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Office365 ci faceva schifo, ma adesso ci piace tanto. La papercompliance della Commissione Europea
Long story short: l'8 marzo 2024 la Commissione Europea, con il supporto dell'EDPB, il Garante Europeo, ha riscontrato una serie di criticità e violazioni, 180 pagine per descrivere minuziosamente le ragioni per le quali office356 fa talmente schifo da non poter essere utilizzato dagli enti, istituzioni e organi dell'Unione Europea. Dopo varie interlocuzioni e modifiche, l'11 luglio l'EDPB ha chiuso l'indagine confermando la risoluzione delle problematiche precedentemente riscontrate. Oggi, 28 luglio, la Commissione Europea ha emanato un comunicato dichiarando la conformità di Microsoft 365 alla normativa in materia di protezione dei dati applicabile (che non è il GDPR ma quasi... qui si applica il regolamento UE 2018/1725) L'EDPS (che non è l'EDPB ma quasi) ha eslamato giubilante: "Grazie alla nostra indagine approfondita e al seguito dato dalla Commissione, abbiamo contribuito congiuntamente a un significativo miglioramento della conformità alla protezione dei dati nell'uso di Microsoft 365 da parte della Commissione. La Corte riconosce e apprezza inoltre gli sforzi compiuti da Microsoft per allinearsi ai requisiti della Commissione derivanti dalla decisione del GEPD del marzo 2024. Si tratta di un successo significativo e condiviso e di un segnale forte di ciò che può essere conseguito attraverso una cooperazione costruttiva e una vigilanza efficace." Cosa è successo? Cosa potrà mai essere accaduto, nel frattempo, per consentire a Microsoft Office365 di entrare trionfante nel valhalla, accompagnato dalla immortale musica di Wagner? Perché non mi sento affatto tranquillo? Beh, forse io non faccio testo... Leggi l'articolo di Christian Bernieri
Microsoft Francia ammette di non poter proteggere i dati del governo francese dalle richieste statunitensi
Il direttore degli affari pubblici e giuridici di Microsoft Francia ha dichiarato, di fronte a una commissione del Senato francese, che l'azienda non può garantire che i dati dei cittadini francesi custoditi sui server in Europa non verranno trasmessi al governo statunitense. Si tratta di una dichiarazione estremamente importante, in particolare nell'ambito del dibattito attuale legato alla sovranità digitale europea. Era il 10 giugno scorso quando Anton Carniaux, direttore degli affari pubblici e giuridici per Microsoft Francia, ha testimoniato di fronte al Senato francese per parlare degli ordini che l'azienda riceve tramite l'Union des groupements d'achats publics (UGAP), ovvero un ente che si occupa di centralizzare l'acquisto di beni e servizi per scuole e comuni. Carniaux ha affermato, durante la sua testimonianza, che Microsoft non può garantire che i dati dei cittadini francesi non vengano trasferiti verso gli USA a seguito di una richiesta del governo statunitense, ma altresì che una tale richiesta di trasferimento non è mai avvenuta. Il CLOUD Act, diventato legge nel 2018, fa infatti sì che il governo statunitense possa richiedere accesso ai dati contenuti nei data center delle aziende americane, anche quando tali dati sono fisicamente localizzati in altri Paesi. Leggi l'articolo
L’Europa abbandona Big Tech?
Per conformarsi a un ordine esecutivo del presidente americano Donald Trump, nei mesi scorsi Microsoft ha sospeso l’account email di Karim Khan, procuratore della Corte penale internazionale che stava investigando su Israele per crimini di guerra. Per anni, scrive il New York Times, Microsoft ha fornito servizi email al tribunale con sede a L’Aja, riconosciuto da 125 paesi tra cui l’Italia (ma non da Stati Uniti, Israele, Cina, Russia e altri). All’improvviso, il colosso di Redmond ha staccato la spina al magistrato per via dell’ordine esecutivo firmato da Trump che impedisce alle aziende americane di fornirgli servizi: secondo il successore di Biden, le azioni della Corte contro Netanyahu “costituiscono una inusuale e straordinaria minaccia alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti”. Così, di punto in bianco, il procuratore non ha più potuto comunicare con i colleghi. [...] Le conseguenze non si sono fatte attendere. Tre dipendenti con contezza della situazione hanno rivelato al quotidiano newyorchese che alcuni membri dello staff della Corte si sarebbero rivolti all’azienda svizzera Protonmail per poter continuare a lavorare in sicurezza. Il giornale non chiarisce il perché della decisione, né se tra essi vi sia lo stesso Khan. Una conferma al riguardo arriva dall’agenzia Associated Press. Protonmail, contattata da Guerre di Rete, non ha commentato, spiegando di non rivelare informazioni personali sui clienti per questioni di privacy e di sicurezza. Leggi l'articolo
Strane analogie, LLM sta al linguaggio umano come i numeri razionali stanno ai numeri reali
Riporto un testo di Alberto Messina apparso su Linkedin. E' da tempo che rimescolo nella testa un’analogia un po’ strana, ma che continua a sembrarmi feconda - oggi voglio condividerla per divertirmi con voi in qualche discussione: Il testo generato da un LLM sta al linguaggio umano come i numeri razionali stanno ai numeri reali. A prima vista può sembrare poetica o azzardata, a seconda vista una supercazzola, ma esprime un punto per me importante. I numeri razionali sono densi: tra due numeri reali qualsiasi, ce n’è sempre uno razionale. Computabili, regolari, enumerabili, possiamo generarli con regole fisse. I numeri reali, invece, includono gli irrazionali: incomprimibili, non numerabili, e molti di essi non possono essere calcolati da alcun algoritmo in maniera compiuta in un tempo finito. Ora pensiamo ai LLM. Essi generano testo prevedendo statisticamente il prossimo token, sulla base di grandi quantità di dati. Il risultato è fluente e denso nello spazio delle frasi plausibili. Ma, come i razionali, questa fluidità è vincolata: nasce da operazioni computabili, all’interno di un set finito di token. Non possono autonomamente inventare nuovi token, né deviare radicalmente dal sistema che li genera. Il linguaggio umano, invece, è un continuo creativo e aperto. Esso è situato in corpi, culture, storie, è affettivo, ambiguo, non deterministico. E' espandibile: possiamo coniare parole, sovvertire grammatiche, rompere aspettative. E' onomatopeico e sonoro: possiamo dire “zot!”, “sgnac”, “brummm”, “fiuuu”, senza regole o significati condivisi, ma certi che qualcuno capirà. Infine, è spesso non computabile non perché sia casuale, ma perché è immerso in una realtà vissuta e storicamente aperta. Una differenza profonda emerge anche dall'analogia con un principio dell’analisi matematica: l’assioma degli intervalli incapsulati: in ℝ una sequenza di intervalli "sempre più stretti" converge a un punto esatto (si perdoni la sintesi). Nel linguaggio umano, possiamo raffinare indefinitamente ciò che vogliamo dire, e arriviamo proprio al significato, a quel concetto vissuto e condiviso con gli altri. In un LLM, al contrario, anche con prompt sempre più precisi, si resta sempre intorno, in una serie di approssimazioni che non contengono mai davvero il punto. A me capita spesso di interagire son un chatbot per qualche minuto e poi di uscire dall'interazione per completare, per dare la pennellata essenziale al concetto. Come le approssimazioni razionali di π, il testo di un LLM può avvicinarsi molto a quello umano. Ma c’è sempre un residuo, qualcosa che manca: la trama stessa del significato, dell’intenzione, della possibilità inventiva, del puro gioco fonico. Questo non è un rifiuto dei LLM le loro capacità sono straordinarie. E' un promemoria: la fluidità sintattica non equivale alla profondità semantica. E l’approssimazione statistica non è comunicazione vissuta. Non scambiamo uno spazio denso per un continuum reale. Restiamo curiosi su ciò che questi modelli possono fare ma anche lucidi su ciò che non possono. Il testo originale è su Linkedin
Accessibilità. INCLUSIVE DESIGN – obblighi normativi ed opportunità espressive.
Il 28 giugno 2025 è entrata in vigore la direttiva UE sull'accessibilità. Chi non sarà conforme agli obblighi normativi sarà sanzionato. INCLUSIVE DESIGN – obblighi normativi ed opportunità espressive, è un libro di Enrico Bisenzi per imparare quante sono le persone con disabilità in Italia e come comunicarci efficacemente attraverso gli strumenti della comunicazione digitale a partire dalle norme contenute nella direttiva UE sull’accessibilità. Inclusive Design è una riflessione scritta a più mani su come interpretare gli obblighi normativi imminenti con un occhio di riguardo alle opportunità espressive ed artistiche che possiamo inventarci per essere accessibili ed inclusivi. Autori e autrici del libro (Enrico Bisenzi) e delle appendici (Veronica Bonatesta, Alessandro Carducci, Ivan Legnaioli, Chiara Protani) sono ben felici di poterlo presentare, in presenza o a distanza. Nell’occasione confrontarsi, anche tecnicamente, sulle opportunità creative offerte dai linguaggi di editing del web, lingue dei segni, tecniche di narrazione audio-video ma anche testuali, validatori e strumenti di check, per produrre o trasformare siti web, app, videogame, libri ed ebook, meta-versi, animazioni e audio-video in ‘senso accessibile’. A favore delle persone cieche ed ipovedenti, daltoniche, epilettiche, neuro-divergenti, sorde e da quant’altra umanità possa beneficiare di un approccio di tipo design for all. Il formato epub è adatto per un’esperienza utente ottimizzata su e-reader e dispositivi mobili così come il formato PDF sfogliabile online è predisposto per stampa su carta con caratteristiche di alta leggibilità. Leggi la recensione e scarica il libro
Laboratorio di Pedagogia Hackker con CIRCE al Tamala Fest a Livorno
Sabato 19 luglio dalle 17.00 laboratorio: "Pedagogia Hacker: social media e social network... comunitari?" nell'ambito del Tamala Fest presso l'Ex Caserma Occupata di Livorno. Dal 17 al 19 luglio Tamala Fest sbarca a Livorno per la sua seconda installazione e CIRCE contribuisce con un laboratorio di Pedagogia Hacker. Pedagogia Hacker: social media e social network... comunitari? Molti videogiochi catturano la nostra attenzione al punto da creare forme di abitudine e assuefazione costruite magistralmente sulle vulnerabilità comuni a tutti gli umani. In maniera analoga siamo chiamati a partecipare e a contribuire instancabilmente alle “comunità” digitali, costruite seguendo tecniche di gamificazione. Su Instagram, TikTok, Facebook, ogni esperienza di interazione sociale si trasforma in una complicata gara, con un sacco di punti e classifiche, livelli e campioni. Conosciamo per esperienza diretta le regole di questi “giochi”: se ci comportiamo bene, otteniamo molti “like”, strike, notifiche, cioè caramelle sintetiche per i nostri cervelli (sotto forma di dopamina); se siamo scarsi rimaniamo a bocca asciutta. Di certo, “vincere” non è mai abbastanza: dobbiamo sempre lavorare di più, perché il “gioco” non finisce mai… Durante questo laboratorio analizzeremo le interfacce dei social media per osservare come ci fanno sentire, ragioneremo sulla differenza tra social media e social network. Metteremo le mani in pasta per scoprire strumenti FLOSS progettati per fare rete a partire dai desideri di comunità reali Tutte le informazioni sul sito di C.I.R.C.E.
Così gli USA controllano la sovranità digitale delle istituzioni internazionali e della UE
Il 6 febbraio 2025 il presidente USA Donald Trump ha imposto una serie di sanzioni alla Corte penale internazionale per le indagini su personale statunitense e su alcuni alleati, incluso Israele. Le sanzioni sono state applicate non con una legge, ma con un executive order — una sorta di “potere speciale” che il presidente USA può utilizzare in casi di estrema gravità senza dover passare prima dal Parlamento. In sintesi, dunque, a prescindere dalla possibilità di un controllo da parte delle corti USA e non di quelle dei Paesi UE, il dato di fatto —e di diritto— è che l’esecutivo può decidere di bloccare la funzionalità dei servizi erogati da Big Tech e ha il diritto, o meglio, il potere, di prendere i dati localizzati nell’Unione. Al netto delle sottigliezze del linguaggio diplomatico, infatti, in nessuno di questi accordi è previsto che la UE possa avere voce in capitolo nelle scelte di homeland security e di politica internazionale degli USA. Dunque, non si capisce quale sia l’utilità di avere incluso nel regolamento sulla protezione dei dati personali delle norme da applicare direttamente in altri Paesi quando questi, come da ultimo dimostra il caso DeepSeek, possono tranquillamente ignorarle in nome del principio dell’autonomia delle giurisdizioni. I fatti e la storia hanno dimostrato come free software e open source rappresentano un modello alternativo ed efficace per la gestione della sovranità su dati, informazioni e programmi. Utilizzare questo approccio alla proprietà intellettuale consente di avere il controllo pieno sul modo in cui funzionano le infrastrutture e di alimentare la creazione di un mercato dei servizi alle istituzioni pubbliche e private che non dipende necessariamente da soggetti stranieri, e lascia le risorse investite nel territorio della UE. Articolo completo qui
Linux: crescita senza precedenti in Europa
Microsoft interromperà il supporto a Windows 10 dal 14 ottobre 2025, spingendo milioni di utenti europei a cercare alternative. Una di queste è Linux, che ha visto crescere la propria quota di mercato desktop dal 2,84% al 5,21% in poco più di un anno (+83%). Un’ascesa senza precedenti: +83% per Linux in Europa I dati condivisi da Statcounter fotografano un incremento dell’83,5% in poco più di un anno: un risultato storico per un sistema operativo che, per quanto riguarda le distribuzioni desktop, per anni è rimasto sotto il 3%, nonostante brevi impennate durante la pandemia. Questa crescita non è solo statistica, ma sintomatica di un cambiamento culturale e tecnologico. Per la prima volta, Linux non è solo un’alternativa per esperti o sviluppatori, ma una scelta concreta per milioni di utenti “mainstream”, spinti da esigenze pratiche e da una crescente diffidenza nei confronti dei modelli di business proprietari. Leggi l'articolo
Chi controlla le terre rare controlla il mondo
Quando a fine anni ’80 Deng Xiaoping affermò che “il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina le terre rare”, in pochi diedero il giusto peso alla dichiarazione dell’allora leader della Repubblica Popolare cinese. Come invece sempre più spesso accade, il Dragone asiatico dimostrò di avere la capacità di immaginare e mettere in atto strategie di lungo termine: le terre rare, infatti, rappresentano oggi uno dei maggiori motivi di frizione geopolitica nel mondo, a causa dell’elevata richiesta e del loro complesso approvvigionamento, di cui la Cina detiene il monopolio. Praticamente nessun settore industriale ad alta tecnologia può farne a meno, da quello militare – per missili guidati, droni, radar e sottomarini – a quello medico, in cui sono impiegate per risonanze magnetiche, laser chirurgici, protesi intelligenti e molto altro ancora. Non fa eccezione il settore tecnologico e in particolare quello legato allo sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Come spiega Marta Abbà, fisica e giornalista esperta di temi ambientali, le terre rare possiedono qualità magnetiche uniche e sono eccellenti nel condurre elettricità e resistere al calore, e anche per questo risultano essenziali per la fabbricazione di semiconduttori, che forniscono la potenza computazionale che alimenta l’AI, per le unità di elaborazione grafica (GPU), per i circuiti integrati specifici per applicazioni (ASIC) e per i dispositivi logici programmabili (FPGA, un particolare tipo di chip che può essere programmato dopo la produzione per svolgere funzioni diverse). Sono inoltre cruciali per la produzione di energia sostenibile: disprosio, neodimio, praseodimio e terbio, per esempio, sono essenziali per la produzione dei magneti utilizzati nelle turbine eoliche. Senza terre rare, quindi, si bloccherebbe non solo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma anche quella transizione energetica che, almeno in teoria, dovrebbe accompagnarne la diffusione rendendola più sostenibile. Insomma, tutte le grandi potenze vogliono le terre rare e tutte ne hanno bisogno, ma pochi le posseggono. Leggi l'approfondito articolo di Del Monte
Europa contro Piracy Shield: UE pretende modifiche per tutelare libertà e trasparenza
La piattaforma antipirateria varata da Agcom non è conforme alla direttiva europea DSA. La Commissione Europea ha recentemente inviato una comunicazione formale all'Italia, esprimendo preoccupazioni sulla piattaforma Piracy Shield, il sistema nazionale anti-pirateria gestito dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom). L'Unione Europea ritiene che la piattaforma, così come strutturata, non sia pienamente conforme al Digital Services Act (DSA), il regolamento europeo che disciplina i servizi digitali. Le critiche si concentrano su squilibri tra la lotta ai contenuti illegali e la tutela dei diritti fondamentali, come la libertà di espressione e informazione, oltre che sulla mancanza di meccanismi adeguati per prevenire blocchi errati e garantire trasparenza. Piracy Shield, operativo dal 31 gennaio 2024, è stato introdotto per contrastare la diffusione illegale di contenuti protetti da diritto d'autore, come partite di calcio, film e serie TV, attraverso il blocco rapido di indirizzi IP e domini segnalati da titolari dei diritti, come Sky e DAZN. La piattaforma consente ai "segnalatori" autorizzati di richiedere il blocco di contenuti entro 30 minuti: un processo quasi interamente automatizzato che non prevede controlli umani preliminari da parte dell'Autorità. Questo meccanismo, pensato per garantire rapidità, ha però generato numerosi problemi, tra cui il blocco di siti e servizi legali: è accaduto lo scorso ottobre, quando una Content Delivery Network (CDN) di Google è stata oscurata per sei ore, rendendo inaccessibili servizi come Google Drive e YouTube per molti utenti italiani. Leggi l'articolo
Adolescenti, dipendenza dalla rete e fuga da una realtà ostile e insensibile
Convenzionalmente, quando si parla di dipendenza da Internet (Internet Addiction Disorder), scrivono Maria Pontillo e Stefano Vicari nel volume La paura di essere disconnessi (il Mulino, 2025), ci si riferisce ad «una condizione caratterizzata da un uso compulsivo e problematico della rete, accompagnato da pensieri ossessivi sulla possibilità di connettersi, che compromettono significativamente la vita quotidiana di chi ne è affetto» (p. 12). Evidenze scientifiche hanno mostrato analogie tra la dipendenza da sostanze a quella da Internet, tanto che alcuni studi hanno recentemente scoperto che il cervello si attiva in maniera analoga in tutti questi tipi di dipendenza. Ad accomunare le diverse esperienze di dipendenza sono, ad esempio: la centralità che assume il comportamento da cui si è dipendenti sul resto della vita; le alterazioni umorali che si provano ad ogni inizio dell’esperienza; la necessità di incrementare la frequenza e la quantità dell’esperienza per ottenere i medesimi effetti; i sintomi d’astinenza in caso di interruzione prolungata; la conflittualità con gli altri e con sé stessi determinata dal comportamento disfunzionale; la tendenza alla ricorrenza del comportamento nel tempo. A differenza di altre tipologie di dipendenza da sostanze o da comportamenti, nel caso della dipendenza da Internet, sottolineano gli autori, non è possibile, né sarebbe sensato, mirare alla cancellazione totale del rapporto con l’oggetto di dipendenza. Essendo che con l’universo online si è tenuti ad avere a che fare nella quotidianità, scopo della terapia cognitivo-comportamentale non può che essere quello di aiutare l’adolescente a ridurre e gestire consapevolmente il tempo che vive in Internet senza farsi risucchiare da esso abbandonando il mondo fuori dallo schermo. Recensione completa qui
Il sociale scisso dal reale
Nel suo nuovo libro Superbloom. Le tecnologie di connessione ci separano?, passando in rassegna la storia dei principali mezzi di comunicazione, Nicholas Carr ne mette in luce la funzione politica, il loro agire sulla società e sugli individui incentrando la sua analisi su come, superato un certo livello, la comunicazione attuata attraverso di essi tenda ad alimentare conflittualità piuttosto che dispensare armonia. Agli occhi delle nuove generazioni cresciute comunicando con un linguaggio stringato, la posta elettronica appare non solo un sistema obsoleto ma persino ansiogeno perché presuppone un momentaneo distacco dal flusso comunicativo in cui gli individui si sentono immersi e da cui faticano a sottrarsi. La sintassi, la ricercatezza lessicale e gli stili specifici necessari alla corrispondenza scritta hanno lasciato il posto ad una comunicazione a flusso costante, non meditata né filtrata in quanto l’efficacia comunicativa sembra ormai misurarsi esclusivamente in termini di tempo. I contenuti hanno subito un collasso gravitazionale, scrive Carr, «ogni cosa si è appiattita sul comune denominatore dello smartphone, anche il discrimine tra comunicazione privata e comunicazione pubblica ha finito per cancellarsi. Lo stile compatto, informale, spesso anche crudo dei messaggini è diventato il paradigma di riferimento del discorso che circola sui social. […] Lo spirito dei messaggini ha permeato la sfera pubblica» (p. 131). Tra i dirigenti e gli architetti dei grandi social network che hanno manifestato pentimenti (tardivi e comunque non di rado a conto in banca sistemato) circa il loro operato, c’è chi ha ammesso esplicitamente che l’unico scopo delle piattaforme è quello «di consumare tutto il tempo e tutta l’attenzione consapevole che si potevano estrarre dall’utente» (p. 188). Recensione completa qui