
La violenza nel Dna
Comune-info - Monday, November 24, 2025
Roma, 22 novembre: il Gruppo Tessiture di Pace al corteo promosso da Non una di meno. Foto di Nilde GuiducciSono passati più di settant’anni da quando James Watson e Francis Crick, basandosi in parte anche sul lavoro di Rosalind Franklin, scoprirono il Dna. Da allora la genetica ha fatto passi da gigante e grazie a questa nostra carta d’identità genetica, oggi sappiamo molto di più rispetto alle nostre origini e a molte nostre caratteristiche fisiche. Il Dna ha inoltre fornito un incontestabile supporto scientifico alla decostruzione di ogni teoria “razziale” relativa a noi umani. Purtroppo, però gli sforzi degli scienziati non sono bastati a cancellare dalla mente di molti di noi una lettura deterministica, che a definire ottocentesca è farle un complimento. L’idea espressa dal ministro della giustizia Carlo Nordio che l’uomo, inteso come maschio, sia geneticamente portato alla violenza non solo è un’aberrazione scientifica, che induce a credere che il nostro codice genetico determini i nostri comportamenti, è anche un ottimo alibi per ogni violentatore o protagonista di soprusi contro le donne.
Decenni di studi hanno dimostrato che il nostro corredo genetico determina le caratteristiche della nostra vita biologica, ma non le nostre scelte, che sono culturali. Non siamo robot meccanicamente programmati da una combinazione di fosfati, zuccheri e acidi, perché abbiamo sviluppato quella che chiamiamo cultura, che consiste in una serie di opzioni tra le quali possiamo scegliere. Sono state proprio la nostra incompletezza e indeterminatezza “naturale”, che hanno reso necessario costruire culture per sopravvivere e che ci distingue dagli altri animali. Cultura che non è in noi, ma che apprendiamo grazie al nostro crescere in una comunità. Cosa servirebbero allora l’educazione familiare e quella scolastica, se tanto tutto fosse calvinisticamente già scritto nei nostri geni?
Con quelle parole Nordio dichiara di accettare un modello razziale, secondo il quale la biologia determina le nostre attitudini, che finirebbe per giustificare un comportamento violento, in quanto “naturale”. Che si sia vittime di un retaggio culturale che prevede una supremazia maschile, basata in origine sul primato fisico, è fuori di dubbio, ma attribuirlo alla genetica significa negare ogni possibile soluzione. Se così fosse, tutti gli uomini sarebbero propensi alla sopraffazione sulle donne, poiché è impossibile resistere alla propria natura, come lo scorpione della favola di Esopo, che punge l’ippopotamo nel mezzo del fiume, perché non può fare altrimenti.
Nessuno nega che esistano ancora troppi uomini, che hanno una visione arcaica della donna come proprietà, che ancora troppe donne vivano rapporti tossici con individui scriteriati, ma di qui a farne una condizione “naturale” ce ne passa. Ad aggravare quelle parole è anche il contesto, perché non sono state pronunciate a caldo, dopo uno dei molti episodi di violenza, ma per giustificare l’opposizione del governo all’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole.
Accettando l’idea che tutto sta nei nostri geni, risulta ovviamente inutile cercare di educare, di sensibilizzare i giovani… Inoltre, è a dir poco curioso, che proprio la destra, che del tema della sicurezza ha fatto il suo cavallo di battaglia, sembri dichiarare la propria impotenza di fronte a certi eventi: naturalizzandoli diventano incontrastabili. O forse è un modo per dire che è inutile tentare di prevenire educando, che l’unica soluzione è punire severamente, ma ogni punizione, giusta o meno, avviene dopo che il danno è stato fatto.
Insomma, Nordio sembra arrendersi, parafrasando Jessica Rabbit, «noi maschi non siamo cattivi, è che ci disegnano così».
Pubblicato su Il domani (e qui con l’autorizzazione dell’autore).
Tra gli ultimi libri di Marco Aime I morti degli altri (scritto con Federico Faloppa per Einaudi) e Classificare, separare, escludere. Razzismi e identità (Einaudi).
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