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Il Veneto che resiste
Novembre è stato un mese di mobilitazione in Veneto, segnato da un equilibrio precario tra repressione e proteste. Le tensioni sono culminate venerdì 28 in occasione dello sciopero generale indetto dai sindacati di base: un corteo ha raggiunto i cancelli dell’azienda Leonardo Spa a Tessera(Ve), bloccando la strada statale 14 per diverse ore e causando notevoli disagi alla circolazione e all’azienda stessa. Ma partiamo dall’inizio. Novembre ha visto il Veneto chiamato alle urne per le elezioni regionali, concluse con la vittoria schiacciante del candidato di centrodestra Alberto Stefani, eletto con circa il 60% dei voti. Tuttavia, come in tutte le regioni interessate dalla tornata elettorale, l’affluenza è calata drasticamente: 44,6%, in diminuzione di 16,5 punti rispetto alle precedenti elezioni (61,1%). Nonostante il Veneto sia considerato da anni un fortino della destra, la repressione del dissenso non si è allentata. Emblematico l’episodio del 18 novembre a Padova, quando nove persone sono state fermate e identificate all’ingresso del comizio elettorale di Fratelli d’Italia al Teatro Geox, dove erano presenti Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. I fermati sono stati portati in questura e trattenuti arbitrariamente, nonostante l’identificazione potesse avvenire sul posto senza necessità di fermo. Il provvedimento è stato giustificato come “tentata manifestazione”. Inoltre, uno dei presenti ha ricevuto un avviso orale, norma del codice antimafia spesso usata come strumento intimidatorio insieme a un uso smodato dei fogli di via. Nella stessa serata anche Andrea Venzon, candidato indipendente in Veneto per la lista Avs, presente con un semplice cartello che denunciava le politiche deleterie del governo Zaia, è stato identificato dalla polizia e allontanato. Il 21 novembre l’Università di Verona aveva tentato di sabotare un’assemblea pubblica con gli attivisti Greta Thunberg, Simone Zambrin e Maya Issa. Il rettorato aveva provato a negare gli spazi per l’evento dedicato al genocidio del popolo palestinese, appellandosi a norme sulla par condicio elettorale. Malgrado la mancata concessione dell’aula e i microfoni spenti (l’organizzazione ha provveduto con un impianto audio indipendente), l’aula magna era gremita. Gli ostacoli posti da UniVR erano stati di diverso tipo: il primo di carattere burocratico, definendo “incompleta” la domanda per l’utilizzo dell’aula, nonostante il comitato studentesco confermasse la regolarità della richiesta. Il secondo prevedeva la possibilità di utilizzo dello spazio a patto che nella comunicazione non venisse fatto cenno allo sciopero generale del 28 novembre né allo slogan “Blocchiamo tutto!”. Il 22 novembre il movimento Extinction Rebellion, dopo la conclusione deludente della COP30 in Brasile, ha colorato di verde le acque di 11 città italiane, tra cui Venezia, utilizzando fluoresceina, un tracciante innocuo comunemente usato dagli idrogeologi. L’azione dimostrativa ha avuto grande risonanza in Italia e all’estero, finendo sulle pagine di testate come The Independent, The Telegraph, ABC News, Le Figaro e Le Parisien. Il clamore mediatico ha suscitato pesanti reazioni politiche, con attacchi pubblici al movimento e a Greta Thunberg (presente a Venezia) da parte di esponenti di Lega e Fratelli d’Italia, tra cui l’ex presidente del Veneto Luca Zaia e il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, in violazione del silenzio elettorale. A seguito dell’azione pacifica e nonviolenta, Extinction Rebellion denuncia abusi in tutta Italia. Venezia è diventata l’epicentro delle polemiche: 37 persone – tra cui la stessa Greta Thunberg– sarebbero state denunciate, multate e colpite da un Daspo urbano, senza che alcuna notifica ufficiale sia stata consegnata. L’opinione degli attivisti è che le dichiarazioni della questura siano un puro strumento di propaganda politica; gli abusi, secondo il movimento, erano iniziati già durante l’azione con il sequestro di striscioni, bandiere e tamburi da parte delle forze dell’ordine, senza verbale, violando i più elementari diritti costituzionali. Infine, nonostante i boicottaggi, la mobilitazione veneta in occasione dello sciopero del 28 novembre davanti ai cancelli della Leonardo Spa ha visto circa tremila persone. Non c’erano solo i centri sociali, ma anche lavoratori e sindacati che hanno documentato con foto e video la repressione subita dai manifestanti, con cariche dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa. Dopo ore di manifestazione pacifica e scritte sull’asfalto, la polizia ha disperso con gli idranti i manifestanti che bloccavano la circolazione delle merci e marciavano verso la fabbrica per occuparne simbolicamente gli spazi, in una giornata di mobilitazione contro le politiche di guerra. Redazione Italia
Militarizzazione e oppressione: voci dal Convegno di Verona del 23 novembre
Il 23 novembre l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università di Verona ha organizzato l’evento pubblico “Dalla Global Sumud Flotilla alla “tregua”. Quale futuro per la Palestina?”, svoltosi al Centro Tommasoli, stipato per l’occasione oltre ogni immaginazione, a tal punto che si è reso necessario allestire un impianto acustico anche all’esterno. L’iniziativa ha visto la partecipazione di Roberta Leoni (presidente dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università), Donia Raafat (scienziata politica e attivista palestinese), Antonio Mazzeo (giornalista e scrittore impegnato nei temi della pace e del disarmo), Moni Ovadia (attore, artista, co-sceneggiatore, musicista), Triestino Mariniello (docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool e parte del team della Corte penale internazionale per le vittime di Gaza), Greta Thunberg e Simone Zambrin (attivisti della Global Sumud Flotilla). Dopo il saluto di Miria Pericolosi, attivista dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università di Verona, Patrizia Buffa, moderatrice dell’incontro, ha aperto i lavori illustrando il significato del convegno e riportando alla memoria della platea quanto accaduto nei mesi scorsi: la nascita di un gigantesco movimento per la Palestina, imponente equipaggio di terra che ha accompagnato l’equipaggio di mare, segno tangibile dell’emersione di una coscienza planetaria. La mobilitazione non è stata motivata solo dall’empatia verso la Palestina, ma si è espressa in una vera e propria rivolta contro il potere delle oligarchie finanziarie e militari che hanno supportato e supportano il genocidio. In tutto il pianeta si è palesata la volontà di andare in direzione opposta a quella voluta dalle classi dirigenti. Purtroppo, la cosiddetta tregua ha avuto un’unica finalità: arginare questo movimento planetario. Ora più che mai, conclude Buffa, è il momento di perseverare nella resistenza all’oppressione, nella pratica del Sumud. Roberta Leoni ha messo in luce la militarizzazione totale della società israeliana che mobilita e disciplina l’intera popolazione mediante la leva obbligatoria lunga, instillando in tal modo nelle coscienze un senso d’insicurezza permanente. Un’organizzazione statuale e sociale che si regge su tali presupposti non può che condurre a forme di sorveglianza di massa, apartheid, pulizia etnica e pratiche genocidarie. Per quanto riguarda l’Italia, Leoni aggiunge come le capillari e continue iniziative di militarizzazione avviate dai governi degli ultimi lustri per valorizzare la cosiddetta “cultura della difesa” nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università, sembrano replicare in modo inquietante il modello guerrafondaio e securitario proprio dello Stato sionista. Donia Raafat sostiene che la cosiddetta tregua imposta da Trump non è per nulla una cessazione delle ostilità, bensì il passaggio da una fase di genocidio aperto e massiccio del popolo palestinese a una forma di genocidio incrementale. Ciò che vediamo ora non è un processo di trasformazione o di giustizia, è semplicemente il consolidamento delle stesse dinamiche che da decenni negano l’autodeterminazione del popolo palestinese. Pertanto, non bisogna fermarsi: le mobilitazioni e la rabbia popolare devono farsi sentire con una forza ancora maggiore, anche perché l’oppressione del popolo palestinese è l’emblema di tutte le forme di oppressione. Lottare per una Palestina libera significa lottare per un mondo più giusto. Antonio Mazzeo è intervenuto ricordando e analizzando le varie complicità del nostro governo e del nostro sistema economico col genocidio in atto. Come ha dimostrato nel suo ultimo report Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i territori palestinesi occupati, il genocidio in corso è un crimine collettivo che, come ricorda Mazzeo, coinvolge tutti i settori dell’economia italiana, da quello militare a quello finanziario, passando per quello energetico. Moni Ovadia si è invece soffermato sulla fondamentale distinzione tra ebraismo e sionismo, ricordando come ci siano in tutto il mondo moltissimi ebrei antisionisti e definendo il sionismo un’ideologia criminale e genocidaria. L’artista ha poi stigmatizzato il tentativo d’imbavagliare ogni forma di critica a Israele mediante strumenti repressivi come il DDL Gasparri che pretenderebbe di definire che cosa sia l’ebraicità e di equiparare antisionismo e antisemitismo. Secondo Moni Ovadia i veri antisemiti sono coloro che ritengono di poter definire a priori l’identità ebraica. Simone Zambrin ha spiegato il significato eminentemente politico dell’azione della Global Sumud Flotilla che non va confusa con una semplice missione di tipo umanitario proprio perché mirava a riaffermare il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Greta Thunberg ha analizzato il rapporto tra genocidio ed ecocidio, evidenziando come ciò che accade in Palestina sia il risultato di un sistema che ha come unico fine il profitto di pochi a danno dei molti. La deumanizzazione del popolo palestinese affonda le radici in questa logica di oppressione che va tutta a vantaggio di un’élite privilegiata che accumula sempre maggiori profitti sulla pelle di tutti. Triestino Mariniello ha confermato come quello in corso a Gaza sia un vero e proprio genocidio, sostenendo come, dai tempi dello sterminio attuato in Ruanda, non esistano altri casi così ampiamente documentati e per i quali vi sia una tale abbondanza di prove. Una delle vie giuridiche indicate dal professore della John Moores University per uscire dall’inerzia potrebbe consistere in un’iniziativa da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU che sconfessi il piano Trump e l’operato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, aprendo la via ad azioni contro Israele. Il convegno organizzato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha dunque rilanciato la necessità di una mobilitazione permanente contro il genocidio, contro la militarizzazione delle coscienze e contro la censura che del genocidio sono potenti catalizzatori. Qui alcuni scatti della serata del 23 novembre a Verona. Giorgio Lonardi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Verona, 23 novembre: Convegno “Dalla Flotilla alla tregua. Quale futuro per la Palestina?”
DOMENICA, 23 NOVEMBRE, ORE 17:00 SALA CONFERENZE CENTRO TOMMASOLI, VIA L. PERINI, 7, VERONA L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università organizza a Verona un evento pubblico sulla drammatica situazione della Palestina dal titolo: Dalla Global Sumud Flotilla alla “tregua”. Quale futuro per la Palestina? L’iniziativa avrà luogo domenica 23 novembre, alle ore 17:00, presso la Sala Conferenze Centro Tommasoli, via L. Perini 7. L’incontro vuol essere un’occasione di confronto sulla grave situazione della Palestina e sulla drammatica congiuntura storica nella quale il diritto internazionale e quello umanitario si stanno rivelando gravemente insufficienti di fronte alle palesi violazioni perpetrate contro la popolazione palestinese. È fondamentale continuare a parlare della Palestina: non possiamo permettere che le sue sofferenze siano dimenticate. Durante l’incontro interverranno: Miria Pericolosi (Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università – Verona) Roberta Leoni (Presidente Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università) Donia Raafat (scienziata politica e attivista per i diritti umani) Antonio Mazzeo (giornalista e scrittore impegnato nei temi della pace e del disarmo, dell’ambiente e della lotta alle criminalità mafiose) Simone Zambrin (attivista della Global Sumud Flotilla) Triestino Mariniello (docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, già nel team legale delle vittime di Gaza di fronte alla Corte penale internazionale) Greta Thunberg (attivista della Global Sumud Flotilla) Moni Ovadia (attore, regista, co-sceneggiatore, musicista) Modera Patrizia Buffa. L’evento è libero e aperto a tutte le persone interessate.
RSU di Padova contestano esclusione della mozione sulla Palestina dal Collegio
Una buona (si fa per dire) notizia, una volta tanto, arriva da Padova dove la Rappresentanza Sindacale Unitaria in carica all’Istituto di Istruzione Superiore “Pietro Scalcerle” contesta l’esclusione dell’ordine del giorno dedicato “agli indirizzi e alla progettazione dell’offerta formativa sul conflitto israelo-palestinese”. La richiesta aveva avuto il sostegno di oltre un terzo del corpo docente, ma la decisione della Preside ha impedito che questo bisogno formativo venisse considerato al pari degli altri. Un diniego inspiegabile, ma da ascrivere alla trasformazione di ogni argomento sgradito in propaganda politica. Perché l’attualità ossia il genocidio del popolo palestinese non devono trovare spazio nelle scuole e interrogare la comunità educante sugli strumenti da adottare per parlare di certi fatti, è fin troppo comodo eludere la questione e chiudere le scuole dentro un ambito angusto e lontano dalla realtà che le circonda. Una decisione, quella assunta dalla Dirigente, ripetutamente contestata dai sindacati e dal corpo docente che trova risposta nello scritto della RSU alla quale l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università invia solidarietà, vicinanza e sostegno specie a coloro che sono stati minacciati di provvedimenti disciplinari .  Riportiamo un passo saliente estrapolato dalla lettera inviataci È sufficiente ricordare, in termini generali, l’Obiettivo 16 dell’Agenda 2030 – Pace, giustizia e istituzioni solide – e, in particolare, che l’Istituto “Pietro Scalcerle” comprende l’insegnamento del Diritto, disciplina che, insieme ad Economia, costituisce per giunta un insegnamento per un intero corso di studi. Quest’ultima, infatti, già da tempo invita i docenti a spiegare perché, in due anni di genocidio, la Scuola non abbia affisso alcun simbolo di solidarietà né organizzato momenti di approfondimento. Domande a cui i docenti non potrebbero rispondere se non a titolo personale, ossia in modo inadeguato rispetto a una richiesta che coinvolge l’istituzione scolastica nella sua interezza... Qui la mozione dell’Istituto “Scalecerle” di Padova. 13.10.2025 -RSU 99 firme- La scuola non può essere neutraleDownload
Presentazioni della rivista ControFuoco: “Alle frontiere della detenzione. Genealogie, politiche, lotte”
«Controfuoco è un processo aperto e collettivo che vuole coinvolgere saperi e conoscenze composite e crescere a partire dalle diverse esperienze e biografie che intreccerà». «La rivista si pone come spazio di inchiesta e confronto, un cantiere collettivo per leggere criticamente l’ordine delle cose, a partire dalle lotte e dalle contraddizioni che lo attraversano». (dall’editoriale di ControFuoco N. 2, giugno 2025) Il secondo numero della rivista ControFuoco, intitolato “Alle frontiere della detenzione. Genealogie, politiche, lotte”, uscito a fine giugno, prosegue il percorso di ricerca collettiva e militante avviato con il primo numero, dedicato alle “figure della migrazione”. Il focus è sul sistema della detenzione amministrativa e sulle nuove frontiere del confinamento: dall’accordo Italia-Albania ai CPR in Italia ed Europa, dalle pratiche di resistenza ai saperi critici che ne smontano la legittimità. Approfondimenti/Il progetto/CPR, Hotspot, CPA CONTROFUOCO. PER UNA CRITICA ALL’ORDINE DELLE COSE (N° 2, GIUGNO 2025) «Alle frontiere della detenzione. Genealogie, politiche, lotte»: il nuovo numero della rivista di Melting Pot 22 Luglio 2025 Il numero è già stato presentato in diversi territori nel corso di approfondimenti dedicati al tema e per intrecciarlo alle mobilitazioni locali. A novembre sono previsti due nuovi appuntamenti, a Padova e a Trento, città dove è in corso una mobilitazione contro la costruzione di un nuovo CPR. PADOVA. VENERDÌ 14 NOVEMBRE, ORE 18:30 Spazio Stria – Piazza Gasparotto n. 4 “I centri di trattenimento costruiti in Albania sono l’emblema di un sistema di gestione delle migrazioni fondato sulla normalizzazione dello stato di emergenza e sulla negazione dei diritti e della dignità delle persone”. A partire da questa riflessione, Open Gates, in collaborazione con Mediterranea Padova, il Master in Criminologia critica e sicurezza sociale e Melting Pot Europa, promuove un incontro pubblico per discutere di politiche di frontiera, accoglienza, protezione internazionale e criminalizzazione della solidarietà. “Aprire spazi di confronto, inchiesta e discussione sulle nuove forme di governance dei movimenti migratori è oggi un’istanza sempre più urgente”. Insieme a Francesca Esposito (Università di Bologna) e Omid Firouzi Tabar (Università di Padova), autori di un approfondimento pubblicato nella rivista, sono stati invitati al confronto Rachele Scarpa, deputata del Partito Democratico, e Stefano Bleggi, della redazione di Melting Pot Europa e Controfuoco. Evento su FB e IG TRENTO. GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE, ORE 17:30 Facoltà di Sociologia, Aula Kessler – via Verdi La presentazione della rivista si inserisce in un percorso di opposizione alla costruzione di un CPR a Trento, dopo il 24 ottobre la Provincia di Trento ha firmato un accordo con il ministro dell’Interno per iniziare i lavori nel 2026. Una scelta in continuità con le politiche territoriali di compressione dei diritti fondamentali e invisibilizzazione di chi è già quotidianamente marginalizzato. Attiviste dialogheranno con Omid Firouzi Tabar e Francesca Esposito. Evento su FB e IG Queste nuove presentazioni sono occasioni per mettere in relazione la ricerca con le lotte sui territori, per alimentare un sapere situato e condiviso. ControFuoco non vuole essere solo una rivista, ma uno strumento collettivo: una cassetta degli attrezzi per decostruire le narrazioni dominanti e rafforzare i movimenti che si oppongono alla violenza istituzionale delle frontiere e della detenzione. Acquista una copia cartacea nel nostro shop:
La Procura di Verona ha chiesto l’archiviazione per la morte di Moussa Diarra
ALESSANDRO FERRARI 1 Ad oltre un anno dalla morte di Moussa Diarra le indagini della Procura della Repubblica di Verona non hanno ancora fatto chiarezza su ciò che è accaduto precisamente nella notte del 20 ottobre 2024 2. Il ragazzo 26enne originario del Mali, dopo aver girato per ore in stato confusionale nei pressi della stazione Porta Nuova di Verona, è stato colpito al petto da un colpo di pistola sparato dall’agente A. F., assistente capo della polizia ferroviaria. Un episodio descritto fin da subito come legittima difesa da parte dell’agente nei confronti di una persona straniera aggressiva, su cui si era accesa la polemica politica dopo il commento sui social di Matteo Salvini, “non ci mancherà”. Una svolta su questo caso è arrivata lo scorso 5 novembre con un comunicato stampa della Procura in cui afferma di aver chiuso le indagini preliminari e chiesto l’archiviazione del procedimento per il poliziotto, indagato per omicidio colposo. Ora spetta al Giudice per le indagini preliminari la decisione se andare o meno a processo. La Procura afferma che “l’indagato ha commesso il fatto costretto dalla necessità di difendersi contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, ponendo in essere una difesa senza alcun dubbio proporzionata all’offesa”, escludendo “su un piano obiettivo” l’accusa di omicidio. Il comunicato aggiunge che “Diarra teneva nella mano destra un coltello da cucina avente una lama seghettata della lunghezza pari a circa 11 centimetri”, muovendosi “con un’aggressività ingiustificata” nei confronti del poliziotto, aggiungendo che il coltello “non è meno letale della pistola perché un’arma da fuoco richiede tempo di estrazione e mira“. PH: Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra (Manifestazione 18.10.25) Una ricostruzione arrivata dopo oltre un anno di indagini, i cui atti erano stati posti sotto secretazione, impedendo di fatto agli avvocati difensori di commentarli pubblicamente. Un silenzio che è durato fino alla fine delle indagini, annunciato dalla Procura con una modalità anomala, tramite la diffusione di un comunicato stampa ai giornali, una modalità “sconcertante” secondo gli avvocati difensori. Paola Malavolta e Francesca Campostrini, che fanno parte del team insieme a Fabio Anselmo e Silvia Galeone, spiegano al Manifesto che i legali non hanno ancora ricevuto il fascicolo delle indagini, non potendo perciò commentarne il contenuto. Esprimono “lo stupore per questa uscita della Procura, che ha preoccupato la famiglia Diarra, che ha inizialmente pensato che il caso fosse stato chiuso” 3. La difesa evidenzia di essersi trovata di fronte ad un “muro di gomma”, poiché “nessun dipendente di Trenitalia o lavoratore della stazione si è fatto avanti per testimoniare”. Inoltre quella notte Diarra aveva prima incrociato una pattuglia della polizia municipale che aveva segnalato alla polizia il suo stato d’agitazione, ma sulle comunicazioni tra le forze dell’ordine non è stata fatta chiarezza dalle indagini. Anche l’avvocato Fabio Anselmo, esperto nella difesa delle vittime degli abusi delle forze dell’ordine e di tutela dei diritti umani, già difensore dei familiari di Federico Aldrovandi e di Stefano Cucchi, ha evidenziato le varie anomalie di quest’indagine 4. Dopo l’uscita del comunicato stampa, con la richiesta dell’archiviazione per il poliziotto, la senatrice Ilaria Cucchi, che ha seguito il caso fin dall’inizio organizzando anche un evento pubblico in Parlamento, ha pubblicato un post sui social media ricordando i punti che non tornano sulla morte di Diarra. «Perché Procura e Questura dissero che le telecamere avevano ripreso tutto, salvo poi smentirsi pochi giorni dopo? Perché le indagini furono affidate allo stesso corpo a cui appartiene l’indagato – in violazione della CEDU? Perché si può definire “senza alcun dubbio proporzionato” il colpo di pistola sparato a Moussa? C’è un’altra domanda, poi, che in questi giorni non smetto di farmi. Perché le istituzioni trovano sempre il modo di avvisare prima i giornali e non le famiglie? Tante domande. Nessuna risposta. Per questo, un anno dopo l’omicidio, non possiamo tacere». PH: Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra (Manifestazione 18.10.25) Il Comitato verità e giustizia per Moussa Diarra ha organizzato una manifestazione a Verona per il 18 ottobre, ad un anno dalla sua morte, a cui hanno partecipato un migliaio di persone. Tra di esse erano presenti il fratello di Moussa, Djemagan, il Presidente dell’Alto Consiglio dei Maliani d’Italia Mahamoud Idrissa Boune e il Presidente della comunità maliana veronese Ousmane Ibrahim Diallo, oltre alla signora Djenabou, madre di Moussa Baldé e il fratello Thierno, a rappresentare le troppe vittime di un sistema escludente, razzista e violento. Durante la manifestazione hanno preso in molti la parola, per condividere un ricordo di Moussa, per evidenziare le anomalie delle indagini e per chiedere a gran voce giustizia. Il fratello Djemagan ha espresso il suo dolore e la difficoltà di parlare di Moussa, mentre Lamarie Claire ha evidenziato il bisogno di ricevere giustizia, sottolineando che Moussa è stato ucciso da un poliziotto e che è stata fatta una ricostruzione parziale dei fatti, aggiungendo che la vita delle persone maliane va protetta e rispettata, mentre spesso non accade. Il Comitato per Diarra ha definito la richiesta di archiviazione della Procura come “il quarto colpo” per Moussa, ricordando le varie anomalie di questa indagine. Il lungo silenzio della Procura, con la secretazione degli atti e la “fretta comunicativa” di inviare il comunicato stampa ai giornali prima che alla difesa. Notizie «IL QUARTO COLPO PER MOUSSA DIARRA»: LA PROCURA CHIEDE L’ARCHIVIAZIONE PER IL POLIZIOTTO Il Comitato per Moussa e la Comunità Maliana: «Un insulto alla verità e alla giustizia» Redazione 6 Novembre 2025 La perizia balistica depositata solo pochi giorni prima della richiesta di archiviazione, le mancate risposte sul funzionamento o meno delle telecamere di sorveglianza della stazione. Oltre a evidenziare come “seriamente ridicola” la tesi che la reazione del poliziotto fosse stata “senza alcun dubbio proporzionata all’offesa”, poiché pone sullo stesso piano un coltello da cucina dalla lunghezza di 11 centimetri ad una pistola, con l’aggiunta che “Il coltello non sarebbe meno letale della pistola perché un’arma da fuoco richiede tempo di estrazione e mira”. Domande e anomalie che attendono ancora una risposta, non fornita dal comunicato della Procura, mentre il corpo di Moussa Diarra si trova ancora all’Istituto di medicina legale, in attesa del rimpatrio in Mali. 1. Giornalista freelance di Verona. SeguE da tempo il caso di Moussa Diarra ↩︎ 2. Qui uno speciale di Radio Onda D’Urto del 20 ottobre 2025 ↩︎ 3. Archiviata l’indagine sull’agente che uccise Moussa Diarra a Verona, la procura: “Fu legittima difesa”, Il Fatto Quotidiano (5 novembre 2025) ↩︎ 4. Moussa Diarra è morto un anno fa ed è già in lista d’attesa per essere dimenticato di Alessandro Ferrari – AltrEconomia (15 Ottobre 2025) ↩︎
Pressenza: Successo della seconda edizione del Forum nazionale “Scuole per un’Educazione Nonviolenta”
DI FRANCESCA DE VITO PUBBLICATO SU PRESSENZA DEL 10 NOVEMBRE 2025 Una grande partecipazione di docenti ha animato una giornata intensa di incontri, riflessioni, emozioni e pratiche educative presso l’Istituto Comprensivo 06 Chievo-Bassona-Borgo Nuovo, che ha ospitato la seconda edizione del Forum nazionale “Scuole per un’Educazione Nonviolenta”. Un appuntamento che si conferma sempre più centrale nel panorama educativo italiano. Promosso da scuole e reti scolastiche quali ED.UMA.NA, Polo Europeo della Conoscenza, Scuole che Promuovono Salute, I.C. Nazario Sauro – Rinascita-Livi e dall’ Osservatorio contro la Militarizzazione delle Scuole e dell’Università, il Forum si conferma un laboratorio aperto per chi crede in una scuola pubblica democratica, capace di costruire cultura di pace e relazioni nonviolente. A rendere ancora più accogliente la giornata, coffee break e pranzo curati con professionalità e calore dalle studentesse e dagli studenti della Scuola Alberghiera “Luigi Carnacina” di Bardolino, segno concreto di una comunità educativa che si costruisce insieme. Una plenaria breve ma intensa La dirigente scolastica della scuola ospitante Gemma Lanzaretta, ha aperto i lavori dando il benvenuto a docenti, dirigenti, educatrici, educatori e rappresentanti delle istituzioni riuniti per riflettere su come la scuola possa diventare luogo di crescita nonviolenta e di cura reciproca. Subito dopo, Stefano Cobello del Polo Europeo della Conoscenza ha presentato il progetto europeo “Let’s Care”, finanziato dal programma Horizon Europe, che sostiene iniziative di educazione per la nonviolenza e la cittadinanza attiva, proprio come il Forum. Successivamente Annabella Coiro (Rete Ed.umana) ha raccontato un anno di lavoro del Forum, a partire dalla prima edizione che si è tenuta a Milano, presentando il processo di costruzione dei gruppi di ricerca che costituiscono il cuore ‘permanente’ del Forum. Ha sottolineato anche come “la nonviolenza non sia un traguardo, ma un cammino quotidiano che sceglie consapevolezza, relazione umana e responsabilità condivisa”. Un momento di grande intensità è stata la lectio magistralis del Prof. Alberto Oliverio, neuropsicologo dell’Università “La Sapienza” di Roma, dal titolo “I bambini sono davvero difficili? L’approccio nonviolento nella formazione della psiche e del cervello dei bambini”. Oliverio ha guidato il pubblico in un viaggio tra neuroscienze e pedagogia, spiegando come la violenza e aggressività siano due cose distinte. La violenza, ha osservato, trova radici in molteplici cause, tra cui l’imitazione: la diffusione di comportamenti e linguaggi violenti nei media, nei social e nei videogiochi contribuisce a renderla socialmente accettabile. “Quando siamo violenti,” ha spiegato, “è l’amigdala ad attivarsi e non viceversa. Questo accade perché la corteccia prefrontale non riesce a inibirla” Il professore ha ricordato che il comportamento umano è il risultato dell’interazione tra struttura, funzione cerebrale ed esperienza, e che il compito dell’adulto è “offrire fiducia e creare un clima emotivo positivo, dove l’apprendimento possa fiorire per accompagnare la ricerca di significato e di senso”. Tra gli interventi istituzionali, significativa la domanda su cui sono stati invitati a rispondere Elisa La Paglia, assessora alle Politiche educative del Comune di Verona e Alessio Perpolli, dirigente dell’I.C. Bosco-Chiesanuova: ‘Come le istituzioni possono contribuire a costruire un ambiente nonviolento?’. La Paglia ha invitato a “superare le conflittualità tra amministrazione e scuola” e a promuovere corresponsabilità e dialogo sincero per contribuire allo sviluppo di un ambiente nonviolento in una visione di scuola sconfinata. “Verona può essere veramente un’arena di pace,” ha affermato La Paglia, “se impariamo a dare all’altra persona la possibilità di una risposta diversa, se costruiamo spazi di ascolto e confronto reale, anche a costo di metterci in gioco e accettare la possibilità di essere feriti”. Accanto a lei, Perpolli ha sottolineato come “le istituzioni possano scegliere tra una direzione autoritaria o collaborativa, ricordando che anche il silenzio o l’omissione possono essere forme di violenza”. Coltivare pensieri, usare parole e attuare azioni nonviolente. Scegliere di disinnescare la violenza nella comunicazione e nelle relazioni. Questa la formula da lui proposta. I laboratori cuore pulsante del Forum Il cuore pulsante del Forum è stato, come sempre, il lavoro dei laboratori tematici e dei gruppi di ricerca, che hanno coinvolto docenti, educatrici ed educatori di ogni ordine e grado. Dalle riflessioni sull’aggressività e il bullismo con Anna Ferraris, alla scoperta della violenza implicita a scuola guidata da Tiziana Rita Morgante, fino a specifici percorsi disciplinari come quello proposto da Michele Lucivero “Dalla pace perpetua al Lamento della Pace”. Sorprendente il gioco sulla gestione dei conflitti con Gabriella Fanara per “trasformare la classe in uno spazio di dialogo” e le attività di ‘Giocare alla guerra serve alla pace?’ con Luciano Franceschi. Sempre sui conflitti un laboratorio dedicato ai docenti dell’infanzia con l’esperienza di Patrizia Granata e le pratiche sulle parole ostili nella scuola di primo grado sperimentate dai docenti Cirulli, Brusoni e Costa. Non sono mancati momenti creativi ed espressivi, come i laboratori “Svuotare la guerra, riempire la pace”, condotto da Claudio Tosi e Maria Grazia Cotugno e “Educare nella Nonviolenza: ritrovare l’essenza del proprio agire” di Jaqueline Mera e Stefano Colonna, insieme alle attività dedicate al cinema e agli albi illustrati come strumenti di educazione alla pace, proposti da Isabella Gallotta e Claudio Ridolfi. Tra i temi apprezzati, anche i percorsi su femminismo e violenza di genere di Valeria Russo, la nonviolenza è salute con  Angela Rinaldi, Nicola Iannaccone, Federica Fratini e Noemi Toni, e la natura come via alla nonviolenza, che ha visto protagonisti Dino Mancarella e la sua amica a quattro zampe Janis, amata anche dai più reticenti. Pratiche super concrete anche per i laboratori dedicati alla partecipazione di bambine/i, ragazzi/e nei percorsi di educazione civica, a cura di Simonetta Muzio e Annabella Coiro. Nel pomeriggio, le persone partecipanti si sono divise in sottogruppi di ricerca, approfondendo le aree tematiche del Forum e progettando il lavoro fino al prossimo appuntamento in presenza. Una conclusione che è già viaggio verso il prossimo appuntamento La giornata si è conclusa con il ritorno in plenaria e una performance collettiva in cui è emerso con forza che la scuola può essere il luogo da cui riparte una cultura della pace e della nonviolenza, se sceglie la cura, il dialogo, l’ascolto e la partecipazione come cardini del proprio agire quotidiano. A questo proposito, non si può non sottolineare che il clima che si è respirato in ogni momento rispettava con molta coerenza ogni parola detta durante la giornata a proposito dell’educazione nonviolenta, a conferma di questo chi era all’accoglienza, stanca della giornata ma felice, dice: “sono molti anni che faccio questo lavoro ma è la prima volta che riceviamo così tanti ringraziamenti, caldi, affettuosi e soprattutto molto sinceri!” La seconda edizione del Forum nazionale “Scuole per un’Educazione Nonviolenta” ha dimostrato che, in un tempo attraversato da conflitti e polarizzazioni, esiste anche una comunità educante pronta a rispondere con l’intelligenza della pace positiva. Il Forum continua con i Gruppi di ricerca online le iscrizioni sono sempre aperte, fino alla prossima edizione in presenza, di cui si annuncerà presto la data e la città ospitante. Una rete viva e in crescita che intreccia esperienze e competenze interdisciplinari per dare voce a una scuola pubblica capace di formare persone libere, empatiche e consapevoli. Come ha ricordato una delle relatrici, “la nonviolenza non è assenza di conflitto, ma un modo diverso di attraversarlo: con responsabilità, rispetto e fiducia nel cambiamento”.
«Il quarto colpo per Moussa Diarra»: la Procura chiede l’archiviazione per il poliziotto
È «come se fosse un quarto colpo». Così il Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra e la Comunità Maliana commentano la notizia della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura nei confronti dell’assistente capo coordinatore della Polizia di Stato A.F., accusato di omicidio colposo per l’uccisione di Moussa Diarra, avvenuta il 20 ottobre 2024. Un anno di silenzio, spiegano le realtà solidali, durante il quale tutto è rimasto secretato, «e poi in un giorno la Procura fa i miracoli e propone, in tutta evidenza, l’archiviazione per chi ha ucciso Moussa». Inoltre, i legali della famiglia non hanno ancora ricevuto alcun atto ufficiale e «questa fretta comunicativa appare senza rispetto né per Moussa né per la verità e la giustizia». Il Comitato denuncia anche una situazione paradossale: la perizia balistica, in attesa della quale il corpo del giovane maliano «è drammaticamente ancora in cella frigorifera», sarebbe stata depositata solo negli ultimi giorni, ma i difensori non avrebbero ancora potuto visionarla. Se la notizia fosse confermata, sarebbe «l’ennesima anomalia che si aggiunge alle numerose altre», scrivono, ricordando il comunicato congiunto di Procura e Questura diffuso il giorno stesso della morte di Moussa, che «si affrettava ad assolvere, come oggi, l’anonimo (l’uso delle sole iniziali A.F. lo rende ancora tale) assistente capo coordinatore della Polizia». Il comunicato della Procura, prosegue la nota, avrebbe sostenuto che la reazione del poliziotto fu «senza alcun dubbio proporzionata all’offesa». Una tesi che il Comitato e la Comunità Maliana definiscono «seriamente ridicola», poiché per giustificare tale affermazione si equiparerebbe un coltello da cucina avente una lama seghettata della lunghezza pari a circa 11 cm a una pistola. «Il coltello – si legge – non sarebbe meno letale della pistola perché un’arma da fuoco richiede tempo di estrazione e mira». Una giustificazione che, proseguono, «aggrava la posizione del poliziotto A.F., che parrebbe aver sparato a caso per ben tre volte, rischiando di compiere una strage oltre ad uccidere Moussa». «Chiediamo a tutti di prendere un coltellino da cucina con lama seghettata di 11 cm, certamente presente in ogni casa, e di osservarlo», affermano ancora i gruppi solidali. «Noi non abbiamo mai visto le foto del “coltellino”, ma la descrizione fornita dalla Procura è offensiva e surreale». Nel comunicato si denuncia inoltre l’assenza di qualsiasi riferimento alle responsabilità sistemiche: «Nessun accenno alle responsabilità dell’intero sistema, ad esempio della centrale operativa, per la mancanza di intervento nelle due ore precedenti all’uccisione di Moussa». Il Comitato teme che «non emergeranno mai», poiché «è la stessa polizia che ha indagato su se stessa». Restano poi senza risposta le domande sulle «telecamere accese/spente» e sulla lungaggine delle indagini, «che sarebbe dovuta ai familiari prima ancora che all’opinione pubblica». Il comunicato della Procura si chiude con un’espressione di dolore per la morte «così drammatica di un giovane di 27 anni», ma – replicano il Comitato e la Comunità – «risulta penoso e puzzolente quando la colpa viene scaricata tutta sulla vittima per il suo comportamento così aggressivo». «Vogliamo giustizia, non pietismi», ribadiscono. «La Procura con questo suo modus operandi pare non garantire né rispetto né terzietà». Altrettanto sconcertati, da come la Procura ha comunicato l’archiviazione, sono i legali della famiglia del ragazzo. In una nota congiunta l’Avv. Fabio Anselmo e le Avv.te Paola Malavolta, Silvia Galeone e Francesca Campostrini scrivono di «essere sinceramente sconcertati dall’atteggiamento della Procura della Repubblica di Verona che, mentre richiede alla famiglia del povero Moussa Diarra, sparato a morte da un agente di Polizia, 8 euro per poterli mettere a conoscenza delle motivazioni che hanno fondato la richiesta di archiviazione, ritiene di poterle compendiare in un comunicato stampa da fornire ai giornalisti». «Ancora una volta – proseguono i legali – la famiglia e gli affetti del morto, la dignità degli stessi e il necessario rispetto verso il loro bisogno di conoscere le cause e le condizioni della tragica morte di Moussa, oltreché i loro diritti di difesa, passano in secondo piano rispetto all’esigenza di informare la stampa e la politica. Questa difesa ha correttamente rispettato l’ordine di secretazione degli atti imposto dal pm in fase di indagini, ed anche per questo riteniamo fosse dovuto mettere prima a conoscenza le persone offese delle ragioni della procura, piuttosto che privilegiare l’opinione pubblica». A più di un anno dall’uccisione di Moussa Diarra, quindi la famiglia viene trattata in questo modo e il corpo è ancora sotto sequestro. «Quando la giustizia non arriva – concludono il Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra e la Comunità Maliana che il 18 ottobre scorso erano scesi in piazza per non dimenticare il suo assassinio – ogni decisione che la elude diventa un colpo in più per Moussa e per tutti noi». > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da @MoussaDiarra (@veritagiustizia.moussadiarra)
Asiago (VI), 7 novembre, Incontro “Comprendere i conflitti per educare alla pace”
VENERDÌ 7 NOVEMBRE 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐨𝐫𝐞 20:3𝟎, PRESSO LA SALA DELLA REGGENZA UNIONE MONTANA DI ASIAGO (VI) Con l’incontro di venerdì 7 novembre 2025 ad Asiago (VI) continua il giro di presentazioni del volume 𝘊𝘰𝘮𝘱𝘳𝘦𝘯𝘥𝘦𝘳𝘦 𝘪 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘭𝘪𝘵𝘵𝘪, 𝘦𝘥𝘶𝘤𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘗𝘢𝘤𝘦, un’opera che raccoglie i contributi del Convegno Nazionale organizzato dall’ Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, insieme ad altre organizzazioni il 10 maggio 2024 a Roma. Il testo analizza criticamente il fenomeno della militarizzazione nelle scuole e riflette sulla necessità di un’educazione alla pace, opponendosi alla retorica patriarcale legata alla cultura della difesa. L’iniziativa è organizzata dall’Associazione Occhi Aperti di Asiago nell’ambito delle iniziative del Social Day. L’evento vedrà la partecipazione di uno degli autori: 𝐌𝐢𝐜𝐡𝐞𝐥𝐞 𝐋𝐮𝐜𝐢𝐯𝐞𝐫𝐨, docente di Filosofia e Storia, giornalista pubblicista e promotore dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Lucivero ha alle spalle un’intensa attività pubblicistica su temi religiosi, filosofici e antropologici, oltre a essere direttore di collane editoriali presso Aracne Editrice e membro attivo di diverse iniziative legate alla scuola pubblica. L’evento è gratuito e aperto a tutti coloro che vogliono approfondire i temi della nonviolenza e della pace. Un appuntamento imperdibile per chi desidera riflettere e contribuire alla costruzione di una società più giusta e solidale. Vi aspettiamo!
Verona, per un 4 novembre antimilitarista e nonviolento
A Verona, in Piazza S. Nicolò circa un centinaio di persone hanno manifestato il dissenso per la celebrazione del 4 novembre, Festa delle Forze Armate. La maggioranza dei presenti, studenti e studentesse, hanno fatto chiari interventi di opposizione ad uno Stato guerrafondaio e a una scuola che il governo cerca di asservire al militarismo. Sono state messe in evidenza le reali cause di una guerra ritenuta “l’inutile strage” paragonandola alle “inutili stragi” delle attuali guerre e quanto quella tragedia sia stata strumentalizzata dal regime nato subito dopo. È stato ribadito più volte che il 4 novembre è una giornata di lutto e non è la nostra festa! Qui alcuni scatti della manifestazione a Verona.