mentre i macronisti e la destra, ovviamente, resteranno alla larga dal movimento. BYE-BYE-BAYROU, BYE-BYE-MACRON? Di fronte alla prospettiva di questa mobilitazione esplosiva, e sapendo che rischiava fortemente di essere censurato dal parlamento durante la discussione del suo progetto di bilancio a settembre, Bayrou ha quindi deciso di mettere alla prova la fiducia del governo. Tutti i partiti di sinistra (compreso il Ps), così come il Rn (dopo aver rifiutato otto volte di censurare il governo in due anni), hanno annunciato fin da subito che non avrebbero votato la fiducia. Dopo la caduta di Bayrou l’8 settembre sono possibili diversi scenari. Il primo è che Macron tenti di formare un nuovo governo. Avendo rifiutato per più di un anno di nominare un ministro proveniente dal Nfp, nonostante fosse uscito vincitore dalle urne, è improbabile che ora si decida a farlo. Potrebbe decidere di nominare, per la terza volta dalle elezioni legislative del luglio 2024, un primo ministro proveniente dalla sua «base comune» presidenziale per portare avanti il suo programma macronista, ad esempio l’attuale ministro dell’Interno Bruno Retailleu (Les Républicains) o il suo predecessore Gérald Darmanin (Renaissance). Ma, poiché le stesse cause producono gli stessi effetti, un nuovo governo di questo tipo avrebbe di nuovo grandi difficoltà a far approvare un bilancio e governare, e la crisi di regime sarebbe solo prolungata. Un’altra possibile variante di questo primo scenario: tentare di formare una coalizione di governo che vada dalla destra dei Républicains al Ps, cedendo ad esempio sui due giorni festivi o sul mancato rinnovo dei funzionari pubblici. L’apparente suicidio politico di François Bayrou può infatti nascondere una tattica politica: quella di provocare una crisi sui mercati finanziari per esercitare pressione sul Ps, invitandolo ad agire con «responsabilità». Questo scenario sembra molto probabile, anche se l’attuale clima di agitazione sociale e le elezioni comunali in programma nel maggio 2026 potrebbero dissuadere il Ps – per una volta – dal tradire la sinistra e il programma su cui è stato eletto. In teoria, Macron potrebbe anche nominare un primo ministro proveniente dal Rn (che era il primo partito politico alle ultime elezioni), ma quest’ultimo esige lo scioglimento dell’Assemblea. Questo è il secondo scenario possibile: un nuovo scioglimento e un ritorno alle elezioni anticipate, per la seconda volta dall’inizio, nel 2022, del secondo mandato di Macron. Oltre al Rn, anche Lfi chiede lo scioglimento. Macron ha annunciato più volte nelle ultime settimane che non scioglierà l’Assemblea se il governo sarà rovesciato, ma non è sua abitudine mantenere la parola data. Anche perché una nuova elezione potrebbe assorbire le forze militanti del paese e esaurire il movimento popolare. Il terzo scenario sarebbe le dimissioni del Presidente della Repubblica. Dato che è, in definitiva, il primo responsabile della crisi di regime che sta attraversando la Francia, sarebbe l’esito più dignitoso dal punto di vista democratico. Inoltre, secondo alcuni sondaggi 67% dei francesi sarebbe favorevole alla sua dimissione. Ma Macron sembra troppo attaccato al suo trono per arrivare a questo punto. D’altra parte, Lfi ha già annunciato che presenterà, per la seconda volta, una mozione di destituzione, ma questa procedura funziona secondo regole molto rigide e ha poche possibilità di successo: non è mai successo nell’ambito della V Repubblica. Mentre il primo scenario, quello della nomina di un nuovo governo, nelle sue diverse varianti, ci costringerebbe a ripartire per un altro giro sulla giostra macronista, lo scioglimento o la destituzione implicherebbero un ritorno alle urne. In questo caso, sarà essenziale un’unione della sinistra su una linea di rottura con l’attuale sistema di produzione e consumo. L’ultima elezione di Donald Trump negli Stati uniti e la cocente sconfitta di Kamala Harris lo hanno dimostrato ancora una volta: quando la sinistra non assume la propria identità economica e sociale, e quando continua ad armare un regime genocida in Israele, è l’estrema destra a prevalere. Ma la sinistra è attualmente divisa e alcuni – in particolare nel Ps – sperano di poter costruire una nuova coalizione elettorale senza Lfi, il che garantirebbe una sconfitta elettorale per la sinistra. Ovviamente, l’esito della crisi politica e le conseguenze dell’8 settembre dipenderanno dalla forza del movimento sociale che si lancerà il 10 settembre. Le due cose sono collegate. La questione è sapere se le dimissioni di Bayrou disinnescheranno la contestazione popolare o se, al contrario, fungeranno da catalizzatore. Se il popolo scenderà in piazza, se i sindacati si uniranno al movimento e se si presenterà una sinistra unita, di rottura, in collegamento con una forte mobilitazione popolare, sarà possibile sconfiggere sia la macronie che l’estrema destra. Ma nulla è sicuro in questa fase, anche se le prime assemblee «Bloquons tout» sono strapiene e se questo inizio di anno scolastico ha decisamente l’aria di una fine di regno. *Aurélie Dianara è una ricercatrice in storia Europea presso l’Università di Bochum, membro della redazione della rivista francese Contretemps, e attivista femminista e queer. L'articolo Se cade Bayrou, cade anche Macron? proviene da Jacobin Italia.
Il banco sta per saltare
Articolo di Costantino Romeo In lingua francese l’aggettivo bancale – la cui forma al maschile è bancal – si riferisce a qualcosa che traballa, tradendo allo stesso tempo la sua originaria funzione di stabilità come quella di un banco che dovrebbe reggersi sulle proprie gambe. Questo prestito linguistico – per mantenere il linguaggio del debito – descrive in modo appropriato l’attuale clima sociale, economico e politico in Francia. Comincia infatti a sgretolarsi quel gioco di pesi e contrappesi che aveva finora sostenuto l’assetto quasi-monarchico della Quinta Repubblica. Il tema del debito pubblico francese – il terzo più elevato, dopo la Grecia e l’Italia – ha appunto svelato fragilità ben più profonde che attraversano la società francese più in generale. Fragilità che sono più urgenti del debito stesso. Nonostante lo stato tutt’altro che roseo dell’erario, sono più gli atteggiamenti empatici delle classi dirigenti nei confronti degli umori dei mercati che i rischi concreti di insolvenza a legittimare misure draconiane da parte dell’attuale governo di minoranza. Le temute agenzie di rating internazionali non sono unanimemente pessimiste – le loro prospettive risentono anche di ragionamenti istituzionali sulla stabilità politica – ma per ora sembrano confidare nella generale tenuta della capacità debitoria dello Stato francese. Oltre alle responsabilità specifiche dei presidenti e dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, il debito rappresenta il compimento di una crisi di affidabilità generale: un ordine politico che ha sistematicamente disatteso le proprie promesse di stabilità istituzionale e sociale. Cominciamo appunto dalla conclusione.  Atto III: il debito pubblico. Quella del 2025 è l’ennesima estate più torrida di sempre, ma l’aria diventa davvero irrespirabile quando l’opinione pubblica si accorge che lo Stato ha le tasche bucate. A metà luglio, il primo ministro François Bayrou convoca una conferenza stampa per annunciare le linee guida per la loi de finances 2026 – l’equivalente della legge finanziaria – con l’obiettivo di risparmiare 44 miliardi di euro. Come hanno già sperimentato presso altre latitudini, gli austeri dettami del Patto di stabilità e crescita impongono alla Francia di rientrare nei parametri del 3% di deficit. I guardiani dell’austerità hanno già tracciato nel 2029 la scadenza degli impegni assunti al livello europeo. Dovrebbero riformulare un vecchio adagio per l’occasione: quando la Commissione europea bussa alla porta, si inizia a temere il peggio in casa propria. Il modo in cui si rientra dal debito non è mai tecnicamente neutro: è un piano ideologico che si serve della politica per renderlo esecutivo. Le misure proposte da Bayrou – e che, come sarà spiegato a breve, dovrebbero  essere sottoposte al dibattimento parlamentare prima di essere approvate – si ispirano infatti a una logica dogmatica nei confronti dell’economia di mercato a scapito delle classi medie e popolari. Oltre alla carta jolly del recupero dall’evasione fiscale, si pensa di ricavare una ventina di miliardi dai tagli lineari alla spesa pubblica, la ricetta prosegue con la sospensione degli aumenti delle prestazioni sociali (ad esempio, le pensioni non saranno rivalutate in base all’inflazione) chiedendo al contempo sforzi ulteriori alle forze produttive: la soppressione di due giorni festivi – il Lunedì di Pasqua e la Giornata della Vittoria sul nazifascismo — ha suscitato le reazioni più forti. Lavorare di più, pretendere di meno.  Le misure proposte da Bayrou hanno ravvivato così tanto clamore da indurre lo stesso Primo ministro a chiedere un voto di fiducia all’Assemblée Nationale. Uno scenario inedito rispetto alle modalità sbrigative frequentemente impiegate dai governi di nomina macronista che, per sopperire alla maggioranza parlamentare, hanno ricorso sistematicamente – ben ventisette volte – all’articolo 49.3 della Costituzione che consente ai governi di  approvare provvedimenti di natura finanziaria e sociale senza neanche chiedere un formale passaggio parlamentare. Le mozioni di sfiducia, strumento pensato per controbilanciare un’evidente anomalia democratica, hanno quasi sempre risparmiato i governi di minoranza che si sono succeduti dal 2022, l’anno della rielezione di Macron. In alcune occasioni, un’opaca convergenza tra socialdemocrazia (Partito Socialista) ed estrema destra  (Rassemblement National) ha prestato soccorso ai governi in carica. A dicembre 2024, il decisionismo della macronie si ritorce contro: per la prima volta dal 1962 una mozione di censura – presentata da La France Insoumise – ottiene le dimissioni del governo Barnier, insediatosi appena quattro mesi prima. Anche allora si votava sulla legge di bilancio. Governo bocciato. Entra in scena l’esecutivo Bayrou. Quest’8 settembre, anch’esso uscirà di scena ripetendo lo stesso copione.  Atto II. Il debito è politico. Il duplice mandato di Emmanuel Macron si fonda sulla promessa di garantire maggiore stabilità istituzionale, in contrapposizione a quei meccanismi arrugginiti che avrebbero appesantito la macchina pubblica. Nel suo percorso verso l’Eliseo, Macron ha avuto la fortuna di duellare al ballottaggio contro Marine Le Pen per ben due volte. Nonostante l’analoga autorappresentazione di Le Pen come estranea agli apparati tradizionali, lo scenario travolgente della cosiddetta marea nera ha finora suscitato una generica convergenza antifascista e repubblicana finendo per avvantaggiare l’area macronista, considerata la maggior reticenza dell’elettorato centrista e conservatore verso i candidati progressisti.  Il bilancio – che si appresta a diventare eredità – del doppio mandato di Macron è profondamente rovesciato rispetto alle attese di rinnovamento: da un lato, gli intrighi della «vecchia» politica sembrano moltiplicarsi, dall’altro sta realizzando il peggior incubo di ogni neoliberale polarizzando il paese attorno ai «pericolosi estremismi». Ne abbiamo avuto conferma durante le elezioni legislative convocate appena due anni dopo il precedente rinnovo dall’Assemblée Nationale. Come reazione al risultato mostruoso dell’estrema destra lepenista, Emmanuel Macron scioglie immediatamente l’Assemblée Nationale indicendo una campagna elettorale brevissima di appena tre settimane. Il Presidente della Repubblica era convinto di cogliere in controtempo i suoi avversari, ma i calcoli dell’Eliseo saranno smentiti in venti giorni. La fazione conservatrice si frantuma e sposta il baricentro ancora più a destra, mentre la sinistra si ricompatta sotto le insegne del Nouveau Front Populaire attorno a un programma definito «di rottura» , come conseguenza dell’egemonia marcatamente anti-neoliberista de La France Insoumise. I risultati dello spoglio premiano quest’ultima opzione. Smentendo letteralmente ogni sondaggio, l’enorme mobilitazione popolare – con affluenza al 67%, ma la più elevata dal 1997 – consegna al Nouveau Front Populaire la maggioranza relativa dei seggi. Il capolavoro è servito: la sinistra occupa più scranni della coalizione presidenziale, confinando nuovamente l’estrema destra lontana da qualsiasi velleità di potere. Dopo l’insediamento della nuova legislatura, si scoprono le carte. Macron sceglie di ignorare persino l’aritmetica, perseverando nell’affidare alla sua area politica non uno, ma ben due governi: prima a Michel Barnier e poi a François Bayrou. Quella del Nouveau Front Populaire è stata una vittoria elettorale che restituisce l’immagine di un paese che complessivamente ha scelto di respingere tanto la continuità delle ricette neoliberiste quanto le opzioni di rottura incarnate dalle tentazioni nazionaliste.  Atto I. Il debito è sociale. Come detto, non è il debito in sé a destare inquietudine, quanto piuttosto l’ossessione con la quale lo si affronta. Giungono già gli echi di austere terapie d’urto, che non fanno che riprodurre la morbosa interdipendenza tra la politica e gli strati sociali più privilegiati.  Premessa: i due mandati di Macron sono stati segnati da due shock significativi – la pandemia prima, la crisi energetica poi – che hanno inciso, sì, ma al massimo per metà sull’esplosione del debito.  Sebbene il superamento delle crisi siano dei banchi di prova per misurare le istituzioni politiche, c’è un’altra metà del problema che riflette i rapporti strutturali tra i governi e alcuni pezzi della società.  Le scelte politiche orientate alla riduzione della pressione fiscale o alla soppressione dell’imposta sulla fortuna non hanno restituito i risultati sperati, persino secondo uno degli economisti più ascoltati da Macron. Il 24% del debito accumulato dal 2017 sembra appunto riconducibile ai cosiddetti «regali fiscali» a favore delle grandi aziende e dei contribuenti più agiati. Persino autorevoli istituzioni come la Corte dei conti e l’Insee (l’Istituto nazionale di statistica) hanno certificato come l’acritica osservanza delle teorie dello «sgocciolamento» abbia finito per dissanguare le casse pubbliche.  Traditi dalla cieca fiducia nell’economia di mercato, ci si è accorti che la ricchezza prodotta dalle imprese ha avuto ricadute collettive fortemente limitate, per usare un eufemismo. Al di là delle registrazioni contabili, il livello di povertà – che ha ormai superato il 15%, un record degli ultimi trent’anni – fotografa con nitidezza il momento critico che i contribuenti più fragili stanno attraversando, mentre le classi agiate continuano a trarne vantaggio.  Nonostante le evidenti diseguaglianze sociali, l’ostinazione neoliberista continua a regnare. Bayrou perorerà la sua causa persa di fronte al Parlamento, invocando la sottrazione della spesa sociale – cioè dei servizi pubblici – come l’unica operazione aritmetica possibile, respingendo persino l’imposta sui grandi patrimoni – la cosiddetta «tassa Zucman» – già approvata dalla stessa assise e in seguito bocciata al Senato.  Dopo aver requisito ex abrupto due anni di vita con l’innalzamento dell’età pensionabile, la richiesta di ulteriori sacrifici risuona come un nuovo pegno gravato sul popolo francese. Nel frattempo, si moltiplicano gli appelli alla mobilitazione, con l’obiettivo dichiarato di bloccare il paese: nel corso dell’estate si sono costituite delle assemblee popolari che hanno fissato un appuntamento per il 10 settembre, mentre per il 18 alcuni sindacati hanno convocato lo sciopero generale. Conti da quadrare nelle aule parlamentari, conti da regolare nelle piazze. Il banco sta per saltare.  *Costantino Romeo, dottorando in management, si occcupa delle relazioni tra organizzazioni e tecnologia presso l’Institut Polytechnique de Paris. L'articolo Il banco sta per saltare proviene da Jacobin Italia.
Francia, la legge di bilancio accende la miccia: il 10 settembre “Bloquons tout”
Un breve resoconto cronologico degli eventi: il 15 luglio il governo del repubblicano Bayrou ha proposto una legge di bilancio sui binari dell’austerità, con tagli sociali che si aggirano intorno ai 44 miliardi di euro: due giorni festivi cancellati, tagli massicci alla sanità, congelamento delle pensioni e la soppressione di […] L'articolo Francia, la legge di bilancio accende la miccia: il 10 settembre “Bloquons tout” su Contropiano.
Macron alla guerra, anche contro i lavoratori
E’ vero, ci capita di ricorrere spesso alla frase: “dio confonde coloro che vuol perdere”. Ma ci siamo obbligati da quel che quasi ogni giorno vediamo fare  ai principali “leader” europei. E dire che per fortuna siamo atei… La Francia, due giorni fa, ha ospitato il vertice dei “volenterosi” ed […] L'articolo Macron alla guerra, anche contro i lavoratori su Contropiano.