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3500 giorni di detenzione: libertà per Milagro Sala
A 3500 giorni dall’arresto della leader sociale Milagro Sala, la Rete Internazionale per la Libertà di Milagro Sala, composta da cittadini di Argentina, Brasile, Canada, Spagna, Stati Uniti, Finlandia, Francia, Italia, Regno Unito, Svezia e Svizzera, chiede ancora una volta che sia fatta giustizia liberando Milagro. Il 16 agosto ricorre il 3500° giorno di detenzione di Milagro Sala. Tremilacinquecento giorni in cui in Argentina è stato sperimentato il lawfare che in altri paesi ha portato all’incarcerazione dell’attuale presidente del Brasile, Luis Inácio Lula da Silva, e all’esilio dell’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa. Tremilacinquecento giorni da quando Jujuy è diventata il laboratorio repressivo che il governo nazionale della Repubblica Argentina applica oggi per intimidire l’opposizione politica, mettere a tacere le voci ribelli e terrorizzare il popolo. Milagro Sala è stata arrestata, processata e condannata con accuse inventate, prove controverse, testimoni comprati e impedimenti alla difesa. La Corte Suprema, senza alcuna valutazione giuridica, ha confermato la condanna e, oltre agli anni di detenzione, ha dichiarato Milagro ineleggibile a vita per ricoprire cariche pubbliche nel Paese. Quando, per ordine della Corte Interamericana dei Diritti Umani, a Milagro è stato concesso l’arresto domiciliare, il governo ha cercato di impedire le visite a casa sua. La polizia di Jujuy ha posto sotto sorveglianza la casa di Milagro, contrariamente a quanto previsto dalla legge. Per scoraggiare le visite, questi funzionari di polizia hanno iniziato a raccogliere illegalmente, tra gli altri dati personali, il numero di documento, l’appartenenza politica, sociale o sindacale, l’indirizzo delle persone che la visitavano. Dati che nessuno sa dove siano stati archiviati né a quale scopo siano stati utilizzati. Cristina Fernández de Kirchner è stata processata e condannata per un caso montato ad arte, con prove controverse, testimoni dubbi e impedimenti alla difesa di presentare tutte le prove richieste. La Corte Suprema, senza discussione giuridica, ha ratificato la condanna e, come Milagro, l’ha dichiarata inidonea a ricoprire cariche pubbliche nel Paese. Come condizione per la sua detenzione domiciliare, Cristina può ricevere visite solo con autorizzazione giudiziaria. L’isolamento politico e sociale fa parte della punizione inflitta a chi non si conforma alle regole. Sia Milagro Sala che Cristina Fernández de Kirchner, giudicate e condannate ingiustamente per presunti reati di corruzione, sono sottoposte a condizioni di detenzione più severe rispetto a centinaia di assassini condannati per rapimenti, torture e omicidi di migliaia di attivisti studenteschi, sindacali, politici e sociali che cercavano di trasformare economicamente e socialmente l’Argentina. Dopo l’arresto di Milagro, gli attivisti dell’Organizzazione di quartiere Tupac Amarú, fondata e diretta da Milagro, sono stati perseguitati dalla giustizia e dalla polizia. Decine di membri dell’organizzazione sono stati arrestati con pretesti giudiziari o multati per ipotetici reati municipali. Inoltre, le aggressioni della polizia durante le manifestazioni, le riunioni di quartiere o le attività sociali hanno fatto sì che la gente avesse paura di circolare per strada anche solo con una giacca della Tupac. La paura rende muti, la detenzione e le percosse mettono a tacere. Oggi si ripetono a livello nazionale le pratiche che sono state utilizzate contro la Tupac. I pensionati non hanno mai taciuto di fronte all’ingiustizia del governo di Javier Milei. Ogni mercoledì vengono repressi con manganelli e gas lacrimogeni. La repressione delle marce contro poteri straordinari a Milei e che mettono in discussione la ristrutturazione finanziaria e contro la svendita dei beni comuni ha causato centinaia di feriti e arrestati. La maggior parte di loro oggi è stata prosciolta, ma il danno è fatto, il messaggio è chiaro: “chi manifesta va incontro a manganellate e carcere”. Anche le proteste davanti alla casa del deputato José Luis Espert, che si vanta di chiedere “carcere e pallottole” per l’opposizione, sono state seguite dall’arresto delle partecipanti. Ma non basta incarcerare e cercare di mettere a tacere l’avversario; bisogna distruggerlo come essere umano. Non solo si attaccano le sue posizioni politiche e si mente su possibili attività illegali, ma si colpisce anche la sua famiglia. Sergio Chorolque Sala, figlio di Milagro, e suo marito, Raúl Noro, sono stati accusati, insultati e diffamati. Sergio ha sofferto di una crisi depressiva ed è morto per arresto cardiaco pochi mesi dopo. La casa dove Milagro era detenuta a Jujuy, dove si trovava anche Raúl Noro, in fase terminale per un cancro, è stata perquisita dalle forze di polizia, impedendo persino l’ingresso di medici e infermieri per curare il paziente. Raúl è morto pochi giorni dopo la perquisizione. Máximo e Florencia Kirchner sono stati accusati in tribunale e diffamati dai media per diversi episodi di corruzione che non sono mai stati provati. Ma il danno era fatto. Florencia ha avuto bisogno di un aiuto professionale all’estero per superare la depressione causata dal dolore sofferto. Durante questa lunga detenzione, Milagro non solo ha subito perdite familiari, ma la sua salute è peggiorata e ha sofferto di una trombosi venosa profonda, con un coagulo nella gamba sinistra che non è stato trattato adeguatamente a Jujuy. Dopo mesi di proteste e richieste giudiziarie, è stata trasferita a La Plata per essere curata all’Hospital Italiano. Le cure sono arrivate in ritardo, ha ancora difficoltà a camminare e il trattamento continua. Il logorio emotivo e fisico fa parte del laboratorio, che cerca di far sì che il nemico si arrenda, abbandoni la lotta per l’uguaglianza sociale e scompaia dalla vita pubblica. Il laboratorio creato dal governatore Morales, sostenuto dal presidente Macri, è cresciuto e si è sviluppato. Oggi viene applicato dal governo di Milei in tutto il Paese. L’incarcerazione, il processo e la condanna di Milagro Sala sono ingiusti. Lo stesso vale per il processo e la condanna di Cristina Fernández de Kirchner. Dalla Rete Internazionale per la Libertà di Milagro Sala, e a 3500 giorni dalla sua detenzione, chiediamo la libertà di Milagro Sala, Cristina Fernández de Kirchner e tutti i prigionieri politici. Rete Internazionale per la Libertà di Milagro Sala Olivier Turquet
L’oro bianco che divora la vita
> La corsa al litio, chiave per la transizione energetica, sta devastando > ecosistemi unici e violando i diritti delle popolazioni indigene in Cile, > Argentina e Bolivia. Per estrarre una tonnellata di litio sono necessari due > milioni di litri d’acqua, in aree in cui questa risorsa è sia sacra che > scarsa. Il litio viene venduto come energia pulita, ma il vero costo viene > pagato dalle comunità indigene e dalla biodiversità. È tempo di chiedere una > transizione giusta, in cui il futuro non sia costruito su nuove ingiustizie. Nel cuore del cosiddetto “triangolo del litio”, formato da Argentina, Bolivia e Cile, si trova oltre il 60% delle riserve mondiali di questa risorsa, fondamentale per le batterie delle auto elettriche, dei telefoni cellulari e dei sistemi di accumulo dell’energia rinnovabile. Il litio è stato definito l’oro bianco del XXI secolo, una promessa energetica che, lungi dall’essere pulita e giusta, sta portando a una nuova forma di estrattivismo predatorio. Per produrre una sola tonnellata di litio sono necessari due milioni di litri d’acqua. Si tratta di una cifra spropositata in regioni dove l’acqua è già scarsa e dove le alte paludi andine, le saline e i fragili ecosistemi dipendono da un equilibrio idrico estremamente sensibile. Ma ben più drammatico è il prezzo umano: ancora una volta, i popoli indigeni sono le vittime invisibili del progresso altrui. In Cile, le comunità degli Atacameño hanno alzato la voce contro la devastazione delle loro saline ancestrali e la riduzione delle loro fonti di acqua dolce, fondamentali per la vita, l’agricoltura e la loro visione del mondo. In Argentina, i popoli Kolla, Atacama e Likan Antai, tra gli altri, denunciano che i loro territori vengono occupati o venduti senza una consultazione preventiva, libera e informata, violando i diritti sanciti da convenzioni internazionali come la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Sotto la pressione delle multinazionali e il discorso della transizione energetica verde, i governi vendono il litio come un futuro rinnovabile. Ma dietro questa facciata, si perpetua il modello coloniale di saccheggio, dove il profitto va lontano e il danno rimane in patria. Le promesse di sviluppo locale si dissolvono in contratti opachi, territori inquinati e corsi d‘acqua secchi. È ironico che una cosiddetta energia “pulita” nasca da una ferita aperta nella terra. La biodiversità delle saline – fenicotteri andini, microrganismi unici, specie endemiche – sta scomparendo. Il silenzio del deserto è rotto da macchinari, strade e trivellazioni, mentre le voci di coloro che si sono presi cura di questi ecosistemi per secoli vengono ignorate o soppresse. A cosa serve una batteria pulita se è costruita sull’ingiustizia? Chi definisce che cosa è progresso? E quante volte ancora i popoli indigeni dovranno pagare il prezzo per il futuro di altri? La transizione energetica non può essere costruita su nuove ingiustizie. Sostituire i combustibili fossili con batterie al litio non è un progresso se si limita a spostarne la vittima: dal pianeta al deserto, dal clima all’acqua, dal petrolio ai popoli indigeni. Le multinazionali, in combutta con i governi nazionali e provinciali, sono sbarcate nel nord dell’Argentina, del Cile e della Bolivia con la promessa di lavoro e sviluppo. Ma in molti casi i posti di lavoro sono precari, i salari irrisori mentre i contratti firmati ignorano completamente le comunità locali. I veri custodi del territorio non partecipano alle decisioni che lo riguardano. La Convenzione 169 dell’OIL, ratificata da questi Paesi, richiede la consultazione preventiva, libera e informata delle popolazioni indigene prima che vengano avviati progetti sulle loro terre. Ma questo obbligo legale viene sistematicamente ignorato. La giustizia, quando interviene, di solito arriva tardi e con timore. PROPOSTE E PERCORSI ALTERNATIVI 1. Consultazione e consenso vincolante: qualsiasi progetto estrattivo deve essere consultato in modo reale e rispettoso con le comunità indigene, garantendo che la loro decisione sia vincolante. Non si tratta di “ informare” le comunità, ma di rispettare la loro autodeterminazione. 2. Controllo comunitario delle risorse: le comunità dovrebbero possedere e gestire le risorse nei loro territori. Invece di essere emarginate, dovrebbero essere al centro del modello produttivo, con benefici diretti e sostenibili. 3. Tecnologie alternative: è urgente investire in batterie senza litio basate sul sodio, sul grafene o su altre alternative meno distruttive. Alcune esistono già, ma le pressioni del mercato ne frenano lo sviluppo. 4. Miniere urbane: il recupero dei metalli dai dispositivi elettronici usati – il cosiddetto “urban mining” – può ridurre significativamente la necessità di sfruttare nuovi territori. 5. Responsabilità internazionale delle imprese: le imprese che estraggono litio nel Sud Globale devono essere soggette a rigorosi norme internazionali in materia di diritti umani e ambiente, sotto il controllo di organismi indipendenti. 6. Corridoi bioculturali protetti: escludere le aree sacre, gli ecosistemi fragili e i territori indigeni da qualsiasi sfruttamento. Trasformarli in corridoi di conservazione con il sostegno internazionale. Nelle comunità Kolla, Atacama, Diaguita e Likan Antai, le nonne insegnano ai bambini a parlare con l’acqua, a prendersi cura della terra come se fosse parte del corpo. Si tratta di popoli che non hanno “risorse”, ma relazioni sacre con il loro ambiente. Vedere il litio come una “risorsa” da estrarre e vendere è una visione estranea, imposta e violenta. Come è già successo per il petrolio, il coltan e l’oro, la corsa al litio rischia di lasciare una scia di distruzione e di oblio. Ma siamo ancora in tempo per evitare che la storia si ripeta. Questo “oro bianco”, che abbaglia le grandi potenze e le multinazionali, non deve continuare a macchiare le mani di chi non è mai stato ascoltato. Non ci può essere transizione ecologica senza giustizia climatica, sociale e culturale. E questa giustizia inizia con l’ascolto, il rispetto e la protezione di coloro che da millenni vivono in armonia con la Terra. Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Pedro Pozas Terrados
11 giugno 2025, lettera da Buenos Aires, Argentina
Quella che segue è la dichiarazione che il mio amico e socio Julio Santucho ha rilasciato l’11 giugno 2025, in apertura del XXIV Festival de Cine de Derechos Humanos de America Latina y Caribe di Buenos Aires, Argentina, di cui è stato fondatore nel 1997. In poche righe, Julio ha sintetizzato la sua straordinaria esistenza, segnata dalla lotta contro i regimi dittatoriali che hanno caratterizzato indelebilmente la storia del suo Paese, l’Argentina; con questa riflessione, Julio ha pure spiegato il significato della scelta di avere creato un Festival cinematografico per ricordare un passato doloroso che non è mai definitivamente scomparso. Nel testo si fa riferimento al ruolo svolto da suo fratello Roberto (Robi) fondatore del Partito Armato dei Lavoratori (PRT), di ispirazione guevarista, in cui lo stesso Julio ha militato, che è stato il primo oppositore della dittatura militare degli anni 1976-83. E si fa cenno alla figura di Cristina Navajas, sua prima moglie, desaparecida, trucidata dai militari dopo avere dato alla luce il suo terzo figlio, Daniel, ritrovato soltanto nel 2023, a 46 anni, grazie all’incessante impegno delle Nonne (Abuelas) della Plaza de Majo, le mitiche donne argentine che sconfissero la dittatura senza usare le armi, solo con la loro implacabile e pacifica determinazione. Il loro lavoro silente e inarrestabile ha fatto anche questo miracolo e Daniel è stato il 133simo bambino rapito e ritrovato. Credo che il testo che segue sia il testamento spirituale di Julio che, in tutti questi anni, ha portato nella mente e nel cuore il peso insostenibile di una memoria paragonabile solo a quella di Adelmo Cervi, l’unico sopravvissuto di una grande famiglia massacrata dai fascisti italiani nella parte finale della seconda guerra mondiale. Il racconto di queste memorie, di cui Julio è l’ultimo depositario, rende omaggio infine alla capacità del nostro popolo di ospitare i profughi di guerre e persecuzioni, una virtù che stride, oggi, con il frenetico tentativo del nostro governo di relegare i migranti e i profughi in campi di concentramento, allestiti in tutta fretta per impedire che le file di disperati in fuga dalle guerre possano trovare ospitalità sul nostro territorio. Queste parole ci parlano quindi di un’Italia che sta scomparendo e di un mondo in cui la scelta di dare vita ad un Festival di Cinema dei Diritti Umani per non perdere l’insegnamento della storia si è rivelata opportuna, necessaria e quanto mai attuale. Per questo il nostro Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, di cui io e lui siamo cofondatori, lo ringrazia e si augura che queste due manifestazioni restino legate ancora per molto, soprattutto ora che la forza è tornata prepotentemente a piegare la storia e il nostro dovere è quello di tornare in trincea, in Argentina come in Italia, nell’America Latina come in Europa. Buona lettura a tutti e a tutte. A questo punto della mia vita, vale la pena ricapitolare. Sono il decimo figlio di una famiglia di cui sono orgoglioso. Essere lo shuika, come si dice in quechua per “figlio minore”, ha i suoi vantaggi e svantaggi. Lo svantaggio è che non ho mai conosciuto nessuno dei miei nonni o nonne. A scuola mi prendevano in giro perché “non hai una nonna” era una specie di insulto. I vantaggi sono che ho avuto un padre e una madre laboriosi e nove fratelli che mi viziavano eccessivamente. Al termine di un’infanzia e un’adolescenza felici, influenzato dal fervente cattolicesimo di mia madre e nonostante la feroce opposizione di mio fratello Robi, ho deciso di intraprendere la carriera sacerdotale, che mi ha portato prima a Buenos Aires e poi in Spagna. Durante uno dei suoi viaggi di ritorno da Cuba, Robi venne a trovarmi in Galizia e, grazie a tutte le lettere e alle conversazioni che avevamo avuto fino ad allora, mi convinse definitivamente che era giunto il momento per me di unirmi al Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e lottare per la trasformazione del Paese. All’inizio di questo nuovo percorso, conobbi Cristina. E poi, la passione politica e un amore travolgente mi portarono ad abbandonare l’ideale sacerdotale per un ideale più nobile: l’attivismo rivoluzionario. In ogni caso, conseguii la laurea triennale in filosofia e teologia, come mio padre si aspettava da tutti i suoi figli. Robi non era d’accordo perché mi disse che l’ideale sarebbe stato per me essere un prete rivoluzionario, perché avrebbe avuto un profondo impatto sociale. Il mio attivismo nei quartieri popolari della periferia sud e la nascita di due splendidi bambini diedero inizio a quello che fu forse il periodo più felice della mia vita. Facemmo attività legale nel Comitato di Base di Avellaneda fino al 1974, quando iniziò la repressione delle Tripla A. Non potevo più circolare con il mio documento d’identità a nome di Santucho. Poi, il Partito ci indirizzò a lavorare nelle Scuole Politiche, un’esperienza clandestina straordinaria che migliaia di compagni vissero, e la polizia non riuscì mai a scoprirci. In ogni caso, sentirci parte di un cambiamento storico ci riempì il cuore di gioia e minimizzò i rischi che correvamo. Nel 1976, la mia famiglia subì dei lutti gravissimi e ci fu il colpo di stato. Persi cinque fratelli e cinque donne, a cominciare dalla mia Cristina, due nuore e due nipoti. Non lo dico per suscitare pietà, ma perché sono orgoglioso che in quell’ondata di mobilitazione popolare la nostra famiglia abbia contribuito con la sua parte di combattenti e, di conseguenza, sia scomparsa. Poi arrivò l’esilio. Qualcosa di difficile da affrontare. I miei figli mi prendevano in giro perché passavo troppo tempo ad ascoltare il folklore, soprattutto Mercedes Sosa. Mi sistemai, mi risposai e questa meraviglia che è Florencia apparve nella mia vita. Ho ottenuto un lavoro all’università come professore durante il boom della letteratura latinoamericana. Era un lusso accompagnare i giovani nelle loro letture di Borges, Cortázar, García Márquez, Vargas Llosa, Asturias, Debenedetti, Galeano, ecc. Una musa ispiratrice mi ha ispirato a pensare che fosse appropriato introdurre i media audiovisivi nell’insegnamento, perché le opere di molti di questi autori erano state adattate per il cinema. Fu un enorme successo. Le mie classi erano piene di studenti di altri corsi di laurea. Questa era la conferma che i media audiovisivi stavano iniziando a essere il linguaggio preferito dai giovani. Il progetto di far tornare la famiglia in Argentina è stato interrotto perché la madre di Florencia è entrata in politica ed è diventata sindaco di un municipio di Roma, il che alla fine ha portato alla nostra separazione. Il mio figlio maggiore frequentava già l’università. Così, sono tornato in Argentina nel 1993, accompagnato solo da Miguel, che era già innamorato dell’Argentina. Quando sono arrivato a Buenos Aires, mi sono reso conto che, sebbene ci fosse già una significativa produzione cinematografica sui diritti umani, non c’erano canali per la sua distribuzione. Esisteva solo il Festival del Cinema di Mar del Plata; non esisteva ancora il Bafici, né i cinema indipendenti. Così iniziai a lavorare per organizzare un Festival del Cinema sui Diritti Umani. La società argentina era traumatizzata dal terrore imposto dalla dittatura. Solo le Madri di Plaza de Mayo facevano il loro giro, nell’indifferenza generale. Ma nel 1996 quell’incantesimo si ruppe. Era nata l’organizzazione HIJOS (Figli). Il 24 marzo 1996 fu una giornata storica: in ogni città del Paese, la gente scese in piazza per gridare MAI PIÙ (Nunca mas). Era la prima volta che Plaza de Mayo si riempiva di proclami di Memoria, Verità e Giustizia. I giornali pubblicarono speciali sulla dittatura e sui campi da calcio fu osservato un minuto di silenzio per i 30.000 desaparecidos. Era il momento di fondare il Festival del Cinema sui Diritti Umani. Ci riuscimmo il 24 marzo 1997, e da allora questa è stata la nostra trincea. Nel dicembre 2001, Florencia venne in vacanza, come ogni anno. Quando si imbatté nella ribellione sociale che dilagava per le strade, mi disse: “Io resto qui, in Italia non succede niente”. E da allora, il volto del Festival è cambiato, diventando più giovane, più femminista, più indigeno, più ambientalista, più globale, come lo è oggi. Non credo di avere abbastanza meriti per ricevere l’enorme dono che la vita mi ha fatto quando siamo riusciti a recuperare mio figlio Daniel, che era stato rubato dalla dittatura. Abbiamo recuperato una parte di Cristina, la cui perdita ci ha addolorato, ma è anche una vittoria per la democrazia e una sconfitta per la dittatura genocida che ha messo in atto un piano sistematico per rubare i figli dei rivoluzionari e far loro il lavaggio del cervello, cosa che non è riuscita a fare con Daniel. Inoltre, Dani è arrivata con una meravigliosa sorpresa: due nipoti tenerissime che portano il totale a quattro figli amorevoli e sei nipoti esplosivi. Cosa si può chiedere di più! Infine, nel 1976, quando sterminarono gran parte della nostra famiglia, mio padre compì 80 anni. Lungi dal deprimersi e dal ritirarsi a leccarsi le ferite, andò a combattere contro la dittatura. Ho accompagnato i miei due genitori anziani in un tour in Europa, dove siamo stati ricevuti dai capi di stato di Italia, Francia, Germania e Svezia per testimoniare che in Argentina era in corso un genocidio. Hanno poi testimoniato davanti alla Commissione per gli Affari Esteri del Senato degli Stati Uniti. Paradossalmente, nello stesso Paese il cui potere esecutivo ha promosso i colpi di Stato in Cile, Argentina e altri Paesi, il potere legislativo ha emesso la prima condanna internazionale della dittatura di Videla con la risoluzione che interrompe gli aiuti militari all’Argentina per violazioni dei diritti umani. A 80 anni, finché ne avrò la forza, non abbandonerò questo splendido luogo di lotta che è il Festival del Cinema per l’Ambiente e i Diritti Umani, per contrastare la battaglia culturale reazionaria di questo governo e di tutti quelli che verranno. Sebbene mi sia dimesso dalla carica di presidente del Festival per lasciare il posto ai giovani formati negli ultimi anni che lo organizzano meglio di me, non potrei vivere senza il Festival. Grazie.   Maurizio Del Bufalo
Associazione Nazionale di Amizia Italia-Cuba in solidarietà con Cristina Fernández de Kirchner
L’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba respinge con fermezza e determinazione la condanna inflitta all’ex Presidentessa Cristina Fernandez de Kirchner da una Corte Suprema ormai asservita alla politica autoritaria del governo Milei. Ci troviamo di fronte all’ennesima applicazione del “metodo del lawfare”, strumento strategico della guerra di quarta generazione, volto a criminalizzare le leadership progressiste e a giudiziarizzare la politica, come già accaduto in Brasile contro Lula e Dilma Rousseff. La condanna è finalizzata all’eliminazione del più forte candidato alle future elezioni e questo non è un fatto isolato: è parte di un colpo di Stato di carattere geopolitico che si estende contro l’intero continente latinoamericano. Lo abbiamo visto con il broglio elettorale di proporzioni monumentali in Ecuador, con l’assalto al potere da parte di bande criminali, e con la crescente pressione e destabilizzazione contro il presidente Gustavo Petro in Colombia, dove si profila ora il rischio concreto di un nuovo abuso giudiziario a fini politici. Oggi è il popolo argentino a essere colpito da un assalto giudiziario che mira a cancellare ogni progetto popolare, sovrano e democratico, portato avanti da governi progressisti. L’obiettivo è chiaro: ricolonizzare l’America Latina, spezzando ogni aspirazione di emancipazione politica, economica e culturale. Di fronte a questa offensiva globale, l’Associazione Italia-Cuba lancia un appello ai popoli, ai governi e ai movimenti non solo dell’America Latina, ma anche dell’Europa, affinché uniscano le forze e riconoscano questa strategia per ciò che è: una guerra globale contro la dignità e l’autodeterminazione delle nazioni. Associazione Nazionale di Amizia Italia-Cuba Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba
VENERDì 13 GIUGNO: PRESENTAZIONE DI “L’ARGENTINA NON SI VENDE” AL MAGAZZINO 47 DI BRESCIA + CENA MESSICANA
Venerdì 13/06/2025 ore 18.30 al C.S.A. Magazzino 47 di via Industriale, 10 a Brescia. Presentazione del libro “L’Argentina non si vende. Paesaggi e resistenze al tempo di Milei” insieme agli autori Andrea Cegna e Piero Maderna. Un racconto a quattro mani, un viaggio fatto di viaggi. Il primo, turistico e solidale, tra Buenos Aires, Patagonia e Iguazù. Il secondo, d’inchiesta, va dal sud al nord dell’Argentina, ricercando da un lato i motivi della vittoria di una destra populista, quella di Javier Milei, e mostrando dall’altro come una parte del paese resista e si organizzi per bloccare le violente politiche del neo-presidente e dell’élite che lo sostiene. A seguire, ore 20.00 CENA MESSICANA A BUFFET Il ricavato andrà a sostenere le spese di realizzazione di “MEXICO2025”, il nuovo documentario di Andrea Cegna.
ARGENTINA: NI UNA MENOS COMPIE DIECI ANNI E SCENDE IN PIAZZA CONTRO IL GOVERNO MILEI
Il movimento transfemminista argentino Ni una menos compie dieci anni. Tutto iniziò il 3 giugno 2015, quando centinaia di migliaia di donne si ritrovarono nelle piazze di tutto il Paese per dire basta ai femminicidi e alla violenza maschile sulle donne e di genere. Nasceva, quel giorno, il movimento che ha poi ispirato i movimenti femministi e transfemministi di mezzo mondo, Italia in primis, e dato il via a un nuovo ciclo di lotte. In tutti questi anni il movimento Ni una menos ha sempre portato avanti  in Argentina una politica femminista e transfemminista fortemente intrecciata con quella per i diritti sociali. Dieci anni dopo – con il neoliberista di estrema destra Javier Milei al governo – il movimento femminista argentino salda la propria lotta con quelle di lavoratrici e lavoratori, di  pensionate e pensionati che, da quando il governo liberista ha tagliato le pensioni, scendono nelle strade di Buenos Aires ogni mercoledì contro le politiche ultraliberiste del governo, tra tagli e privatizzazioni. Nel caso di mercoledì 4 giugno 2015, dunque, le manifestazioni celebrano anche l’anniversario della nascita di Ni una menos. In occasione di questo importante anniversario, Radio Onda d’Urto ha raggiunto telefonicamente, a Buenos Aires, Alberta Bottini, docente del dipartimento di Economia e amministrazione all’Università di Quilmes, dove si occupa di cura, economia femminista ed economia solidale. Ascolta o scarica.
La nave elettrica più grande del mondo salpa dalla Tasmania
L’imbarcazione Hull 096, chiamata China Zorrilla come la famosa attrice uruguaiana, è stata realizzata da Incat Tasmania per essere utilizzata da Buquebus. Secondo Incat, la nave a batteria viaggerà tra Buenos Aires, in Argentina, e Colonia, in Uruguay, con la capacità di trasportare fino a 2.100 passeggeri e 225 veicoli.Secondo il presidente di Buquebus, Juan Carlos López Mena, la Hull 096 doveva originariamente funzionare a gas naturale liquefatto, ma grazie a una conversazione con il presidente di Incat, Robert Clifford, hanno optato di creare la nave elettrica più grande del mondo. La nave risultante include più di 250 tonnellate di batterie e 40 megawatt/ora di capacità nel sistema di stoccaggio dell’energia (ESS), ha riferito Incat. L’ESS della Hull 096 è quattro volte più grande di qualsiasi altro sistema marittimo simile al mondo. > «Non stiamo solo costruendo una nave, stiamo costruendo il futuro» ha > dichiarato Stephen Casey, CEO di Incat, in un comunicato stampa. «La Hull 096 > dimostra che le soluzioni di trasporto su larga scala a basse emissioni non > solo sono possibili, ma sono anche pronte. Questo è un giorno di orgoglio per > la Tasmania e per la produzione australiana». Dopo il varo, Incat e i suoi partner finiranno di completare gli interni della Hull 096 mentre le finalizzazioni avverranno quando il team preparerà le imbarcazioni per le prove in mare entro il 2025. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha determinato che nel 2022 il trasporto marittimo rappresentava circa il 2% di tutte le emissioni di carbonio legate all’energia. Con il previsto aumento della domanda di trasporto marittimo a livello globale, la transizione verso fonti di carburante più pulite per le navi sarà essenziale per ridurre al minimo le emissioni. Il mese scorso, i Paesi del Comitato per la protezione dell’ambiente marino dell’Organizzazione marittima internazionale delle Nazioni Unite hanno votato per la riduzione delle emissioni del trasporto marittimo e per l’azzeramento delle emissioni del settore entro il 2050. Il quadro di riferimento per l’obiettivo del comitato comprenderà la definizione di uno standard per i combustibili per ridurre le emissioni legate ai carburanti marini nel tempo e la definizione di una tassa che le navi dovranno pagare se superano i limiti di emissione. LA CHINA ZORRILLA È STATA VARATA NEL CANTIERE NAVALE DI INCAT A HOBART, IN TASMANIA. FOTO DI INCAT. Secondo il Lawrence Berkeley National Laboratory, le navi elettriche potrebbero offrire una significativa riduzione delle emissioni di gas serra rispetto alle navi convenzionali alimentate a combustibili fossili. In un rapporto del 2023, il laboratorio ha dimostrato che l’elettrificazione delle navi statunitensi di stazza lorda pari o inferiore a 1.000 tonnellate ridurrebbe le emissioni del 34-42% entro il 2035 (rispetto ai livelli del 2022) e del 75% entro il 2050, soddisfacendo pienamente la domanda di viaggi. Il varo della più grande nave elettrica potrebbe contribuire a ridurre le emissioni a livello globale se in futuro un numero maggiore di armatori passerà a navi a propulsione elettrica. Roger Holm, presidente di Wärtsilä Marine e vicepresidente esecutivo di Wärtsilä Corporation, che ha collaborato alla realizzazione della Hull 096, ha dichiarato: > «I traghetti svolgono un ruolo fondamentale nel soddisfare la crescente > domanda di opzioni di trasporto sostenibili dal punto di vista ambientale, e > l’elettrificazione delle navi è una soluzione chiave per consentire al settore > di passare a emissioni nette zero». Traduzione dall’inglese di Mariasole Cailotto. Revisione di Filomena Santoro. EcoWatch