Tag - Kurdistan

Tre donne condannate a morte in Iran ottengono la cittadinanza onoraria in Italia
La città di Fabriano, in Italia, ha concesso la cittadinanza onoraria a tre donne condannate a morte dallo Stato iraniano: Pakshan Azizi, Sharifa Mohammadi e Warisha Muradi. La consigliera comunale di Fabriano, Marta Ricciuti, ha annunciato che la decisione è stata presa per onorare la lotta delle donne per i diritti civili e la giustizia sociale. La risoluzione proposta dalla Commissione per le Pari Opportunità di Genere, è stata approvata all’unanimità dal consiglio. In una dichiarazione sui social media ha affermato: “ Il conferimento della cittadinanza onoraria a Pakshan Azizi, Sharifa Mohammadi e Warisha Muradi è stato approvato all’unanimità dal nostro consiglio. Queste donne sono state condannate a morte per le loro attività pacifiche in difesa dei diritti delle donne e dei lavoratori”. Marta Ricciuti ha sottolineato che la cittadinanza onoraria non è solo un gesto simbolico, ma anche un modo per amplificare le voci di coloro che lottano per la libertà e la dignità umana in tutto il mondo. Ha aggiunto che l’iniziativa mira ad aumentare la pressione internazionale per fermare le esecuzioni e a spingere le autorità iraniane a rivedere le loro decisioni. “La libertà di pensiero e di espressione non è solo un diritto, ma anche un potente strumento di resistenza e solidarietà. Il silenzio, d’altra parte, è una forma di complicità”, ha affermato Ricciuti. L'articolo Tre donne condannate a morte in Iran ottengono la cittadinanza onoraria in Italia proviene da Retekurdistan.it.
CPT: l’esercito turco ha effettuato almeno 18 attacchi nel Kurdistan iracheno a luglio
Dall’inizio dell’anno, sono stati registrati 1.696 attacchi e raid militari da parte delle Forze armate turche (TAF) all’interno del Kurdistan iracheno, lo ha riferito il CPT Community Peacemaker Teams (CPT) – Kurdistan iracheno, che documenta le attività militari, politiche ed economiche della Turchia nel Kurdistan meridionale, ha condiviso i dati del mese di luglio. Nonostante la distruzione delle armi da parte del PKK, la Turchia ha effettuato almeno 18 bombardamenti e attacchi aerei tra il 1° e il 31 luglio, ha dichiarato il CPT. L’11 luglio, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha tenuto una cerimonia simbolica per segnare l’inizio del suo processo di disarmo, con diversi membri che hanno bruciato pubblicamente le loro armi, più di quattro mesi dopo aver annunciato la loro intenzione di sciogliersi. Questa decisione ha fatto seguito a un appello per la pace lanciato dal leader del PKK incarcerato Abdullah Öcalan a fine febbraio, seguito da un cessate il fuoco unilaterale dichiarato a marzo. “Con l’avvio del disarmo e i negoziati di pace in corso e gli sforzi per l’attuazione, gli attacchi militari turchi sono diminuiti drasticamente – del 97% rispetto al mese precedente – rappresentando un cambiamento significativo e la prima riduzione di questo tipo da molto tempo. Tuttavia, nonostante questo calo, le forze turche hanno lanciato una nuova operazione terrestre il 29 luglio e hanno continuato le attività militari che hanno ostacolato gli spostamenti dei civili e causato danni ai terreni agricoli”, ha affermato il CPT. Di conseguenza, tra il 1° e il 31 luglio sono stati documentati almeno 18 bombardamenti e attacchi aerei nel Kurdistan iracheno, in netto calo rispetto ai mesi precedenti. La maggior parte degli incidenti si è verificata nel governatorato di Duhok, in particolare nel distretto di Amedi. Questo totale include 17 bombardamenti di artiglieria, tutti concentrati ad Amedi, e un attacco con drone segnalato a Penjwen, nel governatorato di Sulaymaniyah, il primo incidente con drone registrato dall’annuncio del cessate il fuoco. Il CPT ha inoltre riferito quanto segue: Inoltre non sono stati registrati casi di utilizzo di droni da parte dell’Iran nelle zone di confine del governatorato di Slemani; sono stati documentati solo bombardamenti di artiglieria. Pertanto, è altamente probabile che si sia trattato di un drone turco. L’attacco ha anche innescato incendi nei terreni agricoli circostanti, che i civili locali hanno impiegato circa cinque ore per spegnere. Il 22 luglio, i residenti del villaggio di Dargale Musa Bage, situato nel sottodistretto di Kani Mase di Amedi, nel governatorato di Duhok, hanno tentato di tornare alle loro case e ai loro terreni agricoli dopo essere stati sfollati dal giugno dell’anno precedente. Tuttavia, i soldati turchi di stanza nella zona hanno negato loro l’ingresso. Secondo quanto riportato da fonti locali, i soldati hanno appiccato incendi attorno al perimetro del villaggio, che si sono rapidamente propagati ai villaggi di Dargale Musa Bage, Miska, Bave, Shilaza, Blizane e Qasrok. Gli incendi hanno causato ingenti danni e ci sono voluti quasi due giorni prima che i residenti locali li spegnessero. Il 29 luglio, la Turchia ha lanciato un’operazione di terra nel distretto di Batifa, appartenente all’amministrazione di Zakho, nel governatorato di Duhok, con il coinvolgimento di circa 250 soldati. L’operazione ha preso di mira i villaggi di Shilin, Shilane, Banke, Lehvane, Avlahe e Pirbila. Sul monte Siara Sttawre, le forze turche hanno istituito una nuova base militare. Ai residenti è stato ordinato di rimanere in casa e l’accesso a questi villaggi è stato proibito. Le forze turche hanno condotto operazioni di ricerca nella zona con l’obiettivo di salvare due agenti dell’Organizzazione Nazionale di Intelligence Turca (MIT), che sarebbero stati tenuti prigionieri dal PKK. Uno degli agenti è stato recuperato vivo, mentre l’altro è stato trovato deceduto. Nonostante l’operazione, le forze turche non si sono ritirate dalla nuova base e mantengono la loro presenza nell’area. Dall’inizio dell’anno, sono stati registrati 1.696 attacchi e raid militari da parte delle Forze armate turche (TAF) all’interno del Kurdistan iracheno. Questi incidenti hanno incluso 1.249 bombardamenti di artiglieria, 398 attacchi aerei da caccia e droni, 43 attacchi di elicotteri, 5 incidenti con armi leggere e 1 incidente con ordigni esplosivi. Inoltre, sono stati registrati 1.501 attacchi e raid nel governatorato di Duhok, 140 nel governatorato di Erbil, 55 nel governatorato di Sulaymaniyah e nessuno nel governatorato di Ninive. Inoltre, si sono verificate nove vittime civili, con tre morti e sei feriti. Nel complesso, i dati indicano che alcuni elementi del processo di pace di luglio hanno contribuito a una significativa riduzione di bombardamenti e attacchi. Tuttavia, le forze militari turche non si sono ritirate dalle aree contese; anzi, continuano a stabilire nuove basi militari, a impedire ai civili di tornare nelle loro terre sfollate e a incidere negativamente sui mezzi di sussistenza della popolazione. The post CPT: l’esercito turco ha effettuato almeno 18 attacchi nel Kurdistan iracheno a luglio first appeared on Retekurdistan.it. L'articolo CPT: l’esercito turco ha effettuato almeno 18 attacchi nel Kurdistan iracheno a luglio proviene da Retekurdistan.it.
L’Italia tace sul caso dell’attivista curdo Mehmet Çakas che rischia l’espulsione in Turchia
Mentre le autorità tedesche si preparano a deportare l’attivista curdo Mehmet Çakas in Turchia il 28 agosto, l’Italia, che lo ha consegnato a determinate condizioni, rimane in silenzio. L’attivista curdo Mehmet Çakas sarà deportato in Turchia alla fine del mese, nonostante le sentenze pendenti dei tribunali. Attualmente sta scontando una pena detentiva in Germania per appartenenza al PKK e sarebbe in grave pericolo in Turchia. Mehmet detenuto nel carcere di Uelzen, ha dichiarato in una nota tramite la sua famiglia che vorrebbe che il tribunale italiano mantenesse la garanzia che non potrà essere estradato in Turchia, garanzia data durante il processo di estradizione in Germania. Ha dichiarato di aver presentato domanda di asilo in Italia prima di essere consegnato alla Germania. Ha affermato che la procedura è stata interrotta dal suo arresto e ha chiesto che venisse riavviata e che gli venissero concessi i diritti di residenza. Mehmet ha rivolto un appello ai curdi in Italia, ai difensori dei diritti umani e agli ambienti democratici, sottolineando l’importanza di dare attuazione alla decisione della corte italiana e di esercitare una pressione pubblica a tal fine. Cansu Özdemir, membro del Parlamento federale (Bundestag) per Die Linke, ha portato la questione all’ordine del giorno del governo. Nella sua interrogazione parlamentare, Cansu Özdemir ha fatto riferimento alla decisione del Ministero federale di Giustizia del 2023, secondo cui la richiesta di estradizione di Çakas doveva essere respinta a causa della minaccia di una condanna all’ergastolo aggravata in Turchia. Il deputato del partito della sinistra ha chiesto se il Ministero federale degli Interni e l’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati (BAMF) avessero preso in considerazione questa decisione. Cansu Özdemir ha risposto: “Come si può spiegare che l’Ufficio federale per le migrazioni e i rifugiati non abbia imposto un divieto di espulsione nonostante la chiara valutazione dell’Ufficio federale di giustizia in merito a Mehmet Çakas?” The post L’Italia tace sul caso dell’attivista curdo Mehmet Çakas che rischia l’espulsione in Turchia first appeared on Retekurdistan.it. L'articolo L’Italia tace sul caso dell’attivista curdo Mehmet Çakas che rischia l’espulsione in Turchia proviene da Retekurdistan.it.
Şingal, undici anni dopo il genocidio yazida: il silenzio che pesa sull’umanità
Il 3 agosto è un’altra macchia nera nella storia dell’umanità. In quel giorno del 2014, si consumò ancora una volta una brutale operazione di pulizia etnica contro un popolo dimenticato: gli yazidi di Şingal. Questo popolo non è solo una minoranza religiosa, ma il simbolo vivente dell’identità storica del Kurdistan e il custode di una tradizione culturale millenaria che ha resistito nei secoli a ogni tentativo di cancellazione. Il 3 agosto non è solo una data di lutto, ma il ricordo doloroso di un genocidio pianificato e sistematico. Sciovinismo e fondamentalismo islamico, uniti da un’ideologia profondamente ostile ai Kurdi e alla loro esistenza, colpirono duramente. Sotto la bandiera dell’ISIS, lanciarono un attacco violento al Kurdistan passando per Şingal, una delle porte simboliche della resistenza curda. Il popolo yazida fu preso di mira con un piano preciso: annientarlo. L’obiettivo dell’ISIS e dei poteri che lo hanno sostenuto – tra cui la Turchia, l’Iran e il regime siriano – era chiaro: cancellare tutte le conquiste del popolo Kurdo, sia nel Kurdistan del Sud (Başûr) che nel Rojava. Riaffermare il proprio dominio politico e ideologico e, nel farlo, sradicare le radici spirituali e culturali degli yazidi. Eppure, l’ISIS non rappresentava solo una minaccia per il Medio Oriente. Mentre compiva massacri nel Kurdistan, colpiva anche l’Europa con attacchi sanguinosi. Il terrorismo non conosce confini, ma l’indifferenza sì. Durante l’assalto a Şingal, le forze dell’ISIS occuparono città e villaggi, massacrando uomini e deportando donne e bambini. Migliaia di donne yazide furono ridotte in schiavitù, vendute nei mercati come oggetti, sottoposte a torture, stupri e umiliazioni inimmaginabili. Chi riuscì a fuggire, spesso a piedi e senza nulla, cercò rifugio tra le montagne o in altre regioni del Kurdistan. Le montagne di Şingal, come sempre, si ergono fiere: divennero scudo e rifugio per gli yazidi in fuga. Ma questa tragedia non ha colpito solo una comunità. Ha colpito l’intera umanità. Il popolo curdo non rimase a guardare. Da ogni angolo del Kurdistan arrivarono aiuti, rifugi, braccia aperte. In particolare, le forze di difesa del Rojava mostrarono un coraggio straordinario, intervenendo rapidamente e fermando l’avanzata dell’ISIS con determinazione e sacrificio. Oggi Şingal è stata liberata. Molti yazidi sono tornati, lentamente, sulle terre dei propri avi. Ma le ferite di quel genocidio sono tutt’altro che guarite. Migliaia di persone risultano ancora disperse. Centinaia di donne yazide sono tuttora prigioniere o non identificate. Le loro famiglie aspettano, nell’angoscia, notizie che non arrivano. In questo contesto di dolore e speranza, la figura della donna yazida si è trasformata nel simbolo di una lotta silenziosa ma potente: quella contro l’oscurantismo, la schiavitù e il fanatismo religioso. Şingal oggi ha ancora bisogno. Ha bisogno di protezione, giustizia, ricostruzione. Ha bisogno di verità e memoria. E, soprattutto, ha bisogno del sostegno della comunità internazionale: non a parole, ma con impegni concreti. Serve giustizia per i sopravvissuti, sicurezza per chi vive ancora nella paura, e la piena libertà per chi vuole ricominciare. Eppure, in questa undicesima commemorazione del genocidio yazida, a parlare è il silenzio. I difensori dei diritti umani, la politica, i media occidentali… tacciono. Addormentati nell’indifferenza e nell’oblio. Pensano che l’ISIS sia stato sconfitto. Ma l’ISIS c’è ancora, sotto forma di cellule dormienti, e continua a colpire i Kurdi e il Kurdistan. L’Occidente non soffre solo di memoria corta: si comporta come un cavallo con i paraocchi. Guarda e commenta solo ciò che vuole vedere, e tutto il resto – compresa Şingal – viene lasciato ai margini della coscienza collettiva. La storia, però, non dimentica. La storia ha scritto il genocidio. E ha scritto, con la stessa forza, anche la resistenza delle donne di Şingal. Gulala Salih Presidente UDIK Unione donne Italiane e Kurde Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)
Il KNK chiede il riconoscimento dello status di Shengal nell’undicesimo anniversario del genocidio
In occasione dell’undicesimo anniversario del genocidio contro gli yazidi, il KNK ha chiesto il rispetto della volontà di Shengal e ha sottolineato la necessità che la regione sia protetta con uno status speciale. Il Congresso nazionale del Kurdistan (KNK) ha rilasciato una dichiarazione scritta in occasione dell’undicesimo anniversario del genocidio commesso contro il popolo yazida dall’ISIS a Shengal (Sinjar) il 3 agosto 2014. Il KNK ha condannato gli attacchi contro Shengal e ha sottolineato la propria opposizione a tutti i piani elaborati contro la volontà del suo popolo. La dichiarazione KNK include quanto segue: “Il 3 agosto 2014 è un giorno buio e doloroso, in cui è stato perpetrato l’ennesimo genocidio contro il nostro popolo yazida. Lo sciovinismo arabo, il fanatismo islamico e le forze reazionarie si sono uniti sotto una prospettiva anti-curda e anti-Kurdistan e hanno attaccato il Kurdistan attraverso le porte di Shengal sotto le mentite spoglie dell’ISIS. Shengal, l’antica patria del popolo yazida, è stata trasformata in un obiettivo pianificato di attacchi dell’ISIS. Tutte le forze di occupazione in Kurdistan hanno accolto con favore questi attacchi. Turchia, Iran e persino l’amministrazione di Baghdad e il regime sciovinista di Damasco hanno acconsentito a questi eventi. L’ISIS è diventato l’avanguardia dei sentimenti, delle idee e delle emozioni anti-curde e anti-Kurdistan emanati da questi centri di occupazione. L’ISIS ha fatto da innesco per i sistemi coloniali in Kurdistan. Con questo assalto, il loro obiettivo principale era quello di eliminare tutte le conquiste fatte dai curdi nel Kurdistan meridionale e occidentale, imporre nuovamente il colonialismo ai curdi e colpire la fede yazida attraverso il fanatismo islamico con l’obiettivo di sradicarla. Per questo motivo, hanno perpetrato un genocidio contro il nostro popolo yazida. Le orde dell’ISIS hanno invaso Shengal e hanno iniziato a massacrare il nostro popolo yazida. Hanno circondato e massacrato gli uomini, catturato donne e bambini e trascinato nel loro oscuro mondo islamista. Hanno venduto migliaia di donne yazide che avevano fatto prigioniere nei mercati corrotti. Le hanno sottoposte a stupri sistematici. Quelle che sono riuscite a sfuggire dalle atrocità dell’ISIS sono fuggite in altre regioni del Kurdistan in condizioni di estrema povertà. Il monte Shengal è tornato a essere un rifugio per la resistenza del popolo yazida. Questi tragici atti contro il popolo yazida hanno scosso il Kurdistan e il mondo. I curdi sono accorsi in aiuto del popolo yazida da ogni parte. In particolare, i guerriglieri dell’HPG e le forze YPG-YPJ hanno dato prova di grande eroismo e abnegazione, intervenendo rapidamente e fermando gli attacchi. La popolazione del Kurdistan si è mobilitata su ogni fronte, civile e militare. Da un lato, combattendo contro l’ISIS, dall’altro, si è presa cura degli sfollati. Anche gli ambienti umanitari internazionali hanno fornito un supporto significativo in termini sia militari che umanitari. Le forze nazionali del Kurdistan hanno protetto il popolo yazida con una grande resistenza. L’ISIS è stato fermato grazie a questa unità nazionale e internazionale e Shengal e altre regioni curde sono state liberate. Sebbene Shengal sia stata liberata dall’ISIS e molti yazidi siano tornati in patria da allora, le ferite del 3 agosto 2014 sanguinano ancora. Il destino di molte donne yazide catturate rimane sconosciuto. Sfortunatamente, il governo iracheno e le forze del KDP, che in quel momento si trovavano a Shengal e avevano il compito di proteggere la città, non sono riusciti a farlo. Per questo motivo, questa tragedia ha trasformato le donne yazide in un simbolo della lotta contro i reazionari islamisti, il fanatismo e le mentalità oscure. Questa questione deve essere mantenuta all’ordine del giorno in tutta la sua gravità. Molti dei nostri yazidi vivono ancora come rifugiati in condizioni difficili; molti sono ospitati nei campi e non sono tornati a Shengal. È necessario aprire le strade per il loro ritorno e rafforzare gli sforzi nazionali e internazionali per migliorare le loro condizioni di vita. Il PDK, che fa parte dell’amministrazione di Bashur, e il governo di Baghdad hanno firmato un accordo il 9 ottobre 2020, senza consultare la popolazione di Shengal, con l’obiettivo di lasciare la città e i suoi abitanti nuovamente indifesi e impotenti. La Turchia è stata molto soddisfatta di questo accordo. Così come ha collaborato con l’ISIS nell’occupazione di Shengal, ha anche contribuito all’accordo del 9 ottobre. La popolazione di Shengal e le forze che la difendono non accettano questo accordo e si oppongono. Grazie alla resistenza della popolazione di Shengal, questo accordo non è stato ancora attuato e non dovrebbe esserlo nemmeno in futuro. La volontà del popolo di Shengal deve essere rispettata e nessun piano deve essere imposto contro la sua volontà. La popolazione yazida ha subito brutali attacchi per secoli a causa della sua fede. Questa situazione rivela una verità: Shengal deve sia proteggersi che governarsi. Pertanto, Shengal deve godere di uno status speciale e autonomo all’interno del Kurdistan. Sono trascorsi undici anni dal genocidio del 2014, ma le minacce e i pericoli che Shengal deve affrontare non sono cessati. Forze oscure e nemici dei curdi sono ancora impegnati in piani e giochi sporchi. Cercano nuovi genocidi, con l’obiettivo di espellere da Shengal coloro che professano la fede yazida e di separare questa città dal Kurdistan. A questo proposito, tutti i curdi e i curdisti devono rimanere vigili e difendere la terra yazida. Nell’anniversario dei tragici eventi che hanno colpito il nostro popolo yazida, i cuori del popolo curdo sono spezzati e ancora feriti. Guarire queste ferite e alleviare questo dolore è possibile solo attraverso l’unità nazionale del popolo curdo e del popolo del Kurdistan. Il KNK spera che il ricordo di questo genocidio inflitto al nostro popolo yazida serva da catalizzatore per l’unità nazionale, che tutte le componenti del Kurdistan si uniscano per liberare la nostra patria, il Kurdistan, dall’occupazione e che il nostro popolo raggiunga la vera libertà” The post Il KNK chiede il riconoscimento dello status di Shengal nell’undicesimo anniversario del genocidio first appeared on Retekurdistan.it. L'articolo Il KNK chiede il riconoscimento dello status di Shengal nell’undicesimo anniversario del genocidio proviene da Retekurdistan.it.
KCK: Il popolo di Şengal ha aperto un nuovo capitolo con la sua resistenza
“La storia non ha registrato solo il massacro del 3 agosto, ma anche la grande resistenza e l’eroismo che hanno avuto inizio in quel 3 agosto. I bambini, le donne e i giovani di Şengal hanno scritto una nuova storia resistendo a uno degli attacchi più brutali della storia.” “Sono trascorsi undici anni dal massacro di Şengal [Sinjar] perpetrato dall’ISIS il 3 agosto 2014, che il popolo Êzidî (yazidi) definisce il ‘74° Ferman’ (genocidio). Nonostante siano trascorsi undici anni, il dolore per questo massacro è ancora vivo e le ferite non si sono ancora rimarginate. Perché ciò che è stato inflitto al popolo ezide a Şengal il 3 agosto 2014 è stato straziante, vergognoso e inimmaginabile. Migliaia di persone uccise, migliaia di donne rapite, vendute come schiave e violentate, le case saccheggiate e centinaia di persone, bambini e anziani che fuggirono dal massacro e finirono nel deserto morirono di fame e di sete. Migliaia di donne ezide risultano ancora disperse. Decine di fosse comuni non sono ancora state aperte. Ciò che il popolo ezida ha dovuto sopportare nel XXI secolo, che si vanta del proprio progresso, è una vergogna per l’umanità in ogni senso. Ancora una volta, condanniamo fermamente il massacro di Şengal, uno dei massacri più brutali della storia dell’umanità, così come l’ISIS, la sua mentalità e tutte le forze che lo sostengono. Commemoriamo con rispetto coloro che hanno perso la vita nel massacro di Şengal. Dichiariamo ancora una volta che sentiamo profondamente il dolore del popolo di Şengal e che saremo sempre al loro fianco nel loro cammino verso il superamento del Ferman e il raggiungimento della libertà. I peshmerga del KDP e l’esercito iracheno, che dispongono di una grande forza militare e il cui compito era garantire la sicurezza di Şengal, non hanno difeso Şengal e hanno lasciato che la popolazione affrontasse il massacro. La popolazione di Şengal, abbandonata al suo destino, è rimasta indifesa contro le bande assassine dell’ISIS. Ciò ha causato le conseguenze più tragiche e dolorose. Nonostante il dolore causato, non è stata fatta alcuna autocritica e non è stata richiesto di risponderne sulla responsabilità. Bisogna sapere che le pagine indelebili della storia hanno registrato questa vergogna, così come la brutalità dell’ISIS. Sia l’ISIS, che coloro che hanno istigato l’ISIS ad attaccare Şengal miravano a continuare il massacro fino a quando non fosse rimasto un solo ezida e a cancellare il popolo ezida dalla storia. Questo obiettivo è stato impedito grazie allo storico intervento di un piccolo gruppo di guerriglieri sui monti Şengal e alla grande determinazione e resilienza della popolazione di Şengal, dei suoi giovani e delle sue donne. Il genocidio totale è stato impedito grazie alla resistenza dei guerriglieri e del popolo di Şengal. Centinaia di ragazzi ezidi si erano unti alla linea di resistenza formata contro l’ISIS a fianco dei guerriglieri e sono caduti come martiri. Ricordiamo con grande rispetto i guerriglieri caduti come martiri e i giovani ezidi caduti come martiri, e chiniamo il capo in segno di rispetto davanti alla loro memoria. Questa posizione onorevole e questa linea di lotta non solo hanno impedito un grande genocidio, ma hanno anche gettato le basi affinché il popolo di Şengal possa esistere oggi con la propria lingua, fede, cultura e identità e a difendersi per non dover mai più sperimentare un altro Ferman. La lotta del popolo di Şengal per impedire che simili massacri si ripetano è estremamente giustificata e legittima. Non sostenere il popolo di Şengal nella sua causa di autodifesa e autogoverno, per non parlare di opporsi a esso, è inaccettabile. Il fatto che il popolo ezide, che ha sofferto molti fermani nel corso della storia a causa delle sue convinzioni e della sua identità, ora abbia autogoverno e autodifesa non è né una richiesta massimalista né una violazione dei diritti di nessuno. Si tratta di richieste del tutto minime e legittime. Non esiste alcuna base legittima, legale o sociale per opporsi alle richieste della popolazione di Şengal. Al contrario, il diritto internazionale, la legislazione e i diritti umani fondamentali, così come i valori umani universali, l’etica sociale e la coscienza, ci impongono di sostenerli. Dal punto di vista dello Stato iracheno, la soluzione più appropriata è risolvere la questione di Şengal garantendo l’autogoverno e l’autodifesa del popolo. Tale soluzione è infatti richiesta anche dalla Costituzione irachena. Mentre commemoriamo ancora una volta il massacro del 3 agosto, ci congratuliamo con la popolazione di Şengal, che è riuscita a preservare la propria esistenza resistendo a uno degli attacchi più brutali e gravi della storia. La storia non ha registrato solo il massacro del 3 agosto, ma anche la grande resistenza e l’eroismo che hanno avuto inizio da quel 3 agosto. I bambini, le donne e i giovani del popolo Şengal hanno scritto una nuova storia resistendo a uno degli attacchi più brutali della storia. Crediamo che il nostro popolo ezida otterrà la libertà con l’attuale “Processo di pace e società democratica”. The post KCK: Il popolo di Şengal ha aperto un nuovo capitolo con la sua resistenza first appeared on Retekurdistan.it. L'articolo KCK: Il popolo di Şengal ha aperto un nuovo capitolo con la sua resistenza proviene da Retekurdistan.it.
Il partito DEM chiede il riconoscimento del genocidio degli yazidi
Il partito DEM ha invitato la comunità internazionale e lo Stato turco a riconoscere il genocidio degli yazidi nel suo undicesimo anniversario. In una dichiarazione scritta, Yüksel Mutlu, vicepresidente del partito DEM responsabile della Commissione per i popoli e le credenze, ha affermato che l’attacco compiuto dalle bande dell’ISIS contro il popolo yazida a Shengal il 3 agosto 2014 “è rimasto impresso nella storia dell’umanità come una macchia oscura”. La dichiarazione recita: “Durante questa atrocità, più di 5.000 yazidi sono stati massacrati, migliaia sono stati rapiti; donne e bambini sono stati ridotti in schiavitù e sottoposti a torture sistematiche. Nonostante siano trascorsi 11 anni, oltre mille donne e bambini yazidi risultano ancora dispersi e il loro destino rimane sconosciuto. Sebbene alcune istituzioni e stati internazionali abbiano riconosciuto questi attacchi come genocidio, l’opinione pubblica internazionale non ne ha ancora formulato un riconoscimento completo e vincolante”. Avvertendo che Shengal è ancora sotto minaccia, il Partito DEM ha dichiarato: “Condanniamo il genocidio commesso contro il popolo yazida e ricordiamo ancora una volta con profondo dolore coloro che abbiamo perso. Affermiamo con forza il nostro sostegno alla lotta dell’antico popolo yazida per la giustizia, la verità e la libertà. Chiediamo alla comunità internazionale e allo Stato turco di riconoscere questo genocidio contro il popolo yazida, di rispettare la volontà del popolo di Shengal, di avviare gli sforzi necessari per localizzare le persone scomparse e di assumersi la responsabilità affinché gli yazidi possano vivere liberamente e in sicurezza nelle loro terre.” The post Il partito DEM chiede il riconoscimento del genocidio degli yazidi first appeared on Retekurdistan.it. L'articolo Il partito DEM chiede il riconoscimento del genocidio degli yazidi proviene da Retekurdistan.it.
13 anni fa, la rivoluzione del Rojava
Oggi ricorre il 13° anniversario della Rivoluzione del Rojava. Il 19 luglio 2012 i curdi hanno trovato il loro “Giorno della libertà” quando la popolazione di Kobane ha assunto il controllo del proprio destino respingendo le forze siriane di Assad e iniziando a stabilire il proprio autogoverno. Il giorno seguente, il 20 luglio, la popolazione di Afrin si è unita a loro in questa impresa, innescando nei giorni e nei mesi successivi in tutta la regione un’ondata di resistenza vittoriosa che sarebbe poi diventata il Rojava. L’eroica resistenza di questi uomini e donne curdi in difficoltà suscitò immediatamente la solidarietà degli osservatori di tutto il mondo e i popoli di tutte le nazioni si mobilitarono in difesa di Kobane. Quella che è diventata nota come la Rivoluzione del Rojava ha tratto ispirazione diretta dalla leadership e dagli scritti di Abdullah Öcalan; è stata un’attuazione pratica delle sue idee politiche fondamentali e un contributo unico alla politica del Kurdistan e della più ampia regione del Medio Oriente, con implicazioni globali e lezioni preziose per tutti i popoli del mondo. Le donne sono state in prima linea e continuano a svolgere un ruolo cruciale nel nuovo modello di società attuato. Tutte le diverse nazioni e credenze del Rojava e della Siria settentrionale hanno aderito alla Rivoluzione del 19 luglio con le proprie caratteristiche e identità. Cominciarono a lavorare insieme per costruire un nuovo sistema democratico sulla strada della democratizzazione. Nel sistema democratico sviluppato, vennero elaborate soluzioni democratiche ai problemi legati alle donne in quanto genere oppresso e ha cominciato a delinearsi un sistema politico e sociale come alternativa al capitale globale e al sistema capitalista. La cosiddetta Primavera araba è iniziata in Tunisia nel 2010 e si è diffusa in altri paesi arabi e nordafricani, raggiungendo anche la Siria. Mentre il movimento popolare muoveva i primi passi in Siria il regime Baath, in vigore fin dal 1963, aveva risposto con metodi oppressivi ancora più severi per proteggere il proprio potere. Con l’inizio della rivoluzione siriana, il 15 marzo 2011, i popoli del Rojava e della Siria settentrionale hanno chiesto libertà, democrazia e uguaglianza, organizzando numerose manifestazioni. Anche le popolazioni che vivono nella Siria settentrionale hanno chiesto la fine della politica di negazione imposta dal regime Baath. Le donne del Rojava e della Siria settentrionale, con le loro diverse caratteristiche, avevano cominciato ad assumere l’iniziativa nella lotta che si stava sviluppando. L’essenza del lavoro svolto nella lotta nella Siria settentrionale e nel Rojava è una lotta per la democrazia dei popoli, ma sono state le donne ad aggiungervi il loro tocco particolare. Le idee di Öcalan hanno costituito la base dell’organizzazione In Rojava e nella Siria settentrionale, le donne hanno guidato le manifestazioni e non c’è dubbio che la prospettiva ideologica e pratica della lotta sia stata mutuata dalla filosofia del leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), Abdullah Öcalan. Erano contrarie alla cospirazione regionale e internazionale. Nel Rojava e nella Siria settentrionale, nel 2005 le donne hanno fondato una propria organizzazione, chiamandola Yekitiya Star. Yekitiya Star, primo passo nella lotta per la liberazione delle donne, ha raggiunto gradualmente un nuovo livello di organizzazione in campo politico, militare, sociale, diplomatico e culturale con l’inizio della rivoluzione.  Sebbene nella regione fossero soprattutto le donne curde a essere coinvolte nella lotta per la libertà e nell’organizzazione, ben presto altre donne provenienti da tutta la regione si unirono e si unirono sia alla lotta che all’organizzazione. In questo modo l’organizzazione femminile nata come Yekitiya Star si è presto allargata fino a includere varie strutture etniche e religiose e ha continuato a coprire vari campi come quello politico, militare e sociale. Le donne hanno rafforzato la loro solidarietà nella rivoluzione siriana Seguendo lo slogan del rafforzamento della solidarietà delle donne nella rivoluzione siriana, Yekitiya Star ha fondato l’Iniziativa delle donne siriane, che ha portato avanti numerose diverse iniziative. L’incontro preparatorio dell’Iniziativa delle donne siriane sotto la guida di Yekitiya Star è stato organizzato nella regione di Cizire con lo slogan “Qualunque sia la loro nazione, fede e società, le donne di Cizire sono una cosa sola”. Il 28 marzo si è tenuta a Qamishlo la conferenza di fondazione dell’Iniziativa delle donne siriane e il 17 novembre è stato inaugurato il primo ufficio nella stessa Qamishlo. Sono stati organizzati programmi di formazione per donne in diverse parti del Rojava e della Siria settentrionale. Nell’ultimo periodo, i corsi di formazione si sono svolti nelle nuove aree liberate. Ad Afrin, Kobane e Cizire è stata aperta la Mala Jin (Casa delle Donne). L’idea era che le donne dovessero essere in grado di risolvere i loro problemi, di attuare i principi di giustizia sociale, di garantire lo sviluppo sociale contro le menti reazionarie, di partecipare a tutte le sfere della società per una società ecologica, democratica e libera. Il 21 gennaio 2014 sono stati istituiti l’Amministrazione autonoma democratica e il Consiglio delle donne, ampliando così le opportunità e i progetti per le donne nei settori dell’amministrazione, della diplomazia e dell’economia. Da Zehra Penaber a Raqqa: operazioni di liberazione La città di Kobane è stata teatro di numerosi eventi storici ed eroici. Le Unità di Difesa delle Donne (YPJ) in questa città hanno resistito al sistema patriarcale in nome di tutte le donne e hanno ricevuto il sostegno delle donne di tutto il mondo. Dopo l’attacco dell’ISIS a Kobane, il 15 settembre 2014, le donne si sono impegnate attivamente nella difesa della città dai mercenari che minacciavano il mondo e imponevano la schiavitù alle donne. Le donne combattenti hanno preso posto in prima linea durante tutta la resistenza e hanno portato a termine numerose azioni. Arin Mirkan è diventata il simbolo della lotta con l’azione da lei compiuta il 5 ottobre 2014. Zehra Penaber, Hebun Derik ed Evindar sono tra i comandanti leggendari i cui nomi passeranno alla storia. Hanno dimostrato al mondo intero che le donne possono difendersi e sconfiggere i mercenari dell’ISIS. Avesta e Barin, simboli della resistenza di Afrin Le donne hanno ottenuto risultati storici contro l’esercito turco invasore e i suoi alleati mercenari attraverso la leggendaria resistenza condotta sui monti Afrin. Come Arin Mirkan, Avesta Xabur è diventata un simbolo leggendario nella lotta per la libertà di tutte le donne del mondo grazie alla sua resistenza ad Afrin. Barin Kobane è un’altra donna il cui nome è stato scritto nella storia della resistenza femminile. Barin Kobane, come Arin e Avesta, hanno aperto la strada a molti altri Barin, Arin e Avesta pronti a combattere contro l’ISIS e contro il fascismo nella resistenza dell’epoca. L'articolo 13 anni fa, la rivoluzione del Rojava proviene da Retekurdistan.it.
Un altro domani in Turchia
Solo la storia dirà se è stata una follia o un coraggioso cambio di paradigma, più grande della speranza e di ciò che talvolta la mente immagina durante la notte. La paura di un nuovo tradimento da parte del potere è dietro l’angolo, ma il movimento di liberazione curdo, dal 27 febbraio a oggi, ha proseguito senza sosta. E se la guerra è tornata a essere il mantra del capitalismo globale – tra conflitti tra Stati, guerre per il territorio o la cosiddetta “guerra alla droga” – il PKK, cambiando la sua forma di lotta, rompe anche con il paradigma bellicista. È un passo tutt’altro che facile o garantito, un passo che mette paura, apre spazi critici, paure, giudizi da parte di chi preferisce ripetere un presente già sconfitto piuttosto che rischiare per un futuro incerto. Il movimento curdo e il neozapatismo dell’EZLN sono oggi le uniche narrazioni politiche capaci di sfidare il futuro, rompendo con le logiche del Novecento e con la comodità, staccandosi dai blocchi e avendo il coraggioso impulso di cambiare rotta senza perdere di vista l’obiettivo: un mondo diverso, possibile per tutti. Confondono, rischiano e così sopravvivono, si rinnovano e danno ossigeno alle resistenze mondiali. Il loro gesto – lontano dall’essere mera simbologia – di bruciare le armi invece che consegnarle al governo segna un punto di non ritorno. Consegnarle sarebbe stato un atto di resa; bruciarle, invece, rappresenta un rifiuto radicale della logica della guerra e della violenza. È un messaggio fortissimo rivolto a Erdoğan e al governo: “non ci fidiamo, vi sfidiamo” e, per la prima volta nella storia, un presidente ha dovuto riconoscere le violenze subite dal popolo curdo. Dietro il sorriso di Erdoğan si delinea già il prossimo passo per canalizzare e controllare questa transizione: “Il primo atto sarà costituire una commissione parlamentare per seguire questo processo”, cercando di far rientrare nel percorso istituzionale ciò che nasce piuttosto come una rottura dal basso. Per la prima volta dal 1999, Öcalan è tornato a parlare in video: “La lotta armata ha raggiunto il suo scopo: con il riconoscimento dell’identità curda, è finita. Ora dobbiamo iniziare un nuovo capitolo e adottare un linguaggio basato sulla ragione e sulla buona volontà… Questo rappresenta una transizione volontaria da una fase di conflitto armato a una di politica democratica e di diritto”. Dal sud-est della Turchia emergono nuove reti mutualistiche, esperienze di autogoverno e pratiche comunitarie, che ricuciono una società lacerata da decenni di guerra e repressione. Le cronache parlano di assemblee spontanee, reti femminili per progetti di educazione e cura, autorità locali che, nonostante minacce di arresto, discutono apertamente di transizione postbellica. “Il nostro obiettivo non è solo deporre le armi, ma costruire una società democratica, libera e giusta. Siamo determinate e determinati a portare questa lotta in ogni villaggio, città e quartiere, con la partecipazione di donne, giovani e di tutte le persone che credono che la libertà non abbia bisogno di un fucile per esistere”, hanno spiegato Carcel e Ozan, militanti storici del movimento, in un’intervista ad ANF. Naturalmente, la repressione non cessa: la destra turca, insieme alle strutture militari e giudiziarie, continua ad attaccare oppositrici e oppositori, autorità locali, giornalisti e chiunque osi parlare di autonomia. Tuttavia, la fiamma delle armi tolte dalle mani alle potenze repressive rimuove il grande pretesto del terrorismo – la stessa macchina che la NATO e gli alleati hanno tollerato – e ora questa deve confrontarsi con la luce del fuoco. Da un lato, resta la sfida politica di costruire giorno dopo giorno un’alternativa che non riproduca vecchie gerarchie interne, antiche logiche di potere o scorciatoie armate. Se resisterà alla repressione e ai tradimenti e se potrà diventare un esempio per altre lotte nel Mediterraneo e in Medio Oriente, lo dirà la storia. Dall’altro, il movimento curdo che abbandona le armi ma non il conflitto sociale per un domani differente, ora deve pensare a come far tornare alla vita civile e all’azione politica chi era nella clandestinità del PKK. “Sappiamo che lasciare le armi non significa abbandonare la lotta: è un ulteriore passo per radicarci ancora di più nelle strade, nei villaggi e nelle città, con un’organizzazione popolare che nessun esercito potrà disarmare”, hanno dichiarato unità del PKK ad ANF. Chi desidera pace, diritti umani e rispetto per i popoli in Turchia non ha più una bandiera da sventolare, ma un falò acceso da alimentare con la forza di chi non si arrende. Fonte: https://www.jornada.com.mx/2025/07/15/opinion/010a1pol?utm_source=chatgpt.com “Un mañana distinto en Turquía – La Jornada” Redazione Italia
Gruppo per la pace e la società democratica: Distruggiamo volontariamente le nostre armi
Il “Gruppo per la pace e la società democratica” ha annunciato: “Distruggiamo volontariamente le nostre armi, davanti a voi, come gesto di buona volontà e determinazione”. Gli occhi e le orecchie del mondo sono puntati sulla cerimonia che si tiene nella città di Sulaymaniyah, nella regione del Kurdistan Federale. Il PKK, fondato dal leader curdo Abdullah Öcalan durante il Newroz del 1973 presso la diga di Çubuk ad Ankara e annunciato il 27 novembre 1978 nel villaggio di Fis, nel distretto di Licê di Amed (Diyarbakır), ha compiuto un passo storico. Un gruppo di membri del PKK ha distrutto le proprie armi durante una cerimonia. Abdullah Öcalan, insieme ai detenuti del carcere di Imrali, ha lanciato un appello storico nell’ambito del “Processo di pace e società democratica”. Nella videochiamata pubblicata il 9 luglio, ha sottolineato: “La fase che abbiamo raggiunto ci impone di intraprendere nuovi passi concreti. Non credo nelle armi, ma nel potere della politica e della pace sociale e vi invito a mettere in pratica questo principio”. La KCK ha risposto all’appello di Abdullah Öcalan, affermando: “Siamo determinati a compiere il passo che il leader Apo vuole che facciamo”. La dichiarazione della KCK ha sottolineato che il processo deve essere affrontato correttamente e che devono essere adottate le misure necessarie. L’agenzia stampa Firat News ha pubblicato la dichiarazione del gruppo dopo la cerimonia. La dichiarazione recita quanto segue: Al nostro popolo e all’opinione pubblica In qualità di membri del “Gruppo per la pace e la società democratica”, formato per accelerare il processo di cambiamento e trasformazione democratica, salutiamo rispettosamente voi e tutti coloro che sono testimoni del nostro storico passaggio democratico. Per difendere l’esistenza dei curdi dagli attacchi di negazione e annientamento, noi, combattenti per la libertà, uomini e donne, ci siamo uniti al PKK in momenti diversi e abbiamo condotto lotte per la libertà in diverse regioni. Siamo qui ora per rispondere all’appello del leader del popolo curdo, Abdullah Öcalan, lanciato il 19 giugno 2025. La nostra presenza si basa qui, allo stesso tempo, sull’appello del Leader Abdullah Öcalan del 27 febbraio 2025 e sulle risoluzioni del XII Congresso del PKK, riunitosi dal 5 al 7 maggio 2025. Per garantire il successo pratico del processo di “Pace e società democratica”, per condurre la nostra lotta socialista per la libertà e la democrazia e lotta con metodi di politica legale e democratica sulla base dell’emanazione di leggi per l’integrazione democratica, distruggiamo volontariamente le nostre armi, davanti a voi, come gesto di buona volontà e determinazione. Ci auguriamo che questo passo porti pace e libertà e abbia esiti propizi per il nostro popolo, per i popoli della Turchia e del Medio Oriente e per tutta l’umanità, in particolare per le donne e i giovani. Condividiamo pienamente le parole del leader Abdullah Öcalan, che ha affermato: “Non credo nelle armi, ma nel potere della politica e della pace sociale e vi invito a mettere in pratica questo principio”. Siamo orgogliosi e onorati di fare ciò che è necessario per questo principio storico. Come sapete, le cose non sono avvenute facilmente, senza alcun costo e senza lottare. Al contrario, ogni conquista è stata ottenuta a caro prezzo, con la lotta strenua e con le unghie e con i denti. E ciò che seguirà richiederà sicuramente una lotta strenua. Siamo ben consapevoli di questo fatto e, con l’obiettivo di garantire maggiori conquiste democratiche, crediamo con tutto il cuore nell’intuizione e nel paradigma del leader Abdullah Öcalan, confidando in noi stessi e nella forza collettiva della nostra comunità di compagni. Considerata la crescente pressione fascista e lo sfruttamento in tutto il mondo e l’attuale bagno di sangue in Medio Oriente, il nostro popolo ha più che mai bisogno di una vita pacifica, libera, equa e democratica. In tale contesto, sentiamo e comprendiamo pienamente la grandezza, la rettitudine e l’urgenza del passo che abbiamo compiuto. Ci auguriamo che tutti, i giovani e le donne, i lavoratori e gli operai, le forze socialiste e democratiche, tutti i popoli e l’umanità, osservino, comprendano e apprezzino il valore storico del nostro passo per la pace e la democrazia. Facciamo appello alle forze regionali e globali responsabili delle sofferenze del nostro popolo affinché rispettino i più legittimi diritti democratici e nazionali del nostro popolo e sostengano il processo di “Pace e società democratica”. Invitiamo tutti i popoli, gli ambienti socialisti e democratici, gli intellettuali, gli scrittori, gli accademici, gli avvocati, gli artisti e i politici a comprendere appieno il nostro passo storico e a essere solidali con il nostro popolo. Li invitiamo inoltre a partecipare più attivamente alla lotta per la libertà fisica del leader Abdullah Öcalan e per una soluzione democratica della questione curda, e a sviluppare e rafforzare la lotta e la solidarietà internazionale democratica e socialista a livello globale. Invitiamo il nostro popolo e le sue forze politiche a comprendere correttamente le caratteristiche di questo storico processo di “Pace e società democratica” sviluppato dal leader APO, a svolgere con successo i propri doveri e responsabilità nei campi educativo, organizzativo e operativo e a sviluppare la vita democratica. L’oppressione e lo sfruttamento finiranno; la libertà e la solidarietà prevarranno. Il processo di “Pace e Società Democratica” avrà sicuramente successo. Il Gruppo per la Pace e la Società Democratica 11 luglio 2025 L'articolo Gruppo per la pace e la società democratica: Distruggiamo volontariamente le nostre armi proviene da Retekurdistan.it.