
UE–Israele: Manifestazione europea per la sospensione dell’Accordo di associazione
Pressenza - Wednesday, July 16, 2025Martedì 15 luglio alle ore 12:30, manifestanti provenienti da tutta Europa si riuniranno davanti al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), al numero 234 della Petite Rue de la Loi, per chiedere la sospensione immediata dell’Accordo di associazione UE–Israele. Alla vigilia di un importante vertice dei Ministri degli Affari esteri dei 27 Stati membri dell’UE, la pressione civica si intensifica in Belgio, in tutta Europa e a livello globale: scioperi della fame, veglie, azioni legali e appelli politici si susseguono ora dopo ora, denunciando la complicità dei governi europei nel massacro in corso a Gaza e chiedendo misure concrete, a partire dalla sospensione delle relazioni commerciali.
Firmato a Bruxelles il 20 novembre 1995 ed entrato in vigore nel 2000, l’Accordo di associazione UE–Israele costituisce la base giuridica delle relazioni bilaterali e del dialogo politico tra le due parti. Si tratta, in ogni caso, di un vero e proprio “patto di intesa” che va ben oltre il semplice accordo di libero scambio, abbracciando la cooperazione politica, economica, agricola, industriale, scientifica (compresi i settori farmaceutico e della difesa) e accademica.
In sostituzione dell’accordo del 1975 tra lo Stato di Israele e di quella che all’epoca era la Comunità Economica Europea (predecessora dell’UE), l’Accordo di associazione UE–Israele in vigore da 25 anni è, infatti, lungi dall’essere soltanto un testo commerciale con finalità economiche anche per quanto riguarda il fatto che sia fondato su una clausola fondamentale che impone il rispetto dei diritti umani. L’articolo 2 stabilisce che «le relazioni tra le Parti, nonché tutte le disposizioni dell’Accordo stesso, si basano sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, che guidano la loro politica interna e internazionale e costituiscono un elemento essenziale» dell’accordo, come sancito anche dallo stesso Articolo 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Non solo la società civile, ma anche diversi Stati membri dell’UE e Parlamentari europei denunciano il fatto che Israele stia sistematicamente violando gravemente questa clausola, in particolare a Gaza. Ad oggi, diciassette paesi hanno chiesto l’attivazione dell’articolo 2, evidenziando come i successivi governi israeliani – da Sharon a Netanyahu – abbiano intensificato l’espansione degli insediamenti e delle detenzioni arbitrarie, i bombardamenti aerei e il blocco degli aiuti alla Striscia di Gaza, in palese contraddizione con gli impegni assunti e in aperta violazione del diritto internazionale.
Nonostante queste continue infrazioni, il partenariato si è ulteriormente rafforzato. Israele è integrato nella Politica europea di vicinato, nel Partenariato euro-mediterraneo e partecipa a numerosi programmi europei, tra cui quelli finanziati nell’ambito degli schemi “Erasmus+” e “Horizon Europe – Orizzonte Europa”. Sul piano economico, i legami tra le due parti restano particolarmente solidi: secondo un recente rapporto presentato all’Assemblea nazionale francese (in francese: Assemblée nationale, un ramo del Parlamento francese insieme al Senato) dalle deputate Mathilde Panot e Clémence Guetté, «l’UE è il principale partner commerciale di Israele, davanti a Stati Uniti e Cina. Israele è, invece, il 31° partner commerciale dell’UE.»
Con l’aggravarsi della crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, il sostegno di 17 Ministri degli Esteri dei 27 Stati membri a sostegno della proposta del ministro olandese Caspar Veldkamp e la richiesta di sanzioni da parte dei governi spagnolo, irlandese e sloveno, l’Alta rappresentante dell’UE per gli Affari esteri, Kaja Kallas, lo scorso 20 maggio ha annunciato l’avvio della procedura di revisione formale dell’Accordo di Associazione. Tuttavia, una decisione ufficiale – per la quale è necessaria l’unanimità – è già stata rinviata una prima volta, poiché la sospensione dell’accordo richiede l’unanimità dei 27 Stati membri, a causa dei vincoli decisionali interni all’UE e della posizione di determinati governi nazionali, tra cui in particolare quello italiano e tedesco. I manifestanti e numerosi rappresentanti della società civile, chiedono ancora una volta misure urgenti e concrete, a partire dalla sospensione dell’accordo nel rispetto del diritto internazionale e dei valori fondamentali dell’Unione, ricordando che l’articolo 17 del Trattato sull’Unione europea (TUE) obbliga la Commissione europea, in quanto custode dei trattati, a garantire «l’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in base ad essi».
Le voci forti all’interno Parlamento europeo
Durante una conferenza tenutasi lunedì 14 luglio alla House of Compassion (la “Casa della Compassione”, nella centrale Place du Béguinage a Bruxelles, in occasione della vigilia della manifestazione, l’eurodeputata irlandese Lynn Boylan, Presidente della Delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con la Palestina (DPAL), ha espresso la sua posizione chiara fondata sul diritto dei popoli all’autodeterminazione:
«Non spetta a noi decidere quale tipo di Stato o di governo debbano scegliere di avere i palestinesi. Il nostro dovere è, invece, quello di fare tutto il possibile per assicurarci che sopravvivano e per porre fine al genocidio in atto, affinché possano esercitare il loro diritto all’autodeterminazione.»
Lynn Boylan ha anche accusato l’UE di tradire i propri principi fondanti:
«L’Unione europea, rappresentata dai propri Stati membri, continua a privilegiare gli interessi commerciali e finanziari rispetto ai diritti umani. I suoi governi si piegano alle pressioni americane e preferiscono censurare gli artisti piuttosto che fermare i massacri.»
e ha concluso con un appello diretto e urgente:
«Il 15 luglio è il momento di fare la cosa giusta: sospendere l’Accordo di associazione UE–Israele e dimostrare al mondo che non si commercia con regimi genocidari e fomentatori di guerre.»
Il richiamo all’articolo 2 e la richiesta di revisione formale dell’Accordo di associazione UE–Israele, del resto, non sono nuove alle aule del Parlamento europeo, l’unica istituzione dell’UE direttamente eletta dalle cittadine e dai cittadini europei, e hanno costantemente incontrato le resistenze dei Governi degli Stati membri, in particolare attraverso gli altri organi principali del cuore decisionale unionale: la Commissione europea, il Consiglio europeo e Consiglio dell’Unione europea. In particolare, è importante la richiesta da parte di 63 europarlamentari presentata ufficialmente nel 2015 a Federica Mogherini, all’epoca detentrice della carica di Alta rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, per la sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele, preceduta da una lettera con le stesse finalità che era stata preparata e firmata a livello internazionale da oltre 300 organismi tra cui associazioni per i diritti umani, sindacati e partiti politici, sempre diretta all’Alta rappresentante. Nel 2011, l’europarlamentare britannico Graham Watson, all’epoca in cui il Regno Unito faceva ancora parte dell’Unione europea, aveva già presentato un’interrogazione parlamentare (E-010294/2011) alla Commissione europea incentrata sul quesito “se Israele viola il diritto internazionale in materia di diritti umani, l’Unione europea non rispetta i propri obblighi giuridici ai sensi dell’accordo internazionale” e ricevendo una risposta liquidatoria soltanto l’anno successivo da parte di Catherine Ashton, Alta rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza fino al 2014. Le interrogazioni parlamentari presentate nel corso del 2025 da coalizioni più numerose di europarlamentari della corrente legislatura 2024 – 2029 come quella (O-000019/2025 del 28 maggio 2025) specificatamente connessa alla richiesta di revisione formale dell’accordo di associazione UE-Israele e quella immediatamente successiva (E-002193/2025 del 2 giugno 2025) sull’accesso degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, sono ancora in attesa di risposta.
Una mobilitazione transnazionale e intergenerazionale
La manifestazione di martedì 15 luglio si inserisce in una mobilitazione continuativa a Bruxelles che ha previsto anche una tappa della Marcia Globale per Gaza (segmento Parigi – Bruxelles) e che prosegue attraverso una serie di scioperi della fame in diverse località del Belgio e con sit-in quotidiani, come quelli che si tengono regolarmente tutte le sere a partire dalle ore 19:00 in piazza de la Bourse. Tra gli organizzatori principali dell’azione “Hunger Strike for Justice in Palestine” figurano la stessa “House of Compassion” e il collettivo “Palestinian Refugees for Dignity”, che richiama l’articolo 2 del TUE, secondo cui l’Unione si fonda “valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”.
Al centro della manifestazione si prepara a emergere, con tutta la sua forza imponente e colorata, la sagoma di “Sabine, Gigantessa della Dignità”, il cui nome proprio è ispirato liberamente alla storia di Sabine Amiyeme, una parrucchiera di Liegi che ha vissuto per 13 anni in Belgio senza documenti prima di essere detenuta e minacciata di espulsione. Divenuta ormai una figura simbolica e già presente in altre azioni di sensibilizzazione, Sabine tiene in mano una bandiera che celebra l’articolo 2 ed è circondata da striscioni che chiedono la fine della complicità dell’UE a supporto dei crimini israeliani.
Gli scioperi della fame per risvegliare le coscienze
A Gand, dal 7 al 12 luglio, è iniziata una nuova fase con il lancio della campagna “Hunger Strike for Justice” per la Palestina. Alcune settimane prima, un primo sciopero della fame si era tenuto dal 16 al 21 giugno, nella chiesa di San Giovanni Battista al Beghinaggio (in francese Saint-Jean-Baptiste-au-Béguinage, in fiammingo Sint-Jan Baptist ten Begijnhofkerk), situata in Place du Béguinage, nel cuore del centro storico di Bruxelles e appartenente all’antico Beghinaggio, dove una trentina di volontari hanno animato e trasformato lo spazio in un memoriale vivente: bambole di bambini, teli insanguinati e uno striscione lungo 15 metri con i nomi di centinaia di vittime.
Questi scioperi della fame a staffetta fanno parte di un movimento più ampio. Dal gennaio 2024, oltre 750 persone in decine di paesi (Belgio, Francia, Svizzera, Paesi Bassi, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Turchia, Libano, Stati Uniti, Canada) hanno partecipato a campagne di digiuno per denunciare l’inazione globale di fronte all’orrore.
Un’offensiva legale senza precedenti
Con l’attenzione puntata sul discorso di Kaja Kallas, che dovrebbe annunciare eventuali sanzioni il 15 luglio, i giuristi europei stanno preparando un’azione legale storica. L’associazione JURDI – Giuristi per il rispetto del diritto internazionale depositerà giovedì un “ricorso in carenza” presso la Corte di giustizia dell’Unione europea a Lussemburgo «per inadempimento colposo della Commissione in materia di rispetto dei suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione» di fronte ai crimini commessi a Gaza. Il ricorso, basato sull’articolo 265 del TFUE, denuncia l’inazione prolungata delle istituzioni europee dal mese di ottobre 2023.
L’Associazione dei Giuristi per il Rispetto del Diritto Internazionale (JURDI – Juristes pour le respect du droit international), creata nel 2024, riunisce avvocati, magistrati, professori, giuristi e altri esperti in diritto internazionale, uniti da un obiettivo comune: promuovere il rispetto e l’applicazione del diritto internazionale nel contesto del conflitto israelo-palestinese.
«Mentre sono stati imposti 18 pacchetti di sanzioni contro la Russia, nessuna misura concreta è stata adottata contro Israele, nonostante le gravi violazioni del diritto umanitario», ha dichiarato l’avvocato penalista francese Alfonso Dorado, consigliere per la Corte Penale Internazionale (CPI) e co-autore del ricorso.
Una diffida formale era già stata inviata lo scorso 12 maggio da un gruppo di giuristi franco-belgi e docenti universitari. Due mesi dopo, la procedura legale prosegue, facendo leva in particolare sul rapporto curato dal servizio diplomatico della Commissione e richiesto dai 17 Stati membri favorevoli alla revisione dell’accordo UE–Israele, nel quale sono elencate le numerose violazioni del diritto umanitario internazionale da parte di Israele a Gaza e in Cisgiordania.
Ex diplomatici rompono il silenzio: l’Unione europea a un bivio morale
Un altro segnale forte è arrivato da 27 ex ambasciatori dell’UE in Medio Oriente e Nord Africa. In una lettera indirizzata ai vertici delle istituzioni europee, i firmatari, tra cui risulta anche l’ex ambasciatore dell’UE presso l’Autorità nazionale palestinese, Sven Kühn von Burgsdorff, denunciano l’inazione dell’Unione di fronte alla crisi umanitaria a Gaza e chiedono, come i manifestanti, la sospensione immediata dell’Accordo di associazione UE–Israele.
In questo contesto, la mobilitazione del 15 luglio si svolge in continuità con lo sforzo civico collettivo per ridare significato ai principi fondanti dell’Unione europea. Una nuova generazione di attivisti, rifugiati, intellettuali e rappresentanti eletti cerca di scuotere l’UE dalla sua paralisi, riecheggiando le parole di Lynn Boylan:
«La loro reputazione è a pezzi. È ora di agire.»
Come recita uno degli striscioni in braccio alla gigantessa Sabine: «L’Unione si fonda sul rispetto della dignità umana».
Oggi i manifestanti chiedono con forza ai leader europei di essere all’altezza di tale promessa.