Contro la legge del potere di morteSIAMO ABITUATI A PERCEPIRE LO STUPRATORE COME UN SOGGETTO DEVIANTE E A
SOTTOVALUTARE LA DIFFUSIONE , OVUNQUE, DEGLI STUPRI DI GRUPPO. LA FRATELLANZA
MASCHILE CHE DIVENTA CORPORAZIONE MASCHILE, BASATA SULLA LEALTÀ DEGLI UOMINI TRA
LORO E SUL CARATTERE GERARCHICO DELLA MASCOLINITÀ, È UNA STRUTTURA CHE SI
RIPRODUCE IN TUTTI GLI ORDINI E IN TUTTE LE SOCIETÀ, IN TUTTI I RAPPORTI DI
POTERE. DA LÌ VIENE ANCHE LA GUERRA, DICE RITA SEGATO, ANTROPOLOGA ARGENTINA, LE
CUI RICERCHE SULLA VIOLENZA DI GENERE SONO UN RIFERIMENTO FONDAMENTALE NEGLI
STUDI FEMMINISTI IN TUTTO IL MONDO. ANCHE PER QUESTO IL GENOCIDIO DI GAZA, COME
DIMOSTRATO DA UN RAPPORTO PRESENTATO ALL’ONU, È STATO ACCOMPAGNATO DALL’USO
SISTEMATICO DI VIOLENZE SESSUALI E DI GENERE DA PARTE DELLE FORZE DI SICUREZZA
ISRAELIANE CONTRO DONNE E RAGAZZE PALESTINESI ARRESTATE. “GAZA È IN APPARENZA UN
LONTANO ARCO DEL CRIMINE DELLO STUPRATORE COMUNE, CHE FA UNO SPETTACOLO DELLA
SUA POTENZA… MA GAZA È ANCHE UNO SPETTACOLO. IL GENOCIDIO DI GAZA È TOTALMENTE
DIVERSO DA TUTTI I PRECEDENTI GENOCIDI CHE HANNO COLPITO L’UMANITÀ. PERCHÉ TUTTI
GLI ALTRI ANCORA INVOCAVANO LA FINZIONE GIURIDICA… GAZA ANNUNCIA CHE UNA NUOVA
LEGGE È IN VIGORE, CHE È LA LEGGE DEL POTERE DI MORTE…”. CONTRO QUELLA “LEGGE”
TANTE E TANTI SCENDERANNO IN PIAZZA SABATO 22 NOVEMBRE A ROMA CON IL CORTEO DI
NON UNA DI MENO, “SABOTIAMO GUERRA E PATRIARCATO. PER IL DIRITTO
ALL’AUTODETERMINAZIONE DEI CORPI E DEI POPOLI”
Foto SOS Gaza
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Le ricerche di Rita Segato, antropologa, scrittrice e attivista argentina sulla
violenza di genere e, in particolare, le sue riflessioni sui femminicidi a
Ciudad Juárez (Messico) sono un riferimento fondamentale negli studi femministi.
Segato ritiene che la violenza maschile sia una questione di potere. Questo la
porta a concepire il genocidio di Gaza come un’esibizione della «legge del
potere di morte». Parliamo qui del genere come potere, dell’emergere di una
nuova «etica» nel mondo in crisi e delle complesse strategie attuali del potere
imperiale.
Hai studiato qualcosa che solo Frantz Fanon poteva fare, cioè ascoltare gli
stupratori e le donne violentate, che permette di conoscere a fondo i
comportamenti patriarcali. Quando parli della crisi della fine dell’umano, quali
cambiamenti puoi vedere rispetto a quei mostruosi violentatori che hai
intervistato anni fa?
Quello che ho scoperto in quel momento, e ho chiamato la fratria maschile, è il
fatto che nello stupro c’è una disciplina della vittima, un rapporto verticale
in cui la vittima è controllata, dominata, disciplinata, oppressa dal
personaggio dello stupratore, che rappresenta la mascolinità. Ma c’è un’altra
linea, un asse orizzontale, in cui il suo atto è diretto agli occhi degli altri
uomini. L’analisi femminista si è sempre concentrata sul rapporto
aggressore-aggressione, ma io affronto il rapporto ponendo l’attenzione anche
sugli occhi che vedono lo stupro come spettacolo, quindi parlo di quel crimine
come violenza espressiva, una denominazione molto valida. Non è una violenza
strumentale, utilitaria della libido maschile che si appropria del corpo della
donna. Chiariamo subito una cosa. L’ho detto finora: il crimine patriarcale è un
crimine politico, non morale, religioso o consuetudinario. È la forma primaria
di oppressione e di estrazione di plusvalore. E potremmo dire senza timore di
sbagliarci che è un plusvalore di prestigio, di status.
Se lo stupro è un fatto politico, di affermazione del potere, l’esibizione ha
altri oggetti che non sono solo le vittime…
Enfatizzo la questione della relazione tra gli uomini e credo che la novità del
mio argomento sia l’enfasi nel dire che questa estrazione di valore dal corpo
delle donne è la gioia, una gioia narcisistica, autoreferenziale. Il mio è
un’analisi del potere che si appaga per la sua esposizione ad altri uomini e
alla società. Il buon senso che abbiamo inculcato ci insegna a percepire lo
stupratore come un soggetto anomalo, deviante, solitario, ma, tuttavia, le
statistiche ci mostrano che la maggior parte dei crimini di stupro sono
perpetrati in gruppi, in bande. Si tratta di un crimine «nella società».
Come si relaziona questa fratria del potere maschile con le guerre attuali?
L’aggressione sessuale è un crimine che, nonostante la quantità di leggi già
ratificate, non può essere controllato. Questo tipo di violenza non cede. Ciò
che accade nel presente è che la fratellanza maschile, la fratellanza maschile
che ora descrivo come corporazione maschile, basata sulla lealtà degli uomini
tra loro e sul carattere gerarchico della mascolinità, è una struttura che si
replica e riproduce in tutti gli ordini, in tutte le società, in tutte le
gerarchie, in tutti i rapporti in cui vediamo potere e disuguaglianza. Sono
repliche di questo primo e basale ordine corporativo. Da lì viene anche la
guerra. Parlando una volta a Buenaventura, costa del Pacifico colombiano, uno
spazio iperviolento, qualcuno del pubblico mi ha chiesto: «Come si finisce
questa guerra, che non può finire con un patto o un’amnistia perché è una guerra
totalmente informale?». Una tale guerra si ferma smontando il mandato di
mascolinità, che è il dispositivo che permette di reclutare i soldatini che
formeranno le fazioni belliche.
E come appare il genocidio del popolo palestinese in questa deriva analitica?
Gaza è in apparenza un lontano arco del crimine dello stupratore comune, che fa
uno spettacolo della sua potenza, che ha bisogno di esibirla, il che gli dà il
titolo di maschio. Ma Gaza è anche uno spettacolo. Il genocidio di Gaza è
totalmente diverso da tutti i precedenti genocidi che hanno colpito l’umanità.
Perché tutti gli altri ancora invocavano la finzione giuridica, si nascondevano
dietro l’ordine del diritto. Il primo genocidio e il più grande di tutti è stato
la Conquista, e ci hanno sempre detto che a quel tempo regnavano le leggi delle
Indie. Ma nessuno può credere che dal sud della Penisola, dall’altro lato del
grande mare fino al Nuovo Mondo, queste leggi avessero qualche capacità di
condurre alla vita. Qui c’è una palese menzogna, perché il continente
latinoamericano è stato conquistato da bande, che erano di fatto i gruppi armati
che hanno ripulito il territorio. In Brasile queste bande hanno persino un nome
e un monumento a San Pablo: i bandeirantes.
Bande che hanno un sacco dei gruppi di stupratori attuali. In entrambi i casi
sono maschi predatori della vita, delle donne e della natura.
Certo, i bandeirantes percorsero tutto il territorio portoghese uccidendo
indiani e ogni animale che trovavano, ripulendo i territori per poterli
occupare. Il carattere fondante e fondamentale che hanno avuto le bande nella
pulizia del nostro continente è la chiave per capire Gaza.
Ho la sensazione che, mentre gli stupratori di Ciudad Juárez non ti abbiano
disconnesso dal non-umano, Gaza sì, nonostante l’indignazione. Forse perché
quest’ultima rappresenta una rottura con il concetto di “essere umano”.
Questo genocidio è un punto di svolta della storia. Perché nell’Olocausto si
poteva vedere, in filmati, la sorpresa degli eserciti alleati quando entravano
in un campo di concentramento. Si poteva percepire in coloro che arrivavano la
perplessità e l’orrore che sperimentavano perché era stato nascosto al mondo ciò
che stava accadendo nei lager, perché c’era ancora un simulacro giuridico
vigente, esisteva ancora una grammatica giuridica. Nel mio testo del 2009, Il
grido inudibile, casualmente ripubblicato nel libro Scene di un pensiero
imbarazzante nel 2023, ho detto che con lo sterminio palestinese è finita la
grammatica giuridica. Quando non c’è più una legge che sia in grado di governare
il comportamento, rimane solo la forza. La legge è una fede, una finzione, un
discorso in cui mettiamo credito. Ma quella finzione giuridica cadde con Gaza.
La credenza che esistesse un ordinamento giuridico che permettesse l’aspettativa
di comportamento è scomparsa. Non si può non sapere cosa sta succedendo a Gaza.
Con questa esibizione senza pudore e senza alcun diritto che la contenga, si può
dire che Gaza annuncia che una nuova legge è in vigore, che è la legge del
potere di morte. Il potere della morte è la legge. D’altra parte, nei momenti di
divagazione, mi viene in mente che il sacrificio di Gaza è una specie di nuova
crocifissione, proprio nello stesso luogo, che avrà come conseguenza di
illuminare le coscienze in un modo nuovo. È una specie di epifania, e rendersi
conto mi porta molte volte ad affermare che si tratta di un punto di svolta
della storia, un cambiamento d’era. Persino alcuni membri delle forze armate
degli Stati Uniti stanno gridando il loro disaccordo. Gaza illumina le coscienze
in un modo nuovo.
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8 marzo 2022: foto di Non una di meno Milano
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I nazisti nascondevano i campi, così come le dittature del Cono Sud (Argentina,
Cile, Uruguay, ndt) nascondevano i centri di detenzione. Non osavano mostrare le
torture o la loro stessa popolazione. Benjamin Netanyahu, al contrario, dice ai
suoi che lo sterminio è necessario e lo dimostra.
È una cosa quasi incredibile, enunciano, dicono senza la minima vergogna che
stanno uccidendo per occupare quelle terre e fare affari. Ci sono registrazioni
di soldati e anche civili israeliani che affermano l’importanza di uccidere
tutti i palestinesi senza alcun problema etico o morale. Né legale.
Durante la Conquista ci fu un noto dibattito tra Juan Ginés de Sepúlveda e
Bartolomé de las Casas sul fatto che gli indigeni avessero un’anima; un
dibattito di alto contenuto etico e politico. Ma qui tutto si riduce al potere
di morte.
È la novità del nostro tempo. Perché il potere di morte ha sostituito il diritto
o, meglio, si è costituito esplicitamente nel diritto. Possiamo pensare che con
la scomparsa della ragione umanitaria dall’orizzonte storico della nostra epoca
sia caduta l’etica? Non lo vedo così. Ci troviamo di fronte a una nuova etica
che si basa su idee che Hannah Arendt sviluppa in L’origine del totalitarismo,
quando dice che sia nello stalinismo che nel fascismo emerge un diritto più
rilevante dei diritti delle persone, che è il diritto della storia. Per i
nazisti, il diritto della storia è costruito a partire dall’idea di una razza
superiore, con l’obiettivo di ottenere la purezza della razza ariana. La legge
storica, dunque, è quella che determina lo sterminio di tutto ciò che impedisce
questo transito. Nel caso dello stalinismo, è un mondo egualitario senza classi.
Tutto ciò che è disfunzionale, tutto ciò che impedisce o disturba il transito
storico verso la destinazione preconcepita come obbligatoria, potrà essere
eliminato.
Come interviene il capitalismo?
Oggi, la concezione della storia sostiene l’accumulo-concentrazione come valore,
come il valore che orienta il corso della storia. Quasi direi che è la nuova
utopia della storia, per quanto incredibile possa sembrare a molti. Tutto ciò
che è disfunzionale all’accumulo-concentrazione deve essere eliminato. L’umanità
perfetta è quella dei proprietari. Il dominio in corso del pianeta determina
l’esistenza di un’eccedenza umana, quelli che non sono funzionali al processo di
dominio, al processo dell’accumulazione del capitale, sono destinati alla morte.
Questa è l’ideologia del presente.
È il caso dei Donald Trump, Javier Milei e direi di tutta l’estrema destra
europea e buona parte della destra.
Non è, come pensiamo noi che lo facciamo dal campo critico, che c’è una crisi
etica. C’è è un’altra etica, un’altra ideologia che è diventata egemonica. Ci
troviamo di fronte a un quadro di valori che afferma il diritto, il dovere
dell’accumulazione come superiore ai diritti delle persone. Questo capitalismo
non è di sfruttamento del lavoro salariato, ma soprattutto di spogliamento, di
guerra contro i popoli e la madre terra… , in cui una piccolissima minoranza si
impadronisce del pianeta. Non dobbiamo più parlare di ineguaglianza perché è
poco, ma di proprietà. Arendt menziona in un piè di pagina che Hitler, nel suo
diario, scrive che i prossimi ad essere sterminati sarebbero i cardiaci.
Ma tutti loro sono stati eletti democraticamente.
Le definizioni di democrazia affermano, erroneamente, che una maggioranza nelle
elezioni garantisce un ordine democratico. È un grande errore perché permette di
intendere per democrazia una dittatura della maggioranza. Ci sono alcuni eletti
che trasformano la democrazia in una dittatura. Non possiamo dimenticare che non
c’è democrazia possibile senza pluralismo. C’è qualcosa che sta succedendo che è
molto difficile da capire nella storia degli Stati Uniti in questo momento. È
sorprendente il cambiamento di strategia nella guida di quel paese. E questo,
che deve essere notato e considerato, si presenta difficile da capire perché è
un rifiuto di una strategia di mezzo secolo. Pensiamo: quando finisce la seconda
guerra mondiale, gli Stati Uniti sottraggono un vantaggio alla Russia – che,
sebbene sia stata fondamentale nella vittoria contro il nazismo, non può
approfittarne – si presenta al mondo come la democrazia, la sua cartolina al
mondo è l’immagine di un paese che ha distrutto il male del totalitarismo. Da lì
si costituisce come una nazione montata su due zampe: una di queste è il potere
stesso, economico e bellico. Cioè la nazione più ricca e meglio armata del mondo
e, progressivamente, con la migliore intelligenza bellica (spionaggio, capacità
di infiltrazione, ecc.). Ma l’altra gamba su cui poggia la sua potenza è quella
dell’egemonia: la «finzione democratica», la «finzione giuridica» di pieni
diritti per la loro cittadinanza.
L’egemonia era il potere di seduzione degli Stati Uniti, la terra della libertà
dove migrano i perseguitati dal nazismo e dal fascismo, ma anche quelli
perseguitati da Stalin. Un paese che sembrava offrire opportunità a tutti.
Esatto. Dopo il 1948, in una seconda tappa di questo processo di costruzione del
l’egemonia nel mondo, cioè della presentazione al mondo di una serie di valori
capaci di rappresentare gli interessi di tutta la gente, sorge un pezzo
mancante, assunto negli anni ’60 da Lyndon Johnson, dopo l’assassinio di John F.
Kennedy: la lotta contro il razzismo e la fine dell’apartheid negli stati del
sud; la grande legge sui diritti civili, che proibiva la discriminazione
razziale e la segregazione negli spazi pubblici, nell’istruzione e nel lavoro, e
la legge sul diritto di voto degli afroamericani e delle altre minoranze. Sono
convinta che quest’ultimo dimostra questo impegno per il consolidamento
dell’egemonia dei valori americani nel mondo. È un primo passo negli anni
sessanta, attraverso il quale questa democrazia diffonde l’idea
dell’integrazione razziale. In un secondo momento, viene presentato il passo
successivo di tale sforzo e si verifica in concomitanza con la caduta del muro
di Berlino. Gli Stati Uniti danno un nuovo passo egemonico che è il
multiculturalismo, che intendo come contropartita al gesto di restituire i loro
stati alle nazioni che componevano l’Unione Sovietica. Due gesti, est e ovest,
di stampo democratico. Il gesto del mondo capitalista, liberale, il gesto
dell’Occidente, chiama e rende visibili quelle che oggi chiamiamo identità
politiche e offre loro diritti e risorse. Il mondo passa a percepire le donne,
gli afrodiscendenti, gli indigeni, le sessualità dissidenti LGBTTTIQ+ come
identità querelanti sulla scena pubblica. Di ciascuno di questi appezzamenti,
come ha sottolineato il grande intellettuale nero statunitense Cornel West, una
parte otterrà l’inclusione e un’altra parte, la maggioranza, rimarrà esclusa.
Analizzo a lungo questo tema nel mio libro La nazione e i suoi altri del 2017,e
oggi sono fortemente critica della trappola della minoritarizzazione nella quale
ci ha immerso il multiculturalismo. La proposta multiculturale, sostenuta da
fondi di tutti gli organi di cooperazione statunitensi, è stata un terzo momento
di costruzione e sforzo per l’egemonia.
Perché dici questo del multiculturalismo?
Perché ha chiaramente costruito un regime di colonialità all’interno dei
movimenti sociali. All’interno del movimento nero, per esempio, impone forme di
auto-identificazione, comportamenti, costruzione dell’immagine e lotta che non
nascono dalla storia coloniale e schiavista della latinità. Nel mio libro sul
tema insisto su una distinzione tra identità politiche multiculturali e
«alterità storiche», che nascono da altre storie, con strutture di alienazione,
discriminazione ed esclusione proprie. Le donne del mondo hanno percepito e
denunciato il carattere colonizzatore del femminismo eurocentrico. In Brasile,
per esempio, è molto chiara la forma di discriminazione e dominazione
all’interno del movimento LGBTQ+, che, sebbene abbia permesso conquiste, allo
stesso tempo ha imposto, a volte in modo doloroso, il suo modello. Nelle nostre
società ci sono forme molto ancestrali di uomini femminili. Nel candomblé c’è
una transitività di genere molto forte. Ma appare il gay statunitense che deve
andare in palestra, creare muscolatura, e passa ad imporsi come modello. Questo
è uno degli esempi della colonialità all’interno dei movimenti sociali. Oggi
posso dire che sono fortemente critica dell’identitarismo, della
minoritarizzazione e del wokismo. Ogni differenza è universale. Menziono tutto
questo per rendere visibile che ci sono state almeno tre fasi dello sforzo degli
Stati Uniti per presentare al mondo e, in verità, influenzare il mondo
attraverso la costruzione di progetti di immagine democratica. Questo è ciò che
sto descrivendo come la costruzione di un’egemonia mondiale. Questi tre periodi
– la vittoria sull’oppressione nazista nella seconda guerra mondiale, la fine
dell’apartheid e il multiculturalismo – sono stati parte del progetto egemonico
degli Stati Uniti. Anche la scienza e l’industria cinematografica e televisiva
fanno parte di questa strategia. Ma, e questo è ciò che bisogna capire, la
strategia dell’egemonia viene improvvisamente cancellata. L’idea di una nazione
democratica viene distrutta e il mondo assiste a un cambiamento radicale di
rotta, un cambio di discorso e di costruzione d’immagine radicale. Sono convinta
che il nostro sforzo d’ora in poi sia quello di cercare di capire perché il Nord
si decide per questo cambiamento di strategia e di rotta. Perché sceglie la
costruzione di un’altra immagine per se stesso, in cui la misoginia, il
razzismo, la guerra, lo sterminio e persino l’appoggio al genocidio diventano la
cartolina, l’auto-immagine della nazione presentata al mondo. Perché si rinuncia
al progetto di paese egemonico, in termini di valori e immagine democratica.
Quale strategia lo sostituisce?
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Pubblicata originariamente su Brecha
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L'articolo Contro la legge del potere di morte proviene da Comune-info.