Un omaggio alla resistenza palestinese nel cuore verde d’Italia

Pressenza - Thursday, November 27, 2025

Perugia, capoluogo del “cuore verde” d’Italia, su iniziativa dell’associazione “Umbria della pace”, ha accolto un simbolo vivo della resistenza palestinese e lo ha ospitato in uno dei suoi luoghi non solo più belli ma più emblematici: il giardino dei Giusti del Mondo all’interno dell’antico complesso monumentale  San Matteo degli Armeni, dove si trova anche  la biblioteca personale appartenuta ad Aldo Capitini che proprio da lì,  nel lontano 1961, lanciò la marcia per la pace Perugia-Assisi.
Essendo passati più di sessant’anni ed essendo divenuta la marcia Perugia-Assisi più rituale che sostanziale, forse molti si stupirebbero nel leggere le parole del  filosofo della nonviolenza  e scoprire che il suo obiettivo era alimentare “idee e iniziative contrarie al capitalismo, al colonialismo, all’imperialismo”, o che “la lotta per la pace deve essere severa contro i mascheramenti dei vari imperialismi, contro le crociate verso un popolo o un altro” come scritto in uno dei suoi editoriali nel periodico “IL POTERE È DI TUTTI” da lui fondato nel 1964 e consultabile nella sua biblioteca.

Luogo migliore per piantare l’olivo della resistenza palestinese, un piccolo olivo scampato alla furia devastatrice israeliana, forse non ce n’era. La targa spiega perché quest’alberello non è dedicato a una singola persona, come tutti gli altri, ma alla difesa di un diritto che si trasforma in azione. Il diritto all’autodeterminazione di un popolo e alla Libertà, quella per cui ogni epoca della storia ha avuto i suoi martiri, tutti, in vario modo, combattenti per la resistenza all’oppressore.

Oggi più che mai l’iniziativa dell’Umbria della Pace,  accolta e condivisa  dall’Amministrazione comunale,  risulta importante e insieme coraggiosa. Importante perché consentirà a chiunque andrà a visitare il complesso di San Matteo degli Armeni di vedere che Perugia riconosce il diritto di un popolo oppresso a resistere. Coraggiosa perché la longa manus dell’entità sionista poteva “sporcare” l’iniziativa con la strumentale accusa di antisemitismo, come avvenuto in molteplici altre occasioni.

Quindi, veder omaggiare la bandiera palestinese dai numerosi presenti, tra cui l’assessore Croce in rappresentanza del Comune,  ha aggiunto senso all’iniziativa e, come si è ricordato durante la cerimonia, la piantumazione di quel piccolo figlio verde della martoriata Palestina, uscito rocambolescamente dalla Striscia di Gaza,  non vuole essere solo simbolica  testimonianza di solidarietà, ma invito ad agire, ognuno come sa e come può affinché venga fermato il genocidio tuttora in corso  e venga stroncato il criminale progetto sionista che avanza da quasi 80 anni stritolando, nel suo avanzare impunito, anche il diritto internazionale.

Cos’avrebbe detto Capitini davanti all’ultimo scempio delle Nazioni Unite dal cui Consiglio di Sicurezza dieci giorni fa è uscita la vergognosa Risoluzione 2803 in piena violazione dei principi della stessa Carta dell’ONU? Siamo certi che avrebbe denunciato la corruzione servile alla legge del più forte e che il suo invito di tanti anni fa “a creare una permanente mobilitazione per controllare la politica estera, la politica militare, la politica scolastica e denunciare errori, colpe, storture, alleanze dei conservatori, degli imperialisti, dei capitalisti…“ si sarebbe fatto ancora più forte ed avrebbe chiamato all’azione, perché c’è una pratica della nonviolenza attiva che può a ben diritto chiamarsi resistenza e non è il chiacchiericcio da salotto.

È vero che Aldo Capitini pensava di cambiare il mondo opponendo ai potenti, cioè ai criminali della storia, la forza della nonviolenza come lui la stava costruendo prendendo le mosse dalla resistenza gandhiana,  ma Capitini era anche il cattolico nonviolento che non aveva temuto le rappresaglie fasciste quando nel 1929 aveva definito i Patti Lateranensi  una “merce di scambio” tra  Pio XI e il fascismo, e che non aveva accettato il ricatto di Giovanni Gentile di iscriversi al fascismo per non essere licenziato .

Tutto questo ci porta a credere, al pari di Gabriele De Veris, il bibliotecario che ci ha mostrato le sue opere,   degli organizzatori dell’evento e di tutti gli intervenuti,  che il fondatore della marcia Perugia-Assisi  avrebbe sostenuto la resistenza palestinese e che il piccolo olivo scampato ai criminali con la stella di David lo avrebbe accolto come simbolo di resistenza e invito a non cedere ai ricatti di una falsa promessa di pace il cui vero volto, ripulito dalle maschere mediatiche, mostra di essere non pace ma pacificazione imposta col ricatto dal colonialismo sionista sostenuto dal suprematismo  occidentale, servile con i potenti e liberticida con chi reclama la libertà.

E così, accanto ad alberi piantati in memoria e in omaggio di figure come Maria Montessori, Carlo Urbani, Danilo Dolci, Anna Frank, Gino Strada, Pietro Terracina e tanti altri, compresi artisti che hanno sempre testimoniato il loro impegno per il rispetto dei diritti umani, l’olivetto di Gaza e la sua esplicita targa saranno in ottima compagnia. Il fatto che sia stato casualmente piantato proprio in prossimità della giornata mondiale degli alberi e della giornata che l’Unesco ha dedicato alla tutela dell’olivo come simbolo di resilienza, di identità culturale e come millenaria fonte di nutrimento del genere umano, richiama l’attenzione sulla continua violenza che subisce da sempre  anche l’ambiente rurale palestinese dove la distruzione di frutteti e oliveti, l’espianto e il furto degli olivi secolari e l’abbattimento degli olivi più giovani in tutta la Palestina illegalmente occupata, è uno dei reati pressoché quotidiani che il mondo dei potenti, il mondo complice dell’entità sionista, lascia compiere senza vergognarsi della sua connivenza.

Ma, come è stato ricordato da uno dei relatori, l’olivo è capace di rigenerarsi, anche dalle proprie ceneri, e neanche il gelo può ucciderne il ceppo che ne è la “madre”, che è il cuore della resistenza dell’olivo, quella che produce i polloni, la vera e propria rinascita che tramanda il DNA dal ceppo madre ai suoi germogli.  Il piccolo olivo uscito di contrabbando da Gaza , e forse proveniente dal ceppo dei millenari olivi dei Getsemani, è quindi simbolo di rigenerazione ed è lì a dire che “la resistenza non verrà schiacciata neanche dai carrarmati”.

Una delle relatrici ha ricordato la frase scritta su un muro di Nusseirat, ora distrutto dalla furia israeliana,  che riportava questo verso di un poeta greco: “Hanno provato a seppellirci. Non sapevano che eravamo semi” e questo lo si può leggere anche nei polloni che germogliano dai ceppi degli olivi palestinesi bruciati o abbattuti. Non serve molto altro per spiegare che l’olivo rappresenta la capacità di resistere al male e, in ultima analisi, il percorso verso la pace (non la pacificazione imposta dall’oppressore) che è segnato dalla bussola della resistenza.

Mentre chiudiamo quest’articolo ci arriva il comunicato di un’altra realtà umbra, la Fondazione PerugiAssisi la quale invita a partecipare alla manifestazione del 29 novembre, giornata internazionale di solidarietà col popolo palestinese e definisce l’ignobile Risoluzione 2803 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU “un nuovo attentato alla pace e ai diritti umani…” e “un piano di guerra e non di pace” dandone ampia e indiscutibile documentazione.

Dal “cuore verde” d’Italia per il momento è tutto.

Patrizia Cecconi