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Difendere le imprese recuperate, anche contro Milei
Articolo di Andrés Ruggeri Le imprese recuperate dai lavoratori argentini (Ert) rappresentano il movimento contemporaneo più emblematico di autogestione del lavoro, non solo in America latina ma a livello globale. Nate negli anni Novanta durante il boom del neoliberismo, hanno acquisito visibilità mondiale a partire dalla crisi argentina del 2001, con oltre un centinaio di occupazioni di fabbriche e imprese di ogni tipo. Attualmente, il movimento conta 400 cooperative di lavoratori in tutto il territorio argentino, dalle fabbriche industriali alle aziende alimentari e ai fornitori di servizi di ogni tipo, comprese scuole e ospedali. Circa 13.200 lavoratori e lavoratrici vivono del lavoro autogestito di queste aziende fallite e abbandonate dal capitale e rimesse in funzione grazie alla lotta, alla volontà e alla creatività dei loro operai e operaie. La comparsa delle imprese recuperate ha riportato al centro del dibattito della classe operaia e dei movimenti sociali argentini l’esperienza storica dell’autogestione, al di là del cooperativismo istituzionale e, grazie alla rilevanza internazionale del movimento, anche in molte altre parti del mondo. Questa esperienza è a rischio sotto il governo di estrema destra e ultraliberista di Javier Milei, che governa l’Argentina dal dicembre 2023. Le imprese recuperate rappresentano tutto ciò che Milei e il suo governo attaccano: un’esperienza collettiva, di gestione comunitaria e solidale, l’esatto contrario della giungla del mercato dominato dalle multinazionali che egli propone e in cui sta trasformando il paese. Il governo di Milei è un laboratorio di un progetto di «fascismo di mercato», che distrugge ogni tipo di regolamentazione pubblica che favorisce i diritti del popolo, attaccando in particolare la sanità, l’istruzione e i diritti dei lavoratori, portando l’industria locale al collasso e i redditi dei lavoratori al limite della sussistenza, mentre reprime ogni opposizione e allinea incondizionatamente l’Argentina ai governi di Donald Trump e Benjamin Netanyahu. Sebbene non sia l’unico paese al mondo governato da questa variante dell’estrema destra, è un pericoloso esempio da imitare, che cerca di dimostrare la fattibilità di un simile progetto attraverso un eventuale successo in un paese caratterizzato da un forte movimento sociale.  In particolare, l’esperienza delle imprese recuperate è messa a dura prova dalla distruzione economica che porta al calo della produzione e al crollo dei consumi, insieme all’aggressività del governo, dei giudici, dei media e all’avanzata della repressione. Una ventina di cooperative hanno chiuso a causa di questa situazione, mentre altre hanno registrato un calo dell’attività compreso tra il 20 e l’80% della loro capacità, con una media del 40% di calo produttivo, la perdita di circa mille posti di lavoro e una significativa perdita di reddito per il resto dei lavoratori. Preservare il meglio dell’esperienza autogestita mondiale, crediamo, non è solo una lotta valida in Argentina ma è molto importante per il movimento sociale mondiale.  LA SITUAZIONE DELLE IMPRESE RECUPERATE SOTTO IL GOVERNO MILEI Dall’insediamento del presidente Javier Milei e del suo partito La Libertad Avanza (Lla) nel dicembre 2023, l’Argentina sta attraversando un aggressivo processo di regressione sociale, politica ed economica che mira a ridurre lo Stato argentino a un’espressione minima che garantisca le regole economiche dell’ultraliberalismo, il controllo sociale e la repressione di ogni opposizione, la sottomissione alle politiche e agli interessi delle grandi multinazionali e l’allineamento incondizionato ai dettami delle potenze egemoniche occidentali. Le conseguenze di questo programma di governo sono evidenti nelle nuove regolamentazioni economiche (deregolamentazioni che favoriscono il capitale); nella riconfigurazione dello Stato nazionale; nel dominio dei mercati finanziari della speculazione basata sul debito estero; nell’apertura delle importazioni e nella conseguente accelerata distruzione dell’apparato industriale; nella promozione di attività estrattive per l’esportazione di risorse naturali ed energetiche nelle mani del capitale corporativo; l’abbandono della maggior parte dei programmi di protezione sociale e delle politiche pubbliche, in particolare in materia di sanità, alloggi e istruzione; e, infine, l’aggressività nei confronti della classe lavoratrice, con la perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni e l’aumento della disoccupazione.  La propaganda attraverso i media e i social network, ipertrofica nello schema politico dominante, cerca di contrastare questa situazione con il presunto calo dell’inflazione (sfruttando il ricordo del processo inflazionistico negli ultimi tempi del governo precedente e in altre fasi della storia recente dell’Argentina, e il confronto manipolato con l’esplosione inflazionistica provocata da questo stesso governo al momento dell’insediamento) e il dollaro a basso costo che favorisce i consumi dei settori ad alto reddito ed è parte essenziale del sistema di valorizzazione finanziaria basato sul debito estero.  Le imprese recuperate, in quanto processi di autogestione del lavoro emersi negli anni Novanta, si sono diffuse durante la crisi del 2001 e si sono consolidate durante i governi kirchneristi (2003-2015), rappresentando sin dalla loro nascita una manifestazione di resistenza alle politiche neoliberiste e alle loro conseguenze per la classe lavoratrice. Tuttavia, nella fase attuale si trovano in una situazione difficile, caratterizzata dalla crisi produttiva e dalla diminuzione della forza lavoro e, mentre, al contrario, la comparsa di nuove imprese recuperate è molto limitata ed estremamente difficile, segnando una grande differenza rispetto alle fasi di contrazione economica dei periodi precedenti.  Come in altre occasioni, le Ert sono, oltre alla loro situazione specifica, una finestra sul mondo produttivo che mostra caratteristiche a volte difficili da comprendere con altri mezzi, come è stato evidente durante il governo di Mauricio Macri (2015-2019), quando sono state proprio queste imprese autogestite le prime a mostrare la portata degli aumenti eccessivi delle tariffe dei servizi pubblici indispensabili per l’attività industriale. In questa occasione, le Ert ci mostrano in tutta la loro crudezza la distruzione delle catene produttive e il peggioramento delle condizioni del mondo del lavoro, ma soprattutto l’impatto dell’assenza di regole in economia attraverso la deregolamentazione promossa dal governo e l’irruzione della tecnologia digitale del capitalismo delle piattaforme.  Questa situazione influisce sul processo di recupero delle aziende fallite o in crisi da parte dei loro lavoratori in due modi. Da un lato, generando un impatto sulla produttività delle Ert attraverso la diversità dei lavori complementari che molti lavoratori (in misura variabile a seconda dei casi) sono costretti a svolgere per integrare i redditi ridotti ricevuti dalle cooperative a causa del calo dell’attività produttiva, e, dall’altro, scoraggiando la formazione di nuovi processi di recupero delle imprese, poiché offre una soluzione (reale o presunta) più rapida alla improvvisa mancanza di reddito causata dalla cessazione di un’unità produttiva, provocando in tal modo lo smantellamento dei collettivi di lavoro preesistenti nell’impresa in crisi. Questa situazione, che colpisce gran parte della classe lavoratrice argentina (sia quella che ancora gode di salari formali e diritti lavorativi, sia quella informale e precaria), conferisce a questo momento storico una caratteristica distintiva che non era presente nelle fasi precedenti.  Si tratta di una crisi dalle molteplici cause, provocata dalle politiche del governo di estrema destra, ma con radici nelle fasi precedenti. Sebbene esista un programma economico che distrugge la struttura produttiva legata al mercato interno e, in particolare, alla produzione industriale, a una velocità maggiore rispetto ai precedenti processi neoliberisti, esistono anche ragioni endogene che rendono insufficiente la risposta di molte delle Ert a tale situazione.  Le politiche portate avanti nei quattro anni del precedente governo peronista sono state, in questo senso, contraddittorie: mentre alcune iniziative tendevano a rafforzare la capacità produttiva delle imprese recuperate, altre aumentavano la dipendenza dei lavoratori dall’assistenza permanente dello Stato in termini di reddito personale, incoraggiando indirettamente il deterioramento delle condizioni di produzione (o, in altre parole, sostituendo in questo modo l’incentivo e il sostegno in termini di risorse al miglioramento dei processi produttivi e all’inserimento nelle reti di commercializzazione). Il governo di Milei, erroneamente definito «libertario», ha cancellato tutte queste politiche, insieme alla distruzione della maggior parte delle azioni statali destinate alla protezione sociale e alla garanzia dei diritti della classe lavoratrice. L’impatto di questa riformulazione dello Stato argentino è stato enorme e ha generato un effetto di mancanza di protezione in quelle fabbriche che avevano problemi produttivi o tecnologici per affrontare la concorrenza delle imprese capitalistiche tradizionali, o che avevano contratti con lo Stato per la fornitura di servizi o materiali. Allo stesso tempo, si sta delineando una situazione che riguarda l’intera classe lavoratrice. L’emergere di modi alternativi di generare reddito attraverso il capitalismo delle piattaforme o il commercio digitale, tra gli altri lavori temporanei, fa sì che la lotta per recuperare le imprese appaia come un mezzo meno necessario (e senza risultati garantiti o tempi prevedibili) per la sopravvivenza quotidiana, o persino per il mantenimento di un’attività economica autogestita. Il risultato della combinazione di queste percezioni e situazioni specifiche nella vita della classe lavoratrice è eterogeneo e si ripercuote sia sulla vita interna delle Ert (con la ricerca di opportunità di lavoro complementari o la perdita di lavoratori), generando difficoltà produttive e gestionali, sia scoraggiando la possibilità di nuove esperienze di recupero, verificatesi solo raramente dal dicembre 2023 e con enormi difficoltà. Nonostante tutto ciò, l’adesione dei settori popolari al governo della «motosega», cruciale per la sua ascesa al potere, sta mostrando segni di frattura, come dimostrano i recenti risultati elettorali nella provincia di Buenos Aires (che concentra il 40% della popolazione e il grosso dell’attività industriale), con una sconfitta catastrofica per il governo, insieme alla crescita di proteste, scioperi e occupazioni. Il governo di estrema destra sta iniziando a entrare nella zona di incertezza in cui si scontra con i limiti della tolleranza sociale per le proprie politiche e deve scegliere tra rafforzare il suo percorso autoritario o prepararsi alla ritirata. Questo è il momento più delicato, in cui la crisi sociale e persino umanitaria si aggraverà, la repressione aumenterà, e così anche la solidarietà, l’organizzazione e la lotta della popolazione. Per le aziende recuperate, si tratta da un lato di lottare per la sopravvivenza e, dall’altro, di sostenere i nuovi processi di autogestione che senza dubbio inizieranno a emergere man mano che le speranze intorno a Milei e alle sue politiche svaniranno. IL RUOLO DELLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE Per tutte queste ragioni, crediamo che la situazione delle imprese recuperate e autogestite debba essere portata in primo piano e attirare maggiore attenzione da parte delle organizzazioni di base, sia all’interno che all’esterno dell’Argentina. Il ruolo della solidarietà internazionale deve essere rilanciato per preservare un movimento che genera non solo lotta, ma anche speranza che un altro modo di produrre e vivere sia possibile e auspicabile, in un mondo sempre più carente di esempi da difendere e seguire. Le imprese recuperate sono importanti per riflettere una realtà che richiede la sopravvivenza dell’autogestione come strumento per la classe operaia, sia per combattere la disoccupazione e la chiusura delle fonti di produzione, sia per formulare relazioni di lavoro più umane e trasformative rispetto alle convenzionali relazioni capitale-lavoro nell’economia capitalista. Ma anche perché le imprese autogestite, in quanto rappresentanti ultime dell’essenza collettiva del lavoro e della produzione, sono forse la manifestazione ultima di ciò che il presidente ha ripetutamente definito «collettivismo maledetto». Per queste ragioni, a nostro avviso, la situazione delle Ert è di enorme importanza. Per questo, diverse organizzazioni e personalità di diversi paesi, in gran parte – ma non esclusivamente – partecipanti alla rete Economia Internazionale dei Lavoratori e Lavoratori, hanno deciso di allinearsi al Comitato Internazionale di Solidarietà con l’Autogestione in Argentina, con l’obiettivo di collaborare a sostegno del movimento, tanto nella diffusione delle sue azioni e nelle campagne di solidarietà attive per aiutare l’organizzazione dell’Argentina quanto nella circolazione dei suoi prodotti, come forma di visibilità e di aiuto economico, in diversi paesi del mondo, veicolando l’esempio del lavoro e della produzione senza padroni. In questo comitato ci sono già rappresentanti di organizzazioni autogestionarie e operaie di vari paesi europei (come Spagna, Italia, Francia, Germania e Grecia), dell’America del Nord (Canada e Stati Uniti) e, ovviamente, dell’America Latina.  Questo sostegno è fondamentale e ogni volta più importante quanto più si avvicina il momento difficile e inevitabile dell’esplosione di un modello invivibile per i popoli, quando, più che mai, l’incoraggiamento e la solidarietà internazionale diventano una carta fondamentale, come è stato in molti altri momenti della storia della classe mondiale.  Per ulteriori adesioni all’appello: solidaridadERT@proton.me. Per maggiori Info: https://solidaridadautiogestion.noblogs.org. Per aderire e proporre azioni alle realtà italiane si può scrivere a 1871internazionale@gmail.com.  *Andrés Ruggeri è antropologo presso la Facoltà di Filosofia e lettere dell’università di Buenos Aires. Promotore degli incontri internazionali dell’Economia dei lavoratori e delle lavoratrici è autore tra l’altro di Le fabbriche recuperate (Alegre, 2014). La traduzione è a cura della redazione. L'articolo Difendere le imprese recuperate, anche contro Milei proviene da Jacobin Italia.
Il non senso di votare
Raúl Zibechi Quando il sistema politico si impegna affinché andiamo a votare, dobbiamo sospettare. Ma quando la possibilità di votare avviene in un paese la cui società si sta decomponendo in modo evidente, con risultati tremendi per la popolazione, dovremmo riflettere sull’utilità di mettere una scheda nell’urna. Il tema è il seguente, e la riflessione […]
Un tango peronista a Buenos Aires
Doppia sconfitta in Argentina per il governo ultra-liberista di Javier Milei in pochi giorni. La prima è di carattere elettorale. La seconda nel Parlamento, dove il governo ha subito una pesante battuta d’arresto, sia concreta che simbolica. Per quanto riguarda la sconfitta elettorale, domenica scorsa il peronismo ha vinto ampiamente nelle importanti elezioni legislative della provincia di Buenos Aires. Al voto erano chiamati oltre 14 milioni di argentini-e. La coalizione peronista Fuerza Patria ha ottenuto circa il 47 % delle preferenze contro il 33,8 % di “La Libertà Avanza” (LLA), il partito del Presidente Javier Milei. Come spesso accade, l’inatteso distacco di quasi 14 punti non era previsto nei sondaggi, che, su suggerimento di Milei, parlavano di una tendenza al pareggio. Lungi dal correggere la direzione del suo governo, come richiesto dall’opposizione, le prime dichiarazioni di Milei non lasciano spazio a malintesi.  “… abbiamo registrato una chiara sconfitta e se vogliamo continuare a crescere dobbiamo riconoscerlo”, ha dichiarato il Presidente ultraliberista. Sul programma economico “non tornerò indietro neanche di un passo”. “Non siamo disposti a rinunciare a un modello che ha ridotto l’inflazione dal 200 al 30% …”. I dissidenti radicali e peronisti Al terzo posto, si piazza l’inedita alleanza elettorale delle dissidenze del Partito Radicale e di quello peronista, che in poco tempo sono riusciti a presentare una propria lista (Somos Buenos Aires).  La lista ottiene un discreto risultato (5,4 %) che assicura una visibilità a futuro. Una parte della sinistra La quarta forza, è il Frente de Izquierda y de Trabajadores – Unidad (FIT-U), una lista di alcuni settori che provengono dal trotzkismo, ma che in questa occasione avevano aperto le liste ad altri. Con il 4,3 % entra per la prima volta nel parlamento della Provincia e promette di dare battaglia. La sconfitta parlamentare La seconda sconfitta è sul versante parlamentare. Nelle settimane scorse, il Parlamento aveva approvato una legge sulla disabilità che assegnava nuove risorse al settore. Una legge a cui il Presidente Milei aveva contrapposto il veto, adducendo la mancanza di fondi e la necessità di tagli.  Ma pochi giorni dopo, sono state rese pubbliche alcune registrazioni telefoniche che hanno scoperchiato un gravissimo scandalo di corruzione e mazzette sulle forniture mediche per l’Agenzia per la disabilità (ANDIS). Lo scandalo ha coinvolto direttamente l’ex direttore della ANDIS, Diego Spagnuolo, due parenti dell’ex-presidente Menem, ma soprattutto Karina Milei, sorella e capo gabinetto del Presidente, una figura chiave nella gestione e nelle trame di governo. E così, facendo uso delle prerogative costituzionali, il Parlamento ha rispedito al mittente il veto del Presidente, approvando la legge. C’è da dire che, nonostante “il callo” della popolazione rispetto agli episodi di malversazione, il furto dei fondi delle disabilità ha provocato una enorme indignazione popolare. E quello che ha fatto traboccare il vaso, è stata la concomitanza dei nuovi tagli ai fondi per le disabilità e del veto presidenziale, con lo scandalo di mazzette venuto alla luce. E questa volta, non sono bastate le promesse di maggiori fondi alle province per convincere i governatori riottosi e comprare il voto di qualche deputato e senatore per ribaltare i numeri. I perché della sconfitta elettorale Sul risultato elettorale hanno pesato diversi fattori. Innanzitutto, la durissima situazione economica frutto di una violenta politica neo-liberista che, dal dicembre 2023, ha impoverito ulteriormente una gran parte della popolazione, con una pesante riduzione del potere d’acquisto dei salari. Le tasche vuote hanno ovviamente ridotto la pressione inflazionaria da domanda che, secondo i dati ufficiali, è scesa dal 200% al 30%. Ma Milei ha sopravvalutato il sostegno popolare alla sua politica economica e sottovalutato l’impatto sul tessuto sociale. L’enormità dei tagli, la forte riduzione dei lavori pubblici, la chiusura di decine di istituzioni ed i massicci licenziamenti nell’amministrazione statale hanno colpito duramente i settori più vulnerabili e lo stesso ceto medio. Da non dimenticare anche la violenta repressione di piazza contro i pensionati che manifestano tutte le settimane, che ha causato un’indignazione diffusa. Alle urne, questo disagio profondo ha portato a un voto castigo contro il governo, anche in settori che lo avevano votato nel 2023 e che in questo periodo hanno accettato di fare sacrifici, convinti della loro necessità. In seconda battuta, ha pesato non poco il recentissimo scandalo di corruzione e mazzette, che coinvolge Karina Milei, sorella del Presidente. I tagli alle pensioni per invalidità ed il furto dei fondi dei disabili hanno superato ogni limite e vergogna di chi aveva vinto la presidenza promettendo di “farla finita con la casta corrotta dei politici” a colpi di motosega. Oltre a ciò, nelle settimane scorse, si era gridato ad un altro scandalo a causa di un coinvolgimento di Milei in una truffa con Criptomonete basata sullo “schema Ponzi”. Un episodio su cui sta indagando anche la giustizia statunitense. Inoltre, una parte dei poteri forti del Paese non vede di buon occhio il linguaggio carico di insulti e di odio contro la sinistra, contro i sindacati, contro il peronismo e Cristina Kirchner in particolare. Nelle settimane precedenti al voto, gli “spin doctors” della comunicazione del governo, gli avevano consigliato di assumere un atteggiamento più prudente e meno aggressivo, ma la promessa fatta in campagna elettorale è stata quella di “porre l’ultimo chiodo nella bara del kirchnerismo”. Visto il personaggio, non sarà semplice per lui smettere di attaccare la democrazia, il federalismo e la Costituzione, nonché rispettare la separazione dei poteri. Il braccio di ferro delle destre Si tratta quindi di una dura sconfitta elettorale del Presidente Milei e di La Libertà Avanza (LLA), ma anche dell’ex-Presidente Mauricio Macri il cui partito (PRO) era parte dell’alleanza con Milei. I rapporti tra i due non sono certo stati dei migliori dal dicembre 2023 e, in questo periodo, il braccio di ferro interno non si è mai interrotto. Molti sostengono sia farina del suo sacco la pubblicazione delle registrazioni audio con lo scandalo sulle disabilità che coinvolge il governo. Di certo, di fronte ad un risultato che cambia la geografia politica e tenendo conto della battaglia intestina, le destre argentine dovranno trovare una loro nuova ricomposizione, priorità e gerarchie. Nonostante la sconfitta, sarebbe un errore non tener conto della forza elettorale di Milei e della crescita in parlamentari locali che finora non aveva nella provincia di Buenos Aires. Anche in vista delle prossime elezioni di medio termine del prossimo 26 ottobre dove si rinnova una parte del parlamento e si vota per i parlamenti di diverse province. Saranno elezioni decisive per il Paese, ma oggi sono accompagnate da una grande incertezza. La proiezione del peronismo La vittoria di “Fuerza Patria” va oltre la provincia di Buenos Aires, con quasi il 40 % degli elettori del Paese e una grande ricchezza economica. È una vittoria che ha un significato ed una proiezione nazionale e rafforza la figura di Alex Kicillof, riconfermato come governatore della Provincia e vincitore de “la interna peronista”. Per molti, il suo discorso ottimista e la capacità di mobilitazione territoriale dei sindaci peronisti sono stati decisivi per la vittoria elettorale. Kicillof ha denunciato la proscrizione di Cristina e ne ha chiesto la libertà dagli arresti domiciliari. Lo ha fatto senza porre l’accento sullo slogan “Cristina Libera”, ma sulla necessità collettiva di “fermare Milei”. Infine, come aspetto simbolico chiave, la sua vittoria ha restituito autostima al peronismo, infliggendo una sconfitta strategica all’anarco-capitalismo in un momento cruciale, sia dal punto di vista politico che economico. La nettezza del risultato lo proietta quindi come possibile futuro candidato presidenziale, anche se nella storia argentina, nessun governatore della provincia è mai riuscito a diventare presidente.   La risposta dei “mercati” e le ripercussioni economiche A proposito dei “mercati”, la sconfitta del Governo è stata interpretata correttamente come una perdita di fiducia popolare che mette a rischio il suo piano economico. Milei non avrà davanti a sé uno scenario semplice per portare avanti il suo programma “market-friendly” e appaiono i primi segni delle ripetute crisi cicliche del liberalismo in Argentina. La sfiducia dei mercati si era già manifestata prima delle elezioni, quando JP Morgan aveva aumentato di molto l’indicatore di “rischio Paese”. Quella previsione era stata formulata sulla base del sospetto di una vittoria del peronismo con un margine di 5 punti, ma la differenza finale è stata di quasi 14. E da domenica scorsa, il “rischio Paese” è ulteriormente salito, mentre è sceso il prezzo dei titoli del debito pubblico. Per investitori e analisti, il verdetto delle urne è risultato più credibile del discorso del Presidente dopo la sconfitta («non si cambierà nulla, anzi si approfondirà») e dei tentativi del ministro dell’Economia, Luis Caputo, di far credere che «nulla cambierà». Dopo il voto, quasi tutto il mercato azionario ha subito un duro contraccolpo, ma i ribassi più marcati hanno riguardato i titoli del settore bancario ed energetico. A New York le azioni delle banche hanno registrato perdite del 20%, mentre i ribassi dei bond sovrani sono stati fino al 17%. Anche sul versante del dollaro c’è stato un rialzo nel cambio che, come si sa opera sia sui canali ufficiali che su quelli del “dollaro blue” del mercato parallelo.  Mentre scrivo, il dollaro ufficiale è quotato presso il Banco Nación a 1.390 pesos per l’acquisto e 1.450 pesos per la vendita. Per gli investitori, la sconfitta di Buenos Aires solleva dubbi sulla stabilità politica necessaria per sostenere il programma economico del governo. Il ricordo della sconfitta di Mauricio Macri nelle primarie del 2019, che aveva causato un forte impatto in borsa e sul mercato azionario, pesa ancora sulla memoria degli argentini e degli investitori. Certamente il contesto attuale è diverso, ma la batosta politica del governo Milei ha già sollevato molti segnali di allarme e genera incertezza economica e politica. Mentre probabilmente si rafforzerà la pressione per svalutare il peso argentino, la decisione di Milei è quella di raddoppiare la scommessa, di approfondire ed accelerare il modello neo-liberista, indurendo lo scontro con l’opposizione e con una cittadinanza che ha già mostrato il suo malcontento. Conclusioni Sul versante internazionale, mentre Giorgia Meloni sceglie di tacere sulla sconfitta del suo migliore alleato in America Latina, il criminale di guerra israeliano Netanyahu ha annunciato la cancellazione della sua prevista visita all’amico Milei. Dall’Argentina viene un messaggio chiaro: la politica di aggiustamento strutturale senza risultati che favoriscano la maggioranza della popolazione logora rapidamente il governo che aveva vinto con la promessa di combattere la corruzione e trasformare radicalmente il Paese. Viceversa, questo risultato rafforza la resistenza popolare contro il governo, mentre appare uno spiraglio di speranza per i pensionati, i funzionari pubblici, i lavoratori e lavoratrici della scuola e della salute. I prossimi mesi saranno decisivi per capire se, a partire dalla resistenza popolare e dai risultati elettorali, si riuscirà a costruire un’alternativa politica credibile.   Redazione Italia
Argentina: Il peronismo ha vinto sugli aggiustamenti e la fame di Milei
Felipe Yapur I candidati del governatore Kicillof hanno ottenuto il 47,28 per cento, prendendosi sei delle otto sezioni elettorali. Mentre i libertari hanno ottenuto il 33,71 per cento. Ha trionfato il peronismo e non in una qualsiasi parte, è stato nel distretto elettorale più importante dell’Argentina, la provincia de Buenos Aires. Lo ha fatto in […]
ARGENTINA: “PRIMA BATOSTA ELETTORALE PER JAVIER MILEI”, A BUENOS AIRES VINCE IL CANDIDATO PERONISTA
Prima sconfitta di Javier Milei a delle elezioni da quando è diventato presidente dell’Argentina. Si è votato per eleggere il consiglio provinciale di Buenos Aires dove Axel Kicillof, governatore uscente e candidato peronista, ha ottenuto il 46,8% dei voti; La Libertad Avanza, il partito di Milei, si è fermata al 33,8%.  Risultato importante anche perchè ottenuto in una provincia che rappresenta il 40% dell’elettorato nazionale e che elegge 46 deputati e 23 senatori provinciali. Da segnalare però anche un crollo dell’affluenza. La corrispondenza di Federico Larsen, giornalista italo argentino e nostro collaboratore da La Plata. Ascolta o scarica
Argentina: manifestanti attaccano la carovana elettorale di Javier Milei
Il presidente partecipava a un comizio elettorale nella località di Buenos Aires situata nella terza sezione elettorale dopo lo scandalo che ha scosso il governo per presunti fatti di tangenti e corruzione nell’acquisto di medicinali. tradotto da Resumen Latinoamericano Il corteo presidenziale stava percorrendo l’avenida Yrigoyen quando è stato aggredito da diverse persone che hanno […]
ARGENTINA – ITALIA: LEONARDO BERTULAZZI SCARCERATO, Sì DELLA CORTE FEDERALE DI BUENOS AIRES AI DOMICILIARI
L’ex esponente delle Brigate Rosse, Leonardo Bertulazzi, 73 anni, è stato scarcerato e torna ai domiciliari con la cavigliera elettronica a Buenos Aires, Argentina, dove vive da decenni. La Corte Federale di Cassazione argentina ha annullato la custodia in carcere, considerando l’età e i suoi problemi cardiaci e visivi. Bertulazzi avrà controlli medici ma sarà sorvegliato 24 ore su 24. Per il suo avvocato, Rodolfo Yanzón, “è una buona notizia, in attesa della decisione finale sul suo status di rifugiato. La giudice Servini ha riconosciuto la sussistenza del diritto secondo la Convenzione Onu. Riteniamo comunque che Bertulazzi dovrebbe godere di piena libertà, con l’estradizione sospesa, perché non può procedere un’estradizione mentre la protezione attualmente vigente resta in vigore Su Bertulazzi pende infatti ancora la richiesta d’estradizione in Italia, richiesta dall’estate 2024 (qui la ricostruzione della vicenda) su mandato della premier Meloni dal ministro della giustizia, Nordio, con il beneplacito politico del presidente fascioliberista Milei, sodale…politico dell’esecutivo italiano di ultradestra. L’aggiornamento della vicenda Bertulazzi con Paolo Persichetti, curatore del blog insorgenze.net,  ricercatore storico e autore tra gli altri del libro edito da DeriveApprodi “La polizia della storia. La fabbrica delle fake news nell’affaire Moro”. Ascolta o scarica
3500 giorni di detenzione: libertà per Milagro Sala
A 3500 giorni dall’arresto della leader sociale Milagro Sala, la Rete Internazionale per la Libertà di Milagro Sala, composta da cittadini di Argentina, Brasile, Canada, Spagna, Stati Uniti, Finlandia, Francia, Italia, Regno Unito, Svezia e Svizzera, chiede ancora una volta che sia fatta giustizia liberando Milagro. Il 16 agosto ricorre il 3500° giorno di detenzione di Milagro Sala. Tremilacinquecento giorni in cui in Argentina è stato sperimentato il lawfare che in altri paesi ha portato all’incarcerazione dell’attuale presidente del Brasile, Luis Inácio Lula da Silva, e all’esilio dell’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa. Tremilacinquecento giorni da quando Jujuy è diventata il laboratorio repressivo che il governo nazionale della Repubblica Argentina applica oggi per intimidire l’opposizione politica, mettere a tacere le voci ribelli e terrorizzare il popolo. Milagro Sala è stata arrestata, processata e condannata con accuse inventate, prove controverse, testimoni comprati e impedimenti alla difesa. La Corte Suprema, senza alcuna valutazione giuridica, ha confermato la condanna e, oltre agli anni di detenzione, ha dichiarato Milagro ineleggibile a vita per ricoprire cariche pubbliche nel Paese. Quando, per ordine della Corte Interamericana dei Diritti Umani, a Milagro è stato concesso l’arresto domiciliare, il governo ha cercato di impedire le visite a casa sua. La polizia di Jujuy ha posto sotto sorveglianza la casa di Milagro, contrariamente a quanto previsto dalla legge. Per scoraggiare le visite, questi funzionari di polizia hanno iniziato a raccogliere illegalmente, tra gli altri dati personali, il numero di documento, l’appartenenza politica, sociale o sindacale, l’indirizzo delle persone che la visitavano. Dati che nessuno sa dove siano stati archiviati né a quale scopo siano stati utilizzati. Cristina Fernández de Kirchner è stata processata e condannata per un caso montato ad arte, con prove controverse, testimoni dubbi e impedimenti alla difesa di presentare tutte le prove richieste. La Corte Suprema, senza discussione giuridica, ha ratificato la condanna e, come Milagro, l’ha dichiarata inidonea a ricoprire cariche pubbliche nel Paese. Come condizione per la sua detenzione domiciliare, Cristina può ricevere visite solo con autorizzazione giudiziaria. L’isolamento politico e sociale fa parte della punizione inflitta a chi non si conforma alle regole. Sia Milagro Sala che Cristina Fernández de Kirchner, giudicate e condannate ingiustamente per presunti reati di corruzione, sono sottoposte a condizioni di detenzione più severe rispetto a centinaia di assassini condannati per rapimenti, torture e omicidi di migliaia di attivisti studenteschi, sindacali, politici e sociali che cercavano di trasformare economicamente e socialmente l’Argentina. Dopo l’arresto di Milagro, gli attivisti dell’Organizzazione di quartiere Tupac Amarú, fondata e diretta da Milagro, sono stati perseguitati dalla giustizia e dalla polizia. Decine di membri dell’organizzazione sono stati arrestati con pretesti giudiziari o multati per ipotetici reati municipali. Inoltre, le aggressioni della polizia durante le manifestazioni, le riunioni di quartiere o le attività sociali hanno fatto sì che la gente avesse paura di circolare per strada anche solo con una giacca della Tupac. La paura rende muti, la detenzione e le percosse mettono a tacere. Oggi si ripetono a livello nazionale le pratiche che sono state utilizzate contro la Tupac. I pensionati non hanno mai taciuto di fronte all’ingiustizia del governo di Javier Milei. Ogni mercoledì vengono repressi con manganelli e gas lacrimogeni. La repressione delle marce contro poteri straordinari a Milei e che mettono in discussione la ristrutturazione finanziaria e contro la svendita dei beni comuni ha causato centinaia di feriti e arrestati. La maggior parte di loro oggi è stata prosciolta, ma il danno è fatto, il messaggio è chiaro: “chi manifesta va incontro a manganellate e carcere”. Anche le proteste davanti alla casa del deputato José Luis Espert, che si vanta di chiedere “carcere e pallottole” per l’opposizione, sono state seguite dall’arresto delle partecipanti. Ma non basta incarcerare e cercare di mettere a tacere l’avversario; bisogna distruggerlo come essere umano. Non solo si attaccano le sue posizioni politiche e si mente su possibili attività illegali, ma si colpisce anche la sua famiglia. Sergio Chorolque Sala, figlio di Milagro, e suo marito, Raúl Noro, sono stati accusati, insultati e diffamati. Sergio ha sofferto di una crisi depressiva ed è morto per arresto cardiaco pochi mesi dopo. La casa dove Milagro era detenuta a Jujuy, dove si trovava anche Raúl Noro, in fase terminale per un cancro, è stata perquisita dalle forze di polizia, impedendo persino l’ingresso di medici e infermieri per curare il paziente. Raúl è morto pochi giorni dopo la perquisizione. Máximo e Florencia Kirchner sono stati accusati in tribunale e diffamati dai media per diversi episodi di corruzione che non sono mai stati provati. Ma il danno era fatto. Florencia ha avuto bisogno di un aiuto professionale all’estero per superare la depressione causata dal dolore sofferto. Durante questa lunga detenzione, Milagro non solo ha subito perdite familiari, ma la sua salute è peggiorata e ha sofferto di una trombosi venosa profonda, con un coagulo nella gamba sinistra che non è stato trattato adeguatamente a Jujuy. Dopo mesi di proteste e richieste giudiziarie, è stata trasferita a La Plata per essere curata all’Hospital Italiano. Le cure sono arrivate in ritardo, ha ancora difficoltà a camminare e il trattamento continua. Il logorio emotivo e fisico fa parte del laboratorio, che cerca di far sì che il nemico si arrenda, abbandoni la lotta per l’uguaglianza sociale e scompaia dalla vita pubblica. Il laboratorio creato dal governatore Morales, sostenuto dal presidente Macri, è cresciuto e si è sviluppato. Oggi viene applicato dal governo di Milei in tutto il Paese. L’incarcerazione, il processo e la condanna di Milagro Sala sono ingiusti. Lo stesso vale per il processo e la condanna di Cristina Fernández de Kirchner. Dalla Rete Internazionale per la Libertà di Milagro Sala, e a 3500 giorni dalla sua detenzione, chiediamo la libertà di Milagro Sala, Cristina Fernández de Kirchner e tutti i prigionieri politici. Rete Internazionale per la Libertà di Milagro Sala Olivier Turquet
L’oro bianco che divora la vita
> La corsa al litio, chiave per la transizione energetica, sta devastando > ecosistemi unici e violando i diritti delle popolazioni indigene in Cile, > Argentina e Bolivia. Per estrarre una tonnellata di litio sono necessari due > milioni di litri d’acqua, in aree in cui questa risorsa è sia sacra che > scarsa. Il litio viene venduto come energia pulita, ma il vero costo viene > pagato dalle comunità indigene e dalla biodiversità. È tempo di chiedere una > transizione giusta, in cui il futuro non sia costruito su nuove ingiustizie. Nel cuore del cosiddetto “triangolo del litio”, formato da Argentina, Bolivia e Cile, si trova oltre il 60% delle riserve mondiali di questa risorsa, fondamentale per le batterie delle auto elettriche, dei telefoni cellulari e dei sistemi di accumulo dell’energia rinnovabile. Il litio è stato definito l’oro bianco del XXI secolo, una promessa energetica che, lungi dall’essere pulita e giusta, sta portando a una nuova forma di estrattivismo predatorio. Per produrre una sola tonnellata di litio sono necessari due milioni di litri d’acqua. Si tratta di una cifra spropositata in regioni dove l’acqua è già scarsa e dove le alte paludi andine, le saline e i fragili ecosistemi dipendono da un equilibrio idrico estremamente sensibile. Ma ben più drammatico è il prezzo umano: ancora una volta, i popoli indigeni sono le vittime invisibili del progresso altrui. In Cile, le comunità degli Atacameño hanno alzato la voce contro la devastazione delle loro saline ancestrali e la riduzione delle loro fonti di acqua dolce, fondamentali per la vita, l’agricoltura e la loro visione del mondo. In Argentina, i popoli Kolla, Atacama e Likan Antai, tra gli altri, denunciano che i loro territori vengono occupati o venduti senza una consultazione preventiva, libera e informata, violando i diritti sanciti da convenzioni internazionali come la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Sotto la pressione delle multinazionali e il discorso della transizione energetica verde, i governi vendono il litio come un futuro rinnovabile. Ma dietro questa facciata, si perpetua il modello coloniale di saccheggio, dove il profitto va lontano e il danno rimane in patria. Le promesse di sviluppo locale si dissolvono in contratti opachi, territori inquinati e corsi d‘acqua secchi. È ironico che una cosiddetta energia “pulita” nasca da una ferita aperta nella terra. La biodiversità delle saline – fenicotteri andini, microrganismi unici, specie endemiche – sta scomparendo. Il silenzio del deserto è rotto da macchinari, strade e trivellazioni, mentre le voci di coloro che si sono presi cura di questi ecosistemi per secoli vengono ignorate o soppresse. A cosa serve una batteria pulita se è costruita sull’ingiustizia? Chi definisce che cosa è progresso? E quante volte ancora i popoli indigeni dovranno pagare il prezzo per il futuro di altri? La transizione energetica non può essere costruita su nuove ingiustizie. Sostituire i combustibili fossili con batterie al litio non è un progresso se si limita a spostarne la vittima: dal pianeta al deserto, dal clima all’acqua, dal petrolio ai popoli indigeni. Le multinazionali, in combutta con i governi nazionali e provinciali, sono sbarcate nel nord dell’Argentina, del Cile e della Bolivia con la promessa di lavoro e sviluppo. Ma in molti casi i posti di lavoro sono precari, i salari irrisori mentre i contratti firmati ignorano completamente le comunità locali. I veri custodi del territorio non partecipano alle decisioni che lo riguardano. La Convenzione 169 dell’OIL, ratificata da questi Paesi, richiede la consultazione preventiva, libera e informata delle popolazioni indigene prima che vengano avviati progetti sulle loro terre. Ma questo obbligo legale viene sistematicamente ignorato. La giustizia, quando interviene, di solito arriva tardi e con timore. PROPOSTE E PERCORSI ALTERNATIVI 1. Consultazione e consenso vincolante: qualsiasi progetto estrattivo deve essere consultato in modo reale e rispettoso con le comunità indigene, garantendo che la loro decisione sia vincolante. Non si tratta di “ informare” le comunità, ma di rispettare la loro autodeterminazione. 2. Controllo comunitario delle risorse: le comunità dovrebbero possedere e gestire le risorse nei loro territori. Invece di essere emarginate, dovrebbero essere al centro del modello produttivo, con benefici diretti e sostenibili. 3. Tecnologie alternative: è urgente investire in batterie senza litio basate sul sodio, sul grafene o su altre alternative meno distruttive. Alcune esistono già, ma le pressioni del mercato ne frenano lo sviluppo. 4. Miniere urbane: il recupero dei metalli dai dispositivi elettronici usati – il cosiddetto “urban mining” – può ridurre significativamente la necessità di sfruttare nuovi territori. 5. Responsabilità internazionale delle imprese: le imprese che estraggono litio nel Sud Globale devono essere soggette a rigorosi norme internazionali in materia di diritti umani e ambiente, sotto il controllo di organismi indipendenti. 6. Corridoi bioculturali protetti: escludere le aree sacre, gli ecosistemi fragili e i territori indigeni da qualsiasi sfruttamento. Trasformarli in corridoi di conservazione con il sostegno internazionale. Nelle comunità Kolla, Atacama, Diaguita e Likan Antai, le nonne insegnano ai bambini a parlare con l’acqua, a prendersi cura della terra come se fosse parte del corpo. Si tratta di popoli che non hanno “risorse”, ma relazioni sacre con il loro ambiente. Vedere il litio come una “risorsa” da estrarre e vendere è una visione estranea, imposta e violenta. Come è già successo per il petrolio, il coltan e l’oro, la corsa al litio rischia di lasciare una scia di distruzione e di oblio. Ma siamo ancora in tempo per evitare che la storia si ripeta. Questo “oro bianco”, che abbaglia le grandi potenze e le multinazionali, non deve continuare a macchiare le mani di chi non è mai stato ascoltato. Non ci può essere transizione ecologica senza giustizia climatica, sociale e culturale. E questa giustizia inizia con l’ascolto, il rispetto e la protezione di coloro che da millenni vivono in armonia con la Terra. Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Pedro Pozas Terrados
11 giugno 2025, lettera da Buenos Aires, Argentina
Quella che segue è la dichiarazione che il mio amico e socio Julio Santucho ha rilasciato l’11 giugno 2025, in apertura del XXIV Festival de Cine de Derechos Humanos de America Latina y Caribe di Buenos Aires, Argentina, di cui è stato fondatore nel 1997. In poche righe, Julio ha sintetizzato la sua straordinaria esistenza, segnata dalla lotta contro i regimi dittatoriali che hanno caratterizzato indelebilmente la storia del suo Paese, l’Argentina; con questa riflessione, Julio ha pure spiegato il significato della scelta di avere creato un Festival cinematografico per ricordare un passato doloroso che non è mai definitivamente scomparso. Nel testo si fa riferimento al ruolo svolto da suo fratello Roberto (Robi) fondatore del Partito Armato dei Lavoratori (PRT), di ispirazione guevarista, in cui lo stesso Julio ha militato, che è stato il primo oppositore della dittatura militare degli anni 1976-83. E si fa cenno alla figura di Cristina Navajas, sua prima moglie, desaparecida, trucidata dai militari dopo avere dato alla luce il suo terzo figlio, Daniel, ritrovato soltanto nel 2023, a 46 anni, grazie all’incessante impegno delle Nonne (Abuelas) della Plaza de Majo, le mitiche donne argentine che sconfissero la dittatura senza usare le armi, solo con la loro implacabile e pacifica determinazione. Il loro lavoro silente e inarrestabile ha fatto anche questo miracolo e Daniel è stato il 133simo bambino rapito e ritrovato. Credo che il testo che segue sia il testamento spirituale di Julio che, in tutti questi anni, ha portato nella mente e nel cuore il peso insostenibile di una memoria paragonabile solo a quella di Adelmo Cervi, l’unico sopravvissuto di una grande famiglia massacrata dai fascisti italiani nella parte finale della seconda guerra mondiale. Il racconto di queste memorie, di cui Julio è l’ultimo depositario, rende omaggio infine alla capacità del nostro popolo di ospitare i profughi di guerre e persecuzioni, una virtù che stride, oggi, con il frenetico tentativo del nostro governo di relegare i migranti e i profughi in campi di concentramento, allestiti in tutta fretta per impedire che le file di disperati in fuga dalle guerre possano trovare ospitalità sul nostro territorio. Queste parole ci parlano quindi di un’Italia che sta scomparendo e di un mondo in cui la scelta di dare vita ad un Festival di Cinema dei Diritti Umani per non perdere l’insegnamento della storia si è rivelata opportuna, necessaria e quanto mai attuale. Per questo il nostro Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, di cui io e lui siamo cofondatori, lo ringrazia e si augura che queste due manifestazioni restino legate ancora per molto, soprattutto ora che la forza è tornata prepotentemente a piegare la storia e il nostro dovere è quello di tornare in trincea, in Argentina come in Italia, nell’America Latina come in Europa. Buona lettura a tutti e a tutte. A questo punto della mia vita, vale la pena ricapitolare. Sono il decimo figlio di una famiglia di cui sono orgoglioso. Essere lo shuika, come si dice in quechua per “figlio minore”, ha i suoi vantaggi e svantaggi. Lo svantaggio è che non ho mai conosciuto nessuno dei miei nonni o nonne. A scuola mi prendevano in giro perché “non hai una nonna” era una specie di insulto. I vantaggi sono che ho avuto un padre e una madre laboriosi e nove fratelli che mi viziavano eccessivamente. Al termine di un’infanzia e un’adolescenza felici, influenzato dal fervente cattolicesimo di mia madre e nonostante la feroce opposizione di mio fratello Robi, ho deciso di intraprendere la carriera sacerdotale, che mi ha portato prima a Buenos Aires e poi in Spagna. Durante uno dei suoi viaggi di ritorno da Cuba, Robi venne a trovarmi in Galizia e, grazie a tutte le lettere e alle conversazioni che avevamo avuto fino ad allora, mi convinse definitivamente che era giunto il momento per me di unirmi al Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e lottare per la trasformazione del Paese. All’inizio di questo nuovo percorso, conobbi Cristina. E poi, la passione politica e un amore travolgente mi portarono ad abbandonare l’ideale sacerdotale per un ideale più nobile: l’attivismo rivoluzionario. In ogni caso, conseguii la laurea triennale in filosofia e teologia, come mio padre si aspettava da tutti i suoi figli. Robi non era d’accordo perché mi disse che l’ideale sarebbe stato per me essere un prete rivoluzionario, perché avrebbe avuto un profondo impatto sociale. Il mio attivismo nei quartieri popolari della periferia sud e la nascita di due splendidi bambini diedero inizio a quello che fu forse il periodo più felice della mia vita. Facemmo attività legale nel Comitato di Base di Avellaneda fino al 1974, quando iniziò la repressione delle Tripla A. Non potevo più circolare con il mio documento d’identità a nome di Santucho. Poi, il Partito ci indirizzò a lavorare nelle Scuole Politiche, un’esperienza clandestina straordinaria che migliaia di compagni vissero, e la polizia non riuscì mai a scoprirci. In ogni caso, sentirci parte di un cambiamento storico ci riempì il cuore di gioia e minimizzò i rischi che correvamo. Nel 1976, la mia famiglia subì dei lutti gravissimi e ci fu il colpo di stato. Persi cinque fratelli e cinque donne, a cominciare dalla mia Cristina, due nuore e due nipoti. Non lo dico per suscitare pietà, ma perché sono orgoglioso che in quell’ondata di mobilitazione popolare la nostra famiglia abbia contribuito con la sua parte di combattenti e, di conseguenza, sia scomparsa. Poi arrivò l’esilio. Qualcosa di difficile da affrontare. I miei figli mi prendevano in giro perché passavo troppo tempo ad ascoltare il folklore, soprattutto Mercedes Sosa. Mi sistemai, mi risposai e questa meraviglia che è Florencia apparve nella mia vita. Ho ottenuto un lavoro all’università come professore durante il boom della letteratura latinoamericana. Era un lusso accompagnare i giovani nelle loro letture di Borges, Cortázar, García Márquez, Vargas Llosa, Asturias, Debenedetti, Galeano, ecc. Una musa ispiratrice mi ha ispirato a pensare che fosse appropriato introdurre i media audiovisivi nell’insegnamento, perché le opere di molti di questi autori erano state adattate per il cinema. Fu un enorme successo. Le mie classi erano piene di studenti di altri corsi di laurea. Questa era la conferma che i media audiovisivi stavano iniziando a essere il linguaggio preferito dai giovani. Il progetto di far tornare la famiglia in Argentina è stato interrotto perché la madre di Florencia è entrata in politica ed è diventata sindaco di un municipio di Roma, il che alla fine ha portato alla nostra separazione. Il mio figlio maggiore frequentava già l’università. Così, sono tornato in Argentina nel 1993, accompagnato solo da Miguel, che era già innamorato dell’Argentina. Quando sono arrivato a Buenos Aires, mi sono reso conto che, sebbene ci fosse già una significativa produzione cinematografica sui diritti umani, non c’erano canali per la sua distribuzione. Esisteva solo il Festival del Cinema di Mar del Plata; non esisteva ancora il Bafici, né i cinema indipendenti. Così iniziai a lavorare per organizzare un Festival del Cinema sui Diritti Umani. La società argentina era traumatizzata dal terrore imposto dalla dittatura. Solo le Madri di Plaza de Mayo facevano il loro giro, nell’indifferenza generale. Ma nel 1996 quell’incantesimo si ruppe. Era nata l’organizzazione HIJOS (Figli). Il 24 marzo 1996 fu una giornata storica: in ogni città del Paese, la gente scese in piazza per gridare MAI PIÙ (Nunca mas). Era la prima volta che Plaza de Mayo si riempiva di proclami di Memoria, Verità e Giustizia. I giornali pubblicarono speciali sulla dittatura e sui campi da calcio fu osservato un minuto di silenzio per i 30.000 desaparecidos. Era il momento di fondare il Festival del Cinema sui Diritti Umani. Ci riuscimmo il 24 marzo 1997, e da allora questa è stata la nostra trincea. Nel dicembre 2001, Florencia venne in vacanza, come ogni anno. Quando si imbatté nella ribellione sociale che dilagava per le strade, mi disse: “Io resto qui, in Italia non succede niente”. E da allora, il volto del Festival è cambiato, diventando più giovane, più femminista, più indigeno, più ambientalista, più globale, come lo è oggi. Non credo di avere abbastanza meriti per ricevere l’enorme dono che la vita mi ha fatto quando siamo riusciti a recuperare mio figlio Daniel, che era stato rubato dalla dittatura. Abbiamo recuperato una parte di Cristina, la cui perdita ci ha addolorato, ma è anche una vittoria per la democrazia e una sconfitta per la dittatura genocida che ha messo in atto un piano sistematico per rubare i figli dei rivoluzionari e far loro il lavaggio del cervello, cosa che non è riuscita a fare con Daniel. Inoltre, Dani è arrivata con una meravigliosa sorpresa: due nipoti tenerissime che portano il totale a quattro figli amorevoli e sei nipoti esplosivi. Cosa si può chiedere di più! Infine, nel 1976, quando sterminarono gran parte della nostra famiglia, mio padre compì 80 anni. Lungi dal deprimersi e dal ritirarsi a leccarsi le ferite, andò a combattere contro la dittatura. Ho accompagnato i miei due genitori anziani in un tour in Europa, dove siamo stati ricevuti dai capi di stato di Italia, Francia, Germania e Svezia per testimoniare che in Argentina era in corso un genocidio. Hanno poi testimoniato davanti alla Commissione per gli Affari Esteri del Senato degli Stati Uniti. Paradossalmente, nello stesso Paese il cui potere esecutivo ha promosso i colpi di Stato in Cile, Argentina e altri Paesi, il potere legislativo ha emesso la prima condanna internazionale della dittatura di Videla con la risoluzione che interrompe gli aiuti militari all’Argentina per violazioni dei diritti umani. A 80 anni, finché ne avrò la forza, non abbandonerò questo splendido luogo di lotta che è il Festival del Cinema per l’Ambiente e i Diritti Umani, per contrastare la battaglia culturale reazionaria di questo governo e di tutti quelli che verranno. Sebbene mi sia dimesso dalla carica di presidente del Festival per lasciare il posto ai giovani formati negli ultimi anni che lo organizzano meglio di me, non potrei vivere senza il Festival. Grazie.   Maurizio Del Bufalo