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La paura
SU COMUNE NON CI STANCHIAMO DI SCRIVERLO: ANCHE IN QUESTO TEMPO ANGOSCIANTE, ESISTONO MODI DIFFERENTI CHE METTONO IN DISCUSSIONE LA PAURA CHE PARALIZZA. PER QUESTO ABBIAMO BISOGNO, PER DIRLA CON JOHN HOLLOWAY, DI IMPARARE A PENSARE LA SPERANZA. INTANTO PERÒ LA PAURA È OVUNQUE, INTORNO E DENTRO DI NOI E LE RAGIONI SONO TANTE. LA PAURA FUNZIONA SEMPRE PIÙ COME L’UNICA CERTEZZA IN UN MONDO CHE HA PERSO TUTTE LE CERTEZZE. IL VERO PROBLEMA È CHE SI GESTISCE LA PAURA SOCIALE PRATICANDO IL TERRORE POLITICO. LA POLITICA ISTITUZIONALE INSOMMA NON ELIMINA LA PAURA, SCRIVE MARCO REVELLI, MA LA RENDE FUNZIONALE A UNO SCOPO: ALLA PRODUZIONE DELL’ORDINE COME CONDIZIONE DI PACE. È QUESTO IL MURO NEL QUALE SIAMO CHIAMATI AD APRIRE CREPE. UN CAPITOLO TRATTO DA QUESTO LIBRO È ILLEGALE. CONTIENE PAROLE CHE INSIDIANO LA “SICUREZZA” (ALTRECONOMIA ED.), REALIZZATO DA OSSERVATORIO REPRESSIONE E VOLERE LA LUNA (CON CONTRIBUTI, TRA GLI ALTRI, DI LIVIO PEPINO, ALESSANDRA ALGOSTINO, ITALO DI SABATO, FEDERICA BORLIZZI, LUDOVICO BASILI, LORENZO GUADAGNUCCI…) Unsplash -------------------------------------------------------------------------------- La Paura entra a far parte con un ruolo centrale nella riflessione sulla Politica assai tardi: in quel punto di passaggio fondamentale tra il “mondo degli Antichi” e il “mondo dei Moderni” che ha come baricentro il XVII secolo. Un nome fra tutti ne sintetizza la valenza “costituente”: Thomas Hobbes, il pensatore a cui, secondo Norberto Bobbio – che gli ha dedicato un’infinità di studi –, può essere attribuita “la prima moderna teoria dello stato moderno”. Come ha scritto nell’opera specificamente a lui intitolata (“Thomas Hobbes”, 1989) “la teoria politica di Hobbes è l’autocoscienza dello stato moderno”. Ebbene, con Hobbes la Paura assume una posizione di assoluta centralità, come fattore fondante non solo della filosofia politica – il che è universalmente riconosciuto – o dell’antropologia, ma anche dell’etica e della gnoseologia. È cioè una categoria “di sistema”: del sistema di pensiero che, forse più di ogni altro, marca con nettezza il passaggio alla modernità. Il “Moderno”, potremmo dire, nasce con nel cuore la Paura. Carlo Galli, parlando di Hobbes, definisce la paura “l’operatore più potente” incorporato nella politica moderna fin dal suo “nucleo originario”. Roberto Esposito la qualifica come il “terribilmente originario”. Bobbio la pone come fundamentum regnorum, suggerendo che tale è ora “il Timore, non la Giustizia”, come invece aveva affermato una lunga tradizione di pensiero prima classico e poi cristiano. Siamo di fronte, senza dubbio, a una cesura. Di più: a una rivoluzione. Una rivoluzione copernicana, paragonabile a quella che appena un secolo prima aveva sostituito alla teoria geocentrica quella eliocentrica. Anche in questo caso, infatti, si assiste – nel campo delle cose umane – alla nascita di un nuovo “paradigma”. Nella riflessione filosofica precedente – nel “paradigma degli Antichi” – la Paura era relegata nel campo (secondario) dei vizi e delle passioni negative: delle debolezze umane e dei comportamenti a-sociali. La cosa è macroscopica nel “mondo degli eroi” omerico, in cui la paura – il “provar paura”, il “lasciarsi vincere” dalla paura – era una vera e propria “catastrofe dell’Io”. La peggior perdita possibile: la distruzione del Kleos (della gloria affidata al canto degli aedi che rende immortali). Ma anche nel modello “socratico-platonico-aristotelico” (chiamiamolo così, con una estrema semplificazione) la paura stava sul versante del negativo. Per Socrate (per il Socrate di Platone, nel Lachete) la paura è un difetto di virtù (la mancata applicazione della “scienza del bene” nelle circostanze date) così come il coraggio consiste nella “virtù tutta intera” (nella forza d’animo guidata dall’intelligenza sistemica di ciò che è “bene fare”). Aristotele – il vero sistematizzatore del modello in “paradigma” – ne tratta in più testi, in particolare nell’Etica a Nicomaco e nella Retorica (libro secondo). In entrambi i testi la Paura – con sfumature diverse: come Kakía (Vizio) in un caso, o come Lupe (Dolore o Sofferenza) nell’altro – aveva a che fare con il non essere “al proprio posto” o col non fare “la cosa giusta”. Non saper riconoscere o non riuscire a compiere ciò che, nell’ordine delle cose, è richiesto per essere all’altezza di ciò che si è (per agire, cioè, in modo “orientato al bene”). L’effetto di un qualche deficit (di abitudine, di volontà, di sapienza) che pone chi ne è preda fuori dall’ordine del mondo: ellittico rispetto al proprio “esserci”: all’essere adeguatamente nel mondo. Gli stoici radicalizzeranno questo concetto, considerando la paura – come quasi tutte le passioni – il frutto di un “errore di giudizio” e del conseguente allontanamento dall’ordine naturale (una rottura della sua armonia); mentre per gli epicurei la paura è un puro non-senso, derivante da ignoranza e irrazionalità dal momento che il sapere di Epicuro mostra che, in realtà, “non c’è nulla di cui aver paura”. Il cristianesimo, infine, porterà alle estreme conseguenze il concetto, leggendo nella Paura il segno del Peccato: essa fu considerata dal cristianesimo delle origini tra i “vizi capitali” in quanto contrapposta a quella tipica virtù teologale che è la Speranza, e dunque “peccato mortale” per sfiducia verso Dio e la Divina Provvidenza. Si può ben comprendere come l’irruzione dell’approccio hobbesiano abbia costituito un passaggio dirompente. In esso la Paura compare fin dalla radice prima del sistema di pensiero, come parte integrante della sua “antropologia meccanicistica” strutturata sul duplice conatus dell’Attrazione e dell’Avversione (le due determinanti fondamentali dei movimenti umani poste alla base della sua meccanica delle passioni). Dell’Appetito e dell’Avversione. Potremmo dire dell’Amore e dell’Odio o anche di ciò che è considerato Bene (l’oggetto dell’Appetito) e di ciò che è considerato Male (l’oggetto dell’Avversione). Una coppia, questa, che se considerata sul piano dell’Immaginazione (della facoltà umana di proiettarsi nell’aspettativa di cose future) configura l’alternativa tra Speranza e Paura: le due passioni fondamentali, destinate a orientare i comportamenti degli uomini, la prima come anticipazione mentale di un Bene, la seconda come anticipazione mentale di un Male. Una coppia potentissima, che affonda le radici, da una parte, nell’istinto di conservazione o di sopravvivenza (il conatus sese conservandi sive preservandi), dall’altra, nella “paura della morte” (la madre di tutte le paure, potremmo dire). Come scrive Hobbes: “La necessità di natura induce gli uomini a volere e desiderare il bonum sibi, ciò che è bene per loro stessi, e a evitare ciò che è nocivo, ma soprattutto quel terribile nemico di natura che è la morte, dalla quale ci aspettiamo la perdita di ogni potere, e anche la maggiore delle sofferenze temporali al momento del trapasso”. Due sentimenti primordiali, radicati nella natura dell’essere, che però non stanno esattamente sullo stesso piano. La seconda (la Paura) prevale emotivamente e logicamente sulla prima (la Speranza) per il semplice fatto che mentre non è immaginabile un Bene assoluto (un Summum bonum), è immaginabilissimo, anzi probabile, un Male assoluto (un Summum malum), che è appunto la scomparsa di sé. Proviamo a incrociare questa considerazione hobbesiana con una delle più note affermazioni socratiche sulla “paura della morte”, là dove si dice senza mezzi termini che “aver paura della morte non è nient’altro che sembrare sapiente senza esserlo, cioè credere di sapere quello che non si sa. Perché nessuno sa se per l’uomo la morte non sia per caso il più grande dei beni, eppure la temono come se sapessero bene che è il più grande dei mali. E credere di sapere quello che non si sa non è veramente la più vergognosa forma di ignoranza?”. Avremo allora la misura della distanza abissale che separa i due sistemi di pensiero e della profondità della cesura consumatasi nel passaggio alla modernità. Qualcosa deve davvero essere accaduto nello stato mentale del tempo per giustificare un simile rovesciamento. E viene a questo proposito illuminante la lucidissima affermazione di Carlo Galli, che, nel registrare questo inedito protagonismo della Paura alla metà del millennio, lo spiega col fatto che “la paura manifesta la propria strutturale produttività solo quando si assume antropologicamente che gli uomini siano ‘rei’ (Machiavelli) oppure timorosi e aggressivi (Hobbes), ovvero quando il legame sociale non consiste più nella eticità né nella naturalità né in un ordine dato”. Soprattutto quest’ultimo: la dissoluzione dell’idea di un “ordine dato”. Di un “cosmo ordinato” nel quale virtuoso è ciò che vi aderisce senza attrito, riproducendo un’armonia delle cose (dell’“ordine delle cose”) nel quale anche la morte, nell’assumere un senso, non si configura come un male (tanto più un “male assoluto”) per collocarsi “al proprio posto”. Non disarmonia estrema ma parte strutturale dell’armonia del tutto. Giocano, in questo passaggio, senza dubbio elementi inerenti alla biografia personale di Thomas Hobbes. Al suo scrivere nel pieno della guerra civile inglese, testimone (e potenziale vittima) di orrori inenarrabili. Lui stesso, nell’“Autobiografia”, ha scritto che “l’unica passione della mia vita è stata la paura”! E ha aggiunto che sua madre, durante la gravidanza, “s’intimorì tanto della minacciata invasione spagnola che partorì due gemelli, se stesso e la paura” (R. Esposito). Bobbio ci ricorda come l’ossessione hobbesiana per l’Unità politica nasca dalla paura e dal fatto che “l’età della formazione e della maturità di Hobbes, è anche l’età che prende il nome dalla più grande guerra religiosa della nostra storia, la guerra dei Trent’anni”. E, soprattutto, Corey Robin dedica pagine potentissime del suo “Fear” per descrivere quanto gli orrori e i terrori della civil war inglese avessero contribuito a plasmare la visione hobbesiana incentrata sul valore assoluto della pace (l’unico “mezzo” efficace contro la paura della morte precoce e violenta): il suo disprezzo e la sua deplorazione verso coloro (predicatori settari o gentiluomini di campagna, lettori sofisticati dei classici greci e latini e brutali uomini d’armi del new model cromwelliano assetati di gloria) che avevano precipitato il Paese in un bagno di sangue. Condizione, umanissima, del fragile “uomo qualunque”, l’individuo solo nella tempesta delle passioni: quello che appunto attira l’interesse in qualche modo inatteso, persino sproporzionato, di un sottile pensatore morale come Elias Canetti, che apprezza appunto in Hobbes il “coraggio di aver paura”. Di parlare – come annoterà Esposito – “dal profondo della sua paura”. Nasce in fondo di lì, da quell’esperienza esistenziale dell’orrore del bellum civilis, il “rovesciamento di tutti i valori” che Hobbes realizza, inaugurando un’“etica inversa”, in cui il vecchio vizio della Paura (diciamolo pure, della “viltà”) diventa virtù etica, e l’antica virtù del Coraggio, vizio (“declassato alla stupidità della vanagloria…, la cui assenza, perfino sul campo di battaglia, non è reato”). E questo perché l’ethos eroico greco, quello dell’Uomo che rifiuta la sottomissione, dell’eroismo della libertà, della Virtù come pratica dell’autonomia verso un Bene sistemico non incarnato in nessuna Autorità, ha prodotto la distruzione dell’Ordine e la Precarietà dell’esistenza. E ora si tratta, al contrario, di stipulare una “semantica dell’obbedienza”. Di elaborare quella che è stata definita la più compiuta teoria dell’obbedienza. Nel pensiero classico era stato il Coraggio a garantire, nella struttura dell’anima, il legame più stretto tra la Ragione e il Desiderio ponendo appunto la Passione dell’anima irascibile sotto il controllo dell’anima razionale (così per il Platone della “Repubblica”). Era stata quella virtù a costituire “il connotato più profondo dello stoicismo” trapassato poi nel cristianesimo, nell’apologia tomistica di Temperanza e Prudenza (forme anch’esse della Ragione). Nel Coraggio stava, d’altra parte, il Valore dell’“auto-affermarsi malgrado la minaccia del non-essere” (l’antidoto contro la resa al nulla). Qui invece, al contrario, è la Paura a fondare l’atto di Ragione, che non è più – lo annota Bobbio – la “capacità di vedere l’essenza delle cose” ma più modestamente capacità di calcolo (“ratiocinatio est computatio”). La quale consiste nella razionale valutazione dei rischi e nell’altrettanto razionale scelta dei mezzi per ridurli e neutralizzarli. Il primo atto umano di Ragione è prodotto dalla consapevolezza che la morte (propria, di sé come individuo) è il massimo dei mali possibili, e nel calcolo dei modi per sfuggirvi. Potremmo dire che, in questa luce, la Paura funziona come l’unica Certezza in un mondo che ha perduto tutte le certezze. O, se si preferisce, l’unico antidoto logicamente accettabile alla sfida dello scetticismo riemerso sulle ceneri del “paradigma degli antichi” bruciato dalla Rivoluzione scientifica del XVI e XVII secolo e dalla contemporanea Riforma protestante. Lo ricorda (ancora lui!) Corey Robin, nel capitolo intitolato appunto “Scetticismo e guerra civile”, in cui si mostra come la centralità della Paura nel suo sistema permettesse a Hobbes di risolvere il problema del fondamento della morale pur ammettendo “le inconciliabili differenze esistenti tra gli uomini a proposito del significato del Bene e del Male”. Hobbes non nega, infatti, anzi rivendica come un dato di fatto “inevitabile” dell’humana condicio, che “per parte sua, ogni uomo chiami BENE ciò che gli piace e gli da gioia; e MALE ciò che gli dispiace: per cui, come ogni uomo è diverso nell’aspetto fisico, tutti differiscono gli uni dagli altri in riferimento alla distinzione comune fra bene e male”. Ma, pur in questa eterogeneità assoluta, un dato residuo comune a tutti. Un comun denominatore (sia pur “minimo”). Ed è che tutti, pur nella diversità, temono la medesima cosa. Che esiste una Paura comune, ed è la Paura della morte. Questa Paura resiste alla soggettivazione perché attraversa orizzontalmente l’intero genere umano. È l’unica Passione che, uniformemente, muove l’essere umano (tutti gli esseri umani, e ognuno) verso la ricerca dell’autoconservazione. Che per tutti e per ognuno coincide con il Bene (proprio, e di ciascuno). Cioè verso la ricerca del mezzo più idoneo a raggiungere questo risultato. In questo senso la Paura è l’unica Passione a coincidere con la Ragione. Per questa via la Paura può “funzionare da codice etico comune” per un insieme di persone che ne siano altrimenti prive. È il nuovo “universale concreto” in un mondo in cui l’universo indistinto sembra aver dissolto tutti gli universali. Prende origine da qui la costruzione della teoria politica hobbesiana in cui la Paura dispiega tutta la propria geometrica potenza. Diventa appunto “l’operatore più potente”. In cui “la paura è incorporata nella Polis” (l’homo timens sostituisce lo Zoon Politikon). E si consuma la trans-sustanziazione della paura privata in forza pubblica svelandosi l’enigma del Leviatano, prodotto e insieme rimedio alla (altrimenti irriducibile) paura dell’uomo per l’uomo. Nel dispositivo hobbesiano che analizza genealogicamente “il Politico” (la sua genesi) la Paura gioca infatti un doppio ruolo: di presupposto della politica (di fattore produttivo dell’atto fondativo del potere politico, il Pactum) e di strumento della politica (mezzo specifico di quel potere). La paura è la condizione psicologica naturale degli uomini nello Stato di Natura: il prodotto dell’insicurezza generata dalla loro stessa eguaglianza e dal conseguente bellum omnium contraomnes, da cui nasce la decisione di stipulare il contratto di comune sottomissione all’Autorità. E insieme – una volta monopolizzata la facoltà di praticare la violenza, trasferita dai singoli appartenenti alla moltitudine nelle mani dell’autorità sovrana – trasformata in instrumentum regni. Risorsa capace di produrre una pace stabile grazie al potere di minaccia assoluto a garanzia del mantenimento del patto. In linguaggio tecnologico, potremmo dire che la Paura sta sia sul versante dell’input che su quello dell’output. In entrata e in uscita rispetto a quella machina machinarum che è lo Stato (il grande Leviatano). È una forma – per certi aspetti tra le più brutali, ma per questo anche tra le più convincenti – che assume la geometria delle passioni: quella variante tipica ancora una volta del moderno, dell’eterogenesi dei fini, per cui si opera perché da un Male (la violenza) si possa ottenere un Bene (la pace, assunta come assenza di conflitto). Da un male come mezzo possa risultarne un Bene come risultato. Con questo astuto meccanismo, si gestisce la paura sociale praticando il terrore politico. Come è stato scritto, si sostituisce una paura incerta (quella che caratterizza lo Stato di Natura e ne rende appunto la vita “solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve”, con una paura certa (quella della pena somministrata dal Sovrano). Cura una paura “incalcolabile” con una “calcolabile”. Non si elimina la paura, ma la si rende funzionale a uno scopo: alla produzione dell’ordine come condizione di pace. Lo esplicita bene Roberto Esposito quando ragiona dei residui che l’operazione hobbesiana sulla paura lascia sul terreno, perché in realtà, appunto, quella transustanziazione della paura non la consuma interamente. Non la rimuove dalla scena. Anzi, la paura rimane in scena, al suo centro: “Si trasforma – così scrive – da paura ‘reciproca’, anarchica, come quella che determina lo stato di natura (mutuus metus) a paura ‘comune’, istituzionale, come quella che caratterizza lo stato civile (metus potentiae communis). Ma non scompare, non si riduce, non regredisce. La paura non si dimentica… Fa parte di noi stessi. Siamo noi stessi fuori di noi. È l’altro da noi che ci costituisce come soggetti infinitamente divisi da noi stessi”. Se infatti – seguo ancora la pista di Esposito – lo “Stato moderno non solo non elimina la paura da cui originariamente si genera, ma si fonda precisamente su di essa fino a farne il motore e la garanzia del proprio funzionamento”, ciò significa, e comporta, che “proprio l’epoca – la modernità, appunto – che si autodefinisce in base alla rottura nei con- fronti dell’origine ne porta dentro un’indelebile impronta di conflitto e di violenza”. In questo consisterebbe appunto l’“arcaicità del moderno”: il suo essere segnato non dalla dissoluzione della violenza primordiale, ma dal suo incapsulamento nell’involucro artificiale del Leviatano. Avvolto come nucleo vitale dall’ingranaggio della machina machinarum. La quale – in quanto Stato – mette sì fine al disordine dello stato di natura, ma all’interno dello stesso presupposto. Trasformando la violenza da minaccia in risorsa. Da “male oscuro” in instrumentum reso razionale solo dal suo uso strumentale ma tale da mantenere intatta, dietro l’involucro istituzionale, la propria originaria wildness. La propria natura di anomalia selvaggia rispetto alla domanda di ordine e sicurezza della Vita. La quale, nel momento in cui l’apparato tecnico della statualità – il dispositivo istituzionale dello Stato Nazione – si indebolisce o si lacera, dilaga incontrollata riprendendosi per intero la propria spazialità orizzontale – come bellum omnium contraomnes – una volta abbattuta la mediazione verticale del “Politico”. Noi, oggi, siamo esattamente in questo punto. E viviamo, per intero, il ritorno ora incontrollato della paura non più come condizione dell’ordine ma come forma del disordine del mondo. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La paura proviene da Comune-info.
La Vuelta costretta a fermarsi per la Palestina
Le proteste contro il genocidio in corso nei territori occupati e contro la partecipazione della squadra Israel Premier Tech alla Vuelta, iniziate in Catalunya e via via cresciute d’intensità durante il passaggio della corsa nei Paesi Baschi e in Galizia, sono culminate ieri a Madrid, scenario di una straordinaria mobilitazione […] L'articolo La Vuelta costretta a fermarsi per la Palestina su Contropiano.
Da una prigione britannica: le parole di un’attivista anti-genocidio
Se si osservano i volti del primo ministro britannico Keir Starmer, della sua Segretaria di Stato Yvette Cooper e di altri leader del Partito Laburista, sembra quasi che la natura stessa abbia voluto dare una nuova espressione alla celebre massima di Hannah Arendt sulla ‘banalità del male’. Queste figure indistinte […] L'articolo Da una prigione britannica: le parole di un’attivista anti-genocidio su Contropiano.
Pacificazione alla turca: repressione dei Repubblicani e schermaglie con le FDS
È durato un tempo quasi nullo l’illusione di pacificazione interna della Turchia in seguito alla cerimonia simbolica di distruzione delle armi da parte del PKK, lo scorso luglio, e alla susseguente creazione di una commissione parlamentare apposita, incaricata di discutere i passi successivi del processo di pace. Immediatamente dopo, infatti, […] L'articolo Pacificazione alla turca: repressione dei Repubblicani e schermaglie con le FDS su Contropiano.
Mantova blindata: nessuno tocchi gli allevamenti
Il prefetto di Mantova ha espresso il suo apprezzamento per le forze dell’ordine che durante Festivaletteratura lo scorso fine settimana hanno messo in piedi un “efficace dispositivo di controllo” in modo da consentire “ai numerosi visitatori (…) di vivere pienamente lo spirito della manifestazione”. Ma chi era a minacciare “l’ordine pubblico” durante un evento letterario? Le stesse attiviste che da anni denunciano inascoltate Festivaletteratura ed altre kermesse cittadine, per gli sponsor da cui ricevono fondi e a cui in cambio fanno pubblicità: le aziende degli allevamenti e dei macelli (come Levoni e Grana Padano) e quelle dei combustibili fossili (la multinazionale Eni). A questo come ad altri eventi precedenti centinaia di agenti in divisa e in borghese hanno pattugliato le vie di Mantova perché nessuna interrompesse una conferenza con uno striscione, distribuisse un volantino o tenesse un’azione simbolica in piazza con la vernice rosso tempera. Dal 2022 le attiviste del gruppo ecologista Fridays for Future sono schedate dalla polizia e ricevono pressioni dagli organizzatori del festival perché non esprimano dissenso nel centro storico (una clausola del loro contratto con Eni non ammette pubblicità negativa). L’anno scorso a Festivaletteratura due attiviste di No Food No Science, collettivo contro lo sfruttamento animale, sono state multate, denunciate ed espulse per anni dalla città con dei “fogli di via”, la misura con cui sbarazzarsi di persone “socialmente pericolose” (a discrezione del questore) che dal 1956 ha sostituito il confino fascista. Quest’anno a maggio attiviste dello stesso gruppo durante il festival Food & Science (organizzato tramite Confagricoltura e sponsorizzato dai grandi marchi dell’industria della carne, incluso Inalca di Cremonini, il più grande in Europa) hanno ricevuto altre denunce, fogli di via e multe che ammontano a svariate migliaia di euro per uno striscione affisso davanti al municipio (che dava ironicamente il foglio di via alla giunta comunale). Negli ultimi giorni, dal 3 al 7 settembre, per l’edizione di quest’anno di Festivaletteratura le attiviste sono state costantemente pedinate per le strade, seguite persino dentro una gelateria, come mostrano in un video sui social media. Domenica sera sedici persone sono state fermate per ore con il pretesto di controllare i documenti da agenti appostati appena fuori da due circoli Arci, Virgilio e Papacqua, dove si è tenuto il controfestival letterario Pagine Animali per parlare di giustizia climatica e multispecie. A fine giornata, dopo che due attiviste hanno inscenato una protesta alla libreria del festival con vernice rossa lavabile e un libro che rappresentava i loghi delle aziende criticate, sono state sollevate di peso perché se ne andassero. Eppure tutte sanno che gli allevamenti come i combustibili fossili hanno un peso devastante non solo sulle vite degli animali e dei migranti impiegati dalle aziende per accudirli in cattività e poi ucciderli, ma anche sull’accelerazione della crisi eco-climatica: come ha scritto l’artista Violinoviola in un post su Instagram, che era tra le vittime dei prolungati quanto ingiustificati controlli di polizia a Mantova davanti al circolo Arci Virgilio questa domenica, “l’industria zootecnica è la prima causa di emissioni di Co2 a livello globale, la principale causa delle zone morte degli oceani, la principale responsabile della deforestazione, dell’antibioticoresistenza, dell’impoverimento del suolo eccetera eccetera (l’elenco sarebbe ancora lungo). Senza contare che l’aria di Mantova è ammorbata da una puzza insostenibile di merda visto che è circondata da allevamenti intensivi di maiali e mucche”. La provincia mantovana è la prima in Italia per il numero degli animali rinchiusi in gabbie e capannoni, ma gli amministratori delegati delle aziende che sponsorizzano Festivaletteratura sono i primi a insistere sulla necessità di espandere sempre di più le infrastrutture di questi allevamenti per tenere il passo con il mercato cinese. È sempre più evidente che questo modello produttivo oppressivo e insostenibile ha i giorni contati, ma che gli industriali famelici che ne traggono i maggiori profitti lo manterranno il più a lungo possibile, finché non si troveranno costretti da una forte volontà politica a metterlo da parte. Le attiviste, insultate sui social come fannullone e privilegiate da una folla di commentatori, indignati che qualcuno interrompa il regolare corso degli eventi, sono tra le poche voci che si stagliano in un panorama di silenzio assordante contro aziende come Levoni, Grana Padano e Eni. La speranza ora è che siano scrittori e scrittrici ospiti di Festivaletteratura ad unirsi al coro di chi esprime questa contraddizione tra un evento che si proclama dalla parte dei diritti e dell’ambiente da una parte, dall’altra i suoi sponsor ecocidi e la polizia che perseguita i manifestanti: Eva Meijer, pensatrice olandese che si occupa di linguaggi e organizzazioni politiche degli animali non umani, si è già schierata con le attiviste, inaugurando venerdì 5 il controfestival di No Food No Science Pagine Animali. Il gruppo antispecista mantovano ha provato anche a interpellare altri ospiti eccellenti di Festivaletteratura, affiggendo manifesti con i loro nomi e volti nel centro di Mantova, abbinati ad immagini di allevamenti e pozzi petroliferi (gli sponsor del festival). Ma la repressione in Italia e in Europa si fa ogni giorno più dura per chi si oppone, chi lavora, chi migra, chi vuole proteggere l’ambiente e le altre specie con cui lo dividiamo: lo possono testimoniare le attiviste antispeciste della provincia di Vercelli, che erano presenti al circolo Arci Virgilio di Mantova venerdì 5 per intervenire al controfestival di No Food No Science Pagine Animali. Hanno raccontato di come a giugno durante un sit-in davanti ad un maxi allevamento di galline ovaiole in costruzione nel paese di Arborio, del gruppo Bruzzese, la polizia ha tolto loro cibo, acqua ed ombrelloni ed ha impedito alla popolazione che gliene portassero, per un giorno intero, sotto il sole cocente. Ventuno persone hanno ricevuto denunce e fogli di via. Diverse sono state in ospedale. Due che hanno resistito fino al giorno successivo le hanno portate via in manette. Sull’accaduto è in corso una interrogazione parlamentare, ma i lavori di costruzione del maxi allevamento continuano imperterriti. No Food No Science Redazione Italia
Lecornu primo ministro, la Francia in fiamme
La crisi francese è una tragedia per l’Unione Europea. Nello stesso momento in cui Ursula von der Leyen legge il suo «discorso sullo stato dell’Unione» davanti ad un parlamento distratto e spaccato (ne parleremo a parte), si insedia il nuovo primo ministro scelto da Emmanuel Macron e parte la prevista […] L'articolo Lecornu primo ministro, la Francia in fiamme su Contropiano.
Napoli, stop alle “zone rosse”: cittadini e giuristi vincono contro i provvedimenti repressivi
Il TAR annulla le ordinanze prefettizie che delimitavano aree a regime speciale di sicurezza. Il Coordinamento denuncia: “La sicurezza urbana non si costruisce con misure emergenziali, ma con politiche sociali e partecipazione”. -------------------------------------------------------------------------------- I FATTI A dicembre 2024, il Prefetto della Provincia di Napoli ha istituito, per un periodo di tre mesi, le cosiddette “zone rosse”: aree della città in cui vige un regime speciale di sicurezza, con divieto di stazionamento per coloro che siano stati segnalati per alcuni reati e che assumono atteggiamenti aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti, tali da determinare un pericolo concreto per la sicurezza pubblica e ostacolare la libera e piena fruibilità di quelle aree. L’ordinanza (n. 505525 del 31 dicembre 2024) viene poi prorogata per ben due volte, l’ultima il 30 giugno 2025. La misura è finalizzata a implementare la sicurezza della cittadinanza in alcune aree della città, sulla base dell’art. 2 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, che attribuisce all’Autorità di Pubblica Sicurezza il potere di adottare misure indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico. I reati indicati sono spaccio di stupefacenti, lesioni, reati predatori, detenzione abusiva di armi e altri; sono invece esclusi l’omicidio e le molestie a sfondo sessuale. Il provvedimento si presenta dunque come misura straordinaria, ma soprattutto istituisce confini all’interno della città. LA REAZIONE È questo aspetto, in particolare, a destare preoccupazione in alcuni componenti della società civile. Nasce così un coordinamento di giuristi, abitanti, associazioni e spazi politici che temono una cristallizzazione delle divisioni sociali attraverso l’uso spinto di provvedimenti speciali. Il 13 marzo si riuniscono in un’assemblea pubblica presso lo Zero81 – laboratorio di mutuo soccorso. I componenti del Coordinamento – si legge nel primo comunicato – affermano che tali atti sono lesivi delle libertà fondamentali sancite dall’ordinamento democratico, senza garantire una migliore vivibilità della città. Pur riconoscendo che la sicurezza è un tema concreto che incide sulla qualità della vita degli abitanti e di chi attraversa lo spazio urbano, osservano che i problemi sociali vanno affrontati con interventi preventivi su servizi, istruzione, sanità, lavoro e casa, e non risolti attraverso modalità repressive. Il timore principale è che il provvedimento colpisca categorie sociali ed economiche marginali, come i migranti. Per questo viene lanciata una campagna informativa nei quartieri interessati. Alla campagna aderiscono A Buon Diritto Onlus, attiva dal 2001 per la tutela dei diritti fondamentali e l’assistenza a persone private della libertà, e ASGI, associazione nata nel 1990 che riunisce avvocati e giuristi esperti di immigrazione, asilo e cittadinanza. Particolarmente critica è la posizione dei consiglieri della II Municipalità Chiara Capretti e Pino De Stasio, che evidenziano il mancato rispetto del principio di sussidiarietà. A loro si aggiunge la voce del professore Alberto Lucarelli che, in un articolo del Corriere del Mezzogiorno del 16 aprile 2025, si dichiara sostenitore della campagna, sottolineando che, in base al provvedimento, gli agenti possono ordinare l’allontanamento anche solo a persone destinatarie di una denuncia o di una segnalazione per reati minori. “Per la presunzione di pericolosità – scrive Lucarelli – non è richiesta neppure una sentenza di primo grado. Emergono caratteristiche da stato di polizia: la gestione ordinaria dell’ordine pubblico si trasforma in permanente gestione dell’emergenza, utilizzando con enorme discrezionalità provvedimenti repressivi che mirano soprattutto a garantire il decoro urbano. L’ordinanza del Prefetto e le sue proroghe si presentano come repressive e liberticide e, tra l’altro, non sono pensate come reale controllo del territorio contro reati riconducibili alla criminalità organizzata”. I PRIMI DATI Il 7 aprile il Ministero dell’Interno ha pubblicato i risultati dei controlli effettuati fino al 31 marzo in applicazione dell’ordinanza: a Napoli, su un totale di 81.235 persone controllate, risultano 120 ordini di allontanamento, di cui 10 a carico di stranieri; a San Giorgio a Cremano, su 4.976 persone controllate, un solo ordine di allontanamento. Secondo la Prefettura, “i dati evidenziano i positivi risultati raggiunti al fine della prevenzione e del contrasto alla criminalità e a ogni forma di illegalità. Infatti, alla scadenza dei provvedimenti adottati per Napoli, Castellammare di Stabia, Pompei, Pozzuoli e San Giorgio a Cremano, il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal Prefetto Michele di Bari, ne ha disposto la proroga per ulteriori tre mesi. Non si esclude l’adozione di analoghi misure per altre comuni dell’area metropolitana”. IL BRACCIO DI FERRO TRA ASSOCIAZIONI E PREFETTURA Le associazioni non concordano e si preparano alla battaglia giuridica. Il 4 giugno viene depositato ricorso al TAR di Napoli dagli avvocati Stella Arena (Foro di Nola) e Andrea Eugenio Chiappetta (dottorando in Diritto costituzionale presso l’Università Federico II). Ricorrenti: ASGI, A Buon Diritto, residenti, cittadini, associazioni e consiglieri della II Municipalità. Il 17 giugno il TAR rigetta il ricorso, poiché l’ordinanza era in scadenza, attestandone però la fondatezza, ravvisando un difetto nell’esercizio di potere. Le associazioni tornano alla carica e, con la seconda proroga, ripresentano ricorso per motivi aggiunti. Il 22 luglio il TAR emette una sentenza di annullamento, riconoscendo che “difettano i presupposti per l’esercizio di potere e risulta comunque violato il principio per cui i provvedimenti contingibili e urgenti devono avere durata limitata nel tempo”. Il Prefetto, in una dichiarazione alla stampa, afferma di rispettare la pronuncia ma annuncia che “la sentenza sarà appellata innanzi al Consiglio di Stato”. GLI SVILUPPI Il Coordinamento No Zone Rosse Napoli continua il suo lavoro. La decisione della Prefettura di adottare nuove misure straordinarie relative ad altre zone della città – come lungomare e Coroglio – viene definita dai giuristi una forzatura, che rischia di trasformare Napoli in una città a spazi controllati e libertà ridotti, con provvedimenti eccezionali reiterati che il Tribunale ha già dichiarato illegittimi. Il 5 settembre si è svolta una nuova assemblea a Zero81 (Largo Banchi Nuovi, Napoli) per denunciare – si legge nel comunicato diffuso sul profilo Instagram @nozonerosse.napoli – l’uso distorto dei poteri prefettizi, l’assenza di trasparenza nelle ordinanze e per riaffermare che la sicurezza urbana non si costruisce con zone rosse, ma con politiche sociali, partecipazione democratica e cura dei territori. Il Coordinamento rivolge anche un appello al sindaco Gaetano Manfredi: chiarire se intenda governare una città aperta, inclusiva e rispettosa della Costituzione o condividere logiche emergenziali che limitano lo spazio pubblico. Il team legale annuncia nuove impugnazioni: “La Costituzione non ammette scorciatoie sui diritti”. ALCUNE RIFLESSIONI Questa vicenda non è solo una questione giuridica per addetti ai lavori: sono in gioco principi fondamentali. Il primo riguarda il rapporto fra Stato e territorio: la sicurezza nello spazio pubblico va garantita, ma nel rispetto dei diritti costituzionali. L’attuazione di regole di convivenza civile non dovrebbe essere affidata alla discrezionalità di poteri straordinari, come accade quando problemi endemici di ordine pubblico vengono affrontati con strumenti emergenziali invece che con politiche sociali mirate. C’è poi il nostro rapporto con la città: come la viviamo? come vengono trattati i bisogni collettivi dalle istituzioni? E i disagi delle categorie più fragili, come le persone a marginalità economica e sociale, o la questione abitativa? Se sicurezza e decoro diventano le uniche priorità, la città rischia di essere trattata come un luogo da abbellire, dimenticando che – soprattutto a Napoli, come ricorda l’UNESCO – il vero patrimonio è rappresentato dalle persone che la abitano. -------------------------------------------------------------------------------- FONTI * Prefettura di Napoli – Esiti controlli zone rosse, 31/0 * Fanpage, 30 luglio 2025 * Corriere del Mezzogiorno , 16 aprile 2025 (articolo di Alberto Lucarelli) Redazione Napoli
Raid dell’antiterrorismo britannico contro i solidali con Palestine Action
Il 2 settembre, all’alba, la polizia britannica ha fatto irruzione nelle case di cinque membri di Defend Our Juries (DOJ), arrestando le cinque persone. Nei film siamo abituati a vedere trattamenti del genere per pericolosi boss mafiosi o terroristi, e difatti l’operazione è stata svolta dall’antiterrorismo, ma nei confronti di […] L'articolo Raid dell’antiterrorismo britannico contro i solidali con Palestine Action su Contropiano.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale aderisce alla manifestazione del 6 settembre a Milano per il Leoncavallo
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale aderisce alla manifestazione unitaria di sabato 6 settembre che si terrà a Milano, con partenza alle 14.30 da Porta Venezia, contro lo sgombero effettuato dalle forze dell’ordine dello storico centro sociale Leoncavallo. Come evidenzia il comunicato finale “C’è ancora domani”, assunto al termine di un’affollatissima assemblea tenutasi presso la sede della Camera del Lavoro di Milano, lo sgombero del Leoncavallo è stato un atto di pura prepotenza. Si è affermata una logica di tipo prefettizio che ha volutamente saltato le trattative in corso tra il Comune di Milano e le/i rappresentati del Leoncavallo, per valutare la possibilità di trovare una nuova sede per il centro sociale. Si tratta di un atto che si inserisce nella logica autoritaria di un governo che intende reprimere ogni forma di conflitto sociale e di libera costruzione di luoghi di aggregazione sociale e di produzione culturale, coerente con il pessimo “decreto sicurezza” che vuole impedire ogni forma di dialettica democratica in nome di un presunto ordine e di una ben più concreta difesa della proprietà privata e degli interessi dei grandi gruppi finanziari. Infatti Milano è da tempo oggetto dei desideri speculativi dei fondi finanziari internazionali del tutto insensibili alle esigenze abitative e sociali dei cittadini, a partire da quelli meno abbienti. Le forze politiche che governano Milano non hanno voluto e saputo contrapporsi efficacemente a questa offensiva del capitale finanziario, come dimostra anche la parabola del famoso decreto “salva-Milano”. Per questo è indispensabile la difesa dei centri sociali e l’entrata in campo delle forze e dei movimenti sociali a difesa dei loro diritti all’abitare, al fruire di spazi liberi dalla speculazione edilizia, alla possibilità di dare vita a iniziative politiche e culturali alternative per esprimere i bisogni profondi di una popolazione urbana che viene sempre più spinta ai margini della vita della città. Milano, medaglia d’oro della Resistenza e teatro di tante lotte operaie, studentesche, popolari che hanno tenuto viva la democrazia contro gli attacchi di forze anticostituzionali e fasciste, che sono ricorse anche a tremendi attentati per imporre con la violenza il loro potere, non può accettare che atti e provvedimenti reazionari tentino di cancellare la sua storia. La presidenza del Cdc Redazione Milano
La Flotilla dell’umanità è in viaggio sotto un cielo stellato; le stelle, però, sono droni
Partita da Barcellona per Gaza, la Global Sumud Flotilla affronta sorveglianza militare, minacce e sostegno internazionale . Il 2 settembre, le prime barche della Global Sumud Flotilla erano partite da meno di 48 ore da Barcellona, quando, intorno alle 22:30 ora italiana, mentre navigavano a circa novant miglia nautiche dall’isola di Minorca, sono state intercettate da tre droni. Ma cos’è la Global Sumud Flotilla? È un’azione civica, nata dal basso, nell’ambito del Movimento Globale a Gaza, composta da circa cinquanta imbarcazioni civili, con a bordo attivisti provenienti da quarantaquattro paesi del mondo. L’obiettivo è creare un corridoio umanitario per Gaza, sotto assedio israeliano da mesi. Sulla flottiglia è puntata l’attenzione di quella parte di mondo che riconosce i diritti umani e il valore della vita; purtroppo, però, non soltanto di quella. La presenza dei droni sulla flottiglia è stata comunicata dall’attivista Thiago Avìla attraverso una diretta lanciata sul profilo Instagram del movimento @globalmovementtogaza. Thiago è ormai un volto noto per chi segue la causa palestinese: climattivista e militante per i diritti umani, è stato protagonista di una precedente spedizione della Freedom Flotilla, membro dell’equipaggio della barca Madleen, bloccata illegalmente dall’IDF, sempre attraverso droni e quadcopters (quadricotteri militari). Nella diretta, Thiago ha evidenziato, mettendo in allerta il resto dell’equipaggio, che i droni potevano essere lì per una ricognizione di sorveglianza ordinaria dell’autorità marittima competente su quelle acque; oppure per un attacco militare. A chi non abbia seguito attentamente gli ultimi sviluppi dell’invasione di Gaza potrebbe sembrare un’affermazione forte. Invece, la seconda ipotesi è molto plausibile. Infatti, come chi scrive sottolineava poco prima, all’enorme e commovente solidarietà che è giunta da ogni parte del globo (è notizia recente che anche Emergency sosterrà la flotta e affiancherà le imbarcazioni con natanti di supporto logistico e medico), si sono contrapposte le dichiarazioni del governo israeliano: sul Jerusalem Post di tre giorni fa, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, annunciava che stava per presentare un piano al governo secondo cui «tutti gli attivisti arrestati saranno trattenuti in detenzione prolungata, a differenza della precedente prassi, nelle prigioni israeliane di Ketziot e Damon, utilizzate per detenere i terroristi in condizioni rigorose tipicamente riservate ai prigionieri di sicurezza. Non permetteremo a chi sostiene il terrorismo di vivere nell’agiatezza». Tale piano è stato considerato illegittimo da vari giuristi esperti di diritto internazionale. La relatrice speciale Onu per i territori palestinesi, Francesca Albanese, ha definito l’azione della Global Sumud Flotilla «pienamente conforme al diritto internazionale». Secondo Albanese, «ogni tentativo di fermare o intercettare le imbarcazioni nelle acque internazionali costituirebbe una violazione della libertà di navigazione sancita dal diritto marittimo». È questo il clima in cui naviga oggi la flotta per Gaza, la flotta dell’umanità. Ma torniamo ai droni, ai quadricotteri. Tutti e tutte ne abbiamo sentito parlare. Vengono usati come regalo per i bambini al compleanno, dai fotografi per i matrimoni, dalla protezione civile per la prevenzione degli incendi. Eppure, facendo una ricerca su AI Overviews, leggiamo che sono “piccoli aerei a pilotaggio remoto, utilizzati per ricognizione, sorveglianza e attacchi mirati, che offrono una maggiore protezione delle forze armate grazie alla fornitura di dati in tempo reale e riducendo la necessità per i soldati di accedere ad aree pericolose. Dotati di sensori e telecamere avanzati, questi droni possono operare di giorno e di notte e alcuni modelli sono dotati di funzionalità sull’intelligenza artificiale per l’edge computing e la navigazione avanzata. Le loro dimensioni ridotte e laità rapida di impiego li rendono ideale per le unità di fanteria, sebbene la loro proliferazione, in particolare nei conflitti come quello di Gaza, abbia sollevato anche significative preoccupazioni etiche riguardo all’impatto sulla popolazione civile e al potenziale uso improprio”. Non bisogna essere esperti di ingegneria aerospaziale per capire, quindi, che i droni sono l’esempio perfetto delle tecnologie dual use, cioè di quell’insieme di dispositivi e sistemi operativi che, nati per scopo pacifico, sono oggi largamente utilizzati nelle attività belliche. Un tema che solo di recente è giunto alla ribalta della cronaca, soprattutto per l’uso che se ne sta facendo in Palestina. Che la questione sia delicata lo dimostra il fatto che l’unica base giuridica che prova a disciplinare la materia sia il Regolamento (UE) 821/2021, attraverso cui le produzioni di questi dispositivi vengono supervisionate dall’Unione Europea. I primi droni, però, da ciò che ci dicono le fonti, sono stati impiegati già nel XX secolo, in particolare dagli Inglesi nella Prima guerra mondiale. Non è un po’ tardi arrivare, solo nel 2021, all’adozione di un regolamento europeo per questa materia? Sì, lo è: se, nel secolo scorso, a Sarajevo, durante l’assedio, per sparare alla popolazione civile in mezzo alle strade venivano assoldati mercenari che si posizionavano sui tetti dei palazzi o sulle colline circostanti, nel terzo millennio il cecchinaggio avviene attraverso la tecnologia. Le testimonianze su come l’IDF usi i droni contro la popolazione civile non si contano più, da parte della stampa, dei medici, dei sanitari. La robotizzazione della sparatoria aumenta esponenzialmente la distanza tra la bocca e la vittima e, quindi, trasporta l’atto omicida verso una derivazione di disumanizzazione che non ha precedente. Così, il lavoro delle bombe intelligenti viene coadiuvato perfettamente dai droni killer. La Global Sumud Flotilla, flotta dell’umanità, naviga verso la spiaggia di Gaza che, ricordiamolo sempre, rispetto all’Italia è soltanto dall’altra parte del Mediterraneo; come per i Gazawi, anche per gli attivisti della Sumud il pericolo può arrivare dall’alto, silenzioso e imprevedibile, sotto forma di una piccola lucina nel cielo, che però non è una stella. Non c’è protezione dai droni, per i civili disarmati di Gaza come per gli equipaggi delle imbarcazioni. Forse, però, i nostri occhi possono farsi luce, diventare fari. Tenerli aperti su Gaza e sulla flottiglia può essere una missione, per chi crede che questo massacro vada fermato. La difesa del diritto alla vita dei Gazawi e della permanenza dignitosa sulla loro terra è difesa del diritto internazionale e, quindi, delle nostre stesse esistenze. Ogni cosa è connessa. Da terra, si può e si deve costruire una flotta, che attraversi tutti i paesi e che faccia pressione sui governi, come un’azione internazionalista tra i popoli, a protezione delle barche. È quello che sta facendo il GMTG in tantissime città. Seguiamola, quest’onda, portiamo i nostri corpi nelle piazze e rispondiamo numerosi alla chiamata per le flotte di terra che ci sarà il 4 settembre. Sulle pagine del GMTG ci sono tutti gli appuntamenti: a Napoli, ci vediamo alle 18:00 in Largo Berlinguer. Sosteniamo la Global Sumud Flotilla Fonti Jerusalem Post, 30 agosto 2025 – http://link https://www.jpost.com/israel-news/article-865898 La Repubblica, 1 settembre 2025 Redazione Napoli