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CISGIORDANIA: OCCUPAZIONE TOTALE E NUOVE FORME DI PRESSIONE, IL RACCOLTO DI OLIVE PIU’ VIOLENTO DI SEMPRE
In questa intervista per Radio Onda d’Urto, con l’italo palestinese Fabian Odeh in collegamento da Nablus, analizziamo il rapido aggravarsi della situazione nei territori della Cisgiordania Occupata. In particolare quello che è stato il “peggiore raccolto di olive di sempre”: oltre alla scarsità del raccolto di quest’anno, i palestinesi hanno dovuto affrontare immense difficoltà nell’accedere alle proprie terre. A causa della politica di occupazione israeliana, dei numerosi controlli e della presenza di coloni armati su tutte le aree coltivate, gran parte del raccolto è andata perduta. I coloni sono intervenuti in diverse occasioni, arrivando a distruggere il raccolto, ad esempio svuotando i sacchi di iuta e disperdendo le olive su muretti di pietra, rendendone il recupero quasi impossibile. Questa situazione ha provocato una forte scarsità di olio, tanto che l’Autorità Nazionale Palestinese dovrà importare olio dall’estero per sopperire al fabbisogno, nonostante la Palestina produca solitamente buoni quantitativi. L’impossibilità di raggiungere i campi è aggravata dal fatto che la maggior parte della terra agricola palestinese (il 62% del totale della Cisgiordania) si trova nelle Aree C. Sono le politiche di occupazione e appropriazione delle risorse naturali da parte israeliana a impattare sull’economia palestinese. L’aggressione si manifesta anche attraverso nuove forme di pressione psicologica e controllo territoriale. Lungo la Strada 60, che collega Ramallah a Nablus, i coloni israeliani hanno recentemente installato migliaia di bandiere israeliane, praticamente ogni 5 o 10 metri per 17 km. Questo gesto, visto quotidianamente dai palestinesi che percorrono la strada, è “un simbolo di genocidio e un crimine, inviando il messaggio chiaro che i coloni considerano ormai quella terra come israeliana”. Nonostante l’allentamento dell’intensità di quello che è il genocidio in corso nella Striscia di Gaza, “in Cisgiordania si registra un salire della tensione e un aggravarsi della situazione, con un’occupazione che diventa sempre più aggressiva. Il territorio è segnato da un forte intervento militare israeliano, con la distruzione completa di campi profughi come quello di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, e incursioni nelle città di Tubas e Qalqilya”. È in atto anche una “colonizzazione agricola” lenta e capillare. “Nella Valle del Giordano”, continua Fabian Odeh, “si assiste alla continua distruzione dei pozzi agricoli palestinesi, mentre i coloni possono trivellare pozzi più profondi, prosciugando le risorse idriche palestinesi. Inoltre, si notano nuovi fenomeni, come l’occupazione di grandi distese di terreno tramite nuove iniziative pastorali e stalle con mandrie di mucche, spesso sostenute economicamente dal governo israeliano”. Questa erosione silenziosa del suolo, accompagnata da intimidazioni, sfollamenti forzati e distruzione di villaggi beduini, è considerata la parte più pericolosa di un’occupazione che mira alla presa totale della Cisgiordania. Infine, Fabian Odeh ci riporta anche lo sdegno di molti palestinesi per la notizia della prossima visita in Italia del Presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che dovrebbe partecipare a una festa del partito Fratelli d’Italia, un sostenitore del genocidio in Palestina. Ascolta l’intervista completa con Fabian Odeh, italo palestinese che viaggia spesso in Cisgiordania, collaboratore di Radio Onda d’Urto Ascolta o scarica
Contro la violenza dei coloni in Cisgiordania servono scelte vincolanti
La violenza dei coloni israeliani in Cisgiordania contro la popolazione palestinese è in costante escalation. Le cronache e i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani documentano migliaia di attacchi negli ultimi due anni, registrando un record assoluto proprio lo scorso ottobre con almeno 264 attacchi in un mese: incursioni armate nei villaggi, pestaggi, distruzione sistematica di case, campi e infrastrutture, furti e saccheggi. Uno degli episodi più recenti è avvenuto nella zona di Ein al-Dujuk, vicino a Gerico: quattro attivisti – un canadese e tre italiani – sono stati aggrediti nel sonno, picchiati e derubati da un gruppo di coloni mascherati, armati di bastoni e fucili. È l’ennesima prova di una violenza di tipo squadrista, resa possibile dall’impunità garantita dalle autorità israeliane, che mira strategicamente a terrorizzare la popolazione palestinese per spingerla ad abbandonare la propria terra. Ogni giorno palestinesi subiscono gli stessi attacchi terroristici – spesso ancora più violenti e con esito letale – lontano dalle telecamere e dall’attenzione dei governi occidentali: «Siamo stati aggrediti nel sonno, picchiati, derubati di documenti, telefoni, carte di credito e di tutti i nostri effetti personali. Quello che è accaduto a noi è la realtà quotidiana dei palestinesi: siamo qui a supporto della popolazione e per documentare quanto accade, perché la nostra esperienza sia cassa di risonanza della loro quotidianità.», ci ha raccontato uno dei volontari aggrediti. Di fronte all’aggressione a Ein al-Dujuk, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani si è limitato a un commento generico, minimizzando l’accaduto, condannando timidamente a Israele e invitandolo a fermare le azioni dei coloni in Cisgiordania. Non è sufficiente: il governo Meloni deve assumere decisioni concrete, all’altezza della gravità delle violazioni del diritto internazionale da parte dell’entità sionista. «L’Italia deve agire nei confronti di Israele alla stregua di quanto la comunità internazionale fece contro il regime di apartheid sudafricano, adottando misure non simboliche ma vincolanti, per isolare un regime criminale» ha dichiarato Maria Elena Delia, portavoce italiana di GMTG/GSF. «Per questo chiediamo che il governo italiano assuma immediatamente i seguenti impegni concreti»: * embargo sulle armi e sui componenti militari destinati a Israele; * sospensione degli accordi di cooperazione politica, commerciale, militare, di sicurezza e ricerca strategica che rafforzano l’occupazione; * disinvestire e smantellare ogni forma di collaborazione nelle arene politiche, culturali e sportive, finché non sarà messo fine all’occupazione e i responsabili del genocidio saranno perseguiti e chiamati a rispondere dei propri crimini. A Gaza, intanto, centinaia di migliaia di persone affrontano l’inverno in tende allagate e insicure, con accesso limitato a cibo, acqua e cure mediche. Chiediamo con forza al ministro Tajani di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione del governo per ottenere l’apertura di corridoi umanitari permanenti e rimuovere gli ostacoli politici e burocratici all’ingresso degli aiuti. La credibilità di una nazione si misura sulla capacità di trasformare le dichiarazioni di facciata in scelte concrete, nel rispetto degli obblighi internazionali che l’Italia ha sottoscritto e ratificato. Global Movement to Gaza
“Olocausto palestinese”, un libro da leggere per capire e discutere
Autrice di questo saggio, appena pubblicato da Edizioni Al Hikma di Imperia, è Angela Lano, scrittrice, giornalista professionista, ricercatrice presso l’Università di Salvador de Bahia in Brasile e direttrice dell’agenzia di stampa InfoPal.it. Il testo dell’Autrice è anticipato da un’interessante prefazione di Pino Cabras e arricchito da un’appendice giuridica curata da Falastin Dawoud. Il volume è composto di 191 pagine, prezzo di copertina 14 euro e il ricavato dalle vendite finanzierà la campagna “1000 coperte per Gaza”. Il titolo si rifà a “Olocausto Americano” dello storico David Stannard che indaga sul genocidio dei nativi americani commesso dai colonizzatori europei. Questo tema fa da sfondo all’analisi dell’Autrice circa il dramma vissuto dai palestinesi dal giorno in cui iniziò l’insediamento dei pionieri del progetto coloniale sionista, basato sul suprematismo “bianco” e avente l’obiettivo di sostituirsi alla popolazione nativa utilizzando strumentalmente la narrazione biblica come fonte di un presunto diritto. La Palestina, si legge, non è solo la fonte di un immenso dolore, ma è anche “il simbolo attuale di migliaia di anni di ingiustizie, di genocidi, di pulizie etniche in nome di una superiorità razzista e suprematista” che caratterizza la “civiltà” europea, la stessa che 500 anni fa iniziò lo sterminio dei nativi americani, ed è sui resti di oltre 60 milioni di indigeni che si sono formati i democratici States, principali sostenitori di Israele, esecutore impunito del genocidio incrementale dei palestinesi . Il genocidio, afferma l’Autrice ricordando vari genocidi della storia “non è solo una componente del colonialismo occidentale: ne è il suo fondamento, da sempre” e oggi Gaza può essere definita “il capolinea dell’umanità e della legalità internazionale”. Senza l’abile e servile ammortizzatore mediatico non sarebbe stato possibile occultare l’essenza propria del progetto sionista, delle sue orripilanti pratiche disumane e della rete di complicità politiche, governative, finanziarie ed economiche che ne garantiscono l’impunità. Pagina dopo pagina cresce nel lettore la consapevolezza che gli arresti arbitrari, le illegali e continue appropriazioni di terre, le stragi di innocenti, le orrende torture dei prigionieri, il sadismo mostrato con criminale fierezza dai militari dell’IDF, l’uccisione mirata di centinaia di giornalisti, sanitari e operatori umanitari, le proposte di legge da Stato nazista, il disprezzo per la legalità internazionale e le sue  massime Istituzioni, tutto questo “non è un epifenomeno o una conseguenza accidentale dell’oppressione sionista” ma è la violenza propria, “radicata nell’ideologia del sionismo e una produzione sistematica delle mentalità colonialiste” e sarebbe un errore, afferma l’Autrice, considerare le criminali azioni commesse dall’Idf in questi due anni come reazione all’azione armata del 7 ottobre 2023 denominata Al Aqsa Flood, l’operazione guidata dall’ala militare di Hamas che viene spiegata dall’Autrice con pregevole schiettezza, nonostante la più che probabile, quanto strumentale accusa di antisemitismo. Scrive infatti Angela Lano che “Assaltando basi militari e kibbutz, i militanti palestinesi miravano a catturare il maggior numero possibile di soldati e civili israeliani” per liberare attraverso gli scambi le migliaia di palestinesi di ogni età arrestati e spesso rapiti dall’IDF in tutta la Palestina, ma spiega anche che “l’azione della Resistenza va intesa all’interno di un più ampio processo geopolitico internazionale: si tratta di una battaglia de-coloniale, di una ribellione… del popolo palestinese contro il suo centenario oppressore… contro il sionismo e i suoi coloni…”. Segue la documentazione circa  l’andamento dei fatti di quelle drammatiche ore che i nostri media hanno definito “pogrom” contro gli ebrei  arricchendo le loro narrazioni di orrori mai avvenuti, come dimostrato dalle stesse inchieste israeliane. La scelta di definire pogrom un’azione indubbiamente violenta, ma di rivolta contro l’oppressore e non di natura razzista, rivela il cedimento al razzismo, questo sì, dei sostenitori del suprematismo bianco di cui Israele è parte a pieno titolo. L’Autrice nota che i nostri media non hanno rettificato o smentito le loro precedenti accuse basate su menzogne ormai conclamate, perché lo stereotipo che vuole arabi e musulmani generalmente ignoranti e violenti consolida la percezione negativa nei loro confronti e rafforza  “l’idea di inferiorità” disumanizzando e collocando “queste popolazioni  … in posizioni subordinate e oggetto di campagne diffamatorie difficili da decostruire”. Sostanzialmente, scrive, “ci troviamo di fronte a forme neocoloniali… al suprematismo bianco e alla visione orientalista del mondo islamico…”. Pertanto l’opinione pubblica va tenuta in una bolla che le impedisca la comprensione d’insieme della disumanità razzista insita nel colonialismo d’insediamento e, quindi, di capire che è indispensabile “un processo di decolonizzazione che smantelli l’ideologia e la struttura coloniale… che smantelli il ‘Progetto Israele’.” L’autrice afferma che Hamas, insieme ad altri movimenti minori, rappresenta il rifiuto della colonizzazione della Palestina e rivendica il diritto del suo popolo all’autodeterminazione, se necessario anche con la resistenza armata, come ammesso dallo stesso Diritto internazionale. Spiega quindi al lettore che “La nascita di Hamas, a fine anni ’80, e la sua vittoria in elezioni democratiche nel 2006, il suo approccio politico e pratico verso la liberazione della Palestina” e infine l’operazione del 7 ottobre 2023, hanno riportato la questione palestinese sullo scenario globale… (sulla) necessità/diritto di ricorrere alla resistenza”. Aggiunge poi che “chi ancora sostiene che Hamas, anziché essere una genuina espressione del popolo palestinese che lotta, sia una ‘creatura/creazione di Israele’… o è in malafede o è semplicemente un prodotto umano del colonialismo occidentale duro a morire”. Paradossalmente, scrive ancora Angela Lano, l’olocausto di Gaza sta sterminando proprio i discendenti di quegli ebrei che circa 2500 anni fa avevano occupato la terra di Canaan, quelli che rimasero o tornarono in Palestina e che in parte mantennero la loro religione, in parte si convertirono al cristianesimo e, successivamente, in parte si convertirono all’Islam. Praticamente un olocausto di semiti commesso da sionisti in nome della difesa dall’antisemitismo! Del resto, la combinazione di interessi tra l’impero coloniale britannico e il progetto sionista di inizio “900 non si curava di questo, visto che “Il sionismo si definiva chiaramente come ‘ un movimento ebraico per la colonizzazione dell’Oriente’.” Olocausti e pulizia etnica, come mostra questo libro, sono una costante storica della cosiddetta civiltà occidentale e con pochi esempi, dalle leggi razziali USA prese a modello da Hitler, all’eugenetica USA, ancora utile esempio per il nazismo, ai campi di concentramento africani e al conseguente genocidio tedesco di Herero e Nama trent’anni prima che il nazismo si affermasse, all’apartheid statunitense vigente fino alla metà del secolo scorso, l’Autrice espone una poco indagata e molto amara verità: il nazismo non fu un male esterno dell’Occidente ma un suo prodotto, una filiazione del colonialismo. È “nato nel suo grembo e ancora vi alberga”: il genocidio in corso in Palestina, supportato dai suoi complici e tollerato dai loro vassalli ne è una prova, e il potere del sistema informativo di guidare ad hoc la percezione e di scegliere “un lessico che anestetizza l’orrore” ne è il sostegno ancillare. In conclusione, questo libro apre alla discussione con coraggio e onestà intellettuale e questo è uno dei motivi per cui merita di essere letto. Le prime presentazioni si avranno il 6 dicembre a Ladispoli (provincia di Roma) e il 13 a Rovato (provincia di Brescia). Patrizia Cecconi
PALESTINA: NESSUNA VERA TREGUA A GAZA, CONTINUI ATTACCHI DELL’ESERCITO ANCHE IN CISGIORDANIA
Non si fermano le uccisioni israeliane nei confronti dei palestinesi. Tre sono i palestinesi uccisi nella striscia di Gaza: un fotoreporter è stato colpito a est del campo profughi di Al-Bureij, nell’area sotto il controllo israeliano nel centro della Striscia. Un altro palestinese è stato ucciso da un attacco di droni israeliani a Khan Yunis, e un terzo nel quartiere di Zeitoun, a sudest di Gaza City. Dal cessate il fuoco ufficiale del 10 ottobre scorso, le violazioni da parte di Israele sono state più di 500 con il bilancio di almeno 356 palestinesi uccisi, per un totale dal 7 ottobre 2023 superiore alle 70mila. Lo stesso Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiarito la sua posizione, affermando che la guerra “non è finita”. Non solo Israele ha continuato ad attaccare: non ha consentito l’ingresso degli aiuti previsti, ha distrutto più di 1.500 edifici e si è esteso ulteriormente a Gaza, isolando le persone dalle loro case. In Cisgiordania occupata invece l’ondata di attacchi dell’esercito in corso da venerdì non si ferma. Nel mirino Tubas, Nablus, Jenin, Hebron, dove oggi i soldati hanno ammazzato un 17enne. Un altro giovane, un 18enne, ucciso vicino Ramallah; qui feriti a coltellate anche 2 soldati di Israele, che ha replicato chiudendo tutte le strade che da nord portano a Ramallah, teorica capitale dell’Anp. In mezzo, decine di rapimenti, torture, case demolite Attacchi continui, botte e terra rubata anche da parte dei coloni, soprattutto nella valle del Giordano. Oggi strade chiuse con massi dai coloni, che nel fine settimana avevano pestato pure attiviste-i di Faz3a, 3 con nazionalità italiana e 1 di nazionalità canadese. Dopo le cure in ospedale, sono tornati nel villaggio palestinese che difendono, con la propria presenza, e dove erano stati aggrediti. L’intervista con il giornalista Giacomo Cioni della redazione di Unimondo – Atlante delle guerre. Ascolta o scarica  
Cisgiordania: aggressione da parte dei coloni ai danni di attivistx internazionali
Una decina di coloni israeliani, con il volto coperto, all’alba di domenica, ha fatto irruzione in un’abitazione a Ein Al-Duyuk, vicino a Jericho, che ospitava 4 attivistx internazionali che si trovano in Cisgiordania per supportare la popolazione palestinese. Dopo essere entrati, i coloni hanno aggredito le persone che stavano riposando all’interno, rubando loro i passaporti, i telefoni cellulari, e tutti i loro averi. Tre degli attivisti feriti sono cittadini italiani, mentre una quarta persona ha la cittadinanza canadese. Ascolta il racconto dell’aggressione.
PALESTINA: CRONACA DEL GENOCIDIO QUOTIDIANO A GAZA. IN CISGIORDANIA I COLONI ATTACCANO ATTIVISTE E ATTIVISTI ITALIANI
Palestina. Cronaca dal genocidio quotidiano a Gaza. Un drone di Tel Aviv ha ucciso stamani, lunedì 1 dicembre, un uomo palestinese nel quartiere di Zeitoun, nell’area est di Gaza city. Il quartiere è tagliato in due dalla cosiddetta “linea gialla”. Per gli israeliani la vittima sarebbe colpevole di essersi avvicinata troppo a questo confine deciso e tracciato dall’occupazione stessa. La violenza di militari e coloni israeliani si concentra soprattutto sulla Cisgiordania occupata. Da alcune settimane è in corso l’ennesima escalation di assalti, rapimenti, devastazioni e atti di vandalismo contro le proprietà palestinesi, con operazioni militari dei reparti speciali israeliani in alcune aree, come quelle di Tubas, Nablus e Jenin. Anche nelle ultime ore si registrano diverse incursioni tra Betlemme, Ramallah, Salfit e Jenin. Per quanto riguarda le ultime ore le forze di occupazione hanno sequestrato 44 palestinesi nelle città di Beit Fajjar e al-Ubeidiya, vicino Betlemme. Dopo aver perquisito le loro abitazioni, li hanno interrogati sul posto e poi rilasciati. Raid anche nei villaggi di Al-Lubban, al-Gharbi e Rantis, a nord-ovest di Ramallah. Qui sono stati rapiti 11 palestinesi, che per lo più erano già stati nelle carceri israeliane. Anche qui perquisite, saccheggiate e vandalizzate diverse abitazioni. Nella città di Al-Zawiya, vicino Salfit, i soldati israeliani hanno trasformato una casa di palestinesi in una postazione militare dopo averne sfrattato i residenti. Anche qui diversi giovani palestinesi sono stati arrestati, sottoposti a maltrattamenti fisici, perquisizioni e interrogatori sul posto. Infine, l’esercito israeliano ha costretto diversi residenti a evacuare le proprie case nel quartiere Jabriyat del campo profughi di Jenin. L’esercito di occupazione israeliano compie i propri raid ma è anche impegnato a scortare quelli dei coloni. In una di queste aggressioni quotidiane ai palestinesi, ai loro villaggi e alle loro proprietà, i coloni fascisti israeliani hanno attaccato anche tre attiviste e attivisti italiani, e uno canadese, che si trovano in West Bank per un viaggio di solidarietà con il popolo palestinese sotto l’occupazione coloniale e il genocidio per mano israeliana. È accaduto nel villaggio di Ein al-Duyuk, vicino Gerico. Gli attivisti aggrediti riferiscono di essere stati svegliati ieri mattina dalle urla dei coloni: “wake up, italians!”. Poi, sono stati colpiti con pugni, calci in faccia, nelle costole e sui genitali. I coloni se ne sono andati urlando agli attivisti “don’t come back here – non tornate qui”. Dalla Cisgiordania, Ramallah, il commento di Chiara, attivista bresciana. Ascolta o scarica.
Sventolano bandiere palestinesi sulle cime varesine
Sabato 29 novembre un piccolo gruppo di amanti della montagna ha organizzato una camminata di impegno civile. Per protestare contro le guerre e per sostenere la Palestina, l’iniziativa “One top is our shot” ha portato i camminatori sul Monte Grumello, sopra Besano, in provincia di Varese, cima che affaccia sul Lago di Lugano. Questa è la seconda spedizione: la prima era stata il 18 ottobre sul Monte  Poncione di Ganna. Obiettivo delle spedizioni è quello di raggiungere il maggiore numero di cime possibile nel territorio delle Prealpi Varesine e portare la propria testimonianza di protesta contro il genocidio e allo stesso tempo il sostegno al popolo palestinese. Ognuno di noi può esprimere il proprio dissenso contro le politiche di guerra e il sostegno al popolo palestinese: c’è chi scende in piazza, chi organizza convegni, chi scrive, chi informa. Questi giovani hanno scelto una forma originale e alternativa: issare bandiere sulle cime del loro territorio. Oggi dalle fronde di un albero spoglio sul Monte Grumello sventola una bandiera palestinese per ricordare a chiunque passi sul sentiero che la guerra non è mai finita nonostante la falsa tregua annunciata a Sharm el Sheik. Una breve riflessione condivisa su quanto sta accadendo ancora a Gaza e in Cisgiordania ha accompagnato questo gesto simbolico frutto del desiderio di partecipazione tra coloro che amano il trekking. È buona abitudine di chi cammina in montagna, cercare di tenere pulito il bosco e i sentieri e i nostri camminatori non fanno eccezione, per cui è stata organizzata anche una piccola operazione di raccolta di rifiuti da portare a valle. Questa è la filosofia: ogni gesto, anche se piccolo, unito a tanti altri può fare la differenza. A breve verrà definita la terza spedizione che si svolgerà nel mese di dicembre su un’altra cima varesina. Chi volesse partecipare può contattare l’indirizzo e-mail simo.franz@hotmail.it per avere informazioni e dettagli. Foto di Michele Testoni Monica Perri
PALESTINA: L’ATTIVISTA ELISABETTA VALENTI RACCONTA LA SUA ESPERIENZA IN CISGIORDANIA
Elisabetta Valenti vive negli Stati Uniti e fa parte del Seattle Central College. Ha oltre 20 anni di esperienza nell’insegnamento di ingegneria, fisica e informatica presso college comunitari. È venuta a trovarci nei nostri studi per raccontare la sua esperienza in Cisgiordania dove è stata lo scorso anno con volontari e volontarie di Faza e dell’International Solidarity Movement. Elisabetta ha tenuto diverse presentazioni per condividere le testimonianze raccolte in Cisgiordania e che raramente trovano spazio nei media. È autrice di un articolo pubblicato sul Seattle Times, intitolato “L’embargo sulle armi da parte degli Stati Uniti è l’unico modo per cambiare la situazione a Gaza”. Ha anche assistito a diversi attacchi dei coloni e anche all’uccisione della compagna turco-statunitense Aysenur Eygi da parte dei soldati israeliani. L’intervista ad Elisabetta Valenti sull’esperienza di attivismo internazionale in Cisgiordania. Ascolta o scarica
Gaza scompare dai titoli dei TG, ma le guerre di Israele continuano
Siria L’esercito israeliano è la nuova Gestapo. Le truppe di Tel Aviv sono penetrate in territorio siriano ed hanno ucciso 13 abitanti del villaggio Beit Jinn. Si tratta di un villaggio druso a nord di Quneitra e a 50 km a sud di Damasco. L’aeronautica ha bombardato e distrutto diversi palazzi nel villaggio druso. Israele “protegge” così i drusi. Bombardandoli. Ci sono anche 25 feriti. Tra i morti vi sono 2 bambini. I soldati israeliani spadroneggiano con scorrerie armate in tutto il sud siriano, compiendo incursioni e rastrellamenti. Prima sostenevano che le loro azioni erano mirate a proteggere i drusi, una comunità araba nativa del Libano e della Siria e con presenza anche in Israele. Ma dal momento che i drusi siriani rifiutano le umiliazioni degli occupanti, vengono bombardati. A Beit Jinn infatti l’aviazione e l’artiglieria israeliane non hanno esitato a bombardare il piccolo villaggio per vendicare la reazione sacrosanta della popolazione all’invasione. Tel Aviv ha anche pubblicato le immagini di questo bombardamento aereo, blaterando di un attacco a un “covo di terroristi”. Non è la prima aggressione israeliana su Beit Jinn. Il 12 giugno le forze israeliane hanno effettuato un raid notturno sulla città, che ha provocato la morte di un civile e la presa in ostaggio di 7 persone, delle quali non si sa nulla fino ad ora. L’11 agosto, un contingente di circa 100 soldati ha lanciato un’incursione a Beit Jann e nei suoi dintorni, con ostaggi e deportazioni. Questi raid israeliani rientrano in un quadro più ampio di violazioni in diverse aree, tra cui l’arresto di siriani del capoluogo, Quneitra, e il divieto per i residenti di accedere alle loro terre agricole. L’esercito IDF ha rapito finora dalla Siria circa 45 persone, la cui sorte è ancora sconosciuta. La stampa israeliana scrive: “I drusi siriani sono stati armati da noi e loro rivolgono le armi contro i nostri soldati”. Secondo un comunicato dell’esercito di occupazione ci sono 6 soldati israeliani feriti. Si chiama resistenza contro l’occupazione militare straniera. Gaza Stamattina, l’ospedale Nasser di Khan Younis ha informato che due minorenni sono stati assassinati da droni israeliani ad est della città. Per tutta la giornata di ieri e dall’alba di oggi i caccia israeliani hanno bombardato sulla linea di demarcazione, la cosiddetta linea gialla. Sono state colpite anche Rafah e Hay Tuffah a Gaza città. L’artiglieria israeliana ha lanciato obici contro Jebalia. Nella giornata di ieri, i corpi di palestinesi uccisi dall’esercito israeliano sono stati 9. Il numero delle vittime dall’entrata in vigore del falso cessate il fuoco è di oltre 400. Secondo l’Unicef, “la malnutrizione persistente con l’avvicinarsi dell’inverno minaccia la vita e la salute dei bambini nella Striscia di Gaza.  L’inverno aggrava la diffusione delle malattie e aumenta il rischio di morte tra i bambini più vulnerabili di Gaza”, annuncia un rapporto dell’organizzazione internazionale per l’infanzia. Il rapporto rileva che: “Le analisi nutrizionali hanno dimostrato che circa 9.300 bambini di età inferiore ai cinque anni a Gaza hanno sofferto di malnutrizione acuta durante il mese di ottobre”. L’Unicef esorta Israele ad aprire i valichi di frontiera verso la Striscia di Gaza per consentire il passaggio degli aiuti umanitari attraverso tutte le possibili vie di rifornimento. Cisgiordania Continua da una settimana l’incursione israeliana a Toubas. La cittadina è assediata, l’esercito ha imposto il coprifuoco e continua operazioni di rastrellamento e distruzioni. È la sorte quotidiana di molte città e villaggi palestinesi. A Jenin, l’esercito ha demolito ieri 40 case e edifici. A Tammoun sono stati presi in ostaggio 100 abitanti e 20 famiglie hanno ricevuto l’ordine di evacuazione delle proprie case, da trasformare in basi dell’esercito o da demolire, per allargare le strade e consentire il passaggio dei veicoli militari. Nella provincia di el-Khalil, l’esercito ha vietato ai contadini di Tarqumiyah di raggiungere i propri campi coltivati. Una manifestazione di protesta dei nativi è stata repressa nel sangue. Sono rimasti feriti anche tre giornalisti e due osservatori civili di pace internazionali. I coloni ebrei israeliani continuano in modo sistematico, con il supporto dell’esercito, a colpire le comunità di pastori palestinesi nella valle del Giordano, per impossessarsi delle terre e delle sorgenti di acqua e costringere così i nativi a rassegnarsi alla deportazione. Sono 40 le comunità di pastori costretti a traslocare nell’ultimo anno. Gli attacchi israeliani in Cisgiordania in due anni hanno causato l’uccisione di oltre 1.083 palestinesi, il ferimento di oltre 11.000 persone e l’arresto di oltre 20.500. Nel frattempo, in Libano, continuano le aggressioni, col pretesto di snidare i resistenti di Hezbollah. ANBAMED
MEDIO ORIENTE: ISRAELE BOMBARDA E UCCIDE IN SIRIA, LIBANO E PALESTINA (SIA A GAZA CHE IN CISGIORDANIA)
Medio Oriente. Partiamo dalla Siria: almeno 13 morti e 25 feriti in attacchi di artiglieria e missili israeliani sulla città di Beit Jinn, a sud-ovest della capitale siriana, Damasco, a poca distanza dalla zona che Tel Aviv occupa, illegalmente, da dicembre, con la caduta di Assad. Ci sarebbero alcuni feriti anche tra i soldati occupanti di Israele, che nelle scorse ore ha nuovamente bombardato il sud del Libano, a un anno ormai dal cessate il fuoco, violato almeno 10.000 volte da Tel Aviv. Palestina, con raid e bombe pure sulla Striscia di Gaza; l’esercito israeliano afferma di aver “rintracciato e ucciso” 9 combattenti palestinesi bloccati nei tunnel sotterranei nelle zone di Rafah orientale. Le ultime vittime portano a 30 il numero dei combattenti uccisi dopo essere rimasti intrappolati nei tunnel al di là della cosiddetta “Linea Gialla”.. Un altro morto, un civile, è stato ucciso in un attacco israeliano a Bani Suheila, vicino alla città di Khan Younis, dove decine di migliaia di persone restano al freddo, sottoposti a pioggia e maree, in tende e rifugi totalmente inadeguati di fronte alla stagione invernale, mentre Israele – come ogni venerdì – chiude i valichi di frontiera per…giorno festivo. Fuori, centinaia e centinaia di camion di aiuti, già normalmente fatti entrare a singhiozzo e con mille limitazioni, in particolare per i beni davvero essenziali per la popolazione, a partire dalle tende. Sempre più infiammata la situazione pure nella Cisgiordania Occupata. Le truppe di occupazione israeliane uccidono 2 palestinesi a Jenin durante un raid mentre si erano già arresi ai militari, come confermano alcune riprese video, con i due uomini che alzano le camicie, dimostrando di essere disarmati, ma nonostante questo vengono uccisi a colpi di pistola, giustiziati. Si tratta di Al-Muntasir Billah Abdullah, 26 anni, e del 37enne Youssef Asasa. Israele annuncia l’ennesima inchiesta militare interna, che come di consueto non porterà a nulla, mentre il ministro fascista Ben Gvir si è precipitato a esprimere solidarietà…ai soldati occupanti, che stamattina ha ferito in maniera seria 3 persone, nel governatorato di Tubas. Durante i rastrellamenti centinaia le persone rapite e sbattute in galera, dove ci sono in totale oltre 11mila palestinesi. Tra loro il più noto è il 66enne Marwan Barghouthi, popolarissimo leader palestinese di Fatah, tra i responsabili militari della Seconda Intifada, sepolto in carcere dal 2002. Domani, sabato 29 novembre, Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese, prende avvio anche in Italia la Campagna Internazionale per la Liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi, con una raccolta firme in poche ore siglata da 20mila persone. 6 le richieste: liberazione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, a partire da Barghouti; chiusura dei centri di tortura israeliani; tutela dei diritti umani dei detenuti; rispetto della Convenzione di Ginevra e del diritto umanitario; accesso della Croce Rossa alle carceri e ai detenuti. Attivata una raccolta firme online, dove si definisce “la liberazione di Barghouti e dei prigionieri palestinesi un passo essenziale verso un percorso di giustizia, pace e libertà”. Un mese fa, nella seconda metà di ottobre 2025, Barghouthi era stato pestato in carcere dagli agenti carcerieri israeliani, come denunciato da Arab Barghouti, figlio del leader palestinese, citando le testimonianze di altri prigionieri palestinesi, rilasciati ed esiliati in Egitto dopo l’ultimo cessate il fuoco; si tratta del quarto pestaggio accertato in due anni ai danni del leader nativo del governatorato di Ramallah. In questo caso,  Marwan Barghouti avrebbe perso conoscenza e riportato fratture alle costole. Un altro pestaggio, stavolta a novembre, è quello commesso ai danni di Ahmed Sa’adat, 72enne segretario generale dell’FPLP, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, arrestato dall’ANP di Abu Mazen nel 2002 e poi “ceduto”, nel 2006, a Israele, quando si trovava nella prigione di Gerico, attraverso un accordo tra i servizi di sicurezza di Ramallah e Tel Aviv. A renderlo noto Samidoun, network palestinese dedicato a prigioniere e prigionieri politici palestinesi. Su questo la denuncia della Palestinian Prisoners’ Society, tradotta in italiano da Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica