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La Knesset vota sull’imposizione della sovranità israeliana sulla Cisgiordania
Cisgiordania. Mercoledì, la Knesset ha votato una dichiarazione a sostegno dell’imposizione della “sovranità” israeliana sulla Cisgiordania occupata. Il voto si è tenuto al termine della sua ultima sessione prima della pausa estiva. La misura rientra in una “proposta all’ordine del giorno” presentata dai membri della Knesset di destra, Simcha Rothman, Orit Strock, Dan Illouz e Oded Forer. La presidenza della Knesset ha approvato la proposta lunedì, nonostante la tempistica politicamente delicata sia sul piano nazionale che internazionale. Sebbene la dichiarazione sia simbolica e non vincolante, i promotori invitano il governo ad “adottare misure per attuare la sovranità in Giudea e Samaria”, con il sostegno di membri sia della coalizione che dell’opposizione. Secondo quanto riportato da Channel 12, funzionari diplomatici hanno esercitato pressioni sulla Knesset affinché chiarisse che la proposta è semplicemente un appello al governo, temendo che potesse altrimenti essere interpretata come un’approvazione parlamentare ufficiale dell’annessione. Questo voto è considerato parte di un più ampio sforzo della destra israeliana per promuovere un’annessione graduale. Fa seguito a un precedente voto della Knesset che ha respinto a larga maggioranza la creazione di uno Stato palestinese, inviando un chiaro messaggio politico alla comunità internazionale. La mossa riflette anche i continui tentativi della destra israeliana di formalizzare il controllo sulla Cisgiordania tramite iniziative legislative. L’attuale governo ha intensificato l’espansione degli insediamenti e adottato misure volte all’annessione de facto di ampie porzioni del territorio. (Fonte e foto: MEMO).
Intensificazione dell’aggressione israeliana in Libano: nuovi attacchi aerei colpiscono la Bekaa e le zone di confine
Libano. Le forze di occupazione israeliane hanno intensificato i loro attacchi sul territorio libanese, prendendo di mira la valle della Bekaa e le zone di confine in una nuova violazione del cessate il fuoco, uccidendo civili e diffondendo il terrore tra gli studenti. All’alba di martedì, l’esercito israeliano ha lanciato una serie di attacchi aerei contro diverse località nella valle della Bekaa, nel Libano orientale. Secondo un comunicato ufficiale, l’esercito israeliano ha preso di mira quelle che ha definito posizioni di Hezbollah legate alle “capacità offensive” del gruppo nella zona di Khreibeh. Gli attacchi, si legge, miravano a ostacolare i presunti sforzi delle forze Radwan di Hezbollah di espandere la loro infrastruttura militare. Contemporaneamente, diversi attacchi aerei israeliani hanno colpito varie aree della valle della Bekaa, accompagnati da intensi sorvoli di aerei da guerra israeliani. I media libanesi hanno trasmesso filmati che mostrano l’entità della distruzione provocata dai bombardamenti a Khreibeh e nelle zone circostanti. > Israel is carrying out attacks on the Bekaa region in eastern Lebanon under > the pretext of targeting Hezbollah weapons and activity. > pic.twitter.com/T5Op0uP8Y0 > > — The Cradle (@TheCradleMedia) July 15, 2025 In un’ulteriore violazione del cessate il fuoco, lunedì i caccia israeliani hanno effettuato nuovi attacchi aerei nel Libano orientale, scatenando il panico tra i civili, in particolare tra gli studenti impegnati negli esami ufficiali. Secondo Al-Akhbar, tre missili sono esplosi nei pressi della scuola secondaria di Shmistar, proprio nell’ultimo giorno di esami, terrorizzando gli studenti e interrompendo lo svolgimento delle prove. Altri attacchi hanno colpito le periferie di Wadi Em Ali, vicino al villaggio di Beit Mshik, mentre i jet israeliani sorvolavano a bassa quota la regione della Bekaa. L’esercito israeliano ha dichiarato che gli attacchi erano diretti contro presunti campi della “Forza Radwan” di Hezbollah, accusando il gruppo di mantenere depositi di armi e personale nell’area. Lunedì sera e di nuovo martedì mattina, le forze israeliane hanno aperto un intenso fuoco dalla loro base radar, prendendo di mira le periferie della cittadina di Shebaa, nel sud del Libano. Gli attacchi si inseriscono nell’ambito delle continue aggressioni israeliane nella zona di confine. Nel frattempo, il ministro della Difesa israeliano Yisrael Katz ha lanciato nuove minacce contro il Libano, affermando che Hezbollah sta lavorando per sviluppare le proprie capacità offensive tramite le unità Radwan, e avvertendo che Israele non esiterà a intensificare le operazioni militari all’interno del territorio libanese. L’aggressione israeliana contro il Libano è iniziata l’8 ottobre 2023 ed è degenerata in una guerra su vasta scala il 23 settembre 2024, provocando la morte di oltre 4.000 libanesi e il ferimento di circa 17.000. Nonostante il cessate il fuoco entrato in vigore il 27 novembre 2024, Israele ha compiuto quasi 3.000 violazioni, uccidendo almeno 223 persone e ferendone altre 509. Le forze israeliane continuano inoltre a occupare cinque colline di confine invase durante l’ultima offensiva, nonostante il ritiro da alcune aree del sud. (Fonti: PC, Quds News, The Cradle). Traduzione per InfoPal di F.L.
Le forze di occupazione israeliane iniziano la demolizione di 400 case nel campo profughi di Tulkarm
PIC-Tulkarm. Lunedì, le forze di occupazione israeliane (IOF) hanno iniziato la demolizione di 400 abitazioni nel campo profughi di Tulkarm, nell’ambito del loro assalto alla città e al campo, che giunge al suo 162° giorno consecutivo. Fonti locali hanno riferito che pesanti bulldozer israeliani hanno iniziato a demolire strutture nel quartiere “Al-Marbou’a” del campo, nell’ambito di un nuovo piano per radere al suolo 104 edifici che ospitano circa 400 abitazioni. Questo si aggiunge alle recenti demolizioni effettuate in diversi quartieri del campo. Le IOF hanno annunciato domenica la loro intenzione di effettuare demolizioni su larga scala nel campo profughi di Tulkarm a partire da lunedì, ignorando una precedente decisione della Corte Suprema israeliana che aveva temporaneamente congelato gli ordini di demolizione. Il Centro Legale “Adalah” ha dichiarato che questo annuncio fa seguito a una sentenza modificata della Corte Suprema israeliana del 3 luglio, che consente all’esercito di procedere con le demolizioni in caso di “urgente necessità militare e chiare esigenze di sicurezza”. In precedenza, il 2 luglio, il tribunale israeliano aveva emesso un’ordinanza di congelamento delle demolizioni in risposta a una petizione urgente presentata da Adalah per conto di 11 residenti del campo. In risposta al nuovo sviluppo, Adalah ha presentato oggi una nota scritta al tribunale, affermando che l’annuncio dello Stato contraddice direttamente la sentenza del tribunale del 3 luglio, che stabiliva che le demolizioni potevano procedere solo in condizioni di sicurezza urgenti. Suhad Bishara, responsabile dell’Unità Legale di Adalah, ha sottolineato che persino l’annuncio israeliano riconosceva che il campo era ormai quasi vuoto di residenti, vanificando la giustificazione dell’esercito basata su “urgenti esigenze di sicurezza” per una demolizione immediata. Il 4 luglio, l’esercito israeliano ha rilasciato un aggiornamento in cui affermava che quattro edifici sarebbero stati esentati dalla demolizione a causa della decisione di “riconsiderare” il loro status, una decisione che, secondo Adalah, evidenzia ulteriormente la mancanza di solide basi legali alla base degli ordini di demolizione. Il centro legale ha sottolineato nella sua nota che procedere con le demolizioni senza dare ai residenti la possibilità di difendere i propri diritti impone una realtà irreversibile e nega alle famiglie la possibilità di contestare o presentare ricorso per vie legali. Ha avvertito che le demolizioni porteranno allo sfollamento forzato e alla perdita totale di case e proprietà. Adalah ha richiesto l’approvazione del tribunale per includere una perizia, precedentemente redatta da “Bimkom, Planners for Planning Rights”, al fine di rafforzare ulteriormente l’istanza legale, soprattutto considerando i tempi stretti imposti dagli ordini militari emessi il 30 giugno, che prevedevano un preavviso di sole 72 ore. Domenica, l’esercito ha permesso a un numero limitato di famiglie che non erano state precedentemente evacuate di rientrare brevemente nel campo e recuperare i propri beni. Tra queste, 54 case erano destinate alla demolizione. L’operazione si è svolta con severe restrizioni, con segnalazioni di abusi, detenzioni, ostruzioni al processo di evacuazione e persino spari contro i residenti. Questa escalation fa parte di una più ampia politica di punizione collettiva contro i residenti del campo, che hanno subito ordini di evacuazione forzata fin dall’inizio dell’assalto. La comunità è ancora sotto shock e dolore per la minaccia di perdere le proprie case e i propri beni, mentre l’esercito israeliano mantiene un rigido assedio attorno al campo e ai suoi dintorni, già segnati dalla demolizione di decine di case negli ultimi giorni.
Un medico israeliano ha paragonato l’uccisione dei palestinesi a Gaza all’eliminazione di “scarafaggi”
Gaza – Middle East Eye. Un medico israeliano in servizio come riservista dell’esercito ha paragonato l’uccisione di persone a Gaza alla “eliminazione di scarafaggi” in un post sui social media. Scrivendo domenica su X, Sabo Amos, chirurgo nel sistema sanitario pubblico israeliano, ha dichiarato di essersi offerto volontario per partecipare alle “eliminazioni” dopo che il suo battaglione aveva ucciso “decine di terroristi” il giorno precedente. Amos ha affermato di aver chiesto di partecipare alle operazioni “nell’ambito della medicina preventiva”, ma ha aggiunto che un altro medico aveva suggerito che il suo coinvolgimento fosse una questione di “salute pubblica”. “A pensarci bene, ha ragione. Dopotutto, stiamo parlando di eliminare scarafaggi e altri insetti ripugnanti“, ha scritto Amos nel post ora cancellato. Più tardi, domenica, ha pubblicato un’immagine che, a suo dire, mostrava soldati israeliani che partecipavano a una funzione di preghiera ebraica pomeridiana in una moschea nel nord di Gaza. “Ogni pochi minuti, mitragliatrici o proiettili di carri armati colpiscono Gaza. Li schiacciano”, ha scritto. Amos aveva già chiesto che Gaza venisse “cancellata” in un post su X nell’agosto 2024. “Non ci sono persone non coinvolte lì”, ha scritto. Amos lavora per il Maccabi Healthcare Services, uno dei principali fornitori di servizi sanitari pubblici israeliani, che offre servizi a tutti i cittadini israeliani, compresi i cittadini palestinesi di Israele. Secondo il sito web del Maccabi, risiede in una città mista nel nord di Israele con una numerosa popolazione palestinese. MEE ha contattato il Maccabi Healthcare Services per un commento. Un medico palestinese che lavora nel sistema sanitario pubblico in Israele, che ha parlato in condizione di anonimato, ha dichiarato a MEE di non essere sorpreso dai commenti di Amos. Ha ricordato come alcuni medici dell’ospedale in cui lavorava avessero festeggiato quando un ospedale a Gaza era stato bombardato, e avessero chiesto che Gaza venisse cancellata e che la popolazione fosse lasciata senza cibo. “Sono arrivato a un punto in questi ospedali in cui ho iniziato a chiedermi che tipo di visione della medicina certe persone abbiano per spingerle a pensare in quel modo”, ha detto. “Non può essere la prospettiva di un essere umano, di un medico, che ha prestato giuramento”. Occupazione della medicina. È preoccupato, ha aggiunto, per gli abusi in cui medici ed il personale sanitario, richiamati dall’esercito, potrebbero essere coinvolti, citando la tortura e i maltrattamenti ai danni dei palestinesi detenuti in Israele. “Sono circondato da criminali, sia dal punto di vista umanitario che medico. È una sorta di occupazione della medicina che ci costringe a cancellare la nostra identità e a nascondere i nostri sentimenti in questi ospedali nei confronti della popolazione di Gaza”. Ghada Majadli, ricercatrice e analista politica del think tank Al-Shabaka, specializzata in salute e diritti umani palestinesi, ha affermato che i post di Amos rivelano la crescente militarizzazione del sistema sanitario israeliano. “I medici si spostano tra cliniche e campi di battaglia, come se i ruoli medici e militari fossero intercambiabili“, ha dichiarato Majadli a MEE. “Quando i professionisti sanitari adottano il linguaggio e gli strumenti della guerra, tradiscono fondamentalmente i principi etici della medicina, che si concentrano sulla cura, la neutralità e la salvaguardia della vita”. Ha affermato che il sistema sanitario israeliano ha destinato risorse significative a sostegno della guerra a Gaza e non è riuscito a opporsi agli attacchi contro gli ospedali e alla distruzione delle infrastrutture mediche, né alla negazione di cibo e aiuti che ha spinto la popolazione sull’orlo della fame. I post di Amos sono stati pubblicati mentre i palestinesi di Gaza affrontavano un rinnovato attacco israeliano che ha ucciso almeno 144 persone domenica e ne ha uccise già più di 50 lunedì. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso che Israele assumerà il “pieno controllo” di Gaza, mentre il suo ministro delle Finanze d’estrema destra, Bezalel Smotrich, ha dichiarato lunedì che Israele sta “distruggendo tutto ciò che resta” a Gaza. Smotrich ha dichiarato: “Stiamo conquistando, purificando e rimanendo a Gaza finché Hamas non sarà distrutta”. Gli attacchi israeliani contro ospedali e altre infrastrutture sanitarie sono stati ampiamente condannati dalle organizzazioni internazionali che cercano di sostenere l’assistenza medica per i palestinesi a Gaza, dove oltre 52 mila persone sono state uccise dall’inizio della guerra nell’ottobre 2023. Domenica, il ministero della Salute palestinese ha dichiarato che tutti gli ospedali nel nord di Gaza sono ora fuori servizio e ha accusato Israele di aver assediato l’ospedale indonesiano di Beit Lahia. All’inizio di questo mese, l’organizzazione benefica britannica Medical Aid for Palestinians ha dichiarato che oltre 1.400 operatori sanitari sono stati uccisi a Gaza e ha accusato Israele di aver condotto una “guerra all’assistenza sanitaria”. Le dichiarazioni di Amos sono state condannate lunedì dall’Associazione Medica Israeliana, che ha affermato di stare esaminando diverse denunce. “L’Ufficio per l’etica condanna fermamente gli inviti ai medici a uccidere in nome della medicina e ritiene necessario sottolineare che il ruolo del medico, in qualunque contesto operi, è quello di salvare vite e curare i pazienti”, ha affermato in una nota. Traduzione per InfoPal di F.L.
77 anni dopo la Nakba: A Gaza la storia si ripete con una nuova “catastrofe”
Presstv. Di Ivan Kesic. Una nube cupa incombe sulla Striscia di Gaza assediata e devastata dalla guerra, mentre i Palestinesi celebrano 77 anni dalla Nakba – in arabo “catastrofe” – un termine che riporta alla mente le profonde cicatrici degli sfollamenti di massa e l’eredità duratura di un popolo sradicato dalla propria terra. Il 15 maggio si è celebrato in tutto il mondo il Giorno della Nakba, ovvero il “Giorno della Catastrofe”, in commemorazione dello sfollamento di massa e dell’espropriazione dei Palestinesi nel 1948. La Nakba rappresenta un’espulsione su larga scala che accompagnò la creazione dell’entità sionista, attuata con il sostegno delle potenze occidentali. E nulla è cambiato in tutti questi anni. La situazione è solo peggiorata, soprattutto dal 7 ottobre 2023. I discendenti di coloro che furono espulsi con la forza – milioni di musulmani e centinaia di migliaia di cristiani – ora vivono in sei continenti. Eppure, il regime sionista continua a negare loro sia il risarcimento che il diritto al ritorno, riconosciuto a livello internazionale. Gli eventi catastrofici di 77 anni fa presentano una sorprendente somiglianza con l’attuale campagna genocida israelo-americana contro Gaza, che si protrae da quasi due anni. Molti storici sostengono che la Nakba non sia mai veramente terminata. Al contrario, vedono l’attuale attacco a Gaza come la continuazione di decenni di politica sionista di sfollamento, violenza e annientamento. L’entità senza precedenti della distruzione e delle perdite umane a Gaza ha portato alcuni a descrivere la guerra in corso come una “seconda Nakba”, aggravando il trauma collettivo vissuto dai Palestinesi. Le radici della Nakba risalgono al 1947, quando gruppi paramilitari sionisti pesantemente armati lanciarono una campagna di violenza contro la popolazione indigena palestinese, ponendo le basi per decenni di espropriazione. Nei mesi successivi, le forze sioniste occuparono illegalmente l’80% della Palestina storica, distrussero centinaia di villaggi e città, uccisero almeno 15.000 Palestinesi ed espulsero con la forza 750.000 persone – circa l’80% della popolazione palestinese – attraverso una sistematica pulizia etnica. Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese, delle 774 città e villaggi palestinesi che passarono sotto il controllo israeliano nel 1948, 531 furono completamente distrutti. Molti altri furono parzialmente spopolati o riconvertiti in colonie sioniste. Circa 11 importanti centri urbani – Lidda, Ramla, Haifa, Giaffa, Acri, Tiberiade, Safad, Ashkelon, Beersheba, Beisan e parti di Gerusalemme (al-Quds) – furono spopolati o parzialmente distrutti, con ampi quartieri palestinesi sottoposti a pulizia etnica. Molti Palestinesi divennero rifugiati nei paesi limitrofi o furono sfollati all’interno della Palestina storica. Tuttavia, nonostante tutti i tentativi delle autorità sioniste, i Palestinesi non si sono assimilati né hanno perso la loro identità. Il ricordo della Nakba permane come elemento centrale della coscienza nazionale palestinese. Dall’ottobre 2023, la guerra genocida in corso ha causato la morte di almeno 53.000 persone. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che il bilancio effettivo delle vittime potrebbe essere superiore del 46-107%, collocando il numero reale tra 77.000 e 109.000 o anche di più. La guerra ha anche innescato sfollamenti di massa in tutta Gaza, con oltre 1,9 milioni di persone – quasi il 90% della popolazione di Gaza – costrette ad abbandonare le proprie case a causa dell’aggressione militare israeliana. Molti non sono ancora in grado di farvi ritorno, poiché interi quartieri sono stati ridotti in macerie. Oggi Gaza è un territorio urbano densamente popolato, diviso in cinque governatorati: Gaza Nord, Gaza City, Deir al-Balah, Khan Younis e Rafah. Tutti e cinque hanno subito ingenti danni a causa degli incessanti bombardamenti israeliani effettuati con le bombe fornite dagli americani. A Gaza City, il più grande centro urbano, il 74% degli edifici è stato danneggiato o distrutto, compresi interi quartieri come Shujaiya e Jabalia, secondo gli enti governativi locali. In tutta la Striscia di Gaza, il 70% delle strutture – circa 175.000 edifici – è stato danneggiato o distrutto, di cui 70.000 completamente rasi al suolo. La comunità internazionale, attraverso la Risoluzione 194 delle Nazioni Unite del 1948, ha affermato il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. Tuttavia, l’attuazione è rimasta bloccata per decenni, con una responsabilità minima per lo sfollamento di massa. Negli ultimi due anni, nonostante i ripetuti appelli delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco e le indagini su orrendi crimini di guerra, l’applicazione delle misure è rimasta limitata, in gran parte a causa del costante sostegno politico e militare al regime israeliano da parte degli Stati Uniti e di altre potenze occidentali. L’espulsione dei Palestinesi nel 1948 ha innescato una grave crisi umanitaria, poiché i rifugiati sono stati costretti a vivere in povertà, senza un alloggio adeguato e con un accesso limitato ai beni di prima necessità nei paesi confinanti. Oggi, Gaza si trova ad affrontare una catastrofe umanitaria altrettanto grave. La distruzione delle infrastrutture, inclusi ospedali, scuole e aree residenziali, ha portato a gravi carenze di cibo, acqua potabile, elettricità e assistenza medica. Dei 36 ospedali presenti a Gaza prima dell’ottobre 2023, nessuno è ora pienamente operativo. Martedì, l’ospedale Nasser di Khan Yunis è stato l’ultimo a essere bombardato dal regime israeliano. Solo 17 ospedali sono attualmente parzialmente funzionanti, mentre i restanti sono stati completamente distrutti o resi inoperativi a causa di bombardamenti, blocchi o mancanza di rifornimenti. In totale, 114 ospedali e cliniche sono stati chiusi e 162 strutture sanitarie, inclusi 80 centri di assistenza primaria, sono state prese di mira. Almeno 130 ambulanze sono state danneggiate o distrutte. Sebbene il numero esatto di centri medici distrutti durante la Nakba sia sconosciuto, i documenti storici indicano che la maggior parte di essi, nelle principali città palestinesi, furono abbandonati, saccheggiati o riadattati in seguito alle espulsioni di massa. Sia la Nakba che l’attuale guerra genocida a Gaza hanno distrutto anche i luoghi di culto. Nel 1948, oltre l’80% delle moschee nei villaggi palestinesi, stimate tra le 400 e le 500, fu distrutto, profanato o convertito ad altri usi. Ad esempio, la moschea di Saliha fu fatta saltare in aria con i civili al suo interno, uccidendo fino a 94 persone. Nel febbraio 2025, il Ministero delle Dotazioni di Gaza riferì che 814 delle 1.245 moschee della Striscia (circa il 79%) erano state completamente distrutte, mentre altre 148 erano state gravemente danneggiate, portando il numero totale a 962 moschee. Anche il patrimonio cristiano palestinese subì danni in entrambi gli eventi. Durante la Nakba, si stima che tra le 20 e le 50 chiese siano state danneggiate o distrutte, a dimostrazione delle ridotte dimensioni della comunità cristiana (all’epoca circa il 10% della popolazione). Dal 2023, tutte e tre le chiese rimanenti a Gaza sono state danneggiate o distrutte, inclusa l’antica chiesa di San Porfirio, risalente al V secolo. È stato colpito per la prima volta nell’ottobre del 2023, uccidendo 18 civili, e nuovamente nel 2024. Sia nel 1948 che nella guerra attuale, anche i cimiteri palestinesi non sono stati risparmiati. Si stima che almeno 500 cimiteri siano andati perduti durante la Nakba, poiché la maggior parte delle città e dei villaggi ne aveva almeno uno. Molti sono stati distrutti, trascurati o ricoperti dagli edifici crollati. Nell’attuale guerra genocida, almeno 19 dei 60 cimiteri di Gaza – circa il 32% – sono stati deliberatamente presi di mira e distrutti. Secondo resoconti attuali, le tombe sono state profanate, riesumate o rase al suolo. Sia la Nakba che il genocidio in corso a Gaza hanno dovuto affrontare negazionismo, revisionismo storico e occultamento di responsabilità da parte del regime israeliano e dei suoi sponsor occidentali. Sono stati inoltre sistematicamente emarginati dalla storiografia occidentale e ampiamente ignorati o minimizzati nelle narrazioni dei media mainstream. Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi