Il destino della merce
(disegno di otarebill)
Andrea Bottalico, La logistica in Italia. Merci, lavoro e conflitto, Carrocci,
Roma, 2025, pagg.119, euro 14.
Questo volume di Andrea Bottalico, ricercatore esperto del settore, propone una
ricognizione esaustiva e politicamente stimolante sul tema “logistica”. Infatti,
seguendo un metodo ormai consolidato della ricerca sociologica e storiografica
(soprattutto di matrice operaista), l’autore intreccia in ogni capitolo la
dimensione organizzativa del fenomeno e quella relativa al rapporto sociale
sottostante: alle sue figure, alle sue contraddizioni, ai suoi conflitti. La
conoscenza vera di un comparto del capitalismo industriale, si può praticare
oggi solo in questo modo: indagando contemporaneamente la struttura e le movenze
del soggetto sociale che la abita. L’analisi della “produzione di classe
operaia” – cioè l’analisi dei soggetti reali che vivono il rapporto di capitale
– diventa così inscindibile dallo studio dell’assetto organizzativo del settore.
E il conflitto è la risultante della continua modificazione che tale rapporto
subisce.
Bottalico propone innanzitutto una perimetrazione – non scontata né
semplicissima – dell’oggetto della sua ricerca: “Oggi è possibile acquistare un
qualsiasi prodotto on line che arriva a casa domani grazie a una cosa che non è
affatto gratis. Questa cosa è il lavoro di uomini e donne quotidianamente
impiegati e sfruttati nella catena logistica del trasporto merci. Senza i
lavoratori e le lavoratrici, il flusso di beni e servizi da cui siamo dipendenti
si fermerebbe. La logistica si presenta come un universo costituito da
molteplici galassie. È una dimensione complessa da delimitare, così come lo sono
le attività di trasporto, approvvigionamento, distribuzione a cui viene
generalmente associata. Nel tempo la logistica si è trasformata in un termine
chiave come una parola d’ordine, e non è un caso che il suono di questa parola,
di origine greca, richiami qualcosa di militare. […] Oggi parlare di logistica
significa ragionare sull’organizzazione di filiere che si sviluppano su una
scala molto ampia, soprattutto in seguito ai cambiamenti tecnologici avvenuti
nel corso degli ultimi decenni (flotte aeree moderne, containerizzazione,
espansione del trasporto marittimo e su gomma, digitalizzazione). Mutamenti che
hanno inciso sull’organizzazione della produzione facendo emergere colossi come
Amazon, Walmart, Ups, FedEx, Dhl, Tnt, Gls, Msc”. (pag. 9)
Partendo dalla definizione, difficile e non univoca, della categoria, si capisce
quanto le trasformazioni organizzative – in direzione della piena integrazione
di diverse fasi un tempo separate, che oggi si presentano come “flusso”
integrato e costante che avvolge il pianeta e la produzione – abbiano
sostanziato la fase storica della globalizzazione. Quella stagione cruciale
sarebbe semplicemente incomprensibile senza la conoscenza delle innovazioni
tecnologiche e delle ricadute sociali, infrastrutturali e urbanistiche, che la
logistica ha prodotto negli ultimi cinquant’anni.
La tesi dell’autore è che la logistica italiana si pone come “anomalia”,
rispetto ad analoghi processi europei. È un settore “usa e getta”, ad alta
intensità di mano d’opera dequalificata e sottopagata, con un altissimo tasso di
esternalizzazione delle attività di magazzinaggio e trasporto – ormai affidate
quasi esclusivamente a soggetti esterni al rapporto tra produttore e clienti.
Questa tendenza nazionale ha prodotto enormi sacche di illegalità, la
costituzione di una autentica jungla di cooperative spurie delegate a coprire
questo ambito essenziale del processo di produzione/circolazione delle merci.
Tale è stata la pressione al ribasso sulla forza lavoro, che i bassi salari e la
precarietà sono diventate la condizione sine qua non per la sopravvivenza di
molte di queste imprese le quali, se poste nella condizione di legalizzare il
loro profilo, vedrebbero il sostanziale azzeramento del margine di profitto.
“L’ipotesi che guida questo volume è che alcuni processi come
l’esternalizzazione delle funzioni logistiche, la repressione dei diritti
sindacali, la violenza sul posto di lavoro, l’illegalità strutturale e lo
sfruttamento sistematico, l’assenza di tutele e il caporalato sono state le
precondizioni per lo sviluppo della catena logistica del trasporto merci in
Italia come settore dinamico e in continua crescita. Questi fenomeni non sono
stati un effetto, ma una causa della traiettoria di sviluppo del modello
logistico italiano. Si è trattato dunque di un modello emerso nel corso degli
ultimi decenni. Un modello composto da elementi sempre più caratterizzanti il
mondo del lavoro del nostro tempo, al quale le forme autonome del conflitto si
sono opposte ereditando dal passato partiche ed esperienze di lotta”. (pag. 11)
Bottalico individua, in tema di “movimentazione delle merci” tre precise fasi
storiche della vicenda italiana, che caratterizzano rispettivamente: la
ricostruzione post-bellica, il boom economico e la configurazione d’impresa nel
mondo globalizzato. Sono le tre dimensioni fondate sullo sviluppo della rete
ferroviaria, del trasporto marittimo tradizionale e infine della intermodalità
integrata e verticale che caratterizza i flussi attuali. A queste tre fasi
corrispondono tre dinamiche di protagonismo operaio: la storica figura
sindacalizzata dei ferrovieri, ridimensionata dalla perdita di centralità dei
binari rispetto al trasporto su gomma negli anni del boom; quella dei lavoratori
portuali, che hanno subito i colpi della privatizzazione delle banchine negli
anni 80/90; e infine il soggetto operaio della logistica moderna, che richiede
una narrazione “in diretta” della sua composizione e dei suoi movimenti. Tre
figure sociali profondamente diverse, che hanno conosciuto progressi e
sconfitte, interagendo in modo conflittuale con la forma impresa che
caratterizzava le diverse fasi storiche.
La composizione della forza lavoro del settore logistico – parliamo di
professionalità, potere sulla prestazione, coscienza del proprio ruolo sociale –
è ovviamente li prodotto delle enormi trasformazioni che il settore ha subito
nei decenni. La containerizzazione e le tecnologie digitali azzerano la
manipolazione dei carichi, con una progressiva estromissione della forza lavoro
dai settori “centrali” della filiera – pensiamo ai porti iper-tecnologizzati in
cui l’intervento umano si sposta “a latere” di ogni operazione – e un incremento
esponenziale negli anelli terminali del ciclo, retroporti, hub e magazzini sui
territori.
“La diffusione del container favorisce l’emergere della logistica integrata. La
storia della logistica in Italia, da questa prospettiva, coincide con la storia
della intermodalità, una novità dirompente che consiste nella possibilità di
usare in maniera integrata due o più modi di trasporto per consegnare la merce.
In generale per intermodalità si intende una rete coordinata di vettori ed
utenti che operano in concerto allo scopo di trasferire la merce attraverso modi
e combinazioni di trasporto diverse e contigue. […] È dal trasporto intermodale
che deriva il modello Door to Door, consistente in un singolo carico controllato
da un singolo vettore e coperto da un singolo documento, laddove il cliente (o
committente) tratta con il vettore esclusivamente il trasporto dall’origine alla
destinazione. In questi anni avviene dunque una integrazione che finisce per
investire la stessa concezione del trasporto, non considerato più come una somma
di attività separate e autonome di singoli vettori interessati, ma come un’unica
prestazione da origine a destino, in una visione globale del processo di
trasferimento di una merce”. (pag. 10)
L’autore nella sua ricerca ha giustamente focalizzato la sua attenzione sui
fenomeni di esternalizzazione delle funzioni logistiche – il viaggio della merce
dall’uscita dei luoghi di produzione verso la sua destinazione. Resta da
indagare un altro grande filone di ricerca – comunemente inserito nella
definizione di “logistica” – che è quello dei cosiddetti “appalti interni”: il
processo che negli ultimi venti anni ha portato moltissime aziende industriali a
isolare reparti e fasi del ciclo per affidarli in appalto a imprese (spesso
cooperative, spesso in totale subordinazione organizzativa rispetto al
committente) operanti all’interno dei perimetri aziendali. Una sorta di
“delocalizzazione interna” che ha favorito uno spezzettamento delle condizioni
contrattuali e un indebolimento complessivo dell’unità di classe, anche dentro i
luoghi “centrali” del processo produttivo.
Sono molti gli spunti di analisi interessanti che questo libro propone, anche
per i non addetti ai lavori. Soprattutto quelli relativi alla lettura della
logistica italiana come “metafora” dello sviluppo distorto del capitalismo
italiano nell’ultimo trentennio. Ciò che è accaduto in questo comparto
produttivo – frammentazione organizzativa, deflazione salariale, precarietà,
sfruttamento – è solo il riflesso, magari in forme esasperate, di ciò che ha
riguardato tutto lo spettro del lavoro sociale. Così come l’acquiescenza del
legislatore, che non ha governato la crescita malata e anomala del settore
logistico, ma ne ha solo accompagnato l’espansione: con ricadute fondamentali
anche nel ridisegno delle aree portuali, degli interporti, delle zone
industriali, delle politiche urbanistiche e territoriali affidate come sempre
alla commistione di interessi tra privati e ceto politico compiacente o succube.
Solo gli scioperi hanno scoperchiato il pentolone del malaffare e indicato –
anche ai ricercatori – la strada dell’analisi impietosa e della denuncia
pubblica di queste degenerazioni. I facchini – organizzati dai sindacati di
base, poveri, precari e sottopagati – sono stati capaci di scoperchiare un
pentolone maleodorante che molti fingevano di non vedere. Non basterà il Decreto
Sicurezza per ricondurre i lavoratori al silenzio e azzerare le conquiste di
questi anni, strappate dalle lotte e pagate a caro prezzo, con morti nei
picchetti, inchieste, arresti e licenziamenti. (giovanni iozzoli)