Oggi come allora, bambini e bombe

Pressenza - Sunday, July 20, 2025

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa toccante testimonianza di Romana Olivieri Canneti, 92 anni, che ricorda i bombardamenti a Napoli vissuti da bambina e li collega alle sofferenze provocate dalle tante guerre attuali.

Guardo la televisione e ascolto i telegiornali con immagini di guerre. I tanti bambini disperati, le loro famiglie mi fanno ripensare alla mia guerra e a me bambina che viveva tanti anni fa quelle stesse sofferenze.

Era il 1943 ed io avevo 10 anni. I continui bombardamenti a Napoli avevano portato mio padre a decidere di trasferirsi a Maddaloni, dove la numerosa famiglia poteva vivere in una relativa tranquillità. Mio padre, sarto di abiti da uomo eleganti e raffinati, ora poteva solo girare cappotti e giacche, scucendo e ricucendo stoffe già usate. Correva affannato a Napoli per recuperare cibo e il necessario per noi e mai dimenticava un pensiero per i più piccoli, un gioco, un libro.

Cinque figli nati tra il 1923 e il 1933 e la speranza di tornare negli USA, sì, perché proprio nel 1922 i miei genitori si erano imbarcati a New York per far conoscere la giovane sposa americana alla famiglia italiana di Giovanni Olivieri, mio padre. Vissero la loro vacanza tra soggiorni a Ischia e viaggi in Italia, per poi scoprire che presto sarebbero diventati genitori.

La guerra interruppe i rapporti con i parenti oltre oceano e tutto cambiò. La casa in via Chiaia a Napoli, il teatro, gli abiti alla moda… Le sirene che annunciavano gli attacchi aerei, il rifugio …. Sento ancora lo scoppio delle bombe, il silenzioso pregare, la nonna che chiamava i più piccoli per distrarci con giochi e racconti e affidava tutti alla Madonna con una preghiera: “La Madonna stende il manto per coprirci tutti quanti. Sempre lodata sia la Vergine del Carmine Maria.” E la preghiera correva e diventava più veloce al rumore delle bombe che cadevano. La tessera concedeva 150 grammi di pane al giorno, tutto era razionato, ma la mamma pur di far mangiare i suoi bambini scambiava con i contadini abiti, borse, stole di pelliccia. Almeno però eravamo insieme.

Era il 1943. Gli americani sbarcarono a Salerno e la mamma vedeva i “suoi” soldati a un passo, come sembrava più vicina la possibilità di tornare a parlare con i fratelli e i genitori. Lei raccontava e raccontava della sua famiglia per tenere viva la memoria e trasmetterla a noi. Ma la guerra non è solo quella delle bombe. Si ammalò: appendicite, mi dissero. Mio padre corse all’ospedale da campo americano … Una semplice operazione l’avrebbe salvata, ma non fu così.

Mentre gli americani trionfanti entravano in una Napoli liberata, io piangevo la mia mamma. Quanti bambini, quante mamme e quanti papà dovranno soffrire ancora per guerre senza fine?

Redazione Italia