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A Luino HeART of Gaza, mostra di disegni di bambini e ragazzi gazawi
L’esposizione, una selezione di 40 disegni di bambini e ragazzi dai 3 ai 17 anni realizzati nella “Tenda degli Artisti” allestita da Mohammed Timraz a Deir al-Balah, nel cuore della Striscia di Gaza, sarà visitabile fino a giovedì 9 agosto 2025 alla Biblioteca Civica di Luino negli orari di apertura. “HeART of Gaza” restituisce le emozioni profonde di questi giovani artisti: i sogni spezzati, le paure, i traumi, ma anche il desiderio di un futuro migliore. Da oltre venti mesi vivono sotto bombardamenti continui, hanno perso la casa, gli affetti, la possibilità di andare a scuola. Alcuni, purtroppo, non ci sono più. Tutti condividono la perdita dei diritti fondamentali: istruzione, sicurezza sanitaria e alimentare, protezione. Tavolo per la Pace dell’Alto Verbano
Freedom Flotilla Coalition, intervista ad Antonio Mazzeo
Freedom Flotilla, la coalizione internazionale che associa cittadini comuni, attivisti e operatori umanitari, ha lo scopo di fare pressione sul governo israeliano affinché cessi l’assedio che dal ’48 perpetra ai danni del popolo palestinese, con alterne accelerazione dei soprusi nei loro confronti, sfociato nella creazione di Gaza, la più grande prigione a cielo aperto del mondo. Con la decisa sterzata a destra dell’ultimo ventennio, fino all’attuale coalizione governativa, ostaggio delle fazioni più oltranziste, conservatrici e islamofobe, l’assedio, frutto marcio di un colonialismo di insediamento, così come viene sistematizzato ed applicato al popolo palestinese secondo lo storico israeliano Ilan Pappé, si è addirittura trasformato in genocidio: uno sterminio in mondovisione dove le immagini e le cifre si rincorrono a suon di fake-news che negano la realtà dei fatti. Tornando alla Freedom Flotilla e al caso della nave Handala, l’obiettivo è quello di rompere il blocco illegale agli aiuti umanitari, entrando nell’unico corridoio, il porto di Gaza, che in teoria non richiederebbe il “permesso” del governo sionista perché, appunto, è territorio palestinese. Lo scopo più importante però è quello di aprire una breccia nel muro spietato dell’indifferenza, uno spiraglio di speranza contro il genocidio e su questo, come sempre, ci sono venuti in aiuto i bambini e le bambine della Sicilia e della Puglia con i loro giocattoli da consegnare ai loro fratellini gazawi. Pur non avendo l’autorità legale per assaltare la nave, rapirne l’equipaggio e poi detenerlo e deportarlo nel proprio territorio, Israele lo ha fatto compiendo un gesto terroristico, nonché un atto di guerra non dichiarato preventivamente: un attacco non provocato infatti  è considerato “crimine di guerra” (Art. 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Come ha dichiarato Ann Wright, membro del comitato direttivo della Freedom Flotilla, “non si tratta di una questione di giurisdizione interna israeliana. Si tratta di cittadini stranieri che operano secondo il diritto internazionale in acque internazionali. La loro detenzione è arbitraria, illegale e deve cessare”. L’assalto dei militari israeliani è avvenuto in acque internazionali a 40 miglia nautiche dalle coste di Gaza nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2025, quindi si configura come l’ennesimo crimine commesso da Israele nel totale disprezzo del diritto internazionale. I 21 membri della Freedom Flottilla sono stati rapiti e incarcerati. Gli è stata data la possibilità di essere rimpatriati subito firmando un documento precompilato, ma alcuni di loro non hanno accettato e sono ancora detenuti in attesa di processo per l’espulsione forzata, in teoria dopo 72 ore e dopo avere subito un processo per direttissima con l’accusa paradossale di “immigrazione clandestina”: sulla base di questa accusa fantasiosa lo Stato d’Israele non sarebbe mai dovuto nascere! Antonio Mazzeo, uno dei due italiani che ha scelto di tornare immediatamente in Italia, dopo aver risposto alle domande tipiche dei media mainstream (“Come ti hanno trattato?”, “Dove stanno gli altri membri dell’equipaggio?”, oppure “Quando verranno rilasciati?”, ecc. ecc.) tentando ogni volta di riportare il discorso sulla situazione tragica di Gaza, sui massacri, sul genocidio e sulle complicità dei governi “occidentali”, primo fra tutti quello più fedele a asservito alla coppia USA-Israele, l’Italia, si è soffermato su uno degli aspetti più emozionanti che aveva in serbo la missione. Antonio, parlaci dei giocattoli e dell’obiettivo di portare questi regali, simbolo di unione tra i bambini di Siracusa e Gallipoli (l’ultima tappa prima di prendere il largo verso le coste palestinesi) e i loro fratelli, ancora oggi sotto le bombe a Gaza Il fatto stesso che la nave si chiamasse Handala, un personaggio dei fumetti con cui sono cresciute intere generazioni di giovani palestinesi, conteneva un messaggio particolare. Non eravamo una delle tante navi umanitarie che hanno tentato di forzare il blocco, ma una nave pensata principalmente per il suo rapporto con i bambini. La nave si è “arricchita”, a dimostrazione di quanto fosse stato colto questo segnale, nelle due soste a Siracusa e a Gallipoli, dove è stata visitata da centinaia di bambini e bambine. Volevano vedere proprio la nave Handala, quella che portava gli aiuti ai loro amichetti di Gaza! Tutti sentivano il bisogno di portare qualcosa, in questo caso bambolotti, peluche e giocattoli. La cosa più bella e commovente è avvenuta la mattina dell’arrivo ad Ashdod. Stava albeggiando, eravamo tutti sdraiati sul ponte e mi sono accorto che ognuno di noi dormiva abbracciato a uno dei peluche con cui avevamo navigato in quegli ultimi 10 giorni. Eppure stiamo parlando di persone dai 70 anni e più, sino ai 25! Anch’io ho portato con me un souvenir dall’Handala, uno di quei bambolotti. Ecco, forse questa è la cosa più bella, il segnale più bello, perché probabilmente tra i bambini del mondo, ma anche tra quei bambini a cui l’umanità viene negata, i bambini di Gaza, il luogo più disumanizzato e più disumanizzante che esista, c’è ancora lo stesso bisogno di protezione e di dolcezza. I bambini avrebbero potuto vedere una nave che portava degli aiuti, ma soprattutto i regalini dei loro cuginetti dall’altra parte del Mediterraneo. Allora, questo sì che è un segno di speranza anche per le nostre giovani generazioni. Questa situazione, la strage per fame e oggi il genocidio per fame a Gaza, mi fa venire in mente soltanto un’altra vicenda storica, dei primi anni ’60, dopo l’indipendenza della Nigeria: in quegli anni in Biafra morivano migliaia e migliaia di bambini, come oggi, ma con la differenza che sono passati 60 anni e questi fatti si ripetono ancora. Inoltre all’epoca si trattava di una sorta di guerra civile tutta svolta all’interno di uno Stato, mentre oggi assistiamo a uno Stato che sta occupando e facendo morire di malnutrizione i cittadini di un altro Stato. Antonio, ti porto i ringraziamenti di Nancy Hamad*, la studentessa laureanda in economia con cui sono in contatto direttamente da Gaza. Quando le ho raccontato di questa iniziativa mi ha chiesto di dirti quanto questo supporto morale sia fondamentale per loro. Grazie a voi! * Per leggere le corrispondenze e conoscere la vicenda di Nancy Hamad di Gaza, vai ai nostri articoli pubblicati su Pressenza: articolo1 – articolo2 – articolo3 Stefano Bertoldi
I bambini di Gaza sono i nostri figli!
Il 27 luglio 2025, in acque internazionali, l’esercito israeliano ha assaltato la nave Handala, battente bandiera tedesca e parte della Freedom Flotilla, diretta verso Gaza con aiuti umanitari. Ventuno civili disarmati sono stati sequestrati e deportati con la forza in Israele. Nessun carico di armi, nessun atto ostile. Solo un tentativo – pacifico e dichiarato – di portare medicine, beni essenziali, solidarietà a una popolazione stremata da mesi di bombardamenti, assedi e totale isolamento. L’Europa ha reagito? I governi occidentali hanno protestato? I parlamentari italiani hanno detto una parola? No. Silenzio. Imbarazzo. Complicità. E se su quella nave ci fossero stati gli aiuti per i figli dei nostri parlamentari? Se quei pacchi fossero stati destinati ai bambini di Montecitorio, alle figlie dei nostri senatori, ai nipoti di chi oggi siede nei banchi delle commissioni Esteri e Difesa? Se a Gaza si trovassero i loro cari, costretti a bere acqua contaminata, a curarsi senza anestesia, a dormire sotto le tende tra le macerie? Sarebbero ancora così cauti, così muti, così attenti a “non sbilanciarsi”? Il sequestro della Handala è un atto di pirateria di Stato, un’aggressione militare contro civili pacifisti, contro il diritto internazionale, contro la stessa idea di umanità. Eppure, il crimine si consuma nell’indifferenza. I bambini di Gaza sono i nostri figli. Non è uno slogan buonista. È una chiamata alla responsabilità. Perché se continuiamo a dividere il mondo in “figli nostri” e “figli degli altri”, in vite che contano e vite sacrificabili, allora non abbiamo imparato nulla dalla Storia. Allora siamo ancora immersi in una logica coloniale, razzista, disumana. Chi oggi tace davanti a questo atto di violenza contro civili, è complice. Chi legittima il blocco totale della Striscia di Gaza, è responsabile. Chi rimuove il volto dei bambini palestinesi dai telegiornali e dalle coscienze, è colpevole. Per questo oggi lanciamo un appello, chiaro, netto, non negoziabile: I BAMBINI DI GAZA SONO I NOSTRI FIGLI! Lo sono per chi crede nel diritto, nella giustizia, nella dignità umana. Lo sono per chi non accetta che la punizione collettiva diventi normalità. Lo sono per chi ha il coraggio di guardare oltre le bandiere, oltre gli schieramenti, oltre la paura di esporsi. La nave Handala non è stata fermata solo da soldati. È stata tradita anche dal nostro silenzio. Siamo ancora in tempo per cambiare rotta. Perché un giorno, quei bambini – se sopravvivranno – ci chiederanno: dov’eravate mentre ci bombardavano, ci affamavano, ci cancellavano? Che cosa risponderemo? Patrizia Carteri
Uno studio su The Lancet mostra che le sanzioni occidentali ammazzano come una guerra
Il 25 luglio è stato pubblicato su The Lancet Global un articolo sugli effetti delle sanzioni che ha attirato molta attenzione. Lo studio, apparso su uno dei tanti rami della grande famiglia di The Lancet, una delle più rinomate riviste mediche a livello internazionale, ha calcolato che le sanzioni occidentali […] L'articolo Uno studio su The Lancet mostra che le sanzioni occidentali ammazzano come una guerra su Contropiano.
Quarto giorno di navigazione per Antonio Mazzeo su Handala: il sogno di vedere gli occhi dei bambini di Gaza
PUBBLICHIAMO IL VIDEO E LA TRASCRIZIONE DEL REPORT DI ANTONIO MAZZEO, DOCENTE, GIORNALISTA E PROMOTORE DELL’OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ, AL QUARTO GIORNO DI NAVIGAZIONE SU HANDALA DI FREEDOM FLOTILLA ALLA VOLTA DELLA PALESTINA. In questi giorni in tanti mi avete chiesto perché sei partito, perché l’hai fatto, qual è il senso di questa missione. In sincerità, me lo sono chiesto tanto in questi giorni perché sono partito. Probabilmente l’ho fatto perché ero stanco di sentirmi impotente. In questi anni ho scritto tantissimo sui rapporti tra Italia e Israele e  su quanto il nostro governo ha sostenuto e sostiene il genocidio del popolo palestinese attraverso le mani di Netanyahu, delle forze armate israeliane. Ci sono però dei momenti in cui hai bisogno di metterci qualcosa in più che la testa e la tastiera, hai bisogno di metterci le mani, di metterci gli occhi, di metterci il corpo. Ecco, io ho avuto questo bisogno, soprattutto, veramente, sento questo bisogno. Sapete cosa mi piacerebbe tantissimo? È un sogno, quello di poter approdare a Gaza e guardare negli occhi le bambine e i bambini di Gaza e vedere lo stupore che vedi in tutte le bambine e i bambini del mondo quando gli appare qualcosa di strano. Ma ve lo immaginate una barca come l’Handala della Freedom Flotilla che riesce a superare il blocco militare navale d’Israele e serenamente poter approdare nelle acque di Gaza e poter dare questi giocattoli questi peluche a questi bambini. Tornerei indietro di molti anni, come quando avevo vent’anni ero a Comiso e facevo il clown per stupire e divertire i bambini e per fargli riflettere che la guerra non era lontana e che ad ognuno di noi bastava fare un piccolo gesto. Lì la storia era dei coniglietti che per impedire la realizzazione di una grande base missilistica, alla fine si mettevano d’accordo e rosicchia, rosicchia, rosicchia, si mangiavano il missile. Ecco, mi piacerebbe che anche questa storia la potessi raccontare alle bambine e ai bambini di Gaza. Questo è il senso di una missione come quella di Handala, come quella della Freedom Flottiglia, ma è una missione anche politica non è soltanto una missione umanitaria. Io credo che di politica dal basso, di metterci le mani, di sporcarci le mani e non più soltanto del sangue, ma di sporcarci le mani di fango, dell’acqua salata, di questo vento che ti lascia tanta salsedine in corpo, io penso che alla fine un senso ce l’abbiano. Andiamo avanti, veramente mi auguro di poter approdare a Gaza. Sarebbe un sogno bellissimo e credo che farebbe bene tanto alle bambine e ai bambini di Gaza, ma farebbe bene tanto, tanto a casa nostra, anche ai ragazzi e alle ragazzi di casa nostra, perché anche loro hanno bisogno di credere che ancora qualcosa è possibile fare per fermare la catastrofe climatica, per fermare i crimini globali, per fermare l’olocausto di una guerra globale totale che ci si sta preparando da mesi, da anni. Vi abbraccio e spero veramente di rivedervi presto e di potervi trasmettere la gioia attraverso i miei occhi negli occhi delle bambine e dei bambini di Gaza.
Oggi come allora, bambini e bombe
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa toccante testimonianza di Romana Olivieri Canneti, 92 anni, che ricorda i bombardamenti a Napoli vissuti da bambina e li collega alle sofferenze provocate dalle tante guerre attuali. Guardo la televisione e ascolto i telegiornali con immagini di guerre. I tanti bambini disperati, le loro famiglie mi fanno ripensare alla mia guerra e a me bambina che viveva tanti anni fa quelle stesse sofferenze. Era il 1943 ed io avevo 10 anni. I continui bombardamenti a Napoli avevano portato mio padre a decidere di trasferirsi a Maddaloni, dove la numerosa famiglia poteva vivere in una relativa tranquillità. Mio padre, sarto di abiti da uomo eleganti e raffinati, ora poteva solo girare cappotti e giacche, scucendo e ricucendo stoffe già usate. Correva affannato a Napoli per recuperare cibo e il necessario per noi e mai dimenticava un pensiero per i più piccoli, un gioco, un libro. Cinque figli nati tra il 1923 e il 1933 e la speranza di tornare negli USA, sì, perché proprio nel 1922 i miei genitori si erano imbarcati a New York per far conoscere la giovane sposa americana alla famiglia italiana di Giovanni Olivieri, mio padre. Vissero la loro vacanza tra soggiorni a Ischia e viaggi in Italia, per poi scoprire che presto sarebbero diventati genitori. La guerra interruppe i rapporti con i parenti oltre oceano e tutto cambiò. La casa in via Chiaia a Napoli, il teatro, gli abiti alla moda… Le sirene che annunciavano gli attacchi aerei, il rifugio …. Sento ancora lo scoppio delle bombe, il silenzioso pregare, la nonna che chiamava i più piccoli per distrarci con giochi e racconti e affidava tutti alla Madonna con una preghiera: “La Madonna stende il manto per coprirci tutti quanti. Sempre lodata sia la Vergine del Carmine Maria.” E la preghiera correva e diventava più veloce al rumore delle bombe che cadevano. La tessera concedeva 150 grammi di pane al giorno, tutto era razionato, ma la mamma pur di far mangiare i suoi bambini scambiava con i contadini abiti, borse, stole di pelliccia. Almeno però eravamo insieme. Era il 1943. Gli americani sbarcarono a Salerno e la mamma vedeva i “suoi” soldati a un passo, come sembrava più vicina la possibilità di tornare a parlare con i fratelli e i genitori. Lei raccontava e raccontava della sua famiglia per tenere viva la memoria e trasmetterla a noi. Ma la guerra non è solo quella delle bombe. Si ammalò: appendicite, mi dissero. Mio padre corse all’ospedale da campo americano … Una semplice operazione l’avrebbe salvata, ma non fu così. Mentre gli americani trionfanti entravano in una Napoli liberata, io piangevo la mia mamma. Quanti bambini, quante mamme e quanti papà dovranno soffrire ancora per guerre senza fine? Redazione Italia
Come scongiurare il pericolo che i vostri bambini diventino come Salvini
“Sappiamo che il bambino di quattro anni a cui i genitori leggono tutti i giorni delle storie mostra nelle reti cerebrali del linguaggio parlato attivazioni superiori rispetto a quelle degli altri bambini e utilizza le stesse reti neurali che in seguito gli permetteranno di formulare pensieri complessi.” (da “Conoscenza o […] L'articolo Come scongiurare il pericolo che i vostri bambini diventino come Salvini su Contropiano.