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Erano più di 100 i “turisti mercenari” italiani che pagavano per uccidere civili a Sarajevo
Quando l’apertura dell’inchiesta da parte del pm Alessandro Gobbis è stata resa nota alla stampa, si parlava del coinvolgimento di “almeno cinque stranieri” citati direttamente dalla fonte, dei quali tre sarebbero stati italiani: “Un uomo di Torino, uno di Milano e l’ultimo di Trieste”. Quelle sono solo le persone che sono coinvolte nell’indagine sin dall’inizio, ma negli ultimi mesi sono state sentite molte altre persone e più fonti, riuscendo ad avere un numero esatto. “Posso dire che sono sicuramente più di cento gli italiani coinvolti nei safari umani” – ha dichiarato a Fanpage.it la criminologa Martina Radice, la quale ha lavorato insieme al giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni nell’elaborazione dell’esposto che ha dato il via all’inchiesta della Procura di Milano sui “turisti di guerra” che, durante l’assedio serbo, nei fine settimana si recavano nella capitale bosniaca per sparare ai civili dietro il pagamento di elevate somme di denaro. L’esposto di Gavazzeni si basa su quanto affermato da un ex agente dei servizi segreti bosniaci. L’ex 007 ha riferito di numerose persone che negli anni dell’assedio di Sarajevo, tra il 1992 e il 1996, venivano “accompagnati a sparare ai civili” dalle colline che circondano la capitale bosniaca. La criminologa Radice, alla quale si è rivolta Gavazzeni oltre un anno e mezzo fa, ha allegato all’esposto del giornalista una consulenza nella quale ha stilato un profilo di questi soggetti, affermando: “Parliamo di persone che oggi potrebbero avere tra i 60 e gli 80 anni, perché all’epoca negli anni ’90 erano molto giovani, tra i 30 e i 40 anni d’età. Sono soggetti con una elevatissima disponibilità economica, sicuramente sopra la media, che stavano ai piani alti della società e che soprattutto avevano come denominatore comune la passione per la caccia. Sappiamo che questi stessi soggetti già facevano safari illegali, andando a uccidere elefanti, leoni e altri animali di grossa taglia. Fonti sempre più certe ci hanno fornito altri dettagli, di cui però ancora non possiamo parlare per via delle indagini. Tra di loro si chiamavano “arcieri” e oggi possiamo definirli anche come serial killer. (…) Il problema principale è che quando pensiamo a un serial killer, lo immaginiamo come un soggetto ai margini della società, che ha disturbi mentali più o meno evidenti, isolato anche dal punto di vista fisico. Qui, però, si tratta di persone che occupano i corridoi del potere e che vivono nel lusso. Ci sono soggetti che lavoravano come medici, magistrati, avvocati, notai e imprenditori che dal lunedì al venerdì svolgevano normalmente la loro attività e godevano del riconoscimento della società, poi il venerdì sera partivano e andavano a sparare a persone inermi. Un contrasto che possiamo identificare nella psicopatia d’élite, dove il soggetto riesce tranquillamente a vivere entrambe le facce della stessa medaglia. Stiamo parlando di persone che potevano spendere senza problemi anche quelli che oggi sarebbero 300mila euro in un weekend solo. (…) Secondo me, sono soggetti che ancora oggi sono altamente pericolosi. La domanda è proprio questa: finita la guerra in Bosnia, dove sono andati, cosa hanno fatto? (…) È possibile, dunque, che una volta terminata la guerra, negli anni seguenti questi soggetti abbiano commesso altri tipi di reati. Potrebbero essere investimenti pericolosi nel mondo degli affari, o maltrattamenti contro la compagna, o comunque episodi di violenza che non hanno avuto grande copertura giornalistica. Comunque sia, ancora oggi il turismo di guerra è presente. A Gaza arrivano turisti per fare picnic mentre con il binocolo guardano le bombe esplodere e le persone morire.” Per poter uccidere civili a Sarajevo i “turisti della guerra” sarebbero arrivati a pagare anche 300mila euro di oggi in un solo weekend. Per questo motivo, secondo Radice, si trattava di persone “che si trovavano tra i piani alti della società, e che avevano la passione della caccia”, come “medici, magistrati, avvocati, notai e imprenditori che dal lunedì al venerdì svolgevano normalmente la loro attività e godevano del riconoscimento della società, poi il venerdì sera partivano e andavano a sparare a persone inermi”. Secondo Radice, questi “turisti di guerra” non sarebbero stati animati da odio religioso o ideologie politiche, ma “solo dalla ricerca della pura adrenalina”. Mentre la Procura di Milano ha aperto un fascicolo per omicidio volontario plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà, dopo l’esposto presentato dal giornalista Enzo Gavazzeni, con il supporto degli avvocati Guido Salvini e Nicola Brigida, il dottor Gianni Tognoni torna su quei terribili anni della guerra nell’ex Jugoslavia. “In quelle udienze pubbliche, a un certo punto, è venuto fuori da testimonianze dirette di esuli della Bosnia, che c’erano civili di altri Paesi, alcuni anche dal Nord Italia, che avevano trasformato le loro cacce di selvaggina in caccia all’uomo, organizzati e pagando” – aveva affermato a Fanpage.it il dottor Gianni Tognoni, segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli che si era occupato nel 1995 dei crimini contro la neonata Bosnia Erzegovina, durante l’assedio di Sarajevo (1992-fine 1995) e il massacro di Srebrenica. “Siamo stati i primi a fare un Tribunale pubblico per quello che stava succedendo nell’ex Jugoslavia, per esprimere un parere indipendente. Allora non c’era ancora la Corte penale internazionale, quella guerra ci aveva fatto fare urgentemente una sessione a Berna con il supporto dell’Unione degli avvocati svizzeri”, ci racconta Tognoni. “Dal punto di vista formale quello dei cecchini europei che andavano a sparare era diventato un problema su cui indagare”, come raccontato dalle testimonianze degli esuli bosniaci riparati in Europa. “Noi non avevamo il potere penale di investigare  – continua Tognoni – ma segnalavamo il problema. Era chiaro che qualcuno doveva prendere in mano la cosa, per approfondire” soprattutto sugli italiani coinvolti. Il Tribunale Permanente dei Popoli è un organismo indipendente, nato nel 1979, per promuovere i diritti umani. Anche grazie al lavoro svolto all’epoca da questa organizzazione, si sono riaccesi i riflettori sui “Safari umani” organizzati durante l’assedio di Sarajevo, quando dalle colline sulla città, oltre ai militari e paramilitari serbi e serbi-bosniachi, anche civili arrivati da Paesi europei avrebbero sparato sulla popolazione inerme. L’assedio di Sarajevo, con i militari schierati sulle colline e la città isolata, ha provocato più di diecimila vittime tra cui oltre 1500 bambini: per questo una corte speciale, il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, ha condannato nel 2016, tra gli altri, l’ex presidente della Serbia Slobodan Milosevic e il capo dei serbi-bosniaci e comandante militare Radovan Karadzic. I crimini commessi all’epoca non si prescrivono. E l’inchiesta di Milano potrebbe portare all’identificazione degli autori: “Confidiamo ci siano risultati significativi” spiega a Fanpage.it l’avvocato ed ex giudice di Milano Guido Salvini che ha curato l’esposto. “È possibile procedere anche in Italia – continua l’avvocato Salvini – perché trattandosi di omicidi per motivi abietti sono punibili con l’ergastolo e sono punibili anche se un italiano li ha commessi in altri Paesi”.   Lorenzo Poli
Sarajevo Safari, lo scandalo del “turismo di guerra” in Bosnia
La vicenda dei ‘safari’ a Sarajevo era stata denunciata nel libro  “I bastardi di Sarajevo” – pubblicato nel 2014 e ripubblicato quattro anni dopo, scritto da Luca Leone, giornalista, scrittore e co-fondatore di Infinito Edizioni che lo aveva editato. Leone, che si era interessato a lungo e in maniera approfondita delle vicende bosniache, soprattutto legate al conflitto, era intervenuto nel 2022 in occasione dell’uscita di ‘Sarajevo Safari’, il documentario dello sloveno Miran Zupanic. “I giornalisti che lavoravano a Sarajevo, ma anche tutta la popolazione assediata della citta’ durante la guerra, sapevano” del caso dei cecchini paganti, confermò all’ANSA. “Stranieri da tutta Europa – c’erano anche italiani – pagavano ai checkpoint gestiti dai paramilitari serbi sia in Croazia sia in Bosnia per poi passare un fine settimana a sparare sui civili” sopra Sarajevo, disse all’epoca. Lo scrittore aveva descritto nel libro il cecchinaggio compiuto da stranieri come un normale pacchetto turistico parlando anche di un italiano – guidato dal paramilitare e killer Snajper – tranquillo imprenditore che non si accontenta di uccidere di frodo orsi e altri animali, ma nel fine settimana di trasgressione vuole provare, come altri prima di lui, il brivido di uccidere un essere umano. “I bastardi di Sarajevo” di Luca Leone Ora il caso dei cecchini del weekend a Sarajevo è ritornato alla ribalta in seguito ad una recente testimonianza di un ex-007 bosniaco. allo scrittore Ezio Gavazzeni, il quale nei mesi scorsi ha depositato un esposto in Procura a Milano, che ha portato all’apertura di un’inchiesta per omicidio volontario plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà. Durante l’assedio nella guerra in Bosnia alcuni “turisti della guerra”, anche italiani, andavano a sparare a donne e bambini, era conosciuto dai servizi segreti italiani. L’allora Sismi, ex servizio segreto italiano per le informazioni e la sicurezza militare, avrebbe «scoperto» poco più di 30 anni fa di quei viaggi dell’orrore nella capitale bosniaca assediata dai serbo-bosniaci, con i cecchini che partivano da Trieste, e sarebbero riusciti a bloccarli. Tra loro ci sarebbero anche italiani, rimasti finora impuniti, che 30 anni fa avrebbero partecipato ai viaggi andata e ritorno, versando l’equivalente di 100mila euro di oggi a chi li organizzava, con Trieste come snodo per raggiungere dalla Lombardia o dal Triveneto prima Belgrado e poi Pale e Sarajevo, la loro destinazione, forse utilizzando i velivoli della ex compagnia aerea serba di charter Aviogenex. Lì si univano alle milizie serbo-bosniache responsabili del più lungo assedio della storia moderna a una città, che ha provocato oltre 11mila morti fra cui duemila bambini. Cittadini di Sarajevo si riforniscono d’acqua con la paura dei colpi di mortaio e del fuoco dei cecchini. L’assedio durò dal ’92 al ’96 «Caro Ezio – ha scritto l’ex agente dell’intelligence bosniaca in un carteggio mail -, i servizi bosniaci hanno saputo del ‘safari’ alla fine del 1993. Tutto questo è successo nell’inverno 1993/94. Abbiamo informato il Sismi all’inizio del 1994 e ci hanno risposto in 2-3 mesi: ‘Abbiamo scoperto che il safari parte da Trieste. L’abbiamo interrotto e il safari non avrà più luogo’». Dopo di che, ha spiegato ancora la «fonte» dello scrittore indicata con nome e cognome, «il servizio bosniaco non ebbe più informazioni sul fatto che il safari si ripetesse a Sarajevo». Testimonianze e documenti su cui dovrà fare chiarezza ora l’indagine del pm Alessandro Gobbis, condotta dal Ros dei carabinieri, emersa a luglio 2025 e partita di fatto ieri (11 novembre 2025) con un vertice tra inquirenti e investigatori, che hanno anche iniziato ad acquisire atti del Tribunale Penale Internazionale dell’Aia sull’ex Jugoslavia, dopo il deposito dell’esposto dello scrittore, assistito dagli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini, ex magistrato milanese. «Non abbiamo ottenuto dal Sismi i nomi dei cacciatori o degli organizzatori – ha aggiunto -. Quindi, dovrebbe esserci un documento del Sismi che attesta che nella prima metà del 1994 a Trieste hanno scoperto il punto da cui parte il safari e che hanno interrotto l’operazione. Non abbiamo mai avuto dettagli … non sappiamo se qualcuno è stato arrestato». «Temo che non sia possibile trovare la corrispondenza tra il Sismi e i servizi segreti bosniaci – ha scritto l’ex 007 -. Non sono riuscito a trovarla negli archivi militari di Sarajevo, i documenti sono classificati come Top Secret e solo la Corte che potrebbe trattare il caso può avervi accesso». Dal «testimone», chiarisce Gavazzeni, «si apprende che le comunicazioni tra le intelligence bosniaca e italiana erano frequenti» e presso «gli archivi bosniaci si trova l’incartamento, ma è stato tutto secretato e non è disponibile». Anche per poter «aver accesso alla documentazione», l’ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Karic, ha «inoltrato un esposto alla magistratura, ma senza risultato fino ad adesso». Lo scrittore, dunque, ha chiesto agli inquirenti milanesi di verificare se in Italia, lato ex Sismi, «esista copia della documentazione», anche perché «all’interno potrebbero esserci dei nomi», dato che i servizi sarebbero stati in grado «di dissuadere i cacciatori italiani dal continuare». Quei turisti-cecchini volavano con una «compagnia aerea serba» e «all’arrivo a Belgrado» trovavano delle persone «ad aspettarli che poi in elicottero li portavano a destinazione». Doveva esserci «passaggio di denaro, da una parte in ‘chiaro’, dall’altra in ‘nero'” ed è «difficile pensare che questo tipo di traffico non sia stato registrato dai nostri servizi e che non ci siano delle informative, rapporti e comunicazioni in merito». L’ex prima cittadina di Sarajevo nelle sue denunce del 2022 ha fatto anche riferimento alla «testimonianza di un anonimo ufficiale dei servizi segreti sloveni», il quale avrebbe riferito che per «sparare a un bambino» veniva versato «addirittura un compenso monetario più alto», cosa a cui ha «assistito personalmente mentre ascoltava gli attori di questo evento, ricchi» stranieri «amanti di queste imprese disumane». Il pm Alessandro Gobbis ha aperto un fascicolo d’inchiesta, al momento a carico di ignoti, ipotizzando il reato di omicidio volontario “aggravato dai motivi abietti e futili”, commesso in concorso fra più persone a Sarajevo tra il 1993 e il 1994, affidando gli accertamenti ai carabinieri del Ros. La ex-sindaca di Sarajevo Benjamina Karic ha ricordato come nel 2022, quando era alla guida della capitale bosniaca, abbia presentato una denuncia penale contro persone non identificate coinvolte in tale vicenda. «Siamo rimasti tutti colpiti dal tema del documentario ‘Sarajevo Safari’, che racconta di individui irresponsabili pagati per sparare a civili innocenti durante l’assedio di Sarajevo», ha detto Karic citata oggi dai media locali. “Sarajevo Safari” di Miran Zupanic Slovenia, 2022 «Nel settembre 2022 – ha aggiunto – ho presentato una denuncia penale alla Procura contro persone non identificate che seminavano morte a Sarajevo e i loro complici. Nell’agosto scorso ho inoltrato una denuncia penale alla Procura di Milano, tramite l’Ambasciata d’Italia a Sarajevo, che ha avviato un’indagine e mi sono resa disponibile a testimoniare». L’ex sindaca sostiene che «un’intera squadra di persone instancabili sta lottando affinché la denuncia non rimanga lettera morta. Non ci arrendiamo!». https://english.elpais.com/international/2025-11-11/human-safaris-in-sarajevo-milan-investigates-1990s-trips-where-tourists-allegedly-paid-to-kill-civilians.html https://www.leggo.it/schede/11_novembre_2025_cecchini_weekend_sarajevo_sismi_servizi_segreti_sapevano-l_ex_sindaca_testimone-5-9182304.html https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/cecchini-del-weekend-sarajevo-qmfrwmfi https://www.rainews.it/tgr/fvg/articoli/2025/11/safari-della-morte-a-sarajevo-il-profilo-del-triestino-coinvolto-34b05788-13a3-48a8-b60b-9f9d857f05de.html https://it.gariwo.net/libri-and-co/film/ex-jugoslavia/sarajevo-safari-25501.html > “Sarajevo Safari”: il turismo dei cecchini durante la guerra in Bosnia https://www.avvenire.it/attualita/sparavano-a-bimbi-e-ragazze-il-racconto-choc-sui-turisti-cecchini-a-sarajevo_100824 https://www.instagram.com/reel/DJ175Yapxri/ https://www.rsi.ch/info/mondo/%E2%80%9CCecchini-del-weekend%E2%80%9D-a-Sarajevo-per-sparare-sui-civili–3270173.html  https://www.rtvslo.si/capodistria/radio-capodistria/notizie/italia/italiani-indagati-per-aver-pagato-per-fare-i-cecchini-del-weekend-a-sarajevo/763589 https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/cecchini-weekend-sarajevo-sismi_105855647-202502k.shtml   Lorenzo Poli
A Sarajevo bisogna camminare in fretta
«PER RAGGIUNGERE IL PALAZZO DEL PARLAMENTO BOSNIACO NEL CENTRO DI SARAJEVO BISOGNA CAMMINARE IN FRETTA, SENZA FERMARSI. CI HANNO RACCOMANDATO DI FARLO DIJANA E LASNA, INQUILINE DEL SESTO PIANO DELL’EDIFICIO CHE HA VOLUTO OSPITARE LA DELEGAZIONE ITALIANA GIUNTA A SARAJEVO, ULTIMA TAPPA DELL’INIZIATIVA “TRE CITTÀ, UNA PACE” DEL CONSORZIO ITALIANO DI SOLIDARIETÀ…». COMINCIA COSÌ IL REPORTAGE DI MARCO CALABRIA E MATTEO MODER PUBBLICATO SU IL MANIFESTO DEL 7 GENNAIO 1994 E RACCOLTO OGGI NEL LIBRO GRIDARE, FARE, PENSARE MONDI NUOVI (ELEUTHERA). IN QUESTI GIORNI, GRAZIE A UN ESPOSTO DEL GIORNALISTA EZIO GAVAZZENI (IN REALTÀ LA NOTIZIA SI È PIÙ VOLTE DIFFUSA IN PASSATO MA NON HA RAGGIUNTO I “GRANDI” MEDIA), APPRENDIAMO CHE DURANTE L’ASSEDIO DI SARAJEVO, TRA IL 1993 E IL 1995, QUANDO UNDICIMILA PERSONE FURONO UCCISE, CI FURONO DIVERSI “CECCHINI DEL WEEKEND” ITALIANI, APPASSIONATI DI ARMI E SIMPATIZZANTI DELL’ESTREMA DESTRA, CHE RAGGIUNSERO LE COLLINE INTORNO ALLA CITTÀ, PAGANDO I MILITARI SERBO-BOSNIACI, PER SENTIRE L’ADRENALINA DELLA MORTE: I BAMBINI COSTAVANO DI PIÙ, POI GLI UOMINI ARMATI, QUINDI QUELLI NON ARMATI, LE DONNE E INFINE I VECCHI CHE SI POTEVANO UCCIDERE GRATIS Sarajevo. Foto unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- «Resistenza per Sarajevo» (Marco Calabria e Matteo Moder) Per raggiungere il palazzo del parlamento bosniaco nel centro di Sarajevo bisogna camminare in fretta, senza fermarsi. Ci hanno raccomandato di farlo Dijana e lasna, inquiline del sesto piano dell’edificio che ha voluto ospitare la delegazione italiana giunta a Sarajevo, ultima tappa dell’iniziativa «Tre città, una pace» del Consorzio italiano di solidarietà. Dobbiamo incontrare Kemal Muftic, consigliere del presidente Izetbegovic e direttore dell’agenzia B.H. Press. Muftic esprime perplessità per il percorso che ha preceduto l’arrivo della delegazione nella capitale bosniaca. È molto scettico sulla partecipazione, certo non di massa, dei cittadini di Zagabria e Belgrado alle manifestazioni promosse dai pacifisti italiani. «Per le operazioni umanitarie bisogna aprire l’aeroporto di Tuzla. Tutto il mondo è d’accordo, i serbi no. Non ci può essere pace senza libertà – chiarisce Muftic – Non so spiegare perché tanta ferocia, non dovete domandare a me perché anche padri di famiglia e contadini vengano a sparare a noi». L’unica risposta è che vivono in un regime fascista di tipo cileno, ma con una fortissima sindrome da accerchiamento. «La comunità internazionale – prosegue il portavoce governativo – ha lasciato che l’armata serba si scatenasse senza intervenire e oggi non ci consente ancora di poterci difendere. Questa guerra ha già fatto più di 300.000 vittime in Bosnia e a Sarajevo si continua a morire» [a oggi le morti stimate sono poco più di centomila N.d.C.]. Muftic si fa poche illusioni sull’utilità di un’informazione critica in Europa. Descrive con pungente ironia l’incontro avuto con Valery Giscard d’Estaing, venuto a Sarajevo a portare la solidarietà del parlamento francese. «La politica di non intervento dei governi occidentali ha già dato i suoi frutti. Guardate dalla finestra», è il suo amaro commento sostenuto dalle voci di fabbricazione europea delle armi usate dagli assedianti. A Sarajevo lo sanno tutti, lo leggono sulle migliaia di schegge di granate che si possono raccogliere in strada. Non servono conferme o smentite ufficiali, non cambia poi molto se si tratta ‘Parlal por «L’Onu noi di forniture dirette o passate per mani terze. Muftic pensa che l’Europa non potrà tollerare culturalmente ciò che è avvenuto a Sarajevo, ma la scelta di non intervento è ai suoi occhi cinicamente lineare. «La gente qui non ha fiducia, né si sente protetta dall’Unprofor. Noi stessi non ci sentiamo sicuri nell’affidare una delegazione straniera alle forze dell’Onu. Un anno fa è stato ucciso il vicepresidente del nostro governo su un mezzo blindato dell’Onu. Se altri non vogliono farlo, chiediamo ancora una volta di poterci difendere da soli. L’Onu deve togliere l’embargo. Dobbiamo difendere molti civili in questa città che ha deciso di non arrendersi, a Mostar e nelle altre città bosniache assediate. La nostra capacità di resistenza aumenta ogni giorno, nonostante lo stillicidio dei massacri quotidiani. Ma ad ogni nostra avanzata sulle colline di Sarajevo consegue una rappresaglia sui civili in altre zone, magari non di guerra, come Banja Luka. Lì i serbi hanno distrutto 1.200 moschee, cimiteri, luoghi di culto, tutte le tracce di una cultura che vogliono estirpare». La situazione è del tutto chiara per Il consigliere di Izetbegovic, l’idea della Grande Serbia nata nel XIX secolo, è stata rinnovata con l’ascesa al potere di Milosevic. «Qui a Sarajevo non hanno optato per un golpe – prosegue Muftic – che non sarebbe stato troppo difficile da organizzare con una repentina decapitazione del governo bosniaco. Hanno scelto di fare come gli europei con le popolazioni indigene in America: cancellazione sistematica delle persone fisiche, della cultura, dei monumenti e della storia. L’Europa invita alla pace e alla vita in comune. In Bosnia questo esiste da otto secoli. Sarajevo è questo, ma la Jugoslavia è stata distrutta e adesso vogliono distruggere la Bosnia per fare una grande Serbia e una grande Croazia. Ma non si può fermare il fascismo solo con le parole. Dovreste saperlo, ci vuole la Resistenza», conclude in italiano Muftic. -------------------------------------------------------------------------------- Questo articolo, pubblicato originariamente su il quotidiano il manifesto del 7 gennaio 1994, fa parte oggi del libro Gridare, fare, pensare mondi nuovi (Eleuthera). L'articolo A Sarajevo bisogna camminare in fretta proviene da Comune-info.
BOSNIA – ERZEGOVINA: SARAJEVO NON DIMENTICA LA PALESTINA. MOBILITAZIONI CONTINUE NELLA CITTA’, IN RICORDO DELL’ASSEDIO DEGLI ANNI ’90
Non si fermano le mobilitazioni per la Palestina: anche in Bosnia – Erzegovina e in particolare a Sarajevo, che negli anni ’90 conobbe un terribile assedio quasi 4 anni, si continua a scendere in piazza a sostegno del popolo palestinese. “C’è stata un’evoluzione delle forme di protesta negli ultimi due anni a Sarajevo, c’è stata una mobilitazione più di massa” ha commentato ai nostri microfoni Boris, attivista e cooperante umanitario: “quello che è interessante e significativo è vedere che anche i sindacati bosniaci, seguendo l’esempio di quelli italiani e altri europei, hanno dato pieno appoggio alle proteste.” Domenica 12 ottobre l’ultima manifestazione che si è svolta in città, mentre da febbraio 2024 continua l’appuntamento di piazza per ricordare e leggere i nomi dei bambini uccisi da Gaza. Ci si ritrova, ogni martedì sera, accanto al Fuoco Eterno, simbolo dell’antifascismo e della resistenza nel cuore della capitale della Bosnia Erzegovina. “Quello che succede a Gaza adesso ha un effetto molto dirompente sui cittadini bosniaci” continua Boris “ricordano sui propri cuori cosa vuol dire essere un civile sotto assedio, cosa vuol dire essere un civile durante un genocidio.” Ai microfoni di Radio Onda d’Urto Boris, attivista e cooperante umanitario. Ascolta o scarica [Foto di Almira Mehić]
Rimosso il presidente dell’entità serba della Bosnia, il clima nei Balcani si fa sempre più caldo
Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, entità autonoma a maggioranza serba all’interno della Bosnia-Erzegovina, ha trasferito i propri poteri a Davor Pranjić, suo vicepresidente. Pranjić ha firmato il decreto con il quale sono promulgate modifiche alla Legge sulla Polizia e gli Affari Interni, ufficializzando il trasferimento dei poteri a lui […] L'articolo Rimosso il presidente dell’entità serba della Bosnia, il clima nei Balcani si fa sempre più caldo su Contropiano.
Slobodan Stojanovic. Una storia raccapricciante della guerra bosniaca
Il suo nome era Slobodan Stojanovic. Aveva solo undici anni quando, una notte del giugno 1992, fu svegliato dal vocio dei suoi genitori, che gli fecero segno con le mani che era ora di andare, lui capì subito che doveva scappare per sfuggire alla morte. Il male dilagante e assetato […] L'articolo Slobodan Stojanovic. Una storia raccapricciante della guerra bosniaca su Contropiano.
BOSNIA: SREBRENICA 30 ANNI DOPO, “UNA MEMORIA NON STORICIZZATA E UNA FERITA ANCORA APERTA IN TUTTA LA REGIONE”
30 anni fa, a Srebrenica, cittadina bosniaca, il più grave massacro di civili in Europa dalla 2a Guerra mondiale, compiuto dai serbo-bosniaci al comando di Ratko Mladic con l’inazione complice dei Caschi Blu. Venerdì 11 luglio 2025 è la giornata delle commemorazioni. Appuntamento al Cimitero Memoriale di Potocari, alle porte della cittadina dove l’11 luglio 1995 persero la vita oltre 8 mila civili bosniaci musulmani sterminati in pochi giorni. Gli identificati sono finora 6.765, mentre proprio oggi, come ogni anno, la cerimonia di sepoltura dei resti di altre 7 vittime, identificate nel corso degli ultimi 12 mesi. Una sentenza della Corte internazionale di giustizia del 2007 ha stabilito che il massacro, essendo stato commesso con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi costituisce un genocidio. Alla cerimonia anche 6 mila giovani provenienti da Paesi di tutto il mondo, Italia compresa, che hanno percorso a piedi e a ritroso l’itinerario di oltre 100 km con cui migliaia di civili bosniaci musulmani nel luglio 1995 cercando la fuga, in direzione di Tuzla. Con loro alcuni dei pochi sopravvissuti alla ‘Marcia della Morte’ di 30 anni fa. Da Srebrenica Sabato Angieri, giornalista de Il Manifesto. Ascolta o scarica.
Missioni di pace?
Tra le tante proposte in cartellone nel ricco programma del Critical Wine di quest’anno (24-25 maggio a Bussoleno, ne abbiamo già parlato qui) è passata inosservata una mostra fotografica, nei locali dell’Ass.ne Culturale “La Credenza” dal titolo Missioni di Pace? con chiarissimo punto interrogativo. Documentazione di un’esperienza molto ‘particolare’ di cui il fotografo Diego Fulcheri – che i lettori di questo sito ben conoscono come ‘front line reporter’ circa i fatti e misfatti che succedono in Val Susa – è stato in più riprese protagonista nel ruolo di pilota elicotterista, nell’ambito di cosiddette ‘missioni di pace’, prima in Libano con l’UNIFIL e poi in Bosnia, Kosovo, Afghanistan. Un’esperienza che ha generato in lui parecchie domande, sullo sfondo di interessi economici e tornaconti anche personali che di ‘umanitario’ non avevano proprio niente, come sintetizzato in questo testo che accompagnava la mostra e che vi riproponiamo. (ndr) L’accusa d’ipocrisia rivolta alle ‘missioni di pace’ in genere verte principalmente sul fatto che, pur essendo state istituite per garantire la pace, non hanno quasi mai raggiunto gli obiettivi prefissati, spesso mostrando un approccio superficiale e inadeguato alla risoluzione dei conflitti, se non addirittura connivente con i signori della droga, delle armi o del petrolio: strumento insomma delle manovre di geopolitica, con i più deboli, soprattutto i bambini, a pagare le conseguenze maggiori. Come ho avuto modo di capire prestando servizio in Afghanistan e a Sarajevo, in Bosnia Erzegovina. Afghanistan, una guerra per l’oppio e a favore delle case farmaceutiche “Venti anni di guerra in Afghanistan in sintesi”: questo l’incipit di un articolo a firma di Lorenzo Poli su Invictapalestina, in data 24.8.2021. Bilancio: 240.000 morti tra gli afgani di cui 71.000 civili, oltre ai 4.000 morti per la NATO tra cui 54 militari italiani. 2.000 miliardi di dollari sparati contro l’umanità, contro i ”solo 55” spesi in investimenti (dati di Fabrizio Tonello, Il Manifesto). Tutto questo, a detta di Joe Biden, per vendicare l’11 settembre ed eliminare Osama Bin Laden. In realtà la guerra ha soprattutto incrementato il mercato della droga, se pensiamo che nel 2001 la produzione di oppio non superava i 180 kg, mentre solo quindici anni dopo (cfr Massimo Fini su Il Fatto Quotidiano del 7.5.2016: “Afghanistan 2001-2016, l’unica ‘liberazione’ è quella dell’oppio”) si toccavano picchi di 5.000, 6.000, 7.000 tonnellate l’anno, qualificando l’Afghanistan come produttore del 93% dell’oppio a livello mondiale mondiale. “Facendo un bilancio, la guerra in Afghanistan è stata un beneficio non per gli afghani, ma per le case farmaceutiche occidentali, i produttori di armi, le società di mercenari, le mafie anche italiane, le organizzazioni terroristiche islamiche, ma soprattutto gli Stati capitalisti”. (Lorenzo Poli nell’articolo già citato). Foto di Diego Fulcheri Enrico Piovesana, giornalista di grande esperienza, ha scritto un libro dal titolo Afghanistan 2001-2016, La nuova guerra dell’oppio (Arianna Edizioni): un libro coraggioso, sufficientemente piccolo per passare quasi inosservato, ma ricco di informazioni che dovrebbero far arrossire di vergogna i Paesi che hanno invaso l’Afghanistan e hanno continuato ad occuparlo fino al 2021. Nel luglio del 2001 il Mullah Omar aveva proibito la coltivazione del papavero, da cui si ricava l’oppio e, una volta raffinato, l’eroina. Decisione difficile perché colpiva soprattutto la base del regime di Omar, cioè i contadini, cui andava peraltro solo l’1 per cento dei ricavi. Fatto sta che nel 2002 la produzione di oppio in Afghanistan era crollata a 185 tonnellate. Quindici anni dopo (come appunto documentava Massimo Fini nel succitato articolo) la produzione raggiungeva le 5.000, 6.000, 7.000 tonnellate l’anno, e l’Afghanistan diventava il maggior produttore d’oppio a livello mondiale. Come mai, visto che fra gli obiettivi della coalizione ISAF (International Security Assistance Force), oltre a portare la democrazia, “liberare” le donne eccetera, c’era anche quello di sradicare il traffico di stupefacenti, cosa a cui peraltro aveva già provveduto il Mullah Omar? Foto di Diego Fulcheri Le ragioni sono principalmente due. La prima è che per combattere i talebani i contingenti NATO (soprattutto americani, inglesi, canadesi), benché forti d’indiscussa superiorità militare (aerei, droni, bombe all’uranio impoverito e sofisticatissimi strumenti tecnologici), sono stati costretti ad allearsi con i “signori della droga” che il governo di Omar aveva cacciato dal Paese. La seconda, anche più grave, è che gli stessi militari NATO, insieme ai soldati del cosiddetto esercito “regolare” e la quanto mai corrotta polizia, diventarono protagonisti di buona parte del traffico di droga. La guerra in Afghanistan tanto voluta dagli USA è stato un business enorme per Big Pharma: la maggior parte dei farmaci è a base di oppio e solo nel 2017 le case farmaceutiche americane hanno potuto contare su circa 500.000 kg di oppio a prezzi ‘agevolati’. Un’inchiesta del giornalista e scrittore Franco Fracassi ha rivelato che la maggior parte dei generali NATO in Afghanistan non si occupavano solo di guerra, ma di lobbismo per le case farmaceutiche, delegati a trattare il prezzo dell’oppio per loro conto. “Oltre 90 miliardi di dollari l’anno è il fatturato che le case farmaceutiche totalizzano dalla vendita di farmaci a base di oppiacei, di cui una buona parte proviene dall’Afghanistan e la cui produzione è aumentata del 5.000.000% dall’inizio della guerra nei primi anni 2000” scriveva infatti nell’agosto del 2021 Lorenzo Poli nel suo articolo per Invictapalestina. “Non è un caso infatti che tra il 1991 e il 2011 le prescrizioni negli Usa si sono triplicate, da 76 milioni a 219 milioni di ricette l’anno, per poi arrivare a 289 milioni di ricette nel 2016.” Foto di Diego Fulcheri Dopo 14 anni di guerra, suonano crude le conclusioni del giornalista americano Eric Margolis per The Huffington Post citato anche da Massimo Fini: “Quando verrà scritta la storia di questa guerra in Afghanistan, il sordido coinvolgimento di Washington nel traffico di eroina e la sua alleanza con i signori della droga sarà uno dei capitoli più vergognosi”. Nulla è mai come sembra “In Bosnia ed Erzegovina viene condotta una guerra mondiale nascosta, che vede implicate direttamente o indirettamente tutte le forze mondiali: sulla Bosnia ed Erzegovina si spezzano tutte le essenziali contraddizioni di questo e del terzo millennio”, parola di Kofi Annan, nel Report of the UN Secretary-General. La guerra in Bosnia ed Erzegovina si è combattuta tra i primi di marzo del 1992 e il 14.12.1995, fino alla stipula dell’accordo di Dayton (Ohio), che pose ufficialmente fine alle ostilità. L’intervento della comunità internazionale fu per gran parte del conflitto piuttosto blando, limitandosi a promuovere sterili trattative di pace. Del tutto insufficiente si rivelò anche l’invio di un contingente ONU, l’UNPROFOR, che non impedì il perpetrarsi di massacri contro la popolazione civile. La tragedia danneggiò profondamente la legittimità dell’ONU: “Tra gli attori internazionali, nessuno più delle Nazioni Unite ha perso credibilità a causa del crollo della Bosnia”. Si stima che l’assedio di Sarajevo (dal 5.4.1992 al 29.2.1996, il più lungo assedio nella storia bellica del XX° secolo) abbia registrato 12.000 morti oltre ai 50.000 feriti, l’85% dei quali tra i civili. A causa dell’elevato numero di morti e della migrazione forzata, nel 1995 la popolazione si ridusse a 334.664 unità, il 64% della popolazione precedente allo scoppio della guerra. E allora perché  l’intervento della NATO, si è chiesto l’economista Sean Gervasi? Decisiva sulle decisioni politiche e militari (come l’intervento della NATO) soprattutto in Occidente, fu l’influenza della copertura giornalistica televisiva in Bosnia, in particolare della CNN, ma le cose potrebbero essere andate diversamente. Un articolo dell’economista Sean Gervasi, pubblicato sul sito del Comitato unitario contro la guerra alla Jugoslavia il 14.1.1996 motiva l’intervento occidentale nella penisola balcanica come “il risultato delle enormi pressioni per un’estensione generale della NATO verso est (…) in vista di un allargamento in tempi relativamente rapidi anche alla Polonia, alla Repubblica Ceca e all’Ungheria (…) in ragione di una scelta strategica finalizzata al controllo delle risorse della regione intorno al Mar Caspio e per ‘stabilizzare’ i paesi dell’Europa Orientale e in ultima analisi la stessa Russia e i paesi della Comunità degli Stati Indipendenti…” Notare la data: siamo solo nel 1996! C’era sostanzialmente, secondo Gervasi, un piano occidentale “per far implodere la Jugoslavia che rappresentava l’ultimo ostacolo…” Inquietante, col senno di poi, la comparsa di un trafiletto su La Stampa di Torino, che in data 29.11.1990 così recitava: “La Jugoslavia si disintegrerà entro il 1992”, parola della CIA! MISSIONI DI PACE O PER LA GUERRA PERMANENTE?   Centro Sereno Regis