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Gaza: i bisogni sono enormi dopo 22 mesi di guerra e due mesi di blocco degli aiuti
Dichiarazione di Ted Chaiban, Vicedirettore generale UNICEF 2 agosto 2025 – “…Sono appena tornato da una missione di cinque giorni in Israele, Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. I segni della profonda sofferenza e della fame erano visibili sui volti delle famiglie e dei bambini. Dall’inizio della guerra, a Gaza sono stati uccisi oltre 18.000 bambini. Si tratta di una media di 28 bambini al giorno, l’equivalente di una classe scolastica, che non ci sono più. I bambini hanno perso i loro cari, sono affamati e spaventati e traumatizzati. Gaza ora rischia seriamente la carestia. Si tratta di una situazione che si è andata aggravando, ma ora abbiamo due indicatori che hanno superato la soglia della carestia. Una persona su tre a Gaza passa giorni senza cibo e l’indicatore di malnutrizione ha superato la soglia della carestia, con la malnutrizione acuta che ora supera il 16,5% [nella città di Gaza]. Oggi, oltre 320.000 bambini piccoli sono a rischio di malnutrizione acuta. A Gaza ho incontrato le famiglie dei 10 bambini uccisi e dei 19 feriti da un attacco aereo israeliano mentre erano in fila con i loro genitori per ricevere cibo presso una clinica nutrizionale a Deir el-Balah sostenuta dall’UNICEF. Abbiamo incontrato Ahmed, che ha 10 anni, e suo padre. Quel giorno Ahmed era in fila con sua sorella Samah, di 13 anni. Lei è morta. Ho visto una foto in cui lui agitava furiosamente le braccia per fermare un carro trainato da un asino nel tentativo di salvarla e portarla in ospedale, ma non ci è riuscito. È profondamente traumatizzato e non sa cosa fare. Questo semplicemente non dovrebbe accadere. I bambini che ho incontrato non sono vittime di una catastrofe naturale. Sono affamati, bombardati e sfollati. In un centro di stabilizzazione nella città di Gaza ho incontrato bambini gravemente malnutriti, ridotti pelle e ossa. Le loro madri erano sedute lì vicino, disperate ed esauste. Una madre mi ha detto che non produce più latte materno perché lei stessa è troppo affamata. L’UNICEF sta facendo tutto il possibile per affrontare la situazione: sostiene l’allattamento al seno, fornisce latte artificiale e cura i bambini affetti da malnutrizione acuta grave. Ma i bisogni sono enormi dopo 22 mesi di guerra e due mesi di blocco, che ora è stato allentato ma continua ad avere un impatto, e gli aiuti non stanno arrivando abbastanza velocemente o nella misura necessaria. In mezzo a tutto questo, il nostro personale a Gaza, la maggior parte del quale ha subito perdite personali devastanti, continua a lavorare giorno e notte. L’UNICEF sta fornendo acqua potabile: 2,4 milioni di litri al giorno nella parte settentrionale di Gaza, raggiungendo 600.000 bambini. Si tratta di una media di 5-6 litri di acqua al giorno a persona – meglio di prima, ma ancora ben al di sotto della soglia di sopravvivenza. Abbiamo ricostruito la catena del freddo per i vaccini e continuiamo a vaccinare i bambini. Stiamo fornendo assistenza psicosociale ai bambini che sono stati terrorizzati da ciò che hanno vissuto. Stiamo salvando la vita ai neonati, aiutando a riunire le famiglie separate, sia all’interno della Striscia che, in alcuni casi, a livello internazionale, e fornendo latte artificiale ai bambini più vulnerabili, ma c’è ancora molto da fare. Dopo la tregua annunciata da Israele, l’accesso umanitario è stato in parte facilitato. Abbiamo oltre 1.500 camion carichi di forniture di prima necessità pronti nei corridoi tra Egitto, Giordania, Ashdod e Turchia. Alcuni hanno iniziato a muoversi e negli ultimi due giorni abbiamo consegnato 33 camion di latte in polvere salvavita, biscotti ad alto contenuto energetico e kit igienici. Ma questa è solo una minima parte di ciò che serve; quindi, gran parte della nostra missione è stata dedicata alla sensibilizzazione e al dialogo con le autorità israeliane a Gerusalemme e Tel Aviv. Abbiamo insistito affinché venissero riviste le loro regole militari di ingaggio per proteggere i civili e i bambini. I bambini non dovrebbero essere uccisi mentre aspettano in fila in un centro nutrizionale o mentre raccolgono l’acqua, e le persone non dovrebbero essere così disperate da dover assalire un convoglio. Abbiamo chiesto un aumento degli aiuti umanitari e del traffico commerciale – avvicinandoci a 500 camion al giorno – per stabilizzare la situazione e ridurre la disperazione della popolazione, nonché i saccheggi e quella che chiamiamo auto distribuzione, quando la popolazione insegue un convoglio, e anche i saccheggi, quando i gruppi armati lo inseguono perché il prezzo del cibo è così alto. Per affrontare questo problema, dobbiamo inondare la Striscia di rifornimenti utilizzando tutti i canali e tutti i valichi.   Questo non sarà possibile solo con gli aiuti umanitari, quindi abbiamo anche insistito affinché nella Striscia entrassero beni commerciali – uova, latte e altri beni di prima necessità che integrano ciò che la comunità umanitaria sta portando. Abbiamo insistito affinché fossero ammessi articoli “a duplice uso” e più carburante, in modo da poter riparare il sistema idrico: tubi, raccordi, generatori.  A Gaza fa molto caldo – 40 gradi – e l’acqua scarseggia, con il rischio di epidemie che incombe ovunque. Continueremo a impegnarci affinché le pause umanitarie non causino ulteriori sfollamenti, costringendo la popolazione in un’area sempre più ristretta. Anche in Cisgiordania i bambini sono in pericolo. Finora quest’anno sono stati uccisi 39 bambini palestinesi. Ho visitato una comunità beduina a est di Ramallah, che è stata costretta ad abbandonare le proprie case a causa delle violenze. Abbiamo anche incontrato bambini israeliani colpiti dalla guerra. Bambini che hanno subito paura, perdite e sfollamenti. I bambini non iniziano le guerre, ma sono loro a subirne le conseguenze Ci troviamo a un bivio. Le scelte che faremo ora determineranno la vita o la morte di decine di migliaia di bambini. Sappiamo cosa bisogna fare e cosa si può fare. L’ONU e le ONG che compongono la comunità umanitaria possono affrontare questo problema, insieme al traffico commerciale, se vengono messe in atto misure che consentano l’accesso e che alla fine garantiscano la disponibilità di beni sufficienti nella Striscia, in modo da attenuare alcuni dei problemi legati all’ordine pubblico. Sono necessari finanziamenti. L’appello dell’UNICEF per Gaza è gravemente sottofinanziato: solo il 30% delle esigenze sanitarie e nutrizionali è coperto. Dobbiamo ricordare che le pause umanitarie non sono un cessate il fuoco. Speriamo che le parti possano concordare un cessate il fuoco e il ritorno di tutti gli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas e di altri gruppi armati. Questa situazione va avanti da troppo tempo. 22 mesi. Onestamente non mi sarei mai aspettato che saremmo arrivati a 22 mesi di guerra. Quello che sta accadendo sul campo è disumano. Ciò di cui hanno bisogno i bambini, i bambini di tutte le comunità, è un cessate il fuoco duraturo e una via d’uscita politica.” FOTO E VIDEO: https://weshare.unicef.org/Share/0e2ryciq0w65jai05u62f7q6078w2et4 UNICEF
Amnesty International chiede giustizia per l’uccisione dell’attivista palestinese Awda Al-Hathaleen
L’attivista palestinese Awda Al-Hathaleen è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco mentre alcuni coloni israeliani, sostenuti dallo stato e accompagnati da una ruspa, stavano distruggendo una condotta fognaria e sradicando ulivi a Umm Al-Kheir, nell’area di Masafer Yatta. L’alta direttrice delle campagne e delle ricerche di Amnesty International, Erika Guevara Rosas, ha dichiarato: “L’uccisione a sangue freddo di Awda, difensore dei diritti umani e padre di tre bambini piccoli, è una tragedia devastante e un brutale promemoria della violenza incessante a cui sono sottoposte le comunità palestinesi nella Cisgiordania occupata. Awda Al-Hathaleen, che di recente aveva avvisato alcuni membri del parlamento britannico sulle minacce ricevute, aveva diritto a essere protetto. La sua uccisione è la crudele conseguenza della politica israeliana, ormai consolidata, di espulsione forzata delle comunità palestinesi nella Cisgiordania occupata, tra cui quella di Masafer Yatta. Il deliberato fallimento delle autorità israeliane nel condurre inchieste effettive e imparziali sugli attacchi dei coloni contro i palestinesi richiede un’immediata indagine internazionale indipendente su questa uccisione e su altri attacchi simili nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est. Tale indagine dovrebbe accertare anche il ruolo delle autorità israeliane, tra cui la polizia e le forze armate, che contribuiscono direttamente alla violenza dei coloni o la rendono possibile, e che sistematicamente non riescono a prevenire uccisioni, aggressioni e altre violazioni dei diritti umani delle persone palestinesi. “Chiediamo giustizia per Awda Al-Hathaleen e la fine dell’impunità di sistema e profondamente radicata di cui godono da tempo i coloni israeliani e le autorità statali. L’impunità per la violenza dei coloni con l’avallo dello stato alimenta ulteriori violenze contro le persone palestinesi, che restano senza protezione né giustizia. L’uccisione di Awda Al-Hathaleen non è la prima, ma deve essere l’ultima”. Ulteriori informazioni Mentre Awda Al-Hathaleen veniva ucciso e alcuni residenti tentavano di intervenire, un’altra persona del villaggio è stata ferita da una ruspa, riportando una grave commozione cerebrale. Yinon Levy, colono di un avamposto illegale nella Cisgiordania occupata e già oggetto di sanzioni da parte dell’Unione europea e del Regno Unito, è stato arrestato perché sospettato dell’omicidio: dopo un’udienza in tribunale, è stato posto agli arresti domiciliari. Secondo quanto ricostruito da Amnesty International, Levy era stato visto minacciare i residenti con la sua arma da fuoco, alla presenza di poliziotti e soldati israeliani armati. Resta poco chiaro se altre persone potenzialmente coinvolte nell’uccisione, anche come complici, siano state oggetto di indagine o arresto. Dal 7 ottobre 2023 la violenza dei coloni nella Cisgiordania occupata è aumentata in modo significativo. Le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato sistematicamente l’incapacità delle autorità israeliane di proteggere le persone palestinesi e di assicurare i responsabili alla giustizia. Questo clima coercitivo, caratterizzato da violenza e discriminazione istituzionalizzate, mira deliberatamente a costringere i palestinesi ad abbandonare le proprie terre, configurando il crimine di guerra di trasferimento forzato illegale. I leader internazionali devono esercitare pressioni su Israele affinché ponga fine alla sua occupazione illegale e smantelli il proprio sistema di apartheid nei confronti della popolazione palestinese, assicurando alla giustizia chi si rende responsabile di crimini previsti di diritto internazionale e di altre gravi violazioni dei diritti umani. Amnesty International
GAZA. ARBIA: “APPLICARE SANZIONI VERSO UNO STATO CHE COMMETTE UN GENOCIDIO E’ UN OBBLIGO SECONDO IL DIRITTO INTERNAZIONALE”
Al netto della propaganda sugli – insufficienti – camion di aiuti e delle condanne, al momento solo verbali, della comunità internazionale, continua il genocidio per mano israeliana in Palestina. Massacri senza fine nella Striscia di Gaza. Dall’alba di stamattina i bombardamenti dell’Idf hanno ucciso almeno 62 persone. 30 di queste sono state sterminate da un solo raid che ha colpito l’area di Nuseirat. Altri palestinesi sono stati uccisi dai raid anche in altre aree, come Gaza city e Khan Yunis. Il bilancio ufficiale delle vittime palestinesi a Gaza dal 7 ottobre 2023 a oggi ha superato le 60mila Chi non muore sotto le bombe o le cannonate, muore per la fame, utilizzata da Israele come ulteriore arma di sterminio e pulizia etnica. Tel Aviv, però, continua a dare la colpa ad Hamas, sostenendo che i militanti dell’organizzazione palestinese sottraggano gli aiuti destinati alla popolazione civile. Intanto però l’Integrated Food Security Phase Classification, sistema globale di monitoraggio della fame sostenuto dall’Onu, avverte che a Gaza è in atto lo ‘scenario peggiore di carestia’, con migliaia di bambini malnutriti e morti per fame in aumento tra i più giovani. Secondo il gruppo di organizzazioni, i lanci aerei non saranno sufficienti a scongiurare la ‘catastrofe umanitaria’. L’accesso umanitario ‘immediato e senza ostacoli’ a Gaza è l’unico modo per fermare il rapido aumento di ‘fame e morte’. Senza freni anche la violenza dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata. Ieri a Masafer Yatta, sud di Hebron, dove la popolazione palestinese da anni resiste allo sfollamento forzato, un colono ha sparato al petto a un’attivista palestinese di 31 anni Awda Hataleen, uccidendolo. Lo ha denunciato uno dei registi del documentario No Other Land, dedicato proprio alla lotta dei residenti palestinesi locali contro l’occupazione. L’assassino è Yinon Levi, colono israeliano già sanzionato dall’Ue e dagli Stati Uniti. Anche le organizzazioni per i diritti umani israeliane, nei loro report, parlano ora esplicitamente di “genocidio” in corso. È il caso di B’Tselem e Phri, che ricordano inoltre come “l’attuale attacco va compreso nel contesto di oltre 70 anni in cui Israele ha imposto un regime violento e discriminatorio ai palestinesi”. Silvana Arbia, giurista, ex procuratrice della Tribunale internazionale dell’Onu  per il genocidio in Rwanda ed ex cancelliera della Corte penale internazionale analizzando il genocidio in atto e le attività della Corte internazionale di giustizia, spiega come secondo il diritto internazionale anche i paesi che vendono armi e aiutano Israele siano complici del genocidio  e come tali potrebbero essere processati  e come le sanzioni ad uno stato accusato di genocidio siano un obbligo per i paesi firmatari della convenzione Ascolta o scarica Sull’omicidio dell’attivista palestinese Awda Hataleen, il commento del regista Nicola Zambelli, che nella zona di Hebron ha girato il film “Sarura – il futuro è un luogo sconosciuto”. Ascolta o scarica Il commento di Elisa Caneve, che aveva lavorato in Palestina con Awda Hataleen. Elisa Caneve è una delle coordinatrici del progetto Mediterranea with Palestine, con il quale aveva lavorato in Palestina. Ascolta o scarica
Come una compagnia israeliana controlla – e taglia – l’accesso dei palestinesi all’acqua in Cisgiordania
di Qassam Muaddi   mondoweiss.net, luglio 22, 2025    I palestinesi in Cisgiordania stanno affrontando una crisi senza precedenti nell’accedere adeguatamente all’acqua. Ma il problema non è la carenza delle risorse idriche, quanto il fatto che Israele estragga e controlli tutta l’acqua da sotto i loro piedi. Palestinesi riempiono bottiglie di plastica e taniche con acqua potabile da un serbatoio d’acqua nel villaggio di Um al-Khair in Cisgiordania, a sud di Hebron, 17 agosto 2016. (Wisam Hashlamoun/APA Images) Per 100 giorni, i palestinesi della città di Idna, nella Cisgiordania occupata, sono sopravvissuti senza acqua corrente. La città di circa 40.000 abitanti ha fatto affidamento su serbatoi di acqua piovana e taniche d’acqua comprate da dei rivenditori. La crisi di siccità della città è stata provocata dalla decisione di aprile della compagnia idrica nazionale israeliana Mekorot di ridurre la fornitura giornaliera di acqua al governatorato di Hebron, nel sud della Cisgiordania. L’approvvigionamento idrico si è ridotto da 32.000 metri cubi a 26.000, il che ha visto la chiusura completa della linea idrica di Mekorot per Idna. Questa crisi idrica non è nuova e non si limita a Idna. Ogni estate, diverse parti della Cisgiordania subiscono interruzioni idriche prolungate che possono estendersi fino a un mese, principalmente a causa della mancanza di approvvigionamento di acqua da parte di Mekorot, che controlla la maggior parte delle risorse idriche in Palestina. A Idna, i residenti si sono incontrati lunedì nel municipio per discutere della crisi. Il sindaco della città ha condiviso l’argomentazione della società israeliana per aver tagliato loro l’acqua, ovvero che “alcuni residenti stavano rubando illegalmente l’acqua”. “Il sindaco ha detto che non è responsabilità del comune cercare coloro che rubano l’acqua, ma fornire acqua ai residenti, cosa che è stata resa impossibile”, ha detto a Mondoweiss Rami Nofal, un giornalista locale residente a Idna. “Ogni estate, subiamo tagli all’acqua, e l’argomento che alcuni individui rubano l’acqua dalla linea principale non è una scusa per lasciare 40.000 persone senza acqua per tre mesi”, ha detto.  Il sindaco ha poi assicurato alla folla che l’Autorità Palestinese sta cercando di risolvere la crisi con Mekorot, ma non ci sono notizie di una soluzione. “A Idna, come nel resto della Cisgiordania, riceviamo l’acqua in determinati giorni della settimana, e il turno del mio quartiere è stato ad aprile, solo pochi giorni prima che fosse programmato il taglio completo”, ha continuato Nofal. “Ho comprato un serbatoio d’acqua di 13 metri cubi per 180 shekel, e questa è l’acqua con cui io e la mia famiglia stiamo risparmiando per sopravvivere”. Serbatoi di questo tipo punteggiano i tetti di tutti gli edifici della Cisgiordania, poiché la carenza d’acqua è cronica. “Dobbiamo stare attenti a ogni caso di consumo di acqua”, ha spiegato Nofal. “Ogni volta che i miei figli aprono il rubinetto, dico loro di richiuderlo il prima possibile. Risparmiamo mentre laviamo e anche quando tiriamo lo sciacquone”. Resti demoliti di case palestinesi nel villaggio di Idna, a ovest di Hebron, 13 maggio 2025. (Mamoun Wazwaz/APA Images) Come funziona il sistema idrico in Cisgiordania Mekorot è stata fondata negli anni ’30 sotto il mandato britannico. Dopo la fondazione dello Stato di Israele, alla società è stato concesso il diritto esclusivo di esplorare e sfruttare l’acqua nel paese. Dopo il 1967, ciò includeva le terre della Cisgiordania e di Gaza, che Israele occupava. Mekorot espanse le sue operazioni e fu incaricata di costruire la portaerei nazionale, una linea di condutture idriche che trasporta l’acqua dalla parte settentrionale del paese, intorno alla Cisgiordania attraverso la provincia israeliana del 1948, fino alle zone secche meridionali del deserto del Naqab. Gran parte di quest’acqua alimentava il fiume Giordano prima della costruzione della portaerei negli anni ’60. Ihab Sweiti, dell’Autorità palestinese per l’acqua, ha detto a Mondoweiss che “le fonti d’acqua naturali in Palestina sono per lo più sotterranee e si classificano in quattro serbatoi naturali; le falde orientali e occidentali su entrambi i lati della regione collinare centrale, il bacino della Valle del Giordano, e l’acquifero costiero, che è la principale fonte d’acqua per Israele e la Striscia di Gaza. I bacini idrici orientali e della Valle del Giordano si trovano principalmente in Cisgiordania, e il bacino idrico occidentale si estende anche in Israele”. “Dall’occupazione del 1967, Mekorot ha scavato altri pozzi in Cisgiordania, finendo per controllare circa 25 pozzi, che utilizza per fornire acqua agli insediamenti israeliani e per vendere acqua a molti comuni palestinesi, come Idna”, ha continuato Sweiti. “Quando la compagnia Mekorot ci ha informato che stavano tagliando l’approvvigionamento idrico dall’area ovest di Hebron, compresa Idna, hanno detto che il motivo era che c’erano troppe estensioni illegali fatte dai palestinesi lungo la linea dell’acqua”. Sweiti afferma che la società israeliana sostiene che il furto d’acqua per le città e i villaggi della zona ha ridotto la quota d’acqua per gli insediamenti israeliani. Sweiti ammette che i palestinesi fanno estensioni irregolari lungo la linea di Mekorot, ma i dati smentiscono l’affermazione che la quota di insediamenti israeliani è stata ridotta. Secondo il Palestinian Hydrology Group, i palestinesi consumano in media 70 litri di acqua a persona al giorno, mentre gli israeliani ne consumano 300. Per i coloni israeliani in Cisgiordania, tuttavia, la media sale a 800 litri a persona al giorno. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la media sana per il consumo giornaliero di acqua è di 100-120 litri per individuo al giorno, che è molto al di sopra del tasso di consumo medio palestinese e molto al di sotto del consumo medio giornaliero dei coloni israeliani. Secondo i dati dell’Ufficio centrale di statistica palestinese del marzo 2023, la quota individuale di acqua dei coloni israeliani in Cisgiordania rispetto a quella dei palestinesi è di sette a uno. Secondo il diritto internazionale, sia gli insediamenti israeliani in Cisgiordania che lo sfruttamento israeliano dell’acqua della Cisgiordania sono illegali. La Quarta Convenzione di Ginevra, che regola i casi di occupazione, proibisce esplicitamente sia il trasferimento dei cittadini della potenza occupante nel territorio occupato sia lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio occupato, a meno che non sia a beneficio della popolazione occupata. Quando nel 1993 furono firmati gli accordi di Oslo tra l’OLP e Israele, i diritti all’acqua furono classificati come parte della fase strategica dei negoziati sullo “status finale“, insieme ai rifugiati palestinesi, ai confini, allo status di Gerusalemme e agli insediamenti israeliani. I negoziati sullo status finale avrebbero dovuto concludersi a Camp David nel 2000, ma gli accordi sono crollati. Da allora, l’amministrazione della distribuzione dell’acqua continua ad avvenire secondo il meccanismo provvisorio degli Accordi di Oslo: distribuzione ampiamente ineguale e totale controllo israeliano. Questo meccanismo si basa sulla formazione di un comitato congiunto in cui le autorità idriche israeliane e palestinesi rivedono e aggiornano regolarmente il numero di pozzi che i palestinesi sono autorizzati a scavare o sfruttare e la quantità di acqua che possono estrarre e distribuire in base alla crescita della popolazione. Questa riunione periodica del comitato multilaterale dovrebbe svolgersi ogni pochi anni. Secondo Ihab Sweiti, l’ultimo incontro è avvenuto nel 2023, prima dell’inizio della guerra a Gaza. “Noi, l’Autorità Palestinese per l’Acqua, avevamo all’ordine del giorno diversi nuovi pozzi che volevamo ottenere l’approvazione israeliana per scavare e gestire, e c’erano altri due pozzi che avevano già ricevuto l’approvazione israeliana, anche nella parte occidentale di Hebron”. Erano rimaste solo discussioni tecniche, dice Sweiti, ma la guerra a Gaza ha paralizzato tutto. “È tutto ancora in sospeso”. Le macchine dell’esercito israeliano distruggono un serbatoio d’acqua utilizzato dai contadini palestinesi a Hebron, 14 giugno 2011. (Najeh Hahlamoun/APA Images) “La gente avrà veramente sete” A Idna, anche l’estrazione irregolare di acqua da parte dei palestinesi è stata interrotta dall’esercito israeliano. “Domenica, le forze di occupazione hanno fatto irruzione nell’area fuori Idna, dove passa la linea dell’acqua, hanno scavato il terreno e distrutto tutte le estensioni irregolari fatte da alcuni palestinesi”, ha osservato Rami Nofal. Di conseguenza, ora anche i serbatoi d’acqua non sono più disponibili. Se continua così, in due settimane la crisi andrà fuori controllo”. “La gente di Idna avrà veramente sete”, ha sottolineato Nofal. Sweiti sostiene che le estensioni irregolari della linea principale sono un problema per i palestinesi, non solo per gli insediamenti israeliani. “L’acqua estratta, che non viene contabilizzata, viene alla fine detratta dalla quota dei palestinesi”, dice Sweiti. “Ma l’area in cui passa la linea si trova nell’area C, dove Israele non permette all’Autorità palestinese di avere alcuna presenza”. Ciò significa che l’Autorità palestinese non ha il potere di imporre l’ordine o mantenere le infrastrutture idriche per le comunità palestinesi, spiega Sweiti. “Tagliare l’acqua da un’intera area o città non è una soluzione”, afferma. “La soluzione è permettere a noi palestinesi di gestire il nostro approvvigionamento idrico e avere le nostre fonti d’acqua”. https://mondoweiss.net/2025/07/how-one-israeli-company-controls-and-cuts-off-palestinians-access-to-water-in-the-west-bank/ Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
La Knesset vota sull’imposizione della sovranità israeliana sulla Cisgiordania
Cisgiordania. Mercoledì, la Knesset ha votato una dichiarazione a sostegno dell’imposizione della “sovranità” israeliana sulla Cisgiordania occupata. Il voto si è tenuto al termine della sua ultima sessione prima della pausa estiva. La misura rientra in una “proposta all’ordine del giorno” presentata dai membri della Knesset di destra, Simcha Rothman, Orit Strock, Dan Illouz e Oded Forer. La presidenza della Knesset ha approvato la proposta lunedì, nonostante la tempistica politicamente delicata sia sul piano nazionale che internazionale. Sebbene la dichiarazione sia simbolica e non vincolante, i promotori invitano il governo ad “adottare misure per attuare la sovranità in Giudea e Samaria”, con il sostegno di membri sia della coalizione che dell’opposizione. Secondo quanto riportato da Channel 12, funzionari diplomatici hanno esercitato pressioni sulla Knesset affinché chiarisse che la proposta è semplicemente un appello al governo, temendo che potesse altrimenti essere interpretata come un’approvazione parlamentare ufficiale dell’annessione. Questo voto è considerato parte di un più ampio sforzo della destra israeliana per promuovere un’annessione graduale. Fa seguito a un precedente voto della Knesset che ha respinto a larga maggioranza la creazione di uno Stato palestinese, inviando un chiaro messaggio politico alla comunità internazionale. La mossa riflette anche i continui tentativi della destra israeliana di formalizzare il controllo sulla Cisgiordania tramite iniziative legislative. L’attuale governo ha intensificato l’espansione degli insediamenti e adottato misure volte all’annessione de facto di ampie porzioni del territorio. (Fonte e foto: MEMO).
Hebron/Cisgiordania, MSF: “Violenza israeliana incessante. Popolazione allo stremo fisico e mentale”
In Cisgiordania, la salute mentale della popolazione palestinese è costantemente minata dalla paura di aggressioni e violenze da parte dei coloni e delle forze armate israeliane, soprattutto per chi vive nella zona meridionale di Hebron, come gli abitanti di Masafer Yatta. Qui, la minaccia quotidiana di trasferimenti forzati, ferimenti e – come si è visto nelle ultime settimane – uccisioni, è costante. Medici Senza Frontiere (MSF), che gestisce cliniche mobili nella zona, sta vedendo ostacolate le proprie attività a causa della situazione di forte insicurezza, aggravata dalla crescente violenza dei coloni. “Stiamo assistendo a numerose demolizioni di abitazioni da parte delle forze israeliane, che fanno ripetutamente incursione nei villaggi di Masafer Yatta. In alcuni villaggi è stato demolito fino all’85% delle abitazioni. Le politiche e le pratiche del governo israeliano volte all’annessione della Cisgiordania, hanno effetti devastanti sulla salute fisica e mentale dei nostri pazienti” dichiara Frederieke Van Dongen, responsabile degli affari umanitari di MSF a Hebron. “Gli attacchi dei coloni, spesso insieme all’esercito israeliano, sono ormai quasi quotidiani e sempre più violenti, responsabili di un numero crescente di feriti e di ricoveri ospedalieri”. Negli ultimi mesi, gli attacchi dei coloni israeliani contro gli abitanti di Masafer Yatta si sono intensificati, provocando ferite fisiche e psicologiche sempre più gravi. I racconti parlano di episodi di frequenza quotidiana: pestaggi, animali lasciati intenzionalmente liberi per devastare i campi coltivati, strade bloccate, case demolite e una pressione psicologica costante. Negli ultimi 12 mesi, la maggior parte dei nuovi pazienti che si sono rivolti alle cliniche MSF a Hebron per ricevere supporto psicologico lo ha fatto a seguito di episodi di violenza. Solo a giugno 2025, il 94% degli ingressi era legato ad attacchi violenti. Le cliniche mobili di MSF a Hebron hanno risposto ai nuovi bisogni delle comunità beduine di Masafer Yatta, offrendo cure di base e supporto psicologico a chi è stato colpito dagli attacchi dei coloni – inclusi bambini, donne e anziani. Inoltre, MSF sostiene anche i palestinesi costretti a fuggire dalle proprie case a causa della violenza e delle demolizioni. A maggio, i coloni hanno preso d’assalto la comunità di Jinba, lasciando tra la popolazione corpi feriti, raccolti distrutti e una crescente convinzione che la pace non sia più possibile. “Hanno colpito un anziano alla testa, ha avuto bisogno di oltre 15 punti di sutura” racconta Ali Al Jabreen, membro della comunità di Jinba. “Un altro ferito ha ancora una mano rotta. E un uomo ha riportato gravi problemi psicologici dopo due settimane in terapia intensiva. La violenza non si ferma mai”. “Sono arrivati con tre macchine, erano circa 17 coloni. Hanno picchiato me, mio padre e mio fratello Ahmad. Poi quella stessa notte sono tornati. Hanno distrutto il nostro rifugio, la clinica e la moschea. Mio padre era in condizioni critiche – il suo battito era sceso a 35. Mio fratello è rimasto incosciente per giorni. Siamo rimasti circondati per più di un’ora prima che un’ambulanza potesse passare” racconta Qusay Al-Amour, ragazzo diciottenne che dopo l’attacco ha zoppicato per settimane. “Psicologicamente è dura. I coloni vengono quasi ogni giorno, anche di notte. Ma noi non ce ne andiamo. Noi restiamo qui. Spero che un giorno se ne vadano loro e potremo vivere finalmente in pace”. Anche i bambini sono esposti fin da piccoli a violenze e intimidazioni, che li portano a sviluppare chiari sintomi di trauma come incubi, attacchi di panico e difficoltà di concentrazione a scuola. “La sofferenza non risparmia nessuno. La costante minaccia di violenza porta le persone a immaginare continuamente scenari drammatici. Si chiedono che cosa succederà se i coloni arrivano a casa loro, se hanno una moglie incinta o delle figlie, riusciranno a proteggerle o dovranno rimanere impotenti? Cosa accadrà se verranno sfollati di nuovo? E se la madre, o un altro membro della famiglia, ha una disabilità fisica, riuscirà a trasferirsi in un altro posto?” continua Van Dongen di MSF. Purtroppo, l’accesso alle comunità colpite da parte dei team mobili di MSF resta fortemente limitato a causa della crescente insicurezza. Oltre al timore di aggressioni da parte dei coloni, i posti di blocco militari israeliani e la recente guerra di 12 giorni tra Israele e Iran hanno reso la situazione ancora più instabile. I team sul campo riferiscono di ritardi negli interventi, strade bloccate e bisogni crescenti in tutta la Cisgiordania. “La recente intensificazione degli attacchi da parte dei coloni e delle forze militari israeliane fa parte di una politica di sfollamenti e annessioni forzate, che deve finire immediatamente. Israele, in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di proteggere i palestinesi” conclude Van Dongen di MSF. “Al contrario, le forze israeliane agevolano o contribuiscono direttamente agli attacchi dei coloni contro la popolazione palestinese. La comunità internazionale è rimasta in silenzio troppo a lungo. È ora di agire con vere pressioni politiche ed economiche sulle autorità israeliane per fermare le azioni israeliane che stanno deliberatamente spingendo i palestinesi a lasciare le proprie terre”. Medecins sans Frontieres
Gaza e Cisgiordania: le verità che nessuno può più tacere ed eludere
“Il silenzio non è un’opzione”, titola il comunicato con cui il Comitato di coordinamento delle procedure speciali dell’ONU si è espresso riguardo alle minacce di sanzioni rivolte dagli USA contro Francesca Albanese. E, affermando di non poter più “rimanere in silenzio”, i sacerdoti cristiani di tre chiese – due cattoliche, latina e melchita, e la greco-ortodossa – hanno denunciato le incursioni dei coloni israeliani a Taybeh, in Cisgiordania. Intanto le notizie divulgate da agenzie stampa e quotidiani informavano che in Cisgiordania due giovani palestinesi sono stati aggrediti e, impedendo alle ambulanze di soccorrerli, uccisi dai coloni israeliani e che a Gaza le forze armate israeliane hanno sparato contro la folla assiepata intorno a un centro di distribuzione di cibo e soccorsi gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation uccidendo almeno 30 e ferendo circa 180 persone. Inoltre che nelle ultime 48 ore l’aeronautica militare israeliana ha colpito una cittadina del Libano meridionale, uccidendo una persona, mentre a Gaza bersagliava oltre 250 obiettivi, facendo almeno 143 vittime. E che le trattative per la tregua condotte a Doha dai mediatori qatarioti ed egiziani sono ‘incagliate’ perché la delegazione israeliana si ostina a volere che le sue forze armate rimangano posizionate all’interno della Striscia di Gaza [Hamas, colloqui per Gaza in stallo per piano ritiro Israele: ‘Vogliono mantenere le truppe sul territorio’ / ANSA – 12 LUGLIO 2025]. GENOCIDIO DEI PALESTINESI: UNA VERITÀ INELUDIBILE Sottolineando che, redigendo il report DALL’ECONOMIA DELL’ OCCUPAZIONE ALL’ECONOMIA DEL GENOCIDIO, ha “assolto il mandato conferitole dal Consiglio per i diritti umani, che richiede specificamente al Relatore speciale di indagare sulle violazioni da parte di Israele dei principi e delle basi del diritto internazionale, del diritto internazionale umanitario e della Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra nei territori palestinesi occupati da Israele dal 1967″, il Comitato dell’ONU ha informato i media che, oltre alle richieste per la sua rimozione dal ruolo e alla minaccia di interdizione dagli USA, Francesca Albanese subisce aggressive intimidazioni alla sua persona e anche contro i propri familiari. E, in merito alle polemiche sui contenuti della relazione, ovvero alle contestazioni di Israele e USA, il Comitato dell’ONU ha dichiarato: > Documentare e denunciare le gravi violazioni del diritto internazionale > umanitario commesse da Israele e da altri attori è un’opera che dovrebbe > essere sostenuta dagli Stati, non sanzionata o indebolita. Restare in silenzio > di fronte a tanto palesi disprezzo e svilimento dei diritti umani non è > un’opzione [“Il silenzio non è un’opzione”: il Comitato di coordinamento delle > procedure speciali dell’ONU condanna le sanzioni statunitensi a Francesca > Albanese / OHCHR  – 10 LUGLIO 2025] Molti dati raccolti e divulgati dall’ONU infatti descrivono come, anche con la complicità di chi fornisce le armi, le attrezzature e i servizi utilizzati allo scopo, il governo e l’esercito israeliani infieriscono deliberatamente sulla popolazione palestinese, il cui sterminio si configura come un genocidio. E mentre al proprio ritorno in Israele dal tour di incontri ‘a porte chiuse’ a Washington il premier Benjamin Netanyahu sfugge all’evidenza di queste verità, sarà costretto ad affrontarla senza poterla eludere nel confronto alla conferenza internazionale che dibatterà le questioni del conflitto israelo-palestinese convocata a New York dall’Assemblea generale dell’ONU e copresieduta da Francia e Arabia Saudita che doveva svolgersi a giugno e, a causa dell’attacco di Israele all’Iran, procrastinata al 28 e 29 luglio [Israele-Palestina: verso la conferenza Onu presieduta da Francia e Arabia Saudita per i due stati / GLOBALIST – 12 LUGLIO 2025]. GAZA: LE ABERRAZIONI DELLA STRAGE DEGLI INNOCENTI Dall’inizio dell’assedio di Gaza sono sono trascorsi 21 mesi e prima di venire continuativamente colpita dagli attacchi delle IDF nell’enclave palestinese interna allo stato israeliano abitavano 2,3 MILIONI di persone, ricorda l’agenzia stampa internazionale REUTERS nel riferire le informazioni fornite l’11 luglio scorso al ‘quartier generale’ dell’ONU a Ginevra da Ravina Shamdasani e Christian Lindmeier, rispettivamente portavoce dell’Ufficio dell’ONU per i diritti umani (OHCHR) e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) [L’ONU segnala 798 morti nei pressi dei centri di aiuti a Gaza in sei settimane / REUTERS – 11 LUGLIO 2025]: > Il 94 % degli ospedali di Gaza sono ormai distrutti o danneggiati, intanto > continuano gli sfollamenti e i civili vengono spinti in spazi sempre più > ridotti. > > Mentre perdura l’impedimento all’ingresso di cibo, carburante e beni di prima > necessità, che vengono gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF) > aggirando le Nazioni Unite, e quotidianamente avvengono uccisioni degli > abitanti di Gaza nei siti di distribuzione di soccorsi e accanto ai convogli > che li trasportano. > > Nel periodo dal 27 maggio fino al 7 luglio abbiamo registrato 798 uccisioni, > di cui 615 nelle vicinanze di siti gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation > e 183 lungo il percorso dei convogli che portano soccorsi. > > Persone colpite nei punti di distribuzione dei soccorsi… donne, bambini, > ragazzi e ragazze e anziani uccisi mentre vanno alla ricerca di cibo, o > attraversano i ‘passaggi’ indicati sicuri per raggiungere incolumi i centri di > assistenza medica, o stanno nei luoghi che viene detto loro essere rifugi e > addirittura all’interno delle strutture sanitarie. Tutto questo è ben oltre > l’inaccettabile [Gaza: inaccettabile che si sia costretti a scegliere se > morire di fame o uccisi / UN NEWS – 11 LUGLIO 2025] A seguito della divulgazione di queste dichiarazioni dei funzionari dell’ONU, l’IDF / Israel Defense Forces ha diramato un comunicato in cui conferma che siano avvenuti “incidenti” e siano stati segnalati “danni ai civili giunti presso i centri di distribuzione” e dichiara di aver svolto accurate indagini sulle vicende e che “sulla base delle lezioni apprese alle forze sul campo sono state impartite istruzioni” [IDF fa ‘mea culpa’, imparata lezione dopo spari centri cibo / ANSA – 11 LUGLIO 2025]… Plausibilmente a indurre i generali delle forze armate israeliane a ‘squarciare’ il silenzio che ammanta di segretezza le strategie e gli effetti collaterali delle operazioni militari e a parlare esplicitamente di ‘danni’ subiti dai civili, cioè delle morti di numerose persone, tra cui moltissime donne e tantissimi bambini, oltre e più che l’ennesima protesta dell’ONU sono stati il reportage fotografico e il video divulgati dalla CNN (Cable News Network, il primo e principale canale televisivo americano specializzato alla diffusione di notizie) che hanno mostrato all’opinione pubblica degli Stati Uniti e di tutto il mondo i cadaveri dei bambini uccisi dall’attacco aereo israeliano a Gaza che ha colpito l’area davanti a un centro medico gestito dal Progetto HOPE, una ONG internazionale che ha sede a Washington. Il Progetto HOPE opera in molte aree dove ci sono conflitti militari. Anche in Ucraina, dove in questi giorni nei pressi dell’ospedale di Kupiansk, nell’oblast di Kharkivun, un’ambulanza che ha fornito al Centro medico regionale di Kharkiv per l’assistenza medica d’urgenza veniva bersagliata da un drone con visuale FPV [Un attacco di droni danneggia l’ambulanza del progetto HOPE a Kharkiv, Ucraina / PROJECT HOPE –  7 LUGLIO 2025]. A Gaza interviene dal dicembre 2023 e, oltre ad aver allestito e gestire delle cliniche di pronto soccorso e specializzate in servizi igienico-sanitari, assistenza psicologica e supporto contro la violenza di genere in cui vengono distribuiti cibo, acqua potabile e farmaci, coordina gli interventi di ostetriche nell’area e di chirurghi negli ospedali di Al Aqsa, Public Aid e Al Sahaba, a cui inoltre fornisce attrezzature e medicinali. Il suo presidente, Rabih Torbay, ha riferito: > I centri medici di Project HOPE sono un luogo di rifugio a Gaza dove i > genitori portano i loro bambini, le donne accedono alle cure per la gravidanza > e il post-partum, le persone ricevono cure per la malnutrizione e altro > ancora. Eppure, stamattina, famiglie innocenti sono state attaccate senza > pietà mentre erano in coda in attesa dell’apertura delle porte. Almeno 15 > persone sono state uccise – 10 delle quali erano bambini – e molte altre sono > rimaste ferite [Dieci bambini uccisi in un attacco aereo fuori dalla clinica > di Gaza del Project HOPE / PROJECT HOPE – 7 LUGLIO 2025]. Nello stesso giorno in cui l’esercito israeliano uccideva i civili accorsi al centro medico allestito a Gaza dalla ONG americana, i rappresentanti dei BRICS a Rio de Janeiro condannavano l’uso della fame come arma di guerra, la militarizzazione dell’assistenza umanitaria e il genocidio della popolazione palestinese. CISGIORDANIA: LA ‘CROCIATA’ ISRAELIANA IN TERRA SANTA Contemporaneamente, nei pressi del cimitero e della chiesa di San Giorgio edificata nel V secolo, uno dei più antichi edifici religiosi cristiani siti in Palestina, veniva appiccato un incendio che i parroci delle tre chiese di Taybeh, in Cisgiordania – la città che nel Vangelo è denominata Efraim, dove Gesù si ritirò prima della crocefissione – hanno denunciato riferendo anche delle continue incursioni dei coloni israeliani nei territori della comunità cristiana palestinese [Terra Santa. Coloni israeliani attaccano il villaggio cristiano di Taybeh. La condanna dei tre parroci / SIR – 9 LUGLIO 2025]: > Noi, sacerdoti delle tre chiese di Taybeh – la Chiesa greco-ortodossa, la > Chiesa latina e la Chiesa greco-cattolica melchita – alziamo le nostre voci a > nome dei residenti della nostra città e dei membri delle nostre parrocchie per > condannare con la massima fermezza la ripetuta e grave serie di attacchi > contro Taybeh. Questi attacchi minacciano la sicurezza e la stabilità della > nostra località e, inoltre, minano la dignità dei suoi abitanti e la sacralità > della sua terra santa [Dichiarazione dei sacerdoti delle Chiese di Taybeh – > Ramallah / Palestina / RADIO NABD EL-AIAH – 7 LUGLIO 2025]. Le incursioni dei coloni israeliani nei campi di Taybeh infatti non sono una novità e nel 2024 erano state denunciate dagli abitanti, palestinesi e prevalentemente cristiani, e due associazioni israeliane cooperanti con il movimento anti-occupazione, KEREM NAVOT, che dal 2012 monitora l’espansione coloniale raccogliendo dati e testimonianze, e BREAKING THE SILENCE, che aggrega i veterani dell’esercito impegnati a far conoscere all’opinione pubblica la realtà della vita quotidiana nei territori palestinesi occupati da forze armate e civili israeliani: > Dal 1967 sui terreni di proprietà dei residenti sono sorti quattro > insediamenti israeliani – Rimonim, Kohav Ashahar, Ofra e Neve David. > > Negli ultimi anni si sono diffusi gli avamposti agricoli, il sistema più > utilizzato dai coloni per conquistare le terre palestinesi. Da fattorie > nomadi, generalmente composte da poche roulotte, i giovani coloni > radicalizzati estendendono il loro controllo sui terreni che ambiscono > possedere invadendoli con le proprie mandrie e anche con la violenza. > > Dopo il 7 ottobre su istigazione del ministro della sicurezza sazionale, il > suprematista ebraico Itamar Ben Gvir, il governo israeliano ha > significativamente allentato le leggi sulle armi. Lo scopo dichiarato era di > equipaggiare i coloni nella Cisgiordania occupata in caso di attacchi di > Hamas. > > Dei 10.000 fucili d’assalto distribuiti ai civili israeliani, una parte è > stata assegnata a loro: “All’inizio della guerra i coloni hanno approfittato > del caos e del sostegno dell’esercito, alla cui riserva si erano uniti, per > perseguire il loro progetto: ripulire l’Area C da tutti i suoi abitanti > palestinesi – spiega Yehuda Shaul, un fondatore di Breaking the Silence – I > coloni e i soldati ora sono la stessa cosa. Stiamo assistendo a un’annessione > silenziosa” [Il villaggio di Taybeh subisce violenze da parte dei coloni > israeliani / TERRE SAINTE – 27 APRILE 2024]. La situazione in Cisgiordania infatti sta degenerando: nei pressi di Sinjil un gruppo che protestava contro l’espansione è stato assaltato dai coloni israeliani, che hanno circondato i manifestanti e per oltre tre ore impedito alle ambulanze di soccorrere i feriti e così ucciso due giovani palestinesi, Mohammed al-Shalabi, proveniente dalla vicina al-Mazraa al-Sharqiya, e il 23enne cittadino statunitense Saif al-Din Musalat: > La violenza nel territorio è aumentata dall’inizio della guerra a Gaza, > nell’ottobre 2023. Da allora, soldati o coloni israeliani in Cisgiordania > hanno ucciso almeno 954 palestinesi, sia militanti che civili, secondo i dati > dell’Autorità palestinese. Nello stesso periodo, 36 israeliani, tra militari e > civili, sono stati uccisi in attacchi palestinesi o operazioni militari > israeliane, secondo le cifre ufficiali di Tel Aviv [Cisgiordania, 23enne > palestinese-americano picchiato a morte da coloni israeliani / IL FATTO > QUOTIDIANO – 11 LUGLIO 2025]. Maddalena Brunasti
La diplomazia ipocrita mentre continua la strage a Gaza e in Cisgiordania
Più di cento morti nelle ultime 24 nella Striscia di Gaza dove permane la situazione drammatica rispetto alla mancanza di cibo, acqua e medicinali, ancora due assassini in Cisgiordania tra cui un uomo con cittadinanza palestinese - Usa e continui attacchi dell'esercito israeliano e dei coloni. Tutto questo avviene nel quadro delle trattative per la tregua a Doha e del viaggio di Netanyahu appena rientrato dagli Usa dove il timore è che cercasse l'appoggio dell'alleato per una ripresa dei bombardamenti contro l'Iran. Ne parla Michele Giorgio inviato a Gerusalemme per Il Manifesto   Per l'immagine ringraziamenti a rawpixel.com
PALESTINA: GI USA SANZIONANO FRANCESCA ABANESE PER AVER DENUNCIATO LE AZIENDE COMPLICI DEL GENOCIDIO A GAZA
Usa e Israele definiscono a Washington la loro idea di “tregua” tra campi di concentramento – come quello con il quale vogliono confinare 600mila palestinesi a Rafah – e riconoscimento di fatto dell’occupazione totale della Palestina, dalla Striscia di Gaza a gran parte della Cisgiordania. Hamas vuole che nel documento vi siano un impegno esplicito per la fine permanente dei combattimenti, il ritiro totale delle truppe di Tel Aviv dalla Striscia e l’esclusione della finta ong israelo-statunitense GHF dalla lista delle organizzazioni che gestiranno gli aiuti umanitari. Le trattative non sembrano quindi vicine alla firma di un accordo come vorrebbe, almeno nelle dichiarazioni, Trump. Nel frattempo, l’esercito israeliano prosegue il genocidio: almeno altri 13 palestinesi sono stati uccisi in un raid che ha colpito Deir el Balah. Altre 4 persone sono state uccise in un attacco sul campo profughi di Al Bureij. In totale sono almeno 24 i palestinesi massacrati dai bombardamenti israeliani soltanto nelle prime ore di stamattina. L’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari fa sapere che dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi più di 15.000 studenti a Gaza. Secondo un conteggio effettuato dalle autorità educative della Striscia il 1° luglio, “almeno 15.811 studenti e 703 membri del personale educativo sono stati uccisi, mentre 23.612 studenti e 315 membri del personale educativo sono stati feriti, molti dei quali con conseguenze fisiche o psicologiche permanenti”. Raid, aggressioni e demolizioni da parte delle forze di occupazione israeliane continuano anche in Cisgiordania, dov’è ogni giorno più esplicita la volontà di espandere gli insediamenti dei coloni, cacciare la popolazione locale e annettere i territori allo stato di Israele. Stamattina i coloni hanno aggredito una donna a Masafer Yatta, nell’area di Hebron. Demolite poi dai bulldozer israeliani due case a Salfit. A Betlemme invece gli israeliani hanno sottratto altra terra ai palestinesi per costruire una strada tra diversi insediamenti coloniali. L’esercito occupante, infine, ha assaltato il quartiere di Al-Hadaf di Jenin facendo irruzione in alcune abitazioni. I militari hanno perquisito e danneggiato alcune case ed effettuato arresti, tra intimidazioni e spari. Gli Usa, infine, imporranno sanzioni a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi occupati. Lo ha annunciato il segretario di stato Usa Rubio, che farnetica di “illegittimi e vergognosi sforzi di Albanese per fare pressione sulla Corte Penale Internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani”. La “colpa” di Albanese – per statunitensi e israeliani – è quella di aver presentato un dettagliato rapporto sulle aziende coinvolte nel business del genocidio in Palestina, molte delle quali sono statunitensi, da Amazon ad Alphabet, da Microsoft a Palantir e Lockheed Martin. Il collegamento con Meri Calvelli cooperante in Palestina per ACS Associazione di Cooperazione e Solidarietà e direttrice del Centro Vik. Ascolta o scarica
PALESTINA: “NEGLI USA C’È UNA TRATTATIVA AMERICANI-AMERICANI”, MENTRE I BULLDOZER SONO AL LAVORO IN CISGIORDANIA E IL GENOCIDIO PROSEGUE
Genocidio a Gaza: anche stamattina le forze israeliane continuano a colpire Gaza, un campo profughi dopo una giornata di attacchi in cui sono morti almeno 95 palestinesi. 16 le persone uccise a partire dalle prime ore di questa mattina. Tra queste, otto persone sono state uccise in un attacco al campo profughi di Shati, due sono state uccise nel bombardamento di una casa a Deir el-Balah e due sono state uccise in un attacco con drone contro le tende a Khan Younis. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si sono incontrati per la seconda volta ieri per discutere di un cessate il fuoco a Gaza, ma non sembra esserci stata alcuna svolta. Secondo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu  si stanno aprendo opportunità per ampliare gli Accordi di Abramo. Lo riporta Haaretz.  Hamas afferma che “Gaza non si arrenderà” dopo che Netanyahu ha dichiarato che libererà i prigionieri israeliani rimasti nell’enclave devastata dalla guerra e sconfiggerà il gruppo palestinese. L’esercito israeliano ha rivendicato attacchi a diversi veicoli nel nord e nel sud del Libano, affermando che uno di questi attacchi ha ucciso un comandante di Hamas a Tripoli. Abbiamo chiesto a Shoukri Hroub, dell’UDAP – Unione Democratica Arabo Palestinese – un commento sul fronte diplomatico e gli aggiornamenti sull’iniziativa di solidarietà internazionale Freedom Flotilla. Ascolta o scarica