La Cura è un Atto Politico – la resistenza in Palestina – Firenze incontra Samah Jabr
Ieri e Oggi a Firenze Samah Jabr, psichiatra, scrittrice, direttrice dell’Unità
di salute mentale del Ministero della Sanità palestinese, assistente alla George
Washingston University, incontra le realtà fiorentine in tre momenti di
confronto co-promossi e principalmente voluti e sostenuti, oltre che dal
Collettivo Antipsichiatrico Artaud, da studenti e studentesse, che
particolarmente nella mattinata di oggi hanno abitato gli spazi dell’Università
con attenzione e partecipazione intelligente, ponendo considerazioni attraverso
l’esposizione di Samah Jabr.
Non solo per il popolo palestinese, ma per tutte le forme di sofferenza
conseguente a determinanti sociali e socio-politiche dobbiamo interrogarci come
persone, professioniste, attiviste, testimoni di queste occasioni di incontro di
livello altissimo, le parole ascoltate devono essere portate fuori e messe in
circolo, così da contaminare le prassi dentro e fuori i servizi delle Unità di
salute mentale (occidentali, europee, italiane…).
La ricerca così come la clinica si basano su campioni maschi e occidentali,
partendo dal presupposto che i sintomi siano universali; con queste assunzioni,
si attua una spinta egemonica che porta sovente alla patologizzazione
(psichiatrizzazione) delle persone marginali e dei fenomeni connessi alle
differenti forme di trauma, fino a togliere credibilità a chi viva (subisca)
questo, particolarmente riferendoci oggi a Gaza. Qui assistiamo a violenze
ripetute, che si concretizzano nel ricordo alla fame come “arma di oppressione”
(niente a che fare con lo smettere di mangiare propri del cosiddetto disturbo
del comportamento alimentare); si verifica “colpa o rimorso” per aver messo al
mondo figli in una situazione così pericolosa (colpa o rimorso non associabili a
vissuti di indegnità patologici); sovente a scuola i bambini si trovano a subire
il passaggio dal curriculum palestinese all’israeliano e spesso la distrazione è
“sintomo” di un rifiuto di adeguamento al sistema, è “scelta consapevole”.
Il trauma è socialmente prodotto, in Palestina è politicamente prodotto,
pertanto tutte le azioni che cercano di incidere devono necessariamente
considerare la propria azione come Atto Politico.
Il colonialismo di insediamento in Palestina determina una importante
disgregazione del già ridotto territorio occupato; si attuano violenze perpetue
che comportano il mantenere un clima di violenza ed insieme si dividono le
comunità, che presentano differenze che è necessario conoscere per poter agire
(in termini clinici, ma prima ancora di ricerca). La stessa condizione politica
viene internalizzata ed alcuni fenomeni abitano tutte le persone che abitano i
territori occupati: la paranoia viene installata non come esperienza psicotica
determinata da patologia, ma perché spinta nelle menti direttamente dagli
occupanti sugli occupati (invasi in termini fisici e psichici); la demolizione
avviene nelle case ma anche nelle menti, in maniera “coloniale, deliberata,
storico-politica”, finalizzata specificatamente allo sterminio del popolo
palestinese.
La resistenza in Palestina è un atto terapeutico, è “segno di salute e di
benessere”; la solidarietà è terapeutica, fa sentire connessione, è importante
non solo per i palestinesi, ma anche per tutte quelle persone che, praticandola,
cercano di imprimere un cambiamento, ma prima ancora sentono un sentimento. Le
parole di Samah Jabr sono un grido doloroso ma anche di speranza per azioni che
Curano attraverso una presenza attiva, competente e coerente con una visione
politica dentro cui interrogarci e continuare a promuovere resistenza
collettiva.
Emanuela Bavazzano – Redazione Toscana
Redazione Toscana