Oggi come allora, bambini e bombe
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa toccante testimonianza di Romana
Olivieri Canneti, 92 anni, che ricorda i bombardamenti a Napoli vissuti da
bambina e li collega alle sofferenze provocate dalle tante guerre attuali.
Guardo la televisione e ascolto i telegiornali con immagini di guerre. I tanti
bambini disperati, le loro famiglie mi fanno ripensare alla mia guerra e a me
bambina che viveva tanti anni fa quelle stesse sofferenze.
Era il 1943 ed io avevo 10 anni. I continui bombardamenti a Napoli avevano
portato mio padre a decidere di trasferirsi a Maddaloni, dove la numerosa
famiglia poteva vivere in una relativa tranquillità. Mio padre, sarto di abiti
da uomo eleganti e raffinati, ora poteva solo girare cappotti e giacche,
scucendo e ricucendo stoffe già usate. Correva affannato a Napoli per recuperare
cibo e il necessario per noi e mai dimenticava un pensiero per i più piccoli, un
gioco, un libro.
Cinque figli nati tra il 1923 e il 1933 e la speranza di tornare negli USA, sì,
perché proprio nel 1922 i miei genitori si erano imbarcati a New York per far
conoscere la giovane sposa americana alla famiglia italiana di Giovanni
Olivieri, mio padre. Vissero la loro vacanza tra soggiorni a Ischia e viaggi in
Italia, per poi scoprire che presto sarebbero diventati genitori.
La guerra interruppe i rapporti con i parenti oltre oceano e tutto cambiò. La
casa in via Chiaia a Napoli, il teatro, gli abiti alla moda… Le sirene che
annunciavano gli attacchi aerei, il rifugio …. Sento ancora lo scoppio delle
bombe, il silenzioso pregare, la nonna che chiamava i più piccoli per distrarci
con giochi e racconti e affidava tutti alla Madonna con una preghiera: “La
Madonna stende il manto per coprirci tutti quanti. Sempre lodata sia la Vergine
del Carmine Maria.” E la preghiera correva e diventava più veloce al rumore
delle bombe che cadevano. La tessera concedeva 150 grammi di pane al giorno,
tutto era razionato, ma la mamma pur di far mangiare i suoi bambini scambiava
con i contadini abiti, borse, stole di pelliccia. Almeno però eravamo insieme.
Era il 1943. Gli americani sbarcarono a Salerno e la mamma vedeva i “suoi”
soldati a un passo, come sembrava più vicina la possibilità di tornare a parlare
con i fratelli e i genitori. Lei raccontava e raccontava della sua famiglia per
tenere viva la memoria e trasmetterla a noi. Ma la guerra non è solo quella
delle bombe. Si ammalò: appendicite, mi dissero. Mio padre corse all’ospedale da
campo americano … Una semplice operazione l’avrebbe salvata, ma non fu così.
Mentre gli americani trionfanti entravano in una Napoli liberata, io piangevo la
mia mamma. Quanti bambini, quante mamme e quanti papà dovranno soffrire ancora
per guerre senza fine?
Redazione Italia