77 anni dopo la Nakba: A Gaza la storia si ripete con una nuova “catastrofe”Presstv. Di Ivan Kesic. Una nube cupa incombe sulla Striscia di Gaza assediata e
devastata dalla guerra, mentre i Palestinesi celebrano 77 anni dalla Nakba – in
arabo “catastrofe” – un termine che riporta alla mente le profonde cicatrici
degli sfollamenti di massa e l’eredità duratura di un popolo sradicato dalla
propria terra.
Il 15 maggio si è celebrato in tutto il mondo il Giorno della Nakba, ovvero il
“Giorno della Catastrofe”, in commemorazione dello sfollamento di massa e
dell’espropriazione dei Palestinesi nel 1948. La Nakba rappresenta un’espulsione
su larga scala che accompagnò la creazione dell’entità sionista, attuata con il
sostegno delle potenze occidentali.
E nulla è cambiato in tutti questi anni. La situazione è solo peggiorata,
soprattutto dal 7 ottobre 2023.
I discendenti di coloro che furono espulsi con la forza – milioni di musulmani e
centinaia di migliaia di cristiani – ora vivono in sei continenti. Eppure, il
regime sionista continua a negare loro sia il risarcimento che il diritto al
ritorno, riconosciuto a livello internazionale.
Gli eventi catastrofici di 77 anni fa presentano una sorprendente somiglianza
con l’attuale campagna genocida israelo-americana contro Gaza, che si protrae da
quasi due anni.
Molti storici sostengono che la Nakba non sia mai veramente terminata. Al
contrario, vedono l’attuale attacco a Gaza come la continuazione di decenni di
politica sionista di sfollamento, violenza e annientamento.
L’entità senza precedenti della distruzione e delle perdite umane a Gaza ha
portato alcuni a descrivere la guerra in corso come una “seconda Nakba”,
aggravando il trauma collettivo vissuto dai Palestinesi.
Le radici della Nakba risalgono al 1947, quando gruppi paramilitari sionisti
pesantemente armati lanciarono una campagna di violenza contro la popolazione
indigena palestinese, ponendo le basi per decenni di espropriazione.
Nei mesi successivi, le forze sioniste occuparono illegalmente l’80% della
Palestina storica, distrussero centinaia di villaggi e città, uccisero almeno
15.000 Palestinesi ed espulsero con la forza 750.000 persone – circa l’80% della
popolazione palestinese – attraverso una sistematica pulizia etnica.
Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese, delle 774 città e villaggi
palestinesi che passarono sotto il controllo israeliano nel 1948, 531 furono
completamente distrutti. Molti altri furono parzialmente spopolati o
riconvertiti in colonie sioniste.
Circa 11 importanti centri urbani – Lidda, Ramla, Haifa, Giaffa, Acri,
Tiberiade, Safad, Ashkelon, Beersheba, Beisan e parti di Gerusalemme (al-Quds) –
furono spopolati o parzialmente distrutti, con ampi quartieri palestinesi
sottoposti a pulizia etnica.
Molti Palestinesi divennero rifugiati nei paesi limitrofi o furono sfollati
all’interno della Palestina storica. Tuttavia, nonostante tutti i tentativi
delle autorità sioniste, i Palestinesi non si sono assimilati né hanno perso la
loro identità.
Il ricordo della Nakba permane come elemento centrale della coscienza nazionale
palestinese.
Dall’ottobre 2023, la guerra genocida in corso ha causato la morte di almeno
53.000 persone. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che il bilancio effettivo
delle vittime potrebbe essere superiore del 46-107%, collocando il numero reale
tra 77.000 e 109.000 o anche di più.
La guerra ha anche innescato sfollamenti di massa in tutta Gaza, con oltre 1,9
milioni di persone – quasi il 90% della popolazione di Gaza – costrette ad
abbandonare le proprie case a causa dell’aggressione militare israeliana.
Molti non sono ancora in grado di farvi ritorno, poiché interi quartieri sono
stati ridotti in macerie.
Oggi Gaza è un territorio urbano densamente popolato, diviso in cinque
governatorati: Gaza Nord, Gaza City, Deir al-Balah, Khan Younis e Rafah. Tutti e
cinque hanno subito ingenti danni a causa degli incessanti bombardamenti
israeliani effettuati con le bombe fornite dagli americani.
A Gaza City, il più grande centro urbano, il 74% degli edifici è stato
danneggiato o distrutto, compresi interi quartieri come Shujaiya e Jabalia,
secondo gli enti governativi locali.
In tutta la Striscia di Gaza, il 70% delle strutture – circa 175.000 edifici – è
stato danneggiato o distrutto, di cui 70.000 completamente rasi al suolo.
La comunità internazionale, attraverso la Risoluzione 194 delle Nazioni Unite
del 1948, ha affermato il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.
Tuttavia, l’attuazione è rimasta bloccata per decenni, con una responsabilità
minima per lo sfollamento di massa.
Negli ultimi due anni, nonostante i ripetuti appelli delle Nazioni Unite per il
cessate il fuoco e le indagini su orrendi crimini di guerra, l’applicazione
delle misure è rimasta limitata, in gran parte a causa del costante sostegno
politico e militare al regime israeliano da parte degli Stati Uniti e di altre
potenze occidentali.
L’espulsione dei Palestinesi nel 1948 ha innescato una grave crisi umanitaria,
poiché i rifugiati sono stati costretti a vivere in povertà, senza un alloggio
adeguato e con un accesso limitato ai beni di prima necessità nei paesi
confinanti.
Oggi, Gaza si trova ad affrontare una catastrofe umanitaria altrettanto grave.
La distruzione delle infrastrutture, inclusi ospedali, scuole e aree
residenziali, ha portato a gravi carenze di cibo, acqua potabile, elettricità e
assistenza medica.
Dei 36 ospedali presenti a Gaza prima dell’ottobre 2023, nessuno è ora
pienamente operativo. Martedì, l’ospedale Nasser di Khan Yunis è stato l’ultimo
a essere bombardato dal regime israeliano.
Solo 17 ospedali sono attualmente parzialmente funzionanti, mentre i restanti
sono stati completamente distrutti o resi inoperativi a causa di bombardamenti,
blocchi o mancanza di rifornimenti.
In totale, 114 ospedali e cliniche sono stati chiusi e 162 strutture sanitarie,
inclusi 80 centri di assistenza primaria, sono state prese di mira. Almeno 130
ambulanze sono state danneggiate o distrutte.
Sebbene il numero esatto di centri medici distrutti durante la Nakba sia
sconosciuto, i documenti storici indicano che la maggior parte di essi, nelle
principali città palestinesi, furono abbandonati, saccheggiati o riadattati in
seguito alle espulsioni di massa.
Sia la Nakba che l’attuale guerra genocida a Gaza hanno distrutto anche i luoghi
di culto.
Nel 1948, oltre l’80% delle moschee nei villaggi palestinesi, stimate tra le 400
e le 500, fu distrutto, profanato o convertito ad altri usi. Ad esempio, la
moschea di Saliha fu fatta saltare in aria con i civili al suo interno,
uccidendo fino a 94 persone.
Nel febbraio 2025, il Ministero delle Dotazioni di Gaza riferì che 814 delle
1.245 moschee della Striscia (circa il 79%) erano state completamente distrutte,
mentre altre 148 erano state gravemente danneggiate, portando il numero totale a
962 moschee.
Anche il patrimonio cristiano palestinese subì danni in entrambi gli eventi.
Durante la Nakba, si stima che tra le 20 e le 50 chiese siano state danneggiate
o distrutte, a dimostrazione delle ridotte dimensioni della comunità cristiana
(all’epoca circa il 10% della popolazione).
Dal 2023, tutte e tre le chiese rimanenti a Gaza sono state danneggiate o
distrutte, inclusa l’antica chiesa di San Porfirio, risalente al V secolo.
È stato colpito per la prima volta nell’ottobre del 2023, uccidendo 18 civili, e
nuovamente nel 2024.
Sia nel 1948 che nella guerra attuale, anche i cimiteri palestinesi non sono
stati risparmiati. Si stima che almeno 500 cimiteri siano andati perduti durante
la Nakba, poiché la maggior parte delle città e dei villaggi ne aveva almeno
uno. Molti sono stati distrutti, trascurati o ricoperti dagli edifici crollati.
Nell’attuale guerra genocida, almeno 19 dei 60 cimiteri di Gaza – circa il 32% –
sono stati deliberatamente presi di mira e distrutti. Secondo resoconti attuali,
le tombe sono state profanate, riesumate o rase al suolo.
Sia la Nakba che il genocidio in corso a Gaza hanno dovuto affrontare
negazionismo, revisionismo storico e occultamento di responsabilità da parte del
regime israeliano e dei suoi sponsor occidentali.
Sono stati inoltre sistematicamente emarginati dalla storiografia occidentale e
ampiamente ignorati o minimizzati nelle narrazioni dei media mainstream.
Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi