Sardegna, le strane manovre contro gli usi civici

Popoff Quotidiano - Tuesday, December 2, 2025

Le insidie nascoste nella decisione di Pd e M5s di una “nuova mappatura” per 303mila ettari di Sardegna diffusi in 340 comuni

un editoriale di Lucia Chessa*

Credo che tanti sardi non sappiano cosa siano gli usi civici, cosa comportino e da dove abbiano origine. Eppure esistono e sono stati accertati su più di 303.000 ettari di Sardegna e in più di 340 comuni su 377 totali.

Riguardano per la maggior parte terre pubbliche, i comunali su cui per secoli, le comunità hanno vissuto e in parte continuano a farlo ma, a volte, gravano anche su terre intestate a privati.

Per la loro estensione, per il loro valore, per le opportunità diffuse che potrebbero offrire se tutelati e valorizzati più di quanto non sia avvenuto fino ad ora, non sono cose per addetti ai lavori o per ristretti gruppi di tecnici specialisti, al contrario direi che riguardino tutti.

Gli usi civici sono dei diritti esercitati da una comunità su terre precisamente identificate. Su queste, i residenti di una determinata comunità, oggi come da tempo immemorabile, hanno per esempio diritto a seminare, pascolare, raccogliere legname, raccogliere funghi, pescare. Ma niente vieta che, attraverso adeguati piani di valorizzazione possano essere utilizzati in maniera non tradizionale, più aderente alle esigenze attuali, nel rispetto di numerose norme, nazionali e regionali, che ne tutelano l’uso collettivo impedendo che su quei terreni si operino trasformazioni tali da pregiudicarne o diminuirne l’esercizio dei diritti spettanti ad ogni individuo di quella data comunità. Ad ogni individuo, non a pochi, né a uno solo.

Questi diritti delle comunità, che chiamiamo usi civici, risalgono a tempi lontanissimi, all’epoca medioevale o anche precedente, e la legge riconosce che siano inestinguibili. Cioè non finiscono, non si possono vendere né comprare e non sono usucapibili. Cioè se anche una terra gravata da uso civico fosse utilizzata in via esclusiva, per decenni o più, da un unico soggetto, questo non ne acquisirebbe comunque mai la proprietà.

Sono tutelatissimi dunque, per quanto in passato non lo siano stati adeguatamente aprendo la strada a pesanti privatizzazioni e ad interventi che, di fatto, ne hanno sottratto l’uso comunitario. Allo stesso tempo però, per le amministrazioni comunali che ne hanno avuto la volontà ed il coraggio, e tra queste la mia quando ero sindaco di Austis, sono stati strumento potentissimo di tutela dei beni comuni, anche presso i tribunali. Naturalmente fino ad oggi, la necessità di tutela da tentativi di indebita privatizzazione provenivano dall’interno.

Oggi però l’assalto più pericoloso viene dall’esterno ed è probabile che, come già avviene, aree molto vaste della Sardegna saranno sottoposte ad interventi massici per l’installazione di impianti eolici, fotovoltaici, impianti di accumulo, reti per trasportare energia nei punti di stoccaggio e poi di “imbarco”. E questo assalto, che sarà capillare più di quanto non lo sia ora, statisticamente ha ottime probabilità di incrociare terreni gravati da uso civico (ricordo: inestinguibili, inalienabili e non usucapibili) i quali, se solo lo si volesse, potrebbero rappresentare un ostacolo insormontabile anche agli speculatori che guardano alla Sardegna con smisurato appetito e con massima audace ed ostinata protervia.

Per ciò mi chiedo: perché, proprio adesso, con le difese ridotte al minimo, con un governo nazionale che spiana una strada già spianata agli speculatori delle energie rinnovabili? Perché proprio adesso arriva la recentissima decisione assunta in Regione Sardegna, su iniziativa di Pd e 5Stelle, ma unanimemente condivisa di “avviare un nuovo processo di mappatura dei terreni regionali gravati da uso civico sulla base di un’interlocuzione diretta con le comunità, affiancando alle risultanze meramente cartolari la valorizzazione della conoscenza consuetudinaria come elemento interpretativo essenziale per la ricostruzione giuridica e cartografica del demanio civico”.

Cosa è detto con questo linguaggio tecnico/burocratico? Provo a spiegarlo.

Proprio per la loro origine, lontanissima nel tempo, gli usi civici sono accertati mediante accurate ricerche storiche e d’archivio secondo modalità che non si improvvisano ma sono stabilite dalla legge. E proprio attraverso queste metodologie, in Sardegna, negli ultimi 15/20 anni, sono stati accertati i terreni gravati da uso civico tra l’altro con grandissimo dispendio di risorse economiche anche perché gli studi erano affidati tramite appalti a società specializzate. L’accertamento è pressoché concluso, ha dato i risultati richiamati e ha interessato la quasi totalità dei comuni sardi.

Ora, perché mai si dovrebbe avviare una nuova mappatura “attraverso un’interlocuzione diretta delle comunità”? A chi si vorrebbe chiedere? Al sindaco? Alla parrocchia? A chi utilizza in via esclusiva quei terreni? A chi vi ha edificato sopra? A chi vi ha costruito discariche? A chi ci ha installato impianti di energia rinnovabile? Si vorrebbe chiede agli anziani del paese se per caso ricordano che, qualche secolo fa, quella terra era comunitariamente utilizzata?

Le norme per risolvere situazioni consolidate, purché legittime, nelle quali il territorio è stato irrimediabilmente modificato in modo da impedire per sempre il diritto all’uso civico della comunità, esistono già e prevedono un buon bilanciamento degli interessi sia di coloro che, anche inconsapevolmente, hanno modificato ed occupato in maniera esclusiva terreni gravati da uso civico, sia della comunità alla quale occorre restituire una contropartita, un risarcimento, un bene di uguale valore.

Mi dispiace dirlo ma l’operazione ha l’aria di essere un tentativo pericoloso di diminuire la porzione di Sardegna protetta da uso civico. Un tentativo ingiusto, massimamente intempestivo che, per quanto ben difficilmente possa sopravvivere al vaglio della corte costituzionale, denuncia un’inaccettabile carenza di attenzione per questa terra. Un tentativo iniquo che non fa onore a chi lo ha pensato e che devia dalla necessità di valorizzare il nostro immenso patrimonio di beni collettivi e di conservare ogni strumento di tutela della Sardegna tutta.

Lucia Chessa, già sindaca ad Austis (Nuoro), è segretaria nazionale del partito Rossomori de Sardigna

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