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La solitudine dei palestinesi – di Ahmed Frenkel
L’attacco da parte dell’esercito israeliano deciso unilateralmente dal governo Netanyahu contro Gaza City assomiglia sempre più a una sorta soluzione finale di tragica memoria. Avviene nella totale complicità e indifferenza non solo del mondo occidentale (con sporadiche eccezioni, vedi Spagna e Irlanda) ma anche del mondo arabo. In questi giorni a Bruxelles si è [...]
VENERDì 5 SETTEMBRE: L’ANALISI CRITICA DEI FATTI ECONOMICI DELLA SETTIMANA CON ANDREA FUMAGALLI
Appuntamento settimanale, in questo venerdì 5 settembre, con il nostro collaboratore e docente di economia politica, Andrea Fumagalli e la sua rubrica di analisi critica dei fatti economici della settimana. Gli argomenti affrontati sono il summit della Shanghai Cooperation Organisation che si è tenuto in Cina, le accuse francesi di dumping fiscale nei confronti del Governo italiano, i recenti dati sull’occupazione diffusi dall’Istat e il risiko finanziario e politico attorno a MedioBanca. CINA – Xi Jinping ha annunciato al summit della Shanghai Cooperation Organisation (SCO) in Cina la volontà di trasformare l’organizzazione in un punto di riferimento globale alternativo all’egemonia statunitense, promuovendo un mondo multipolare e una globalizzazione inclusiva. Ha anche annunciato investimenti e prestiti per rafforzare il blocco di Paesi membri. A Tianjin si è deciso di creare la SCO Development Bank, che sosterrà progetti economici, infrastrutturali e sociali. Putin ha anche proposto l’emissione di bond comuni e la creazione di un sistema di pagamenti multilaterale, rafforzando l’integrazione economica. DUMPING – Il primo ministro francese Bayrou, atteso l’8 settembre da un complicato voto di fiducia e, il 10 settembre, dalla mobilitazione popolare “Blocchiamo tutto”, ha accusato l’Italia di “dumping fiscale”. Secondo François Bayrou sono state introdotte agevolazioni fiscali per favorire l’arrivo di contribuenti dell’estero, a svantaggio della Francia. DISOCCUPAZIONE – Secondo l’Istat, a luglio 2025 il tasso di occupazione è salito al 62,8% e il tasso di disoccupazione è sceso al 6,0%. Il tasso di inattività sale al 33,2% (+0,1 punti).Aumentano i dipendenti permanenti (16 milioni 448mila) e i dipendenti a termine (2 milioni 567mila), mentre diminuiscono gli autonomi. Ancora una volta ad aumentare sono gli occupati over 50 (+4,2%) mentre calano quelli tra 35 e 49 anni (-1,8%).Colpisca come l’aumento di occupati sia composto unicamente da uomini (+49mila) mentre la componente femminile è in calo (-37mila). MEDIOBANCA – L’offerta pubblica di scambio (OPS) volontaria promossa da Banca Monte dei Paschi di Siena sulle azioni ordinarie di Mediobanca ha raggiunto una soglia di adesione del 38,5%. Hanno aderito all’offerta alcuni dei principali azionisti italiani: Del Vecchio, Caltagirone e Benetton, rafforzando il peso dell’operazione finanziaria, “benedetta” anche da pezzi importanti del Governo italiano, in particolare di Fratelli d’Italia. L’intervista su Radio Onda d’Urto ad Andrea Fumagalli, docente di economia politica all’Università di Pavia. Ascolta o scarica
“L’Europa mostri i muscoli”. Facile a dirsi, difficile a farsi
L’ex direttore de The Economist, Bill Emmott, da una quindicina di anni è un editorialista de La Stampa.  Nel suo editoriale del 30 agosto, Emmott ha provato a perimetrare il campo del “reale” sul ruolo che i governi europei dovrebbero svolgere contro la Russia, ma anche verso gli Usa di […] L'articolo “L’Europa mostri i muscoli”. Facile a dirsi, difficile a farsi su Contropiano.
I dazi favoriscono i ricchi
Articolo di Christopher Marquis Il successo del presidente Donald Trump nel promuovere la sua agenda sui dazi ha suscitato aspre critiche, non solo per l’abuso di potere e i rischi economici che crea, ma anche per i danni che ne deriveranno. Aumentando i prezzi al consumo di tutto, dai prodotti alimentari agli elettrodomestici, per la classe media e operaia statunitensi queste tariffe saranno come una tassa occulta. Le famiglie più povere, che spendono una quota maggiore del loro reddito in beni di prima necessità, saranno le più colpite. Ma il pericolo non risiede solo nei maggiori costi alimentari o nelle reti di sicurezza sociale smantellate per finanziare i tagli fiscali. Decenni di esempi portano alla stessa conclusione: convogliare la ricchezza verso l’alto non punisce solo i poveri, ma erode le fondamenta dell’economia e della democrazia stessa. La disuguaglianza non è uno sfortunato effetto collaterale; è un veleno lento che indebolisce la crescita, alimenta il risentimento e rende le società più fragili. Per capirne il motivo, è fondamentale distinguere tra povertà e disuguaglianza. La povertà è una condizione assoluta: la mancanza di accesso a beni di prima necessità come cibo, alloggio, assistenza sanitaria e istruzione. La disuguaglianza, al contrario, è una misura della differenza relativa: come reddito, ricchezza e opportunità sono distribuiti nella società. Una nazione può ridurre la povertà assoluta pur continuando a diventare più diseguale. Contrariamente alle smentite teorie del trickle-down, quando la ricchezza è maggiormente concentrata ai vertici i ricchi possono promuovere politiche volte a proteggere e ampliare i propri interessi: riducendo i servizi pubblici, bloccando la redistribuzione e minando i diritti dei lavoratori. Tutti questi sforzi sotto Trump sono potenziati. Ma le conseguenze più profonde restano invisibili a molti. A causa della segregazione sociale ed economica, la gravità della disuguaglianza e le sue conseguenze sono ampiamente sottovalutate. Quando i poveri soffrono, le ingiustizie sono altamente visibili: più persone dormono sui marciapiedi, file più lunghe alle mense dei poveri. Ma quando i ricchi diventano silenziosamente più ricchi, il cambiamento spesso passa inosservato. Si isolano ulteriormente nelle loro comunità chiuse; mandano i figli in scuole private d’élite e viaggiano sempre più spesso con jet privati. Come ha documentato il sociologo Matthew Desmond, anche prima di Trump la politica statunitense favoriva sistematicamente i ricchi, dalle detrazioni sugli interessi dei mutui alle donazioni universitarie esenti da tasse, offrendo al contempo ai poveri un sostegno stigmatizzato e inadeguato. L’estrema disuguaglianza non solo coesiste con la povertà, ma la perpetua. Ma i commentatori che difendono l’accumulo di ricchezza spesso affermano che la disuguaglianza è una distrazione: finché gli altri hanno abbastanza , perché dovrebbe importare quanta ricchezza viene accumulata ai vertici? Questa logica è seducente, ma sbagliata. L’aumento della disuguaglianza non danneggia solo i poveri, ma trascina l’intera economia. Anche le ricerche di istituzioni tradizionali come l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico mostrano che più una società è squilibrata, più debole diventa la sua economia: un aumento dell’1% della disuguaglianza di reddito può ridurre di oltre l’1% il Pil di un paese. Le ragioni sono semplici: quando i salari sono ridotti, le aziende perdono clienti. Quando le scuole pubbliche sono carenti, i talenti non vengono sviluppati. I ricchi possono risparmiare e investire, ma questi investimenti spesso inseguono rendimenti speculativi attraverso il settore immobiliare, il capitale di rischio e il private equity, non sul tipo di crescita produttiva di cui le economie sane hanno bisogno. Pertanto, anche la ricerca del Fondo monetario internazionale ha dimostrato che i paesi con un’elevata disuguaglianza hanno una crescita inferiore e meno duratura. Negli ultimi decenni, la disuguaglianza è aumentata vertiginosamente, raggiungendo un livello che sorprende molti. Dal 1980, il reddito dell’1% più ricco degli Stati uniti è cresciuto cinque volte più velocemente di quello del 90% più povero. Un rapporto di Oxfam del 2023 ha evidenziato che per ogni 100 dollari di ricchezza creata tra il 2012 e il 2021, 54,40 dollari sono andati all’1% più ricco, mentre al 50% più povero sono rimasti 0,70 dollari. Nelle società più diseguali, la provenienza conta più di ciò di cui si è capaci. I bambini ricchi frequentano scuole migliori, seguono lezioni private e hanno accesso a reti che riproducono privilegi. Nel frattempo, i bambini poveri vengono incanalati in sistemi sottofinanziati, cresciuti da genitori stressati e con poche opportunità di mobilità. Di conseguenza, la stragrande maggioranza delle persone non ha mai la possibilità di realizzare il proprio potenziale, corrodendo innovazione e opportunità. Forse ancora più pericolosamente, l’elevata disuguaglianza lacera il tessuto sociale. Come dimostrano sociologi come Rachel Sherman e John Osburg in contesti diversi come New York City e Chengdu, in Cina, la crescente disuguaglianza genera ansia e insicurezza anche tra le élite, che si confrontano costantemente con coetanei ancora più ricchi. Con l’aumentare della disuguaglianza, tutti si sentono indietro. Inoltre, poiché la classe media è sempre più convinta che le persone al vertice non stiano pagando la loro giusta quota, diventa più risentita e meno disposta a sostenere i beni pubblici o il welfare, sentendosi ingiustamente costretta a sostenere da sola l’onere. Pertanto, la disuguaglianza ha effetti deleteri sui processi democratici: i paesi con maggiore disuguaglianza segnalano costantemente livelli di fiducia più bassi, tassi di violenza più elevati e risultati sanitari più scarsi. Le persone smettono di credere che la società sia giusta o che valga la pena parteciparvi. Come avrebbe ammonito il giudice della Corte suprema Louis Brandeis : «Possiamo avere la democrazia oppure la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non entrambe le cose». Le critiche alle politiche economiche di Trump – dai dazi al bilancio e al programma di deregolamentazione – devono andare oltre. Non è solo una questione di equità e giustizia. Il problema è anche il tradimento dei principi fondamentali per un’economia sana e per la democrazia. Alla fine del mandato di Trump non solo i poveri saranno più poveri, ma gli Stati uniti saranno più deboli, più arrabbiati, più instabili e meno innovativi. *Christopher Marquis è professore di management presso la facoltà di Economia dell’Università di Cambridge e autore di The Profiteers: How Business Privatises Profits and Socializes Cost (Public affairs, 2024). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione. L'articolo I dazi favoriscono i ricchi proviene da Jacobin Italia.
Perché la destra politicizza il denaro?
Con il licenziamento di Lisa Cook, Donald Trump ha cominciato a rompere l’ultimo dei tabù: l’indipendenza della Fed. Con buona pace di Federico Rampini, che ora dovrà cercare nuovi argomenti per celebrare la superiorità dell’Occidente nei confronti delle autocrazie e del Grande Sud, Trump non si è limitato a sbeffeggiare per mesi Jerome Powell, è «passato all’atto». I mercati sono ovviamente agitati, temendo il controllo politico della banca centrale più importante del mondo, quanto meno di quel pezzo di mondo che si autodefinisce davvero libero. Colpendo Lisa Cook, tra l’altro, Trump è riuscito a unire istanze strettamente economiche, ovvero il governo della moneta e del suo costo, con la politica del simbolico: Cook, prima donna nera nel board della Fed, è simbolo di ciò che il movimento MAGA qualifica come «capitalismo woke». Ma si tratta evidentemente di una mossa che, nel confermare la furia ideologica del trumpismo, fa anche saltare in aria le coordinate alle quali l’apologia dei tecnici del denaro (da Volcker a Draghi), negli ultimi decenni, ci aveva abituato. L’attacco alla Fed ha un primo, e fondamentale, obiettivo: far ripartire l’inflazione. E già qui, le bussole, funzionano poco. Non è l’inflazione un modo per ridurre il peso del debito per i debitori, ovvero per le fasce più povere della società che, per consumare, per esempio per acquistare una casa, debbono necessariamente indebitarsi? E non è – ancora – l’aumento dei prezzi, uno stimolo per gli imprenditori e gli investimenti, stimolo che, se ben gestito, favorisce la ripresa dell’occupazione? Sarebbe dunque, Trump, un vero amico della classe operaia e del ceto medio impoveriti, come insiste il movimento MAGA? Occorre allargare lo sguardo. I creditori contro i quali si vuole scagliare Trump, imponendo alla Fed l’abbassamento del costo del denaro e, a seguire, favorendo la dinamica inflativa, non sono tanto i miliardari americani, che comunque saranno favoriti dall’azzeramento delle tasse, ma tutti coloro che pagano l’enorme debito pubblico americano (ad agosto, oltre i 37 mila miliardi di dollari). > Il debitore mondiale non è più l’Europa, come subito dopo la Seconda guerra > mondiale, ma sono gli Stati Uniti d’America. L’inflazione è dunque un modo, come d’altronde lo fu in parte per Richard Nixon nel 1971, per «ristrutturare» unilateralmente il debito pubblico.    Pensate alla Grecia nel 2015. Un Paese povero, afflitto dal debito e martellato dai suoi creditori (banche, fondi di investimento, fondi previdenziali, ecc.), è sottoposto a una “cura” fatta di vessazioni, umiliazioni e, soprattutto, compressione del welfare, abbassamento dei salari reali, disoccupazione, suicidi, biografie spezzate, giovinezza rubata. Un impero, come gli Stati Uniti, procede diversamente. Dicevamo di Nixon: nel giorno di Ferragosto del 1971 (la scelta del giorno per l’incontro con Putin in Alaska sarà stata casuale?), dichiarò il dollaro non più convertibile in oro. Tutti coloro che possedevano dollari, per esempio diversi paesi europei (la Francia in testa), ma non solo, si sono tenuti la carta, senza poter ottenere l’oro che gli Stati Uniti, a Bretton Woods nel 1944, si erano impegnati a consegnare su richiesta. Un furto, tra l’altro accompagnato – e nessuno in questi mesi lo ha ricordato – dall’introduzione di dazi del 10%. Ovviamente c’è un problema: se la Fed abbassa il costo del denaro, e l’inflazione riparte, in giro per il mondo molti paesi che da decenni fanno incetta del dollaro, considerandolo valuta di riserva per eccellenza, potrebbero – come già in diversi stanno facendo – smettere di acquistare Titoli di Stato, che sono denominati in dollari e, alla forza del dollaro, della Fed e dell’economia americana più in generale, devono la loro affidabilità. Powell, più nello specifico, teme per i titoli a lunga scadenza, il cui rendimento l’altro ieri (26.08) è salito non poco, così come è aumentato il differenziale con quelli a breve scadenza. Segnale che, in prospettiva, l’affidabilità del debito americano si fa scarsa e, coloro che lo acquistano, pretendono rendimenti sempre più importanti. > La mossa di Trump, però, va letta insieme al Genius Act, ovvero al pieno > sostegno normativo della sua Amministrazione alle monete digitali private, le > stablecoin. Pur trattandosi di criptovalute, si definiscono stabili e non oscillanti/speculative perché ancorate a monete legali, quali il dollaro ovviamente. L’obiettivo di Trump è quello di rispondere alla crisi del dollaro, della sua funzione di comando politico sul mercato mondiale, attraverso la diffusione delle stablecoin. In tendenza, qualora si affermassero, e favorite dagli effetti di rete, le stablecoin potrebbero in parte realizzare il sogno del sodale di Pinochet, l’economista premio Nobel che, per difendere la libertà, riteneva giusto sostenere il fascismo (come Peter Thiel di Palantir, d’altronde): Friedrich von Hayek. In un saggio del 1976, dal titolo La denazionalizzazione della moneta, Hayek proponeva di far saltare in aria il monopolio della Fed sull’emissione di moneta legale, favorendo una molteplicità di monete private in competizione tra loro. Monete private espressione di un regime di free banking, sistema tutt’altro che marginale nel XIX secolo americano e che ha rallentato di diversi decenni, negli Stati Uniti, la nascita di una vera e propria banca centrale. Da non dimenticare, infatti, che la Fed nasce soltanto nel 1913, diversi secolo dopo la Bank of England (1694), ma anche oltre un secolo dopo la fondazione napoleonica della Banque du France (1800). Ora, sembrerebbe dunque che l’attacco di Trump alla Fed sia solo il rilancio delle più spericolate teorie neoliberali degli anni Settanta. Lo è, in parte, ma solo in parte. Il free banking è una tendenza, che si realizzerebbe compiutamente solo con stablecoin più che affermate su scala mondiale. La Commissione europea, qualora decidesse di promuovere un’interpretazione estensiva del suo Regolamento in merito (MiCA), aprendo così le porte alla piena fungibilità in zona euro delle stablecoin denominate in dollari, darebbe un grosso aiuto al progetto trumpiano. La realizzazione del progetto, però, non è immediata. Trump, in verità, sta parlando anche al suo mondo, al movimento MAGA. Sta dicendo agli «sconfitti della globalizzazione» che il Presidente fa sul serio, piegando la Fed all’autorità politica, del governo. > Come con la Corte suprema, si tratta di affermare che, chi vince le elezioni, > comanda: sulla giustizia e, soprattutto, sull’economia, in particolare sul > denaro. Non sarebbe la prima volta, nella storia, che l’estrema destra decide di politicizzare la moneta. Ci pensarono già due nazisti che andrebbero studiati con attenzione, la stessa con la quale li studiava il liberale Keynes: Hjalmar Schacht e Walther Funk. Il secondo, in particolare, progettò nel 1940 una «moneta generale», per l’Europa germanizzata, alternativa al dominio dell’oro, che, allora e anche se ancora per poco, voleva dire dominio della sterlina e della City di Londra. Trump non restituirà le fabbriche agli Stati Uniti, ma intanto sta acquisendo il controllo di Intel e US Steel – fatto non banale. Trump sta restituendo agli impoveriti l’immagine di una politica che non si genuflette ai tecnici e ai dogmi dell’economia. La socialista americana Alexandria Ocasio-Cortez il problema ce l’ha chiaro, tanto che, affidandosi (anche troppo) alla Modern Monetary Theory, sta tentando di fare, del denaro e del suo costo, dell’inflazione, temi su cui la sinistra prende parola – politicamente. In Europa, purtroppo, dopo il movimento Blockupy il tema è uscito dall’agenda delle sinistre – una parte delle quali, quando si tratta di denaro, passa la parola ai banchieri centrali o comunque agli economisti di professione. Un disastro, perché a breve, come segnala Ignazio Angeloni della BCE, le destre europee imiteranno Trump, impallinando la BCE con scopi tutt’altro che redistributivi. In ultimo, ma non per importanza: e se obiettivo di Trump fosse anche quello di controllare l’economia, dai dazi alla moneta, alle grandi corporation, per avanzare nella lunga preparazione della resa dei conti bellica con la Cina? D’altronde, gli anni Trenta tedeschi, questo ci insegnano.     Immagine di copertina da Kaboompics.com L'articolo Perché la destra politicizza il denaro? proviene da DINAMOpress.
La Cina alla conquista del Sud globale
Un “nuovo ordine commerciale globale”. È ciò che sta emergendo dalla rete sempre più fitta di scambi tra la Cina e i paesi emergenti in risposta al protezionismo statunitense e all’aumento delle tensioni geopolitiche. A sostenerlo è uno studio di Standard & Poor’s che evidenzia che, dal 2015, le esportazioni […] L'articolo La Cina alla conquista del Sud globale su Contropiano.
Taranto, laboratorio di speculazione e rinvii infiniti – di Franco Oriolo
A Taranto nulla accade per caso. La vicenda della continuità produttiva di Acciaierie d’Italia (ex Ilva) è l’ennesima truffa orchestrata con cinismo: dietro le parole di “transizione” e “rilancio” si nasconde sempre lo stesso gioco sporco, che cambia interlocutori ma non sostanza. Le promesse di risanamento e lavoro sono vuote menzogne, consumate e gettate [...]
Afghanistan, che cosa c’è dietro l’immagine ripulita dei Talebani. Prima parte
Il 15 agosto 2021 Kabul fu presa dai Talebani mentre gli Stati Uniti con i loro alleati abbandonavano in tutta fretta il Paese. Questo evento ha segnato un punto di non ritorno per le donne afghane, che da quel giorno sono progressivamente cadute in un incubo senza fine. Per questo  il CISDA (Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane ) ha organizzato un incontro con una esponente di RAWA (Revolutionary Association of Women in Afghanistan), che afferma: ”Ci consideriamo la più antica organizzazione politica femminile in Afghanistan. Pensiamo che qualsiasi cambiamento, qualsiasi miglioramento della situazione delle donne, in qualsiasi società, non possa realizzarsi senza cambiamenti politici.” Pubblichiamo di seguito le sue considerazioni. La situazione attuale in Afghanistan non è quella dipinta dai media occidentali. Di solito si legge che la vita è tornata alla normalità, c’è la pace e che la situazione è in qualche modo migliorata, ma questa non è assolutamente la realtà. C’è un livello di pressione sulla nostra società che fa sì che tutto sembri tranquillo. Ma quando vivi qui come afghano, vedi che ogni singolo uomo e donna ha i suoi problemi, le sue preoccupazioni, che sono infinite. L’attuale regime talebano è principalmente, come abbiamo sempre detto, sostenuto dagli Stati Uniti. I Talebani non sono mai stati una forza unita. Ci sono state e continuano a esserci delle divergenze tra loro, tra filo-cinesi, filo-iraniani e filo-sovietici, ma continuano a rimanere collegati e dipendere dal sostegno finanziario degli Stati Uniti. Si affidano alla leadership della CIA e all’ISI pakistano e il regime pakistano continua la sua funzione di guardiano, una sorta di padre per i Talebani afghani (anche se la prima ad organizzarli in realtà fu una donna,  Benazir Bhutto). Le divergenze più accese e crescenti tra i Talebani sono dovute alla situazione interna; le varie regioni in Afghanistan sono divise tra le diverse fazioni e ognuna di loro, come Mula Habibullah, Mula Yakub o Mula Hakani, cerca di avere più potere controllando le miniere, le zone di produzione dei minerali, la produzione di droga, lo smercio di droga verso gli altri Paesi e anche il contrabbando che è estremamente redditizio. Nel giro di quattro anni, da quando sono tornati al potere, molti funzionari nel governo, leader e  comandanti si sono trasformati in potenti figure politiche, sostenuti da una forza finanziaria e da diversificate fonti economiche. Il denaro settimanale che arriva dagli Stati Uniti viene diviso tra i loro comandanti e leader. Non si può dire che i Talebani siano deboli finanziariamente. Stanno cercando di sfruttare sia le opportunità che hanno a livello locale, sia quelle internazionali, attraverso i finanziamenti degli Stati Uniti, da cui ricavano un reddito considerevole. In alcune regioni dell’Afghanistan, come ad esempio Tahar, una provincia settentrionale del Badakhshan, e Panjsher, che si trova anch’essa per la maggior parte nella zona settentrionale, nel Nuristan, si trovano le principali grandi miniere del Paese e ogni fazione talebana sta cercando di metterci le mani. Apparentemente è un progetto governativo, ma per lo più si tratta di un progetto privato in cui stanno cercando di scavare più miniere possibili e prenderne il controllo prima che la gente possa accaparrarsi oro e pietre preziose. I Talebani non permettono ai contadini e alla gente del posto di avvicinarsi; per questo  mandano i loro soldati a controllare e a difendere le miniere. I media internazionali affermano che la produzione e la coltivazione di droga sono diminuite in Afghanistan, ma questa non è la realtà: a livello locale, ogni comandante talebano ha le proprie regioni, le proprie aree in cui è ancora consentita la produzione di droga e le proprie aree di confine in cui la contrabbanda. A volte leggiamo che ci sono stati scontri armati tra Talebani, come ad esempio nelle zone in cui si scava una miniera. Di recente dei soldati talebani hanno preso le armi contro il loro comandante perché sapevano che non avrebbero ricevuto lo stipendio, mentre il comandante si stava costruendo una grande casa. Il governo non prende alcuna decisione perché le stesse persone che ricoprono posizioni chiave sono coinvolte in questa corruzione. Non si preoccupano della gente, non si preoccupano del miglioramento dei loro soldati, ma di ciò che serve per riempirsi le tasche. I Talebani stanno attenti a fornire al mondo un’immagine di sé “ripulita”, ma noi vediamo quotidianamente le prove dei loro crimini morali sui social media locali. Parliamo ad esempio del rapimento di ragazze e donne, i matrimoni forzati, le minacce e così via. Abbiamo un sacco di prove in forma di videoclip o clip vocali, pubblicate per denuncia dalle persone o dalle stesse vittime. Sfortunatamente nessuno di loro viene rilanciato sui media internazionali. I Talebani hanno successo nel propagandare un’immagine di se stessi come persone pulite, molto religiose, oneste, ma questa non è la realtà. Fanno schifo, tanti di loro minacciano, usano la forza delle armi per il loro tornaconto economico; è un comportamento diffuso e molto comune. Oggi molte famiglie stanno affrontando una grave pressione a causa della crisi economica e non trovano altra soluzione se non quella di dare in sposa le figlie in età molto giovane. È più comune, come lo era in passato, nei villaggi delle zone rurali, ma dalla chiusura delle scuole e dai cambiamenti avvenuti nella vita degli afghani negli ultimi quattro anni è un fenomeno che possiamo riscontrare anche nelle grandi città come Kabul. Nelle nostre società le donne in genere non sono protette, soprattutto quando sono giovani e adolescenti vengono considerate un peso per la famiglia; hanno solo la responsabilità di contrarre un matrimonio il prima possibile, di avere figli e di gestire una famiglia. Questo è l’unico dovere che la società attuale attribuisce alle donne. Ed è per questo che molte famiglie credono che sia una sorta di protezione per le bambine darle in sposa il prima possibile. Quando subiscono pressioni da parte dei Talebani o dei comandanti, le danno in sposa a chiunque. Negli ultimi quattro anni, esattamente come sta accadendo con i signori della guerra jihadisti, i Talebani, usando la forza delle armi, cercano ragazze non sposate, poi le danno come seconde, terze e persino quarte mogli ai loro leader religiosi e comandanti militari. Oggi quando si entra nella capitale, metà degli appartamenti, delle grandi case, delle grandi proprietà bene in vista sono state acquistate dai comandanti militari o dagli spacciatori. Se un domani i Talebani dovessero trovarsi nella condizione di fuggire, non potranno farlo facilmente perché qui hanno molte proprietà. I comandanti talebani sono presenti in ogni zona residenziale con le loro guardie del corpo, le loro auto costose e il loro personale. Nelle zone più eleganti di Kabul, nel ristorante più costoso, con decorazioni dorate come se fosse un palazzo antico, i Talebani arrivano scortati dalle guardie del corpo e anche nei negozi più costosi i clienti sono quasi solo loro. I Talebani di oggi non sono quelli che presero il potere nel 1996  per cinque anni; ora si preoccupano dei loro interessi privati e benefici economici, come hanno imparato dalla corruzione dei leader jihadisti, da Khazai, dal regime di Ashraf Ghani. Se si hanno più risorse finanziarie, si possono proteggere meglio i propri cari, le proprie forze armate e le proprie famiglie. Molti leader talebani hanno mandato i figli, anche le bambine, a vivere all’estero, in Qatar e in altri Paesi arabi, dove godono di una vita migliore e di una migliore istruzione. Attualmente l’Afghanistan non ha un’economia. La vita è gestita attraverso il sostegno settimanale che arriva al governo dagli USA e attraverso il sistema di tassazione forzata introdotto dai Talebani: ogni negozio, ogni casa e persino le ONG, le organizzazioni, le aziende… tutti pagano tasse elevate, raddoppiate rispetto a prima. La maggior parte dei lavori infrastrutturali, come la costruzione di strade, l’installazione di telecamere di sicurezza, la creazione o la ricostruzione di piazze e altro ancora sono eseguiti con l’uso della forza, costringendo organizzazioni e imprenditori privati. Apparentemente, agli occhi stranieri, sembra che i Talebani abbiano migliorato la vita, perché sono state costruite le strade principali, ma la maggior parte dei finanziamenti viene sottratta con la forza a donatori privati e individui.   Fiorella Carollo
Dossier Milano # 4 | Più conflitti, meno conflitti di interesse – di Lucia Tozzi
“Le mie mani sono pulite” ha detto il sindaco Sala nella seduta del consiglio comunale dove ha sacrificato il suo capro – l’assessore all’urbanistica Tancredi, coinvolto nelle indagini della procura milanese su alcuni (parecchi) progetti di trasformazione urbana. E con questa affermazione ha confermato la sua linea politica sullo sviluppo: privatizzazione feroce dei servizi [...]
Trump perde consensi. “Il rimorso dell’acquirente”
In un servizio pubblicato da Axios, i due commentatori Jim VandeHei e Mike Allen scrivono che Trump, in termini di risultati concreti, ha sfornato i suoi primi sei mesi in modo storico. Enormi tagli fiscali. Attraversamenti di frontiera a livelli record. Entrate tariffarie in forte crescita. Attacchi aerei spettacolari in Iran. […] L'articolo Trump perde consensi. “Il rimorso dell’acquirente” su Contropiano.