L’Ecuador dice no a Noboa: bocciate in blocco le riforme del Presidente
Dopo mesi di tensioni, il 16 novembre il popolo ecuadoriano ha inviato un
segnale inequivocabile al presidente Daniel Noboa: un netto quanto inaspettato
“no” ai quattro quesiti del referendum costituzionale fortemente voluto dal
Presidente. Si tratta della prima importante battuta di arresto per Noboa, che
proprio in questi giorni celebra il suo secondo anno al potere.
DALLE PROTESTE ALLE URNE: IL NETTO RIFIUTO ALL’AGENDA DI NOBOA
Il presidente aveva indetto queste votazioni – le terze del 2025 e le settime in
soli due anni – presentandole come una risposta urgente alla crisi
multidimensionale che attanaglia il Paese, specialmente sul fronte sicurezza.
Tuttavia, l’appuntamento elettorale è giunto nel mezzo di un clima molto teso,
segnato dalle proteste popolari di settembre e ottobre contro le misure
neoliberiste del governo, guidate dalla CONAIE (Confederación de Nacionalidades
Indígenas de Ecuador). La mobilitazione, nata contro l’eliminazione dei sussidi
al gasolio e il conseguente carovita, è stata repressa duramente: polizia e
militari, inviati in massa a sedare le proteste, hanno risposto con un uso
spropositato della forza, causando numerosi arresti, feriti e tre morti.
Contestualmente, l’esecutivo ha promosso una criminalizzazione del dissenso,
dipingendo le e i manifestanti come “terroristi”. A questo si sono aggiunti
persecuzione e censura, procedimenti penali abusivi e il congelamento dei conti
bancari a diverse organizzazioni e leader sociali.
In questo contesto di frattura sociale e crescente autoritarismo, la mossa
referendaria di Noboa si è rivelata controproducente, trasformando il voto in un
giudizio politico sul suo operato, con la maggior parte dell’elettorato che ha
giudicato i quesiti distanti dalle reali necessità del Paese.
I QUATTRO NO CHE BOCCIANO LA RIFORMA COSTITUZIONALE
Il risultato del Referendum, che ha colto di sorpresa molti osservatori, può
essere letto come un rifiuto non solo delle specifiche proposte, ma dell’agenda
generale del governo Noboa. L’esito è stato inequivocabile: il “no” ha prevalso
largamente su tutta la linea.
Il primo quesito, il più delicato in termini geopolitici, proponeva
l’eliminazione del divieto costituzionale di installare basi militari straniere
sul territorio nazionale. Il 60,8% dei votanti ha optato per il no, difendendo
l’articolo 4 della Costituzione che definisce l’Ecuador come una «zona di pace».
Alcuni hanno letto il voto come una decisione di proteggere la sovranità
nazionale, allontanando le ombre dell’ingerenza statunitense, tristemente note
in America Latina. Se avesse vinto il “sì”, gli USA avrebbero potuto riattivare
presidi strategici come l’ex-base di Manta, sulla costa pacifica, fondamentale
per le loro operazioni nella regione. Noboa, stretto alleato del presidente
statunitense Donald Trump, aveva giustificato la misura come necessaria per la
lotta al narcotraffico, problema cruciale per l’Ecuador e causa diretta
dell’altissimo tasso di mortalità che colloca il Paese, un tempo uno dei più
pacifici della regione, tra i primi posti al mondo nella triste classifica.
Anche sugli altri fronti, i risultati sono stati chiari. Il 58,3% degli
ecuadoriani ha respinto l’eliminazione dei finanziamenti pubblici ai partiti
politici. La misura, presentata come un risparmio per lo Stato, è stata
percepita come un rischio per la democrazia, che minacciava di limitare la
partecipazione popolare rendendo la politica appannaggio esclusivo delle élite
economiche. Un aspetto rilevante, considerando che lo stesso Noboa è erede di
uno dei più grandi imperi economici del Paese.
Il margine più stretto (53,7%) è stato registrato sulla riduzione dei
parlamentari da 151 a 73. Il rifiuto ha impedito che la manovra, presentata come
misura di austerità, potesse tradursi in una riduzione della rappresentanza
democratica all’interno della Asamblea Nacional, favorendo un eccessivo
accentramento di potere nelle mani di un esecutivo che ha già più volte
manifestato insofferenza verso lo stato di diritto e la separazione dei poteri.
Infine, il rifiuto più netto (61,8%) ha riguardato la proposta di convocare
un’Assemblea Costituente che sarebbe stata incaricata di redigere una nuova
Costituzione per sostituire quella del 2008, la cosiddetta Constitución de
Montecristi, considerata una delle più importanti al mondo in materia di
diritti.
BUEN VIVIR, DIRITTI COLLETTIVI E DELLA NATURA: LA DIFESA DELLA COSTITUZIONE DEL
2008
In molti la chiamano “la costituzione correista” – in riferimento all’allora
presidente Rafael Correa, figura divisiva ma fondamentale nella storia recente
del Paese (2007-2017) – ma la Carta di Montecristi è molto di più,
rappresentando la cristallizzazione giuridica di decenni di lotte dei movimenti
indigeni e della società civile, soprattutto in difesa dei diritti indigeni e
della natura.
> La Carta ha inserito il concetto di Buen Vivir (Sumak Kawsay in kichwa),
> letteralmente “Buon Vivere”: un paradigma alternativo di sviluppo che cerca
> l’armonia tra le persone e la Pachamama (la Madre Terra), privilegiando il
> benessere collettivo su quello individuale e ponendo l’accento sulla
> dimensione spirituale, culturale e affettiva della vita, oltre alla
> soddisfazione dei bisogni materiali. Un principio in netta contrapposizione
> con la logica neoliberista promossa dall’attuale amministrazione.
Altro pilastro è il riconoscimento della plurinazionalità, con il conferimento
di diritti specifici alle diverse comunità, popoli e nazionalità (pueblos y
nacionalidades) che abitano l’Ecuador. Spiccano l’autodeterminazione, il diritto
al territorio ancestrale e, punto cruciale, il diritto alla Consulta Previa,
Libera e Informata sui progetti che li coinvolgono, tra cui quelli di
sfruttamento estrattivo. Il tentativo di Noboa di riformare la Costituzione
poneva potenzialmente a rischio questi strumenti di partecipazione democratica e
tutela del territorio, a favore dei progetti minerari e petroliferi che il
governo intende promuovere.
Infine, l’Ecuador è stato il primo Paese al mondo a riconoscere la Natura come
soggetto di diritto (derechos de la naturaleza). Il “no” è servito a
riconfermare queste tutele legali per fiumi, foreste ed ecosistemi, minacciati
dall’agenda estrattivista. Per quanto l’applicazione reale di questi principi
sia ancora imperfetta e spesso disattesa, la vittoria del “sì” avrebbe rischiato
di smantellare un quadro giuridico unico al mondo, vanificando lotte decennali.
LE RAGIONI CHE HANNO PORTATO AL NO
Il risultato alle urne, con un’affluenza record dell’80% della popolazione (il
voto è obbligatorio tra i 18 e i 64 anni), può essere letto come la prosecuzione
elettorale della mobilitazione sociale che aveva infiammato l’Ecuador poche
settimane prima, figlia a sua volta di un lungo e radicato processo di lotta
popolare. I movimenti protagonisti dello sciopero nazionale (paro) avevano
sospeso la protesta “fisica” per concentrare le risorse su una campagna in
difesa dei diritti e della Costituzione, una strategia che sembra aver dato i
suoi frutti. Ma cosa c’è dietro a un rifiuto così netto?
Il “no” risponde a una lunga crisi multidimensionale e alla percezione che le
ricette del governo siano state sostanzialmente inefficaci. In primis, sulla
questione sicurezza, che rimane irrisolta e anzi continua a peggiorare,
nonostante la propaganda ufficiale e la massiccia militarizzazione. I dati
smentiscono la narrazione di successo dell’esecutivo: dal suo insediamento nel
novembre 2023 all’ottobre 2025, si sono registrati 15.561 omicidi, con una media
di 22 al giorno.
A questo si somma una grave crisi sociale ed economica, segnata dal progressivo
smantellamento dello stato sociale – evidente nella drastica riduzione
dell’apparato statale, il disinvestimento nella sanità pubblica (cronica carenza
di medicinali e beni di prima necessità negli ospedali) e nell’istruzione –
oltre che dall’aumento del costo della vita.
Si aggiunge poi il timore di una deriva autoritaria, alimentato anche dal lungo
scontro con la Corte Costituzionale che, secondo il Presidente, avrebbe
ostacolato molti dei suoi sforzi per combattere le bande criminali nel Paese e
che egli stesso ha più volte definito «nemica del popolo».
Infine, rilevanti sono stati i numerosi tentativi di indebolire i diritti
indigeni e della natura. Tra questi, la controversa fusione nel luglio del 2025
del Ministero dell’Ambiente con quello dell’Energia e delle Attività Estrattive
(che ha subordinato di fatto la tutela ecologica agli interessi minerari e
petroliferi) e il mancato rispetto del referendum del 2023 che sancì lo stop
allo sfruttamento petrolifero nel Parco Nazionale Yasuní, un’area amazzonica di
inestimabile biodiversità e casa di popoli in isolamento volontario.
Il chiaro risultato del voto segna il rigetto dell’agenda politica di Noboa,
testimoniando che, nonostante il Presidente abbia goduto finora di una certa
approvazione, gli ecuadoriani non hanno voluto consegnargli un “assegno in
bianco” per riformare lo Stato.
ALL’INDOMANI DEL VOTO
Mentre l’esecutivo ha mantenuto un generico silenzio sulla strategia
post-elettorale, il giorno successivo al voto Noboa ha proceduto a un drastico
rimpasto di Gabinetto, allontanando sei ministri in un tentativo di ricalibrare
la squadra dopo la sconfitta elettorale.
Di contro, dal referendum escono rafforzati i movimenti di opposizione, in
primis quelli sociali e indigeni, promotori delle proteste, come la CONAIE, che
ha rivendicato la vittoria del popolo ecuadoriano, per cui il mese di paro
nacional è stato fondamentale. Risultato molto favorevole anche per il
principale partito di opposizione, Revolución Ciudadana, con Luisa González alla
guida dei fedelissimi dell’ex-presidente Correa. González ha dichiarato che il
“no” esprime il rifiuto popolare alla trasformazione dell’Ecuador in una
estensione della «corporación Noboa», gestita come patrimonio privato del
presidente e del suo gruppo economico.
A catalizzare l’attenzione nazionale in questi ultimi giorni è soprattutto la
condotta poco trasparente dell’esecutivo in materia di politica estera. La
bocciatura delle basi militari straniere getta incertezza sul futuro delle
relazioni tra l’Ecuador e gli USA (poco dopo la visita della segretaria alla
Sicurezza, Kristi Noem) oltre a rallentare il piano riformista del Presidente. I
rapporti però non sembrano essersi interrotti, anzi. Subito dopo la débâcle
elettorale, Noboa si era recato negli Stati Uniti per un viaggio ufficiale di
qualche giorno, la cui agenda era però rimasta confidenziale, generando
polemiche all’interno della Asamblea e dell’opinione pubblica. Poco dopo, la
Presidenza aveva annunciato un secondo viaggio negli USA a fine mese. La
trasferta, inizialmente classificata come ufficiale, è stata poi ridefinita come
«personale» tramite un decreto correttivo nel giro di poche ore.
Questa mancanza di chiarezza, unita all’annuncio che il Presidente trascorrerà
fuori dal Paese oltre 30 giorni (tra viaggi ufficiali e di carattere personale)
tra fine novembre e gennaio, ha alimentato dubbi sull’attività presidenziale e
polemiche da parte dell’opposizione e dell’opinione pubblica, che contestano la
gestione di un esecutivo che si allontana dal Paese in piena crisi economica,
sanitaria e di sicurezza.
Solo il 29 novembre, nella prima intervista rilasciata dopo il referendum, Noboa
ha ammesso che il voto è stato «uno scossone per i membri dell’Assemblea, i
ministri e persino per il nostro movimento politico», promettendo però di
insistere sulle riforme necessarie attraverso l’Assemblea o nuovi emendamenti,
pur rispettando la volontà popolare.
QUALI PROSPETTIVE PER IL NUEVO ECUADOR?
Nonostante l’imponente campagna mediatica e il massiccio dispiegamento militare,
il voto ha dimostrato che il Nuevo Ecuador proposto da Noboa non convince. Si
mantiene invece vivo lo spirito di resistenza di un popolo che, malgrado provato
dai lunghi anni di crisi, ha scelto di difendere una delle Costituzioni più
avanzate al mondo.
> Diversi attivisti e organizzazioni della società civile ricordano come il
> risultato non debba essere visto come un traguardo, ma come un punto di
> partenza. Per riflettere e organizzarsi, per continuare ad arginare il
> progetto autoritario ed estrattivista, riaffermare la sovranità e proteggere i
> diritti e i territori.
Nel tempo si vedrà se il Governo saprà modificare la sua ricetta politica,
ridefinendo le priorità e gli strumenti per ascoltare le istanze della
popolazione, o se per l’Ecuador si prospetta un nuovo inasprimento della
polarizzazione politica e della tensione sociale.
La copertina è di Ronald Reascos
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