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Cremona: celebrazione guerra d’Etiopia con Carabinieri e scolaresche, ma era un’impresa fascista!
Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università riteniamo opportuno fare qualche precisazione in merito all’articolo pubblicato su CremonaOggi il 21 novembre 2025, riferito alla celebrazione in Cattedrale dei Carabinieri in occasione della Patrona Virgo Fidelis, che ha visto anche la partecipazione di studenti e studentesse di un Istituto cittadino, l’IIS Stradivari di Cremona (clicca qui per la notizia). Nell’articolo, al di là di quanto si possa essere d’accordo sugli eventi che mettono in risalto le forze armate, e mettendo per un attimo da parte il doveroso riconoscimento a persone che, nell’adempimento del loro dovere, svolto in nome dello Stato e della collettività, hanno perso la vita, preme soffermarsi sulla questione della celebrazione, contestuale alla suddetta  cerimonia, “dell’eroica difesa del caposaldo di Culqualber, un episodio della Guerra d’Etiopia del 21 novembre 1941, da parte del 1° Battaglione Carabinieri e Zaptie, nel quale si consumò il sacrificio in una delle ultime battaglie dell’esercito italiano” (il virgolettato è preso testualmente dall’articolo pubblicato). Se si volesse approfondire, si troverebbe tanto materiale che descrive nel dettaglio le azioni militari volte a difendere il territorio di Etiopia dall’attacco degli inglesi; lasciamo questa possibilità a chi voglia approfondirne il contenuto. Si parla di guerra, armi, combattimenti, prigionieri, morti ed, infine, di capitolazione. Le fonti dicono che, dopo mesi di resistenza e di attacco, durante l’ultima, disperata difesa, si distinsero in molti, militari del Regio Esercito, Camicie Nere, Ascari dei reparti coloniali, Carabinieri e Zaptiè, che sacrificarono la loro vita in nome dell’Italia. II Maggiore Carlo Garbieri, il Carabiniere Poliuto Penzo ed il Maggiore Alfredo Serranti, furono decorati di medaglia d’oro al valore militare alla memoria. Questa doverosa premessa è per conoscere i termini degli eventi di cui si parla nell’articolo. Riflettiamo quindi sui molti sottintesi storici di tale evento. Siamo nella Seconda Guerra Mondiale, a fianco dei nazisti, cioè dalla parte sbagliata della storia di quel periodo. Siamo su un territorio occupato con un’azione imperialista e colonialista: l’invasione e l’attacco ad uno Stato sovrano come l’Etiopia valse al Regno d’Italia, che ambiva ad avere il suo Impero, le sanzioni previste dall’allora Società delle Nazioni, che vietava azioni del genere, e che contribuirono al precipitare dello Stato Italiano nel baratro che porterà a quell’obbrobrio che fu la Seconda Guerra Mondiale. In Etiopia il nostro Regno, diventato malauguratamente Impero su base razzista, “francamente razzista”, per dirla con le parole del Duce, fu protagonista di atti terribili nei confronti della popolazione civile, con massacri, costruzione di campi di concentramento, rappresaglie, stupri e violenze nei confronti dei “mori”. Solo per citare qualche evento, si ricorda che tra il 19 e il 21 febbraio 1937 le truppe italiane, con il supporto dei civili e delle squadre fasciste, massacrarono circa ventimila abitanti di Addis Abeba, una feroce repressione a seguito del fallito attentato contro il maresciallo Rodolfo Graziani, allora viceré d’Etiopia, a opera di due giovani resistenti eritrei. Le violenze degli italiani durarono per mesi e si estesero ad altre parti del Paese, fino all’eccidio di chierici e fedeli nella cittadina monastica di Debre Libanos a maggio dello stesso anno. In tale circostanza le truppe italiane massacrarono più di duemila monaci e pellegrini al monastero etiope. Una strage che, come altri crimini di guerra commessi nelle colonie, trova spazio a fatica nel discorso pubblico, nonostante i passi fatti da storiografia e letteratura. Con quel passato il nostro Paese non ha mai fatto i conti, né sul piano giuridico né su quello materiale   Graziani è conosciuto come un crudele e violento, vendicativo e dispotico, che utilizza il proprio potere come mezzo di affermazione personale. L’eccidio messo in atto come rappresaglia è stato definito il più grande avvenuto nei confronti dei cristiani in Africa.  Il messaggio con cui dà ordine di massacrare i monaci è il seguente: “Questo avvocato militare mi ha comunicato proprio in questo momento che habet raggiunto la prova assoluta della correità dei monaci del convento di Debra Libanos con gli autori dello attentato. Passi pertanto per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore. Prego farmi assicurazione comunicandomi il numero di essi”. Si è trattato di un vero e proprio crimine di guerra, poiché l’eccidio è stato qualcosa che è andato al di là della logica militare, andando a colpire dei religiosi, peraltro cristiani e inermi”.  In Italia manca una memoria consapevole sulle responsabilità per gli eccidi e le violenze commesse dagli italiani nel corso della loro “avventura” coloniale per andare alla ricerca di un “posto al sole” in Libia, in Eritrea, Somalia ed Etiopia al pari delle altre nazioni europee, vengono ancora oggi occultate dalla coscienza pubblica. Il colonialismo non è stato semplicemente un periodo storico, ma è anche una pratica economica che prevede occupazioni e stermini, con disumanizzazione della popolazione indigena. Vennero costruiti campi di concentramento, come a Danane, situato a quaranta chilometri da Mоgadiscio, in riva all’Oceano Indiano, ordinato sempre dal generale Graziani, per accogliere i prigionieri di guerra, resistenti, funzionari, partigiani, monaci copti scampati alla drastica liquidazione dei conventi, indovini e cantastorie, rei soltanto di aver predetto l’imminente tramonto del dominio italiano in Etiopia, di somali che hanno manifestato, in diverse maniere, la loro opposizione all’Italia. Sin dal momento in cui comincia a funzionare, il campo di Danane, come l’altro lager di Nocra in Eritrea, gode di una sinistra reputazione. Noi tutti, inoltre, siamo a conoscenza di come gli Italiani trattassero le popolazioni locali, ammantandosi di una funzione “civilizzatrice” nei confronti di persone che non potevano avere la stessa dignità umana né gli stessi diritti. La conclusione è che spesso gli italiani tendono a ricordare solo quelle pagine della loro storia funzionali alla costruzione di un’immagine positiva di sé come popolo e Nazione ma serve maturare una consapevolezza nuova che metta l’accento anche su una discrasia pericolosa: da un lato la giusta memoria delle stragi nazi-fasciste commesse ‘in Italia’ e dall’altro la pubblica amnesia sulle violenze commesse ‘dall’Italia’ nelle sue colonie in Africa. Questo distacco dalla storia è molto preoccupante perché lascia la coscienza pubblica in balìa di pericolose derive disumanizzanti, aprendo vuoti insidiosi e facilmente colmabili da slogan e da letture semplificate del passato. La partecipazione a eventi come questo da parte delle scuole non si può quindi ritenere neutra: la conoscenza approfondita dei fatti storici e del contesto è necessaria per educare gli studenti al pensiero critico (critico proprio perché informato e consapevole), fuori dagli stereotipi dello stato forte se armato. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Gioventù Nazionale e militarizzazione: un ritorno al nefasto passato
Gioventù Nazionale sta alla destra come il Fronte della Gioventù stava al Movimento sociale italiano: si tratta delle organizzazioni giovanili del passato e del presente, in quanto ogni partito ha la sua costola giovanile, sia pur con modelli organizzativi cambiati nel tempo. A non mutare però sono le ideologie di fondo e certe pratiche di piazza. Nelle ultime settimane, a seguito degli scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre, in diverse occasioni davanti alle scuole occupate in varie città italiane si sono presentati esponenti di gruppi politici di destra con il palese intento di contrapporsi alle ragioni degli studenti e delle studentesse schierati contro il genocidio del popolo palestinese, la politica estera del Governo, il militarismo. Il caso di Torino è particolarmente significativo perché il tentativo degli studenti e delle studentesse del Liceo “Einstein” di bloccare il volantinaggio di GN è stato seguito da una brutale repressione da parte della Polizia in assetto antisommossa, conclusasi con il fermo di uno studente minorenne (Torino. Al liceo Einstein i fascisti provocano, ma la polizia arresta uno studente – Contropiano) Il repertorio della destra giovanile non è poi così differente dal passato, ma su un punto diverge: le posizioni filopalestinesi della destra si sono oggi trasformate nell’acritico sostegno al sionismo, le critiche agli USA e a quel modello culturale hanno lasciato il posto a simpatie diffuse verso Trump, il tradizionale nazionalismo soppiantato dall’atlantismo. La trasformazione della gioventù di destra segue l’involutiva parabola del partito di riferimento, Fratelli d’Italia, ormai (insieme alla Lega) da annoverare tra i sostenitori della politica di Israele. Nei fatti avviene un sostanziale capovolgimento della realtà, si assumono posizioni allineate con il Governo o quelle diametralmente opposte ai giovani di sinistra trovando in questa rocambolesca e semplicistica operazione la propria identità politica. Fin qui nulla di nuovo se non che nei giorni scorsi è comparso sulla pagina Facebook della sezione torinese di Gioventù Nazionale un reel in cui veniva ripresa la versione locale del volantino dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, che chiamava a raccolta il movimento antimilitarista per contestare i festeggiamenti del 4 novembre. Il giovane militante dichiara: “NO! Il 4 novembre è la nostra festa! Nel fango delle trincee si è fatta l’Italia, e noi proviamo vergogna per chi sputa sull’esempio dei nostri padri. Noi rivendichiamo il nostro orgoglio nazionale, e tu?” (https://www.facebook.com/reel/1745609296137579/?mibextid=rS40aB7S9Ucbxw6v). Proprio in questi giorni arrivano notizie da vari Paesi europei, ad esempio la Germania, nei quali i giovani studenti critici verso la presenza dei militari nelle scuole hanno subito pressioni e ritorsioni fino a denunce per diffamazione. Gli aggressivi volantinaggi e la rivendicazione della festività del 4 novembre da parte dei giovani militanti di destra sono un sintomo preoccupante di un crescente clima di odio verso i movimenti pacifisti e antimilitaristi. Tuttavia, in questa data migliaia di uomini, donne, giovanissime/i sono scesi nelle piazze di una cinquantina di città per prendere aperta posizione contro il Riarmo, i processi di militarizzazione, per esigere una narrazione dei fatti storici a partire dalla analisi delle fonti senza cadere vittima del revisionismo storico e politico, della mera esaltazione delle guerre. Gioventù Nazionale, con la sua tronfia retorica bellicista, dimentica che le risorse destinate dal Governo all’istruzione sono sempre più ridotte e che i giovani, a prescindere dalla loro collocazione politica, dovrebbero preservare scuole e università dalla scure dei tagli, non assumere posizioni precostituite quando a essere in gioco sono il loro presente e futuro. Ma invece di aprire una riflessione sull’oggi ci si cela opportunisticamente dietro all’esaltazione di un sistema valoriale che non ha altro obiettivo se non quello di mascherare il depotenziamento di scuola e università pubbliche, prestandosi all’  occorrenza ad operazioni di becera esaltazione della guerra e della violenza di cui quest’ultima sempre è portatrice. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
BRESCIA: 82 ANNI DOPO L’ECCIDIO DI PIAZZA ROVETTA, DOPPIO APPUNTAMENTO CON L’ANPI DEL CENTRO STORICO
In occasione del 82°anniversario dell’eccidio fascista di Piazza Rovetta, a Brescia, l’ANPI – Sezione Caduti di piazza Rovetta organizza due iniziative, sabato 15 e domenica 16 novembre. Sabato 15 novembre incontro intitolato “Pace è libertà. Note di solidarietà con il popolo palestinese per sostenere la solidarietà a Gaza”, al teatro di Contrada San Giovanni 8, alle ore 16. In apertura le letture di Elena Bettinetti, accompagnata dal musicista Angel Galzerano; segue lo spettacolo musicale con il gruppo Corimè. L’ingresso è gratuito. Domenica 16 invece “Manifestazione della Resistenza e deposizione di omaggi floreali ai monumenti dei Caduti per la Libertà”. L’appuntamento è alle ore 10.30 in largo Formentone. Interverranno Giulia Venia, dell’ANPI Sezione Caduti di piazza Rovetta, Lucio Pedroni, presidente ANPI per la provincia di Brescia e Laura Castelletti, sindaca di Brescia. Oratore ufficiale Raffaello Corriero, già della Global Sumud Flotilla. Segue l’esibizione musicale degli allievi del Gruppo strumentale della banda cittadina di Brescia, la Isidoro Capitano. Questa mattina, giovedì 13 novembre, conferenza stampa indetta ANPI con: Vanni Botticini e Walter Longhi, dell’ANPI Sezione Caduti di piazza Rovetta ed Ermanno Ricci, ultimo testimone dell’eccidio, che per l’occasione ha ricevuto la tessera onoraria del Circolo. A chiudere, il presidente dell’ANPI provinciale di Brescia Lucio Pedroni Ascolta o scarica
La “guerra dei monumenti”: esperienza e memoria proletarie della ‘grande guerra’ rimosse da lapidi, statue,… e canzoni
«La Difesa è come l’aria, fin quando non serve non si vede, ma quando manca si capisce la sua necessità» ha detto Piero Calamandrei il 26 gennaio 1955 in un incontro con degli studenti a Milano… NOOO !!! Come ricorda chi lo sa, questa affermazione il cui soggetto è la difesa, scritta con la D maiuscola perché a definire l’attività delle forze armate a protezione della patria, distorce un’altra, celebre, che dice esattamente il contrario. Il padre della patria, un giurista che dopo la ‘caduta’ del governo fascista venne nominato rettore dell’Università di Firenze e bersagliato dal mandato di cattura della Repubblica Sociale Italiana (o di Salò) e nel 1946 fu eletto deputato dell’Assemblea Costituente, aveva detto: «La libertà è come l’aria…». Questa sua frase è stata citata, però storpiandola, dall’imprenditore piemontese, erede della fabbrica di rimorchi per l’agricoltura Agrimec fondata nel 1937, ora l’industria metalmeccanica Crosetto s.r.l. che opera anche nei settori immobiliare e turistico, nel 2003 uno dei fondatori dell’Università degli Studi di scienze gastronomiche di Pollenzo, militante di Forza Italia che presiede il ministero della difesa, di cui è stato sottosegretario nel IV governo Berlusconi. Alla cerimonia militare commemorativa del 4 NOVEMBRE celebrata quest’anno ad Ancona, Guido Crosetto ha enfaticamente proclamato che tale ricorrenza è “un giorno di memoria, di riflessione ma è anche occasione di riconoscenza verso tutti coloro che negli anni a seguire hanno difeso l’Italia e che, con il loro sacrificio, hanno poi reso possibile la nascita della nostra Repubblica” e in cui ricordare lo “status unico, quello dei nostri militari, diverso da quello di qualsiasi altro cittadino… importante, perché la Difesa è come l’aria: ci si accorge di quanto sia essenziale solo quando viene a mancare“. Questa demagogica mistificazione della verità, cioè questa affermazione che modifica una realtà fattuale, in questo caso una Weltanschauung (vocabolo tedesco che letteralmente significa visione del mondo, ovvero percezione e concezione della realtà, e storicamente introdotto nel linguaggio filosofico da Immanuel Kant nel 1790 – Critica del Giudizio), e mediante la storpiatura dei vocaboli che la esprimono e conformano rafforza un’opinione contraria e consolida un’ideologia opposta all’originale, e tante altre falsità hanno plasmato la memoria storica e la coscienza collettiva degli italiani. Che ciò sia davvero accaduto lo si osserva anche nell’iconografia imposta in Italia dal regime fascista, una narrazione che ha letteralmente ‘seppellito’ le testimonianze dei contadini e degli operai reduci della prima guerra mondiale sotto la patina, con il passare del tempo diventata una sempre più spessa e coriacea ‘corazza’, di parole e figure che rappresentano i soldati come militi aitanti, gagliardi ed eroici anche coprendo ogni iscrizione e demolendo ogni lapide e statua che mostrava i militari come erano veramente dopo i combattimenti, cioè morti, feriti, mutilati e traumatizzati. L’autore della ricerca che lo documenta e del libro in cui sono raccolte le prove è Marcello Ingrao (non parente del celebre Pietro), il 6 novembre scorso protagonista dell’iniziativa organizzata a Casale Monferrato dalla sezione ANPI locale. Nato a Novara, cresciuto a Vercelli e residente a Casale Monferrato, Marcello Ingrao ha concentrato il proprio studio nell’area piemontese, una vasta zona rurale e industriale dove in città, anche molto piccole come le minuscole frazioni formate dai cascinali, comunità e famiglie avevano inciso e scolpito il ricordo dei propri parenti e concittadini con parole e immmagini che condannavano le atrocità della carneficina. Per la generazione che l’aveva combattuta al fronte e in trincea l’esperienza della grande guerra era stata terribile fin dalle prime battaglia, tanto che il papa, Benedetto XIV, nella propria Lettera ai capi dei popoli belligeranti il 1° agosto 1917 l’aveva denominata una inutile strage. Nel Ventennio fascista il ricordo delle truppe macellate venne rimosso dai discorsi politici, dai testi di storia e anche distruggendo monumenti che raffiguravano immagini espressive, come le ‘pietà’, ovvero le donne piangenti sui corpi straziati dei figli (o mariti) e cancellando iscrizioni esplicite, come quella sulla lapide dedicata a un soldato che definiva “perenne infamia” la battaglia che l’aveva “assassinato”. Queste immagini e frasi infatti biasimavano la brutalità della guerra e, più o meno esplicitamente, condannavano i suoi artefici, cioè i ‘signori della guerra’, i padroni delle fabbriche in cui lavorano gli operai che nel periodo erano stati ‘intruppati’ nel Regio Esercito Italiano che il 24 maggio 1915 aveva varcato le frontiere con l’Impero Austro-Ungarico e combattuto nelle terre irridente fino al 4 novembre 1918 e nelle terre conquistate, in particolare in Grecia e Albania, fino al 28 giugno 1919. «Anche ne Il Piave mormorava…, cioè nella canzone iconica che ha tramandato il racconto della storia della prima guerra mondiale tra le generazioni, i fatti sono rammentati in modo diverso da come erano realmente avvenuti», ha spiegato Marcello Ingrao. La canzone, il cui titolo originale è La leggenda del Piave, venne scritto e musicato da un compositore, Giovanni Gaeta, dopo la battaglia a cui D’Annunzio diede il nome di battaglia del solstizio. Le cronache, in cui è annoverata come la seconda battaglia del Piave combattuta dal 15 al 24 giugno 1918 al Passo del Tonale, nell’altopiano dei Sette Comuni, sul monte Grappa e alle sponde del Piave, riferiscono che le forze armate italiane vi prevalsero dopo aver subito 118˙042 ‘perdite’: 11˙643 deceduti, 80˙852 feriti e 25˙547 prigionieri. «La narrazione di questo e altri episodi emblematici della grande guerra ha deliberatamente consolidato nella memoria storica omissioni, inesattezze e, soprattutto, menzogne – ha precisato Marcello Ingrao – I versi che riferiscono della disfatta di Caporetto anche come causa dell’esodo di civili in fuga dalla devastazione, vennero emendati. Nella versione che il regime ha imposto come ‘ufficiale’ questa vicenda è definita un fosco evento, mentre in quella originale il Piave ricorda che le truppe al fronte ‘parlavano’ di tradimento, cioè della folle strategia vanagloriosa dei generali. La prima rima recita che il 24 maggio 1915 l’esercito marciava per raggiunger la frontiera e per far contro il nemico una barriera, quando in realtà aveva varcato il confine, quindi attaccato l’avversario che fino a pochi giorni prima un alleato e contro cui l’Italia aveva dichiarato guerra dopo uno storico ‘voltafaccia’». Nel volume edito a cura del Circolo Internazionalista Coalizione Operaia nel catalogo di pubblicazioni del periodico Prospettiva Marxista, «IL DOLORE BOLSCEVICO NON È PIÙ». LA “GUERRA DEI MONUMENTI” E LA RIMOZIONE DELLA MEMORIA PROLETARIA DELLA GRANDE GUERRA, Marcello Ingrao descrive e illustra numerosi ‘casi’ emblematici ricordando che la ‘battaglia’ ideologica era cominciata prima dei combattimenti bellici, quando gli italiani, anche i socialisti all’interno del partito e dei sindacati, si erano scontrati tra favorevoli e contrari all’intervento della nazione nella guerra nel 1915 già mondiale, che era ‘esplosa’ il 28 luglio 1914 e, fino al coinvolgimento delle grandi potenze americane e asiatiche, denomintata europea. In Quelle proteste “dense di eventi” che hanno mostrato ciò che Gaza rappresenta nel mondo pubblicato il 4 novembre scorso, quindi alla ricorrenza celebrata come Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate e mentre in tutta Italia docenti e studenti insieme a lavoratori e attivisti si mobilitavano in una 40ina di ‘piazze’ contro la militarizzazione delle scuole e delle università, la sociologa Dontella Porta (docente di scienza politica alla sede di Firenze della Scuola Normale Superiore) osservava che nel 2025 : “Il 22 settembre … contro la complicità del governo italiano nel genocidio israeliano a Gaza … e chiedere la fine dell’economia di guerra. Fino a 500mila persone si sono mobilitate nelle strade in 90 manifestazioni sotto lo slogan Blocchiamo tutto. Il 3 ottobre 2025 … due milioni di persone si sono mobilitate nelle strade marciando, bloccando porti e stazioni ferroviarie, interrompendo il traffico e occupando scuole e università, mostrando che l’Italia lo sa da che parte stare, Palestina libera dal fiume al mare“. Inoltre, in questa occasione Donatella Porta ha riferito che a giornalisti di vari paesi europei che l’hanno interpellata chiedendo Perché adesso? E perché in Italia? ha risposto: “Penso che ci siano diverse ragioni. L’intensificazione oceanica delle mobilitazioni per la Palestina libera, in Italia e a livello globale, è un caso esemplare di come le risorse per la protesta aumentino durante le azioni stesse. Nel nostro Paese da oltre due anni un’ampia rete di organizzazioni di movimenti sociali attive nelle lotte femministe, nell’ambientalismo e nell’antirazzismo, nonché i sindacati, hanno unito le forze con attori pacifisti”. Il 3 ottobre a Milano ho ‘interrogato’ alcuni manifestanti chiedendo loro a quale altro sciopero storico poteva essere paragonato l’enorme corteo che si era formato e con Marcello Ingrao il 6 novembre scorso abbiamo ricordato insieme che nell’area delle risaie vercellesi, dove nel 1949 veniva girato il film Riso amaro, nel 1950 un sindacalista aveva composto la canzone Son la mondina… in cui il coro di donne – come le operaie che l’8 marzo 1917 a San Pietroburgo avevano scioperato e manifestato all’insegna dei cartelli con scritto “pane e pace” – recita: “lotteremo per il lavoro, per la pace, il pane e per la libertà. E creeremo un mondo nuovo di giustizia e di vera civiltà. E se qualcuno vuol far la guerra tutti quanti uniti noi lo fermerem. Vogliam la pace sulla Terra e più forti dei cannoni noi sarem!”. FONTI INFORMATIVE : «IL DOLORE BOLSCEVICO NON È PIÙ». LA “GUERRA DEI MONUMENTI” E LA RIMOZIONE DELLA MEMORIA PROLETARIA DELLA GRANDE GUERRA, di Marcello Ingrao / Prospettiva Marxista Il discorso di Piero Calamandrei agli studenti milanesi (1955) / PATRIA INDIPENDENTE – 2010 Piero Calamandrei: «La libertà è come l’aria» / COLLETTIVA – 2022 4 NOVEMBRE 2025 : * 4 Novembre: la cerimonia militare ad Ancona / MINISTERO DELLA DIFESA * Mattarella celebra la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate ad Ancona / QUIRINALE * Quelle proteste “dense di eventi” che hanno mostrato ciò che Gaza rappresenta nel mondo / ALTRAƎCONOMIA Maddalena Brunasti
Tutti noi israeliani siamo Ben Gvir
Finalmente, siamo tutti Itamar Ben-Gvir. C’è una linea comune tra Naftali Bennett, Yair Lapid e Avigdor Lieberman, la speranza dell’opposizione, e Ben-Gvir, il grande terrore: nazionalismo, fascismo e militarismo differiscono solo per le più piccole sfumature. Tra il governo più di estrema destra nella storia di Israele e coloro che […] L'articolo Tutti noi israeliani siamo Ben Gvir su Contropiano.
Forse questa è l’ultima volta che potrò scrivere questa cosa – di Emanuele Braga
Il problema emerso dalla contestazione a Ca’ Foscari, con le proteste contro Emanuele Fiano, tocca il nodo centrale della questione: l’equiparazione tra antisemitismo e antisionismo. Qual è la posizione principale che viene censurata nel discorso mainstream in Italia, e che genera reazioni violente? Ve lo dico io: è la posizione secondo cui lo Stato [...]
Se l’anima del governo parla attraverso Roccella…
Gratta il liberale radicale e trovi il fascista inconsapevole (nel migliore dei casi). La ministra della famiglia Eugenia Roccella, ex femminista di area radicale (i pannelliani, insomma, gli stessi che hanno prodotto i Taradash e i Capezzone), poi berlusconiana, ecc, se n’è uscita con una dichiarazione che è riuscita a […] L'articolo Se l’anima del governo parla attraverso Roccella… su Contropiano.
Nobel per la pace alla Machado: l’ultima ipocrisia di un occidente in crisi!
Mentre in questi giorni assistiamo a un nuovo tentativo statunitense di destabilizzazione in Venezuela, attraverso le minacce di invasione, apprendiamo del conferimento del premio Nobel per la Pace a Maria Corina Machado, leader dell’opposizione più violenta di estrema destra nel Venezuela bolivariano. Fervente antisocialista e sostenitrice del libero mercato, Maria […] L'articolo Nobel per la pace alla Machado: l’ultima ipocrisia di un occidente in crisi! su Contropiano.
Homo homini lupus?
Smotrich avrebbe dichiarato: “Il diritto internazionale non si applica agli ebrei. Questa è la differenza tra il popolo eletto e gli altri”. Si tratta evidentemente di una dichiarazione suprematista, atteggiamento già di fatto praticato nello sterminio in atto, ma qui c’è un passo in più: rivendicare formalmente di essere al […] L'articolo Homo homini lupus? su Contropiano.
A Brooklyn evento di preparazione della marcia “Trump must go now!”
Sono in quattro, elegantissime e in bianco, ma non sono spose: fanno parte del coro resistente (il Resistant revival chourus) di Brooklyn; nel candore che emanano brillano vistosi orecchini dorati, una kefiya di quelle belle, ricamate a mano a quadri bianchi e neri, drappeggiata su una spalla, e un grosso pugno nero stampato su una camicetta, simbolo della lotta antifascista. Sono loro ad aprire l’evento. Ci deliziano con gospel a tema resistente, ma non basta: dobbiamo partecipare. Ci istruiscono nelle parole da ripetere e dividono la sala in due cori, per ottenere più voci. Cantiamo tutti e battiamo le mani. L’effetto è notevole, l’acustica è ottima, ma certo mi ricordo che siamo in una chiesa, anche se non ci sono croci e non invochiamo Dio o gli angeli, ma la nostra umanità, proprio come recita il cartello affisso sotto al leggio: “NO! In the Name of Humanity we REFUSE to Accept a Fascist America” (NO! In nome dell’umanità rifiutiamo di accettare un’America fascista). Siamo in un edificio d’epoca in downtown Brooklyn che ospita una congregazione quacchera, un movimento cristiano protestante che si è sempre distinto per le sue posizioni pacifiste, abolizioniste e anti-militariste. Oggi accolgono l’iniziativa “Trump must go now!” promossa da Refusefascism, un gruppo che vuole portare migliaia di persone a Washington in una marcia pacifica il prossimo 5 novembre, per la ricorrenza dell’elezione del presidente avvenuta lo scorso anno. Il punto è proprio questo: il presidente non rispetta le regole democratiche e noi, il popolo americano, non possiamo aspettare altri tre anni perché alla fine non ci sarà più la democrazia – Trump avrà distrutto tutto. Il livello di preoccupazione tra i presenti è alto; chi è venuto qua oggi è molto motivato (e siamo in parecchi, l’auditorium è tutto pieno). Gli applausi ai relatori sono frequenti, spontanei e calorosi. Al microfono si alternano varie figure: ci sono donne con fare matronale che incitano a non lasciarsi spaventare, altre minute che recitano poesie, un anziano nero che rifiutò di arruolarsi al tempo della guerra in Vietnam (lo incarcerarono), un regista e attivista religioso bianco che cita Gesù, Gandhi e Martin Luther King, e altri oratori ancora; tutti chiedono di stare uniti, lo auspicano, lo pregano. Il fascismo viene analizzato da ogni angolo possibile. “Fascismo” è quando qualcuno si può permettere di fermarti per la strada perché non gli piace come sei vestito, perché nelle tue parole sente un accento che non gli va bene, per il colore della tua pelle; è uno che può umiliarti pubblicamente, portarti via contro la tua volontà, farti addirittura sparire e rimanere impunito. Questo è ciò che fa l’ICE (Immigration and Custom Enforcement), la speciale milizia usata da Trump per scovare gli immigrati irregolari. E per di più il sedicente governo “democratico” con scuse e con la copertura di una Corte Suprema comprata, ignorando la Costituzione e bypassando il Congresso, sta militarizzando le città. È successo a Los Angeles, sta accadendo a Portland e presto arriverà a Washington. New York non è al riparo, è piuttosto in un limbo per via delle elezioni per il nuovo sindaco. E se perderemo? Se Zohran Mamdani perderà che cosa succederà? Trump ha minacciato che, se vincerà il candidato socialista, toglierà alla città i fondi federali. Per legge non potrebbe farlo (è infatti una assurdità e mi chiedo quale sarebbe la colpa di Zohran e dei newyorkesi?), ma tante cose non potrebbe farle e le sta facendo, imbrogliando, ricattando e mentendo. Ecco altre caratteristiche comuni a ogni fascismo: minacciare, ricattare e mentire. Nell’ascoltare mi viene la pelle d’oca, ma mi vengono anche in mente le parole di mia nonna quando ero bambina negli anni ’70 dello scorso secolo; poco e nulla sapevo del fascismo, ma avevo capito che, con quel “loro” detto con disprezzo e quasi schifo, indicava qualcuno che aveva fatto tanto male agli altri. Diceva: “Ah, quando c’erano loro al governo non si poteva fiatare, voi siete nati fortunati”. Rifletto su quegli uomini e donne spesso sconosciuti che nel passato in ogni parte del pianeta hanno sofferto l’oppressione e vi hanno resistito e di nuovo penso ai miei nonni: dobbiamo a loro la nostra nascita libera.  È a loro, a questi comuni cittadini, che dobbiamo ispirarci. La lotta deve essere assolutamente nonviolenta ma contagiosa, dobbiamo diventare milioni di pacifici resistenti presenti ovunque e dobbiamo ripetere l’impresa compiuta nel 1963 con la storica marcia su Washington di Martin Luther King. La prima parte dell’evento termina con nuovi cori d’incitazione e pugni alzati. La seconda prevede la creazione di gruppi di lavoro. La mia vicina di posto mi saluta e si avvia verso il team dei legali; altri si distribuiscono in varie direzioni. C’è chi si occupa dell’organizzazione dei pullman, chi della raccolta fondi, chi della preparazione dei biscotti, indispensabili per la buona riuscita degli happening. Su questi ultimi, confesso, faccio un pensierino, ma poi decido che è meglio tornare a casa a raccontare ciò che è successo oggi.         Marina Serina