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Genocidio israelo-statunitense a Gaza: 660° giorno. 132° dalla fine unilaterale del cessate il fuoco. Morte per fame. Bambini disperati
Gaza-InfoPal. Le forze nazi-sioniste di occupazione israeliane (IOF) hanno continuato la loro guerra genocida sulla Striscia di Gaza per il 132° giorno consecutivo dopo aver posto fine unilateralmente al cessate il fuoco, sostenuti politicamente, economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, dall’Europa e da parte del mondo arabo. Decine di attacchi aerei e raffiche di artiglieria hanno colpito tutto il territorio, prendendo di mira case, tende e rifugi civili, e centri di distribuzione aiuti. Si tratta di una campagna sistematica di sterminio contro la popolazione civile di Gaza. Il ministero della Salute di Gaza segnala 14 decessi nelle ultime 24 ore dovuti a fame e malnutrizione, tra cui due bambini deceduti per fame estrema. Ciò avviene nel contesto di un blocco totale israeliano e di una campagna di carestia in corso contro 2 milioni (i restanti di 2,2 milioni) di palestinesi nella regione. Palestinesi affamati, compresi bambini, si affannano per procurarsi cibo di cui hanno disperatamente bisogno in una mensa di beneficenza a Gaza, nel mezzo della guerra per la fame in corso sul territorio da parte di Israele. (Fonti: Quds Press, Quds News network, PressTv, PIC, Wafa, The Cradle, Al-Mayadeen; ministero della Salute di Gaza; Euro-Med monitor, Telegram; credits foto e video: Quds News network, PIC, Wafa, ministero della Salute di Gaza, Telegram e singoli autori). Per i precedenti aggiornamenti: https://www.infopal.it/category/genocidio-e-pulizia-etnica-a-gaza
Il capo dell’UNRWA: i lanci aerei non fermeranno la carestia a Gaza, urge aprire i valichi di frontiera
New York – PIC. Philippe Lazzarini, Commissario Generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA), ha affermato sabato che i lanci aerei di aiuti umanitari su Gaza sono una distrazione inefficace e pericolosa rispetto all’urgente necessità di revocare l’assedio e aprire i valichi di frontiera. «I lanci aerei su Gaza sono solo una distrazione e una cortina fumogena», ha dichiarato Lazzarini in un comunicato stampa, avvertendo che tali operazioni «non fermeranno il peggioramento della carestia» nella Striscia assediata. Ha sottolineato che queste operazioni sono costose, inefficienti e potenzialmente letali per i civili, sollecitando invece la consegna degli aiuti via terra, che ha definito «più facile, più efficace, più rapida, più sicura e più dignitosa per la popolazione di Gaza». Lazzarini ha rivelato che 6.000 camion carichi di aiuti umanitari essenziali sono attualmente in attesa in Giordania ed Egitto, pronti a entrare a Gaza non appena sarà concesso il permesso. Ha quindi chiesto la revoca immediata dell’assedio, l’apertura di tutti i valichi e la possibilità per le agenzie delle Nazioni Unite e i partner umanitari di operare liberamente nella Striscia. Le sue dichiarazioni arrivano mentre aumentano le discussioni sugli aiuti lanciati dal cielo. Un funzionario israeliano ha detto alla CNN venerdì che Tel Aviv consentirà a paesi stranieri di effettuare lanci aerei nei prossimi giorni, menzionando Giordania ed Emirati Arabi Uniti come partecipanti. Tuttavia, molte fazioni palestinesi e organizzazioni umanitarie internazionali hanno criticato il piano, sottolineando che i lanci aerei non possono sostituire un accesso continuativo e sostenibile degli aiuti via terra. I precedenti lanci aerei autorizzati da Israele si sono rivelati pericolosi e tragici, con decine di palestinesi uccisi dopo che i pacchi di aiuti sono caduti su di loro o sono atterrati in zone pericolose. Sabato mattina, l’Ufficio Stampa del Governo di Gaza ha lanciato un allarme per una catastrofe umanitaria senza precedenti: oltre 100.000 bambini, tra cui 40.000 neonati, rischiano la vita a causa del blocco. Il bilancio complessivo delle vittime per fame e malnutrizione è salito a 122, tra cui 83 bambini, e si prevede che aumenterà drasticamente con il protrarsi dell’assedio e la chiusura dei valichi. Nel frattempo, le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie hanno lanciato avvertimenti urgenti: il cibo terapeutico per i bambini gravemente malnutriti sta per esaurirsi, mettendo a repentaglio la vita di migliaia di persone tra le più vulnerabili. Dal 7 ottobre 2023, Israele sta conducendo una guerra genocida contro Gaza, caratterizzata da uccisioni di massa, fame deliberata, sfollamenti forzati e distruzione delle infrastrutture civili, il tutto con il pieno appoggio degli Stati Uniti e in violazione del diritto internazionale e delle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia.
La fame miete cinque vittime a Gaza
Gaza – PIC. Cinque cittadini palestinesi, tra cui due bambini, sono morti di fame e malnutrizione nella Striscia di Gaza nelle scorse 24 ore, secondo una dichiarazione rilasciata sabato sera dal ministero della Salute di Gaza. Secondo il Ministero, la campagna israeliana di fame deliberata a Gaza ha causato finora la morte di almeno 127 palestinesi, tra cui 85 bambini. Nel frattempo, il dottor Ahmed al-Farra, direttore dell’ospedale pediatrico presso il Nasser Medical Complex, ha avvertito che i bambini affamati di Gaza non possono resistere a lunghi periodi senza cibo, rendendoli estremamente vulnerabili a gravi rischi per la salute. “Stiamo affrontando la situazione più dolorosa degli ultimi 22 mesi”, ha dichiarato il dottor al-Farra.
Il bilancio delle vittime della fame a Gaza sale a 122 a causa del blocco israeliano in corso
Gaza. Il numero di palestinesi morti a causa dell’attuale guerra della fame condotta da Israele nella Striscia di Gaza è salito a 122, dopo il decesso di altre nove persone nelle scorse 24 ore, secondo fonti mediche. Tra le vittime della crisi alimentare in corso, causata dal blocco israeliano, si contano 83 bambini. L’ultima vittima è un bambino deceduto venerdì mattina per fame e grave malnutrizione. Le stime attuali indicano che 900.000 bambini nell’enclave assediata soffrono la fame, e che 70.000 di loro hanno raggiunto uno stadio di malnutrizione acuta. L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA) aveva già avvertito che i tassi di malnutrizione tra i bambini sotto i cinque anni sono raddoppiati tra marzo e giugno di quest’anno. L’agenzia attribuisce questo allarmante aumento al blocco israeliano in corso, che ha gravemente limitato l’accesso a cibo, forniture mediche e aiuti umanitari. Le organizzazioni per i diritti umani e i gruppi di aiuto umanitario hanno lanciato l’allarme per la catastrofe umanitaria in atto a Gaza, sollecitando un intervento internazionale immediato per porre fine al blocco e fornire assistenza salvavita alla popolazione. (Fonti: Wafa, Quds News).
Genocidio in Palestina: le tecniche con cui i media normalizzano l’orrore
Gaza-L’Antidiplomatico.it. Di Maylyn López. La Striscia è sprofondata in una catastrofe umanitaria di proporzioni bibliche. Secondo i dati più aggiornati delle Nazioni Unite, oltre 50.000 palestinesi hanno perso la vita e circa 115.000 sono rimasti feriti nel massacro che Israele ha messo in scena dal 7 ottobre 2023. 1,9 milioni di persone – praticamente l’intera popolazione di Gaza – risultano sfollate, mentre intere porzioni del territorio sono state rase al suolo. Città come Rafah semplicemente sono state cancellate dalla mappa.  Mentre le bombe e le privazioni mietono vittime, l’indignazione internazionale resta attenuata, intermittente, quasi anestetizzata. Come è possibile? Quali meccanismi comunicativi e cognitivi permettono al mondo di assistere, perlopiù impassibile, a questa tragedia? La dissonanza cognitiva è quel malessere psicologico che insorge quando credenze e realtà confliggono. Nel caso della Palestina, chi da un lato crede nei diritti umani universali ma dall’altro supporta o giustifica le azioni militari indiscriminate di Israele, si trova in una tensione interna. Per ridurla, inconsciamente può attuare strategie mentali: ad esempio convincersi che “in fondo Hamas usa i civili come scudi umani, quindi quelle morti non sono colpa nostra”, oppure che “è una guerra al terrorismo, i civili sono vittime inevitabili”. Si sposta l’attenzione dalla sofferenza umana al quadro narrativo che la giustifica.  Un ruolo rilevante lo gioca anche il bias empatico di gruppo. Studi neuroscientifici hanno dimostrato che gli esseri umani provano più empatia per chi percepiscono come simile o appartenente al proprio gruppo, mentre l’empatia cala verso l’“altro”, soprattutto se intervengono paure e pregiudizi. In situazioni di conflitto etnico-nazionale, i media e la propaganda enfatizzano le differenze, seminano paura dell’altro (dipinto magari come fanatico, barbaro o terrorista), con l’effetto di ridurre biologicamente la nostra capacità di provare compassione.  Questo vale in maniera evidente nel caso dell’attacco da parte di Israele contro la Palestina. Nei media occidentali, la sofferenza di questo popolo è filtrata attraverso frame o cornici che riducono o omettono:  si parla di “conflitto”, “operazione militare”, “risposta difensiva”. Raramente si usano parole come “massacro”, “occupazione”, “pulizia etnica”. Il lessico anestetizza l’orrore. Le vittime israeliane vengono descritte come “brutalmente uccise”; i palestinesi, semplicemente, “muoiono”. Le responsabilità svaniscono dietro il passivo verbale: “sono stati trovati morti”. Dietro l’indifferenza di parte della comunità internazionale verso la tragedia palestinese, agiscono potenti meccanismi psicologici. Judith Butler, filosofa, si chiede provocatoriamente: “Chi è considerato umano? Quali vite contano come vite? Che cosa rende una vita degna di lutto?” . Nel suo saggio Frames of War, Butler sostiene che nei nostri apparati cognitivi e culturali esiste una cornice che decide quali vite siano “piangibili” (grievable) e quali no. Se una vita non rientra nel quadro di ciò che la nostra società considera degno di cordoglio, la sua perdita non ci scuote né ci indigna allo stesso modo. Per risolvere l’incongruenza fra i nostri valori umani dichiarati e l’indifferenza di fatto verso certe vittime, tendiamo ad adattare la percezione – minimizzando la sofferenza altrui, giustificando l’ingiustificabile come “necessario”. Come aveva brillantemente anticipato Carl von Clausewitz, il fenomeno comunicativo è diventato il vero centro di gravità della guerra: guida la percezione, la modifica e adatta alle necessità di chi ha il potere dell’informazione. Lo conferma anche Bernard Cohen, secondo cui “se un governo perde il controllo sulla narrazione mediatica, può perdere il potere di usare la forza militare”. Framing mediatico: vittime “degne” o vittime invisibili. Nel suo saggio The Press and Foreign Policy (1963), il politologo Bernard Cohen formulò una massima tuttora illuminante: i media “possono non riuscire sempre a dire alla gente cosa pensare, ma sono sorprendentemente abili nel dire alla gente a cosa pensare”. Questa funzione di agenda-setting diventa cruciale nei conflitti. Già Edward Said denunciava che ai palestinesi è stata a lungo negata perfino la “permission to narrate”, ovvero il permeso di raccontare la propria storia. La narrazione dominante del conflitto israelo-palestinese nei media occidentali tradizionali è spesso improntata a un frame squilibrato: gli attacchi che colpiscono civili israeliani ricevono una copertura mediatica immediata, dettagliata, personalizzata; al contrario, le sofferenze palestinesi – pur numerose e collettive – tendono a essere raccontate in modo vago, impersonale, talvolta giustificate con il lessico asettico delle “rappresaglie” o dei “danni collaterali”. Con le più avanzate tecniche nel campo della persuasione di massa, la comunicazione sceglie cosa inquadrare e di mostrare. Come spiega il politologo Robert Entman, “inquadrare significa selezionare alcuni aspetti della realtà percepita e renderli più salienti nel testo comunicativo”. Così, i media possono decidere se mostrare le macerie di un ospedale bombardato a Gaza o piuttosto le immagini del terrore in un kibbutz israeliano; se usare parole come “massacro” oppure “operazione di sicurezza”, stabilendo implicitamente, per esempio, chi merita empatia e chi invece può essere ignorato. Le neuroscienze e la psicologia cognitiva confermano che le persone sono più inclini ad agire quando vedono e comprendono la sofferenza di un individuo identificabile. È il cosiddetto identifiable victim effect. Le storie personali attivano il sistema limbico, sede delle emozioni. I gruppi anonimi, invece, generano distacco, specialmente quando le immagini vengono oscurate con l’etichetta “contenuto sensibile”. In questo scenario, i media decidono cosa si può vedere, cosa no. Questa dicotomia alimenta un doppio standard empatico, che crea una gerarchia morale tra le vittime. È su questa base che si costruisce — e si legittima — l’accettazione silenziosa di un genocidio. I teorici della comunicazione, Edward Herman e Noam Chomsky, già negli anni ’80 analizzarono questo fenomeno con il concetto di worthy and unworthy victims – vittime degne e indegne. Nel modello di Herman e Chomsky, i media nelle società occidentali tendono a dare ampia visibilità e umanità alle vittime di regimi nemici o di cause “utili” alla propria agenda, mentre minimizzano le vittime di regimi alleati o “amici” .  In questo modo, le vittime degne monopolizzano l’empatia pubblica, diventano “persone come noi”; le “vittime indegne”, al contrario, rimangono numeri senza nome. Dissonanza cognitiva e bias empatici. La conseguenza è duplice. Da un lato, l’opinione pubblica occidentale è incoraggiata a immedesimarsi nelle paure e nel dolore di una parte (tipicamente, “gli israeliani colpiti da attacchi terroristici”), riconoscendo loro pienamente lo status di vittime umane innocenti. Le vittime dell’altra parte (i palestinesi sotto le bombe, le famiglie decimate a Gaza) vengono, al contrario, spersonalizzate. Questa sproporzione narrativa alimenta un bias empatico: l’empatia collettiva si attiva selettivamente, guidata non tanto dall’entità oggettiva della sofferenza, quanto dal frame mediatico e politico in cui quella sofferenza è presentata. Chi muore “dalla parte sbagliata” rischia di non entrare nemmeno nel cerchio della nostra compassione.  Questo meccanismo rientra perfettamente nel modello di Manufacturing Consent elaborato da Noam Chomsky ed Edward Herman: l’informazione passa attraverso filtri che la rendono compatibile con gli interessi dominanti. La sofferenza palestinese è oscurata, la sua legittimità negata e per questo motivo le narrazioni alternative vengono screditate o tacciate di antisemitismo. Un esperimento citato su Psychological Science ha rilevato che basta esporre le persone a immagini spaventose (collegate all’altro gruppo) per sopprimere la risposta empatica quando vedono membri di quel gruppo soffrire. La paura e la propaganda sono molto efficaci: attivano l’amigdala e altre strutture cerebrali legate all’allarme e all’aggressività, disattivando le connessioni empatiche. In altre parole, se siamo bombardati di notizie che dipingono un popolo intero come minaccioso, arretrato o diverso, finiamo con il “sentire” meno il dolore di quel popolo. Si instaura quella che alcuni psicologi definiscono “morte dell’empatia” verso l’esterno. Parallelamente, l’eccesso di immagini di violenza può avere un duplice effetto: mobilitare le coscienze oppure, al contrario, intorpidire i sentimenti. La scrittrice Susan Sontag, in Regarding the Pain of Others, rifletteva su come la visione continua di atrocità in fotografia e video possa servire a “rafforzarsi contro la debolezza, a rendersi più insensibili” .   Se ci limitiamo a consumare passivamente immagini rischiamo di costruirci una corazza emotiva per sopravvivere all’orrore, specialmente se percepiamo di non poter fare nulla per cambiarlo. Sontag però aggiungeva che non è la quantità di immagini in sé a desensibilizzarci, bensì la passività con cui le assorbiamo.  La compassione è un’emozione instabile: senza un’azione, senza una risposta etica, finisce per appassire. Così, l’opinione pubblica– esposta a un flusso costante di violenza in Medio Oriente – rischia di cadere in una sorta di shock del reale: o volta lo sguardo per non soccombere alla sofferenza altrui, oppure la osserva come attraverso un vetro, senza più reagire. In entrambi i casi, la conseguenza è micidiale: l’agonia di un popolo perde la capacità di interpellare le coscienze, diventa rumore di fondo. La comunicazione mediatica non è solo veicolo di notizie: è uno strumento di potere.  Gli errori cognitivi – come il bias di conferma, omissione e illusione della simmetria – agiscono a livello inconscio e determinano il modo in cui percepiamo la realtà. La dissonanza cognitiva nasce proprio dal conflitto tra i nostri valori dichiarati, per esempio, giustizia, diritti umani, e l’accettazione di pratiche disumane: fame, uccisioni di bambini e vittime innocenti, bombardamenti su scuole. Come scriveva Susan Sontag, nessun “noi” può essere dato per scontato di fronte al dolore degli altri. E come ci insegna l’eredità di Edward Said, ai popoli oppressi va restituito il diritto di raccontarsi: ascoltare le voci palestinesi, le loro storie quotidiane di resilienza oltre che di sofferenza, è il primo passo per restituire loro dignità e per ricalibrare il nostro stesso senso di giustizia. Di fronte alla tragedia palestinese, l’urgenza è duplice: agire per fermare l’ecatombe, e raccontare con verità ciò che sta accadendo. In gioco c’è la nostra stessa umanità.  Maylyn López Responsabile delle Relazioni Internazionali e Coordinatrice della BRNN “Belt and Road News Network” per l’AD. Docente universitaria. Specialista in Comunicazione Strategica e Istituzionale, giornalista, mediatrice internazionale. Certificazione in programmazione Neurolinguistica. 20 anni di esperienza nell’ambito diplomatico e multilaterale. 
Morti per fame: il massacro silenzioso di Gaza sotto gli occhi del mondo
 Gaza – PIC. In un mondo che continua a restare inerte, con gli occhi chiusi e il cuore intorpidito, indifferente al rintocco della campana che echeggia da Gaza – una terra martoriata da una brutale guerra di fame sionista e da un genocidio in stile nazista – la fame miete vittime. Bambini e anziani, giovani e deboli muoiono uno dopo l’altro, vittime della carestia. Centinaia, se non migliaia, attendono un imminente “tsunami” di morte, i loro corpi crollano sotto il peso della fame, incapaci di sostenerli oltre. Soffrono di malnutrizione di quinto grado, una carestia catastrofica, mentre il mondo resta in attesa che una scintilla di umanità si risvegli e salvi ciò che resta dalle fauci della fame, deliberatamente imposta dall’occupazione criminale in uno sforzo calcolato per annientare la volontà di un intero popolo, sotto gli occhi della comunità internazionale. Centinaia di storie documentate, catturate in suoni e immagini, raccontano del più orribile massacro umanitario della storia moderna. Mentre le Nazioni Unite continuano a lanciare allarmi sulla catastrofe umanitaria a Gaza, i numeri descrivono una realtà crudele: la fame è diventata una politica mortale che colpisce bambini e adulti sotto un assedio serrato e un blocco sistematico di cibo e medicine. Dati recenti delle Nazioni Unite rivelano che oltre un milione di bambini a Gaza sono minacciati dalla fame, con tassi di malnutrizione acuta in rapido aumento. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA), i bambini sono i più vulnerabili e gravemente colpiti dalla crisi, poiché gli aiuti non riescono a raggiungere la maggior parte delle zone di Gaza a causa delle rigide restrizioni militari imposte da Israele. L’UNICEF ha dichiarato che la fame è diventata una “terrificante realtà” che minaccia la vita di centinaia di migliaia di bambini. Oltre 70.000 bambini a Gaza soffrono di malnutrizione acuta, e più di 5.000 bambini sotto i cinque anni sono stati ufficialmente diagnosticati solo nel mese di maggio. L’agenzia ha avvertito che Gaza è vittima di una politica sistematica di carestia imposta da Israele, che finora ha causato 86 morti per fame, di cui 76 bambini, e si prevede che tali numeri continueranno a salire a causa della mancanza di nutrizione terapeutica e del perdurare dell’assedio. Rapporti sul campo hanno documentato casi strazianti di neonati deceduti dopo aver sopravvissuto per giorni solo con tisane, a causa dell’assenza di latte artificiale e alimenti essenziali per le madri che allattano. Il Programma Alimentare Mondiale stima che un terzo della popolazione di Gaza sia rimasta senza cibo per giorni consecutivi, mentre un quarto vive in condizioni simili a una carestia, compromettendo gravemente la salute dei bambini e spingendoli sull’orlo del baratro. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avvertito che la crisi potrebbe aggravarsi rapidamente se non verrà consentito immediatamente l’ingresso di aiuti alimentari e medici. Ha confermato che oltre 100.000 bambini e donne incinte a Gaza soffrono di livelli critici di malnutrizione, mettendo le loro vite in costante pericolo. Israele è accusato di usare la fame come arma. Organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty International, hanno documentato prove di una campagna sistematica volta ad affamare la popolazione civile: una palese violazione del diritto internazionale e un crimine di genocidio. In assenza di una soluzione politica o di un intervento internazionale concreto, la sofferenza dei bambini di Gaza si aggrava, mentre il mondo continua a lanciare appelli vuoti. Mentre emergono immagini di bambini emaciati o di piccoli che esalano l’ultimo respiro tra le braccia delle loro madri, il grido della fame a Gaza diventa più assordante del silenzio del mondo, e più devastante di qualsiasi discorso.
UNICEF: gli attacchi israeliani uccidono 28 bambini al giorno a Gaza
New York-Memo. Mercoledì, durante una sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Direttrice Esecutiva dell’UNICEF, Catherine Russell, ha rivelato dati allarmanti sull’impatto dell’offensiva israeliana in corso su Gaza. Ha confermato che oltre 17.000 bambini sono stati uccisi dall’inizio della guerra, con una media di 28 al giorno, l’equivalente di un’intera classe. “È come se perdessimo un’intera classe di alunni ogni giorno per due anni”. “I bambini non sono attori politici. Non scatenano i conflitti e non hanno il potere di fermarli. Ma soffrono enormemente e si chiedono perché il mondo li abbia abbandonati”, ha aggiunto. Nel frattempo, il Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, ha avvertito che la situazione sanitaria a Gaza ha raggiunto livelli catastrofici. “Solo 17 ospedali su 36 e 63 centri di assistenza sanitaria primaria su 170 sono operativi, tutti solo parzialmente, nonostante l’arrivo quotidiano di numerosi feriti”, ha sottolineato. Fletcher ha indicato che il 50% delle attrezzature mediche è stato danneggiato e che la crisi del carburante in corso rimane critica, nonostante il suo ruolo vitale nel garantire il funzionamento delle ambulanze e di altri servizi essenziali. Esprimendo preoccupazione per gli allarmanti tassi di denutrizione infantile registrati a giugno, ha rivelato che “a più di 5.800 bambine e bambini è stata diagnosticata una malnutrizione acuta”. “La scorsa settimana, nel mezzo di questa crisi alimentare, bambini e donne sono stati uccisi durante un attacco mentre aspettavano gli integratori alimentari che li avrebbero tenuti in vita”, ha dichiarato.
Un campo di concentramento israeliano a Rafah per confinare “l’intera popolazione” di Gaza
Gaza-The Cradle. Dirigenti israeliani hanno informato giornalisti e diplomatici stranieri su un piano per costringere l’intera popolazione di Gaza — oltre 2 milioni di persone — a trasferirsi in un campo di concentramento controllato dall’esercito israeliano nei pressi del confine tra Gaza e l’Egitto, secondo quanto riportato dal New York Times (NYT) il 14 luglio. Il governo israeliano non ha ancora annunciato ufficialmente né commentato il piano, proposto per la prima volta la scorsa settimana dal ministro della Difesa Israel Katz durante un briefing con i corrispondenti israeliani esperti in affari militari. Il New York Times ha esaminato i resoconti scritti dell’incontro redatti dai partecipanti. I primi rapporti indicavano che 600.000 palestinesi sarebbero stati costretti a trasferirsi nel campo. Il quotidiano ha osservato che, secondo esperti legali, il piano violerebbe il diritto internazionale e costituirebbe una forma di pulizia etnica, poiché ai civili palestinesi confinati nel campo sarebbe vietato tornare nelle loro case nel nord dell’enclave devastata. Hamas ha citato la proposta di Katz come uno degli ultimi ostacoli al raggiungimento di un nuovo accordo di cessate il fuoco. Husam Badran, alto esponente del gruppo, ha definito la creazione del campo sulle rovine di Rafah, nel sud di Gaza, una “richiesta deliberatamente ostruzionistica” che complicherebbe i colloqui per il cessate il fuoco. “Sarebbe una città isolata, simile a un ghetto”, ha dichiarato Badran lunedì. “È assolutamente inaccettabile e nessun palestinese potrebbe farlo”. Mentre alcuni funzionari israeliani hanno definito il campo una “città umanitaria”, altri — tra cui l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert — lo hanno descritto come un campo di concentramento simile a quelli che rinchiudevano ebrei e altri prigionieri durante la Seconda Guerra Mondiale. “È un campo di concentramento, mi dispiace”, ha dichiarato Olmert quando gli è stato chiesto del piano. Una volta all’interno, ai palestinesi non sarebbe consentito uscire se non per recarsi in altri paesi, ha confermato Katz. “Se i palestinesi verranno deportati nella nuova ‘città umanitaria’, allora si potrà dire che questo fa parte di una pulizia etnica”. All’inizio di quest’anno, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha suggerito di “ripulire” Gaza dai suoi 2,2 milioni di residenti, affinché possa essere trasformata e ricostruita come la “Riviera del Medio Oriente”. L’inviato speciale di Trump nella regione e responsabile dei negoziati per il cessate il fuoco con Hamas è Steve Witkoff, fondatore e presidente del Witkoff Group, una società immobiliare con sede a New York. Anche Jared Kushner, genero del presidente degli Stati Uniti, è un noto imprenditore immobiliare di New York tramite l’azienda di famiglia, la Kushner Companies. Nel mese di marzo, Kushner ha descritto il “grandissimo potenziale” delle proprietà sul lungomare di Gaza, suggerendo che Israele dovrebbe rimuovere i palestinesi mentre “ripulisce” la Striscia.
Israele ha rapito 360 operatori sanitari palestinesi dall’ottobre 2023
Gaza. Fonti mediche palestinesi riferiscono che Israele ha rapito 360 operatori sanitari dall’inizio della campagna genocida del regime a Gaza, nell’ottobre 2023. L’agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa, citando fonti a Gaza, ha riferito lunedì che le forze israeliane stanno imponendo severe restrizioni ai prigionieri in generale e agli operatori sanitari in particolare, poiché vivono in condizioni difficili e tragiche nelle strutture di detenzione del regime. Le fonti hanno riferito che il direttore dell’ospedale Kamal Adwan di Gaza è stato sottoposto a varie forme di tortura intensa e trattamenti disumani. Il dott. Hussam Abu Safiya, 51 anni, detenuto a Gaza dall’esercito israeliano a dicembre, è stato sottoposto a brutali interrogatori e ha subito continue percosse. Le condizioni di salute del medico hanno raggiunto un punto critico e gli vengono negate le cure. L’avvocato palestinese Ghaid Qassem afferma che soffre di gravi problemi di salute a causa dell’esposizione a torture e deliberata negligenza medica nelle carceri israeliane. L’avvocato ha osservato che Abu Safia ha perso più di 40 chili da quando è stato catturato a Gaza e sopporta condizioni di detenzione dure e pericolose per la vita. Qaasem ha aggiunto che il medico è stato picchiato brutalmente dai carcerieri israeliani il 24 giugno nella sua cella nel carcere di Ofer, situato vicino a Ramallah. A seguito di questa aggressione, durata più di mezz’ora, Abu Safia ha riportato gravi ferite e contusioni al petto, al viso, alla testa, alla schiena e al collo, secondo l’avvocato. Secondo i dati ufficiali del ministero della Salute di Gaza, dal 7 ottobre 2023 almeno 58.386 palestinesi, per lo più donne e bambini, sono stati uccisi e 139.077 feriti. (Fonti: PressTV, Quds News, Wafa).
Genocidio israelo-statunitense a Gaza: 647° giorno. 119° dalla fine unilaterale del cessate il fuoco. Stragi continue. Bimbi intrappolati sotto le macerie. Oltre 58.000 morti ufficialmente riconosciuti
Gaza-InfoPal. Le forze nazi-sioniste di occupazione israeliane (IOF) hanno continuato la loro guerra genocida sulla Striscia di Gaza per il 119° giorno consecutivo dopo aver posto fine unilateralmente al cessate il fuoco, sostenuti politicamente, economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, dall’Europa e da parte del mondo arabo. Decine di attacchi aerei e raffiche di artiglieria hanno colpito tutto il territorio, prendendo di mira case, tende e rifugi civili. Si tratta di una campagna sistematica di sterminio contro la popolazione civile di Gaza. Il ministero della Salute di Gaza ha annunciato che il bilancio ufficiale delle vittime degli attacchi israeliani è salito a 58.386 morti e 139.077 feriti dal 7 ottobre 2023. L’artiglieria israeliana sta bombardando la parte settentrionale del campo di Al-Nuseirat, nella Striscia di Gaza centrale, mentre le forze di occupazione israeliane fanno esplodere edifici residenziali nel centro di Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale. Questa mattina, è stato ucciso Faraj Al-Ghoul, membro del Consiglio legislativo palestinese, in un attacco aereo israeliano su un’abitazione nella città di Gaza. Sono stati segnalati intensi bombardamenti israeliani nelle zone orientali del campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza. Secondo fonti mediche, almeno 11 palestinesi sono stati uccisi in seguito a attacchi aerei israeliani sulla città di Gaza a partire dalle prime ore del mattino. Scene strazianti del funerale di Nasser Abu Jarad, di sua moglie Yasmin e dei loro figli Nasser, Ghassan, Waseem e Rimas, tutti uccisi questa mattina in un attacco aereo israeliano sulla loro tenda per sfollati nella città di Gaza. I figli della famiglia Arafat sono ancora intrappolati sotto le macerie della loro casa nel quartiere di Al-Tuffah a Gaza. Alcuni di loro sono ancora vivi, ma le forze di occupazione israeliane impediscono a chiunque, comprese le squadre di protezione civile, di salvarli. Questa notte, diversi palestinesi sono stati uccisi e altri siano rimasti feriti quando gli aerei israeliani hanno bombardato un’abitazione nel campo profughi di Al-Shati, a ovest della città di Gaza. Nella giornata di ieri, lunedì, 88 palestinesi sono stati uccisi in attacchi aerei israeliani sulla Striscia di Gaza. Ieri sera, in un orribile massacro israeliano, 12 palestinesi sono stati uccisi e altri 30 sono rimasti feriti in un attacco aereo israeliano che ha colpito un’abitazione nella zona di Tel Al-Hawa, a sud della città di Gaza. Sei palestinesi sono stati uccisi in un attacco israeliano che ha colpito le tende degli sfollati nel quartiere di Al-Rimal, a ovest della città di Gaza. Diversi bambini palestinesi sono rimasti feriti dopo che le forze di occupazione israeliane hanno bombardato le tende per sfollati nel quartiere di Al-Rimal, a ovest della città di Gaza. L’infermiere palestinese Ahmad Salah è stato ucciso insieme ai suoi tre figli in un attacco di droni israeliani che ha colpito la loro tenda ad Al-Mawasi, Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza. Salah aveva appena terminato il turno in sala operatoria al Nasser Medical Complex e stava tornando dalla sua famiglia quando è avvenuto l’attacco. Sua moglie, Iman Kawarea, anche lei infermiera, era in servizio quando ha ricevuto la devastante notizia. Secondo l’Ufficio Stampa del governo di Gaza (GMO), oltre 700 palestinesi, la maggior parte dei quali bambini, sono stati uccisi in attacchi aerei israeliani mentre raccoglievano acqua per le loro famiglie dall’inizio dell’offensiva israeliana in corso su Gaza. L’ufficio ha dichiarato: “L’occupazione israeliana continua a condurre una guerra sistematica e deliberata contro il popolo palestinese a Gaza, in flagrante violazione di tutte le convenzioni internazionali e umanitarie”. Ha affermato che le forze armate israeliane hanno compiuto 112 massacri contro i cittadini di Gaza che stavano raccogliendo acqua. ministero della Salute di Gaza; Euro-Med monitor, Telegram; credits foto e video: Quds News network, PIC, Wafa, ministero della Salute di Gaza, Telegram e singoli autori). Per i precedenti aggiornamenti: https://www.infopal.it/category/genocidio-e-pulizia-etnica-a-gaza