Brasile di Lula tra la Cop30, i territori indigeni e le promesse mancate. Intervista a Loretta EmiriCop30, le trame oscure del “green capitalism”, la colonizzazione dei crediti di
carbonio, le false soluzioni tecnocratiche alla crisi climatica, la lotta per il
riconoscimento dei territori indigeni amazzonici e le mancate promesse del
governo Lula, ormai totalmente dipendente dal Congresso Nazionale in mano alla
destra neoliberista. In questa intervista c’è tutta la passione di una
ecologista e indigenista italiana che ha vissuto con gli indigeni amazzonici del
Brasile e con loro ha respirato la loro lingua, la loro cultura, la loro
spiritualità, la profonda connessione con la Natura, la difesa dei loro sistemi
di medicina tradizionale, la lotta per la difesa dell’Amazzonia e dei territori
indigeni dall’estrattivismo e dalla deforestazione. Nel 1977 Loretta Emiri si è
stabilita nell’Amazzonia brasiliana dove, per 18 anni, ha sempre lavorato con o
per gli indios. I primi quattro anni e mezzo li ha vissuti con gli indigeni
Yanomami delle regioni del Catrimâni, Ajarani e Demini. Fra di loro ha svolto
lavori di assistenza sanitaria e un progetto chiamato Piano di
Coscientizzazione, del quale l’alfabetizzazione di adulti nella lingua materna
faceva parte. In quell’epoca ha prodotto saggi e lavori didattici, fra i quali:
Gramática pedagógica da língua yãnomamè (Grammatica pedagogica della lingua
yãnomamè), Cartilha yãnomamè (Abbecedario yãnomamè), Leituras yãnomamè (Letture
yãnomamè), Dicionário Yãnomamè-Português (Dizionario Yãnomamè-Portoghese). Nel
1989 è stato pubblicato A conquista da escrita – Encontros de educação indígena
(La conquista della scrittura – Incontri di educazione indigena), che Loretta ha
organizzato insieme alla linguista Ruth Monserrat, e che include il capitolo
Yanomami di cui è autrice. Nel 1992 ha pubblicato la raccolta poetica Mulher
entre três culturas – Ítalo-brasileira ‘educada’ pelos Yanomami (Donna fra tre
culture – Italo-brasiliana ‘educata’ dagli Yanomami). Alcune sue poesie sono
state incluse nel volume 3 della Saciedade dos poetas vivos. Nel 1997 ha
pubblicato Parole italiane per immagini amazzoniche, opera che riunisce
ventisette poesie; tredici sono in portoghese, lingua nella quale sono state
generate, accompagnate da versioni in italiano. Nel 1994 ha pubblicato il libro
etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver. Nel 2022 ha pubblicato Educada
pelos Yanomami (Educata dagli Yanomami), libro di poesie e foto scattate tra gli
Yanomami. In italiano, Loretta ha pubblicato i libri di racconti Amazzonia
portatile, A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta,
Discriminati che ha ottenuto il Premio Speciale Migliore Opera a Tematica
Sociale del 12º Concorso Letterario Città di Grottammare-2021; le presentazioni
degli ultimi due libri sono entrate nel programma ufficiale del Salone
Internazionale del libro di Torino, rispettivamente nel 2017 e 2019; invece per
Amazzone in tempo reale ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria per la
Saggistica del Premio Franz Kafka Italia 2013. Nel 2020 ha pubblicato Mosaico
indigeno, che riunisce testi con taglio giornalistico sulla congiuntura
indigena. Loretta è anche autrice del romanzo breve Quando le amazzoni diventano
nonne, 2011, e di Romanzo indigenista, 2023. Se si riesce a sopravvivere a
questa guerra non si muore più è stato divulgato in versione pdf nel gennaio del
2023. Suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, La
macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti, AMAZZONIA –
fratelli indios, Euterpe, Pressenza, La bottega del Barbieri, Sarapegbe, Atlante
Residenze Creative, Cartesensibili. Nel maggio del 2018 è stata insignita del
Premio alla Carriera “Novella Torregiani – Letteratura e Arti Figurative”, per
la difesa dei diritti dei popoli indigeni brasiliani.
Come è andata la Cop30 a Belem, in Brasile?
Le conferenze climatiche sono sempre servite per stilare accordi tra capi di
governo e esponenti del capitale globale. A ogni anno che passa, questa realtà è
sempre più squallidamente evidente. Tali accordi mascherano le disuguaglianze
storiche e perpetuano le strutture coloniali. Ciò che cambia negli anni, sono le
parole e le strategie usate per mantenere gli interessi autocratici e
geopolitici determinati da coloro che detengono il potere economico. A Belem si
è ripetuto il teatrino: nonostante la massiccia presenza di indigeni, comunità
tradizionali, lavoratori, movimenti sociali, il processo ufficiale è stato
dominato totalmente dai suddetti interessi economici. L’espressiva presenza
delle minoranze e delle classi oppresse è servita, però, a mettere in evidenza,
in modo eclatante, definitivo, proprio il distanziamento che c’è tra il potere
costituito, asservito al capitalismo, e le popolazioni.
La Cop30 in molti avevano previsto che sarebbe stata l’ennesima occasione persa,
per via della prospettiva completamente eurocentrica che sembra aver preso in
questi anni trattando fondamentalmente del tema del net-zero, della retorica
sulla “neutralità carbonica” e delle false soluzioni tecnocratiche alla crisi
climatica: quello che il presidente della Bolivia Luis Arce aveva definito
“colonizzazione dei crediti di carbonio” e “capitalismo green”. Ha riscontrato
anche lei questa tendenza?
Rispondendo alla prima domanda, ho risposto parzialmente a questa. Ma il quesito
posto merita un approfondimento a partire dalla definizione “green capitalism”.
Dietro questo termine così moderno e accattivante si nasconde tutto il marciume
del capitalismo selvaggio, dell’ipocrisia, del colonialismo tuttora vivo e
vegeto. Ripeto: ciò che cambia sono le parole e le strategie. Vi faccio un
esempio concreto parlandovi degli Yanomami, con i quali ho avuto il privilegio
di vivere per oltre quattro anni nella loro patria/foresta, e di cui sono
un’alleata storica. La gioielleria francese Cartier ha creato una fondazione
attraverso la quale finanzia pubblicazioni e mostre che hanno a che vedere con
gli Yanomami. Il territorio di questo popolo è sistematicamente violato dai
cercatori d’oro; durante l’invasione organizzata nel 1987 dalle oligarchie
locali, l’etnia ha rischiato l’estinzione; nel 1992 il suo territorio è stato
ufficialmente omologato, ma ciò non ha fermato le invasioni; durante il governo
Bolsonaro gli Yanomami hanno di nuovo rischiato di scomparire; nel marzo del
2024, il governo Lula ha ordinato la rimozione dalla Terra Indigena Yanomami dei
cercatori d’oro, con la distruzione delle loro sofisticate armi e dei potenti
macchinari di cui oggigiorno dispongono. Quest’ultima è stata senz’altro una
iniziativa lodevole ma, storicamente, succede che i cercatori vengono
allontanati per poi sempre tornare invadendo altre aree; i politici parlano di
successi e conquiste, gli Yanomami continuano a denunciare le sistematiche nuove
invasioni (che potrebbero essere evitate adottando provvedimenti più efficaci
già identificati e ripetutamente suggeriti). Come vogliamo definire la Cartier,
potente gioielleria francese che finanzia iniziative relative gli Yanomami
minacciati di estinzione proprio a causa dell’estrazione dell’oro nel loro
territorio? È ipocrisia anche cercare di convincere l’opinione pubblica che
l’estrazione legale dell’oro è differente da quella illegale, dato che gli
habitat sono ugualmente distrutti, le popolazioni locali sono ugualmente
sfruttate e si ammalano a causa dello stravolgimento dell’ambiente, mentre i
capitalisti mondiali divengono più oscenamente obesi di quello che già sono.
Per non parlare di un altro fenomeno che sta sotto gli occhi di tutti, ma che
nessuno affronta: professionisti (antropologi, fotografi, scrittori, e persino
filosofi o pseudo-tali) che hanno raggiunto notorietà e fama internazionale,
nelle loro attività sono finanziati da fondazioni simili a quella della Cartier;
fondazioni create da colossi mondiali che, attraverso il “capitalismo green”,
perpetuano il colonialismo.
Dal gennaio del 2023, cioè da quando Lula è tornato al potere, sono impegnata in
una battaglia persa: fomento la creazione di un Centro di Formazione Yanomami,
che potrebbe essere facilmente creato nell’unica area del loro territorio
raggiungibile attraverso la strada. Una delle finalità della proposta è quella
di incentivare l’unione e la collaborazione tra i gruppi locali, storicamente
nemici fra di loro, perché solo l’unione e l’organizzazione permetterà agli
Yanomami di sopravvivere fisicamente e culturalmente. Un’altra finalità è quella
di preparare professionalmente i giovani, affinché assumano funzioni e ruoli a
tutt’oggi svolti o controllati dai bianchi, mettendoli in condizione di prendere
decisioni autonomamente e dispensare gli “intermediari”, cioè le poche persone
che decidono per loro. L’unione e la formazione sono strumenti di lotta che
rafforzerebbero l’organizzazione e l’autonomia della società yanomami. Io penso
e scrivo le stesse cose da oltre quarant’anni, ma coloro che potrebbero
concretizzare la proposta della formazione rivolta a tutta il popolo, e non solo
ad alcuni privilegiati individui o gruppi locali, continuano, imperterriti, a
fare “orecchie da mercante”.
Come si sta muovendo il governo di Lula di fronte ai temi dell’ambiente? Sta
portando avanti i temi della deforestazione, della fine dell’estrattivismo e
della consegna delle terre agli indigeni come aveva promesso?
Naturalmente, in occasione della Cop30 Lula ha omologato alcune poche terre
indigene, tanto per dare un contentino; ma ce ne sono oltre sessanta di cui il
processo amministrativo è stato completato e alle quali manca solo la sua firma.
Lula è potuto tornare al governo facendo accordi a dir poco “ambigui”, così che
può decidere ben poco. Chi decide è il Congresso Nazionale, nel cui seno sono
confluiti loschi figuri legati al governo anteriore e quindi all’estremissima
destra. E il Congresso non dà tregua: mi riferisco al Progetto di Legge definito
Della Devastazione; al Senato che in cinque minuti ha approvato una legge che
beneficia termoelettriche a carbone; alla crescente offensiva dell’agribusiness
contro i popoli indigeni, offensiva incentivata dall’indecente tesi del Marco
Temporale, tesi che contraddice quanto stabilito dal STF (Supremo Tribunale
Federale), e cioè che la data della promulgazione della Costituzione Federale
non può essere utilizzata per definire l’occupazione tradizionale delle terre
indigene. Dato che era già stato approvato nella Camera dei Deputati, il
suddetto progetto di legge venne inviato a Lula che ne vietò la tesi e altri
dispositivi; i veti presidenziali vennero poi rigettati dal Congresso, cosi il
progetto è diventato la Legge Nº 14.701/2023.
Lo scienziato Philip Fearnside, ricercatore dell’INPA (Istituto Nazionale di
Ricerche dell’Amazzonia), reputa che la Cop30 sai stata caratterizzata da una
generalizzata mancanza di coraggio politico per affrontare i temi centrali della
crisi climatica. Nell’intervista concessa alla rivista Amazônia Real, egli
afferma che la conferenza ha ignorato i combustibili fossili e non ha fatto
passi in avanti per combattere la deforestazione; decisioni queste che, secondo
lui, mettono a rischio immediato la sopravvivenza dei popoli indigeni e delle
comunità tradizionali dell’Amazzonia. Inoltre, Fearnside afferma che il Brasile
sbaglia anche nella transizione energetica, mantenendo contraddizioni come
l’asfaltatura della strada BR-319 e nuovi progetti di estrazione del petrolio,
mentre i provvedimenti emergenziali in atto non hanno la capacità di
accompagnare la velocità con cui avviene il surriscaldamento della terra.
Alla vigilia della Cop30 l’Ibama (Istituto Brasiliano dell’Ambiente e delle
Risorse Naturali Rinnovabili, che è un’autarchia federale) ha autorizzato la
Petrobras a realizzare ricerche per rendere viabile l’esplorazione del petrolio
a cinquecento km. dalla Foce del Fiume Amazonas, nel cosiddetto Margine
Equatoriale, in alto mare, a confine tra gli Stati di Amapá e Pará. Mentre,
appena la Cop30 si è conclusa, il Congresso ha rigettato i veti che erano stati
suggeriti e ha autorizzato nuovi interventi in punti critici della strada
BR-319; notizia, questa, del 27 novembre 2025.
Durante la Cop30 sono successe cose che, per un spettatore esterno sembrerebbero
assurde. Le proteste degli indigeni alla Cop30 sono state represse duramente.
Cosa è successo precisamente?
Il fatto che la Cop30 sia stata realizzata in Brasile ha permesso che un grande
numero di indigeni ed esponenti di popolazioni tradizionali si facessero
presenti a Belem, che è la capitale simbolica dell’Amazzonia brasiliana. La loro
massiccia presenza, la coloratissima diversità culturale che li caratterizza, le
manifestazioni che hanno saputo organizzare, le loro accorate dichiarazioni, che
sono frutto di oltre cinquecento anni di soprusi e sofferenze, hanno messo sotto
i riflettori le contraddizioni dell’attuale governo. A stento Lula si barcamena
tra ciò che potrebbe fare, ma non ha il coraggio sufficiente per fare, e ciò che
fa, costretto dall’estremissima destra che controlla il Congresso Nazionale. Le
forze dell’ordine hanno represso i manifestanti, proprio come accade in
qualsiasi altro Paese che pensa di essere democratico: le popolazioni vengono
represse quando osano mettere in discussione le scelte di Stato. Txulunh
Natieli, che è una giovane leader del popolo Laklãnõ-Xokleng, ha riassunto
brillantemente il risultato della Cop30 dicendo che la conferenza ha esposto le
contraddizioni stesse del Brasile, la cui politica è molto esterna e poco
interna. Invece Luene, del popolo Karipuna, ha affermato che il Brasile potrà
guidare la transizione climatica soltanto se dichiarerà l’Amazzonia “zona libera
dai combustibili fossili”. Il documento finale della conferenza invita alla
cooperazione globale, ma evita di citare paroline quali “petrolio”, “carbone”,
“gas”; dal documento è stata esclusa anche la locuzione “eliminazione graduale”.
Gli accordi firmati durante la Cop30 rivelano la squallida farsa della
sostenibilità, le lobby dei fossili, dell’oro, dell’agribusiness. Nonostante
siano stati fatti alcuni pontuali passi in avanti, la conferenza è terminata
lasciando grandemente frustrati leader indigeni, specialisti, osservatori, cioè
tutti coloro che si rifiutano di essere servi di un sistema sociale piramidale.
Cosa è successo tra Raoni e Lula e perché ha fatto così scalpore?
Raoni è molto amato dagli indigeni e dai loro alleati, ma è molto conosciuto
anche all’estero da quando il cantante Sting lo aiutò a far uscire la
problematica indigena dall’ambito brasiliano per proiettarla a livello mondiale.
È un adorabile vecchietto, dai più considerato e amato come “nonno”. Durante
tutta la vita, è stato coraggioso e coerente; il tema più ricorrente nei suoi
discorsi riguarda il riconoscimento e l’ufficializzazione delle terre indigene.
Come può sopravvivere un popolo senza un territorio dove vivere bene e
perpetuarsi?
Quando Lula è stato rieletto, il giorno della cerimonia ufficiale per l’inizio
del suo nuovo mandato di presidente, ha voluto Raoni accanto a sé. Ha salito la
rampa che lo ha condotto nel Palazzo del Planalto, sede del Potere Esecutivo
Federale, tenendo a braccetto il vecchio leader indigeno. Durante la Cop30,
senza usare mezzi termini, Raoni ha manifestato la sua profonda delusione di
fronte al fatto che alle solite promesse non fanno mai seguito le scelte
politiche che andrebbero fatte e, naturalmente, la sua presa di posizione ha
avuto una grande ripercussione sia in Brasile che all’estero. Gli indigeni, come
sempre, sono solo usati, strumentalizzati. Le foto scattate a Lula al fianco di
Raoni sono l’espressione visiva delle promesse mancate contrapposte alla cruda
realtà dei fatti.
Quale è la situazione delle popolazioni indigene amazzoniche ora e cosa bisogna
cambiare?
In Brasile gli indigeni dovrebbero rifiutare di farsi cooptare dal governo
federale, dal momento che molto poco riescono a fare: molti di loro si sono già
“bruciati”, cioè hanno deluso il movimento indigeno organizzato perché difendono
o tacciono su molte scelte ambigue fatte dal governo. In Italia, quello che
andrebbe fatto sarebbe smettere di definire “di sinistra” persone e governi. La
sinistra esiste ancora solo attraverso i movimenti e le organizzazioni popolari.
Se Lula è stato un solido leader sindacale, fondatore del Partito dei
Lavoratori, non significa che per arrivare ad essere eletto e rieletto
presidente di un paese continentale come il Brasile non abbia dovuto modificare
principi e posizioni, non abbia dovuto allearsi alle più disparate e ambigue
forze politiche. Inoltre, come spiegare il fatto che all’interno del suo
partito, apparentemente, sembra non esserci nessuno in condizione di
sostituirlo? Corre voce che si candiderà per l’ennesima volta; e questa, almeno
per me, non è democrazia, ma il perpetuarsi di una posizione di potere. Quello
che andrebbe fatto sarebbe di analizzare con più equilibrio, più attenzione,
meno retorica la situazione politica brasiliana ma, soprattutto, dovrebbe essere
denunciato coraggiosamente, senza mezzi termini, il “capitalismo green”, che è
fortemente praticato anche da multinazionali di origine italiana. Ciò che
andrebbe fatto è denunciare e porre fine al colonialismo, che continua vivo e
vegeto attraverso l’invenzione di nuovi termini e nuove strategie, che sono così
efficaci da ingannare individui e intere popolazioni. Ciò che gli indigeni
fanno, da oltre cinquecento anni, è resistere per esistere.
Bibliografia
Amazônia Real
https://amazoniareal.com.br/repercussao-da-cop30-oscila…/
Apib Oficial
https://apiboficial.org/2025/10/13/as-vesperas-da-cop-povos-indigenas-cobram-demarcacao-de-terras-67-so-dependem-de-uma-assinatura-de-lula/?
Mídia Ninja
https://www.facebook.com/MidiaNINJA
Loretta Emiri, “Amazzonia – Il piromane ha nome e cognome”
https://www.pressenza.com/it/2019/09/amazzonia-il-piromane-ha-nome-e-cognome/
Centro de Formação Yanomami no Ajarani – Dossier
https://drive.google.com/file/d/1O_A3dR4u28VLB_iyrj3Xpxk–xRyYkC0/view?usp=share_link
Durante la privilegiata, come lei stessa sostiene, convivenza con gli Yanomami,
ha raccolto oggetti della cultura materiale di questo popolo. Di particolare
rilievo è il nucleo dedicato all’arte plumaria, collane ed orecchini. Per lunghi
anni ha accarezzato il sogno di sistemare i materiali in luogo pubblico. Il
sogno si è concretizzato all’inizio del 2001, quando il Museo
Civico-Archeologico-Etnologico di Modena ha accolto i 176 pezzi della Collezione
Emiri di Cultura Materiale Yanomami. Nel maggio del 2019, una parte della
collezione è stata esposta al pubblico e ufficialmente inaugurata. Durante tutto
il 2023 e 2024 si è dedicata, sistematicamente, al fomento della creazione del
Centro di Formazione Yanomami, da strutturarsi nell’area indigena Ajarani,
producendo e divulgando vari testi riuniti nel Dossier “Moyãmi Thèpè Yãno – A
Casa dos Esclarecidos – Centro de Formação Yanomami – Dossiê”, Loretta Emiri,
CPI/RR, 01-24.
Lorenzo Poli