
L’ossessione del potere
Comune-info - Thursday, October 9, 2025
Una vignetta di Mauro Biani pubblicata su Azione nonviolentaÈ sempre stato per me un mistero degno delle più approfondite e mai definitive analisi quello dell’attaccamento al potere e della brutalità che questo attaccamento può esprimere.
Non passa giorno che la violenza, nelle sue manifestazioni militari, mediatiche, culturali o di ordine pubblico, sia giustificata in modo impeccabile pur di servire quei governi o gruppi di potere che la applicano.
Lo fa il primo ministro israeliano e la sua compagine ministeriale, che pur di non sciogliere il governo hanno dichiarato una guerra senza fine ai Palestinesi, lo fanno i governi di ex-Paesi socialisti come la Russia o la Bielorussia, in cui i dissidenti muoiono stranamente in carcere, lo fa l’Amministrazione statunitense sempre più propensa a usare le forze armate anche entro i propri confini; lo fanno i mezzi di informazione italiani quando derubricano le folle che scendono in piazza contro ogni genocidio come gruppi di facinorosi, come se il comportamento aggressivo di uno valesse per quello degli altri novantanove pacifici dimostranti. E lo fanno i regimi arabi, che gridano allo scandalo sionista mentre reprimono ogni dissenso interno.
È di questi ultimi giorni la notizia di come dei post sui social media possano portarti alla gogna. Ismail Iskandarani, caro amico di Alessandria d’Egitto, ricercatore specializzato in sociologia politica e movimenti islamici, dopo aver passato almeno sette anni in carcere con l’accusa mai provata di appartenere ai Fratelli musulmani, venne liberato esattamente due anni e nove mesi fa.
Ismail è stato arrestato di nuovo il 25 settembre, con l’accusa di aver pubblicato materiale destabilizzante, per la precisione diciassette post su Facebook in cui esprimeva discretamente la sua opinione, rispondendo a discussioni sull’uso di mezzi repressivi in assenza di processi giusti, sull’accesso delle donne alla carriera giuridica, o sulle politiche di gentrificazione urbana che colpiscono le fasce più deboli.
In Tunisia, invece, il primo ottobre, un cittadino tunisino è stato condannato a morte per aver portato offesa al presidente della Repubblica e al ministro della Giustizia attraverso una pagina Facebook critica nei confronti del potere. Saber Chouchane, in carcere dal gennaio del 2024, aveva un conto Facebook intitolato “Kaies il poveraccio” in riferimento al presidente Kaies Said, conto sul quale Choucane pubblicava critiche al potere, appelli a manifestare o a liberare i detenuti politici, nonché caricature del capo dello Stato e dei responsabili governativi. L’assurdità della condanna alla pena capitale, le cui esecuzioni sono sospese in Tunisia dal 1991, ha colto di sorpresa tutti, al punto che lo stesso avvocato del condannato non si poteva spiegare le motivazioni giuridiche a sostegno della condanna quando ha letto la sentenza.
Quella terribile ossessione del potere, che solo i meccanismi di contrappeso della democrazia e lo spettro del conflitto armato nel corso della Storia hanno saputo contenere, ha radici lontane, e trova la sua base nel sostegno popolare imbevuto di ideologia. Lo scrittore Elias Canetti vi dedicò un’opera enciclopedica, che intitolò Massa e potere (1960), in cui spiegava che l’accentramento del potere si alimenta del sentimento di massa e si esprime attraverso la cultura della sopravvivenza.
Il “candidato accentratore” vincerà la sua sfida quando saprà raccogliere le persone attorno a un presunto senso di persecuzione: si tratta di una particolare suscettibilità, eccitabilità nei confronti di nemici designati come tali una volta per tutte, e le cui intenzioni sono interpretate come risultato di un proposito preconcetto di distruggere, apertamente o subdolamente, la massa in questione.
La “massa” si sente assediata, e questo sentimento di assedio, da parte sia di nemici esterni che di soggetti sleali tra le proprie fila, è la spinta che la rafforza o la divide. Ebbene, la paura del disgregamento, che sempre vive in essa, rende possibile orientarla verso qualunque meta. Qui sta il ruolo della direzione: la massa esiste fin quando la sua meta non è stata raggiunta, e perché una massa possa durare, la meta deve essere spostata più in là. Secondo Canetti, in una massa domina l’illusione dell’eguaglianza, che può esprimersi nell’identità etno-nazionale, nel culto di un passato perduto, o nella minacciosa presenza di un nemico esterno o estraneo. Questa illusione fa in modo che l’alterità del mondo esterno diventi ancora più evidente a chi sta nella massa, e dunque costituisca una minaccia alla sopravvivenza della massa stessa, perché mostra alternative allo stato di uniformità. Ecco quindi che la massa diventa distruttiva; per garantire la propria sopravvivenza, vuole distruggere l’altro, e si affida a chi dà più garanzie di sopravvivenza, tenendo lontano il pericolo dal proprio corpo.
Ecco che subentra il “candidato accentratore”, paladino della violenza legittima, garante della sopravvivenza di quella che Canetti chiama appunto la “massa”. Oggi, questo termine è caduto in disuso, ma facendo le dovute proporzioni, lo potremmo sostituire con “partito”, o “nazione”, o ancora “complesso di interessi” (che sovente viene travestito utilizzando il termine di “economia”), e ci accorgeremmo che le dinamiche non sono tanto cambiate rispetto a quelle che descriveva lo scrittore bulgaro. E come garantirà la sopravvivenza di quelle entità, potremmo dunque chiederci? Beh, uccidendo: manu militari, oppure cristallizzando privilegi o coercizioni che degradano la dignità umana. Gli uccisori restano sempre tra i potenti, l’istante del sopravvivere è l’istante della potenza. Che cosa racconta Plutarco di Giulio Cesare? Che superò tutti i condottieri perché abbatté le più numerose moltitudini di nemici. È l’enorme numero di vittime che fece la sua grandezza, sosteneva il biografo. Sono questi presunti eroi a dirigere le masse e farne uno strumento di potere. Vedete, i sistemi totalitari constano di strutture di potere elementari, e la loro forza si misura in violenza.
Tutto questo vi potrà apparire fantascienza, o letteratura ottocentesca, ma il diritto di decidere sulla vita e sulla morte è lo strumento più sicuro per la conservazione del potere, e viene legittimato o addirittura esaltato dalla “massa”, dal “partito”, dalla “nazione” o da un “complesso di interessi” perché è anche garanzia della propria sopravvivenza*.
Questa pratica non ha mai cessato di esistere, e tuttora si manifesta, apertamente o velatamente, dietro le personalità di numerosi autocrati o “candidati accentratori”. E una delle cose più tragiche, secondo Canetti, è che i potenti sono prigionieri di quella che potremmo definire la “angoscia del comando”, un’angoscia di cui non possono liberarsi perché l’esercizio del comando sta sovente nelle loro sole mani.
Come è possibile, ci potremmo chiedere, che migliaia di persone possano seguire potenti che sono prigionieri delle loro paranoie o fazioni che esercitano un controllo quasi assoluto sulle persone? Canetti viene ancora in nostro aiuto: ogni comando porta con sé un’originaria “minaccia di morte”. I sistemi autoritari si basano sulla legge del più forte e le inversioni di tendenza sono così difficili perché l’esecuzione di un ordine è fondamentalmente ancorata al modello comportamentale degli esseri umani. Il comando, ricordate, è più antico del linguaggio!
Anche il comando, però, ha il suo tallone d’Achille. Ecco allora che subentra il ruolo del “traditore”, di colui che infrange le regole e mette a rischio la propria vita per scombussolare la catena del comando. Sono traditori i disertori, sono traditori i critici dell’ideologia patriottica, come sono traditori quelli che non rispettano le consegne alle frontiere, oppure che dialogano con il nemico dichiarato. Alexander Langer aveva coniato il termine di “traditori della compattezza etnica”, persone capaci di “autocritica verso la propria comunità”, senza diventare “transfughi” perché rimangono radicati nel luogo da cui si allontanano. Estendendone il significato langeriano, sarà solamente tradendo che si potranno incrinare i meccanismi dell’ossessione del potere. Il “candidato accentratore”, il “sopravvissuto ultimo” non avrà nessuna remora nel mandare a morire i suoi uomini, i suoi sudditi, i suoi concittadini per non soffocare nell’angoscia del comando. Sarà in quegli attimi che i più coraggiosi tra loro dovranno isolarlo e rimuoverlo, neutralizzando il meccanismo del comando.
Traditori sono i Refuzenics, traditori sono i dissidenti dell’Est europeo, traditori sono gli studenti che accampano nei campus statunitensi, traditori sono i passeggeri della Flotilla, traditori sono Ismail e Saber, arrestati per utilizzare Facebook in modo intelligente, traditori sono quelli che danno un tetto a apolidi e immigrati irregolari, e più traditori che mai sono i Palestinesi, simbolo di quello che il potere più di tutto detesta: il diritto all’autodeterminazione.
*A questa questione, ho dedicato un capitolo intero della mia ultima opera, Prima dell’apocalisse. I codici della sopravvivenza, Castelvecchi, 2025
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