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13 anni fa, la rivoluzione del Rojava
Oggi ricorre il 13° anniversario della Rivoluzione del Rojava. Il 19 luglio 2012 i curdi hanno trovato il loro “Giorno della libertà” quando la popolazione di Kobane ha assunto il controllo del proprio destino respingendo le forze siriane di Assad e iniziando a stabilire il proprio autogoverno. Il giorno seguente, il 20 luglio, la popolazione di Afrin si è unita a loro in questa impresa, innescando nei giorni e nei mesi successivi in tutta la regione un’ondata di resistenza vittoriosa che sarebbe poi diventata il Rojava. L’eroica resistenza di questi uomini e donne curdi in difficoltà suscitò immediatamente la solidarietà degli osservatori di tutto il mondo e i popoli di tutte le nazioni si mobilitarono in difesa di Kobane. Quella che è diventata nota come la Rivoluzione del Rojava ha tratto ispirazione diretta dalla leadership e dagli scritti di Abdullah Öcalan; è stata un’attuazione pratica delle sue idee politiche fondamentali e un contributo unico alla politica del Kurdistan e della più ampia regione del Medio Oriente, con implicazioni globali e lezioni preziose per tutti i popoli del mondo. Le donne sono state in prima linea e continuano a svolgere un ruolo cruciale nel nuovo modello di società attuato. Tutte le diverse nazioni e credenze del Rojava e della Siria settentrionale hanno aderito alla Rivoluzione del 19 luglio con le proprie caratteristiche e identità. Cominciarono a lavorare insieme per costruire un nuovo sistema democratico sulla strada della democratizzazione. Nel sistema democratico sviluppato, vennero elaborate soluzioni democratiche ai problemi legati alle donne in quanto genere oppresso e ha cominciato a delinearsi un sistema politico e sociale come alternativa al capitale globale e al sistema capitalista. La cosiddetta Primavera araba è iniziata in Tunisia nel 2010 e si è diffusa in altri paesi arabi e nordafricani, raggiungendo anche la Siria. Mentre il movimento popolare muoveva i primi passi in Siria il regime Baath, in vigore fin dal 1963, aveva risposto con metodi oppressivi ancora più severi per proteggere il proprio potere. Con l’inizio della rivoluzione siriana, il 15 marzo 2011, i popoli del Rojava e della Siria settentrionale hanno chiesto libertà, democrazia e uguaglianza, organizzando numerose manifestazioni. Anche le popolazioni che vivono nella Siria settentrionale hanno chiesto la fine della politica di negazione imposta dal regime Baath. Le donne del Rojava e della Siria settentrionale, con le loro diverse caratteristiche, avevano cominciato ad assumere l’iniziativa nella lotta che si stava sviluppando. L’essenza del lavoro svolto nella lotta nella Siria settentrionale e nel Rojava è una lotta per la democrazia dei popoli, ma sono state le donne ad aggiungervi il loro tocco particolare. Le idee di Öcalan hanno costituito la base dell’organizzazione In Rojava e nella Siria settentrionale, le donne hanno guidato le manifestazioni e non c’è dubbio che la prospettiva ideologica e pratica della lotta sia stata mutuata dalla filosofia del leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), Abdullah Öcalan. Erano contrarie alla cospirazione regionale e internazionale. Nel Rojava e nella Siria settentrionale, nel 2005 le donne hanno fondato una propria organizzazione, chiamandola Yekitiya Star. Yekitiya Star, primo passo nella lotta per la liberazione delle donne, ha raggiunto gradualmente un nuovo livello di organizzazione in campo politico, militare, sociale, diplomatico e culturale con l’inizio della rivoluzione.  Sebbene nella regione fossero soprattutto le donne curde a essere coinvolte nella lotta per la libertà e nell’organizzazione, ben presto altre donne provenienti da tutta la regione si unirono e si unirono sia alla lotta che all’organizzazione. In questo modo l’organizzazione femminile nata come Yekitiya Star si è presto allargata fino a includere varie strutture etniche e religiose e ha continuato a coprire vari campi come quello politico, militare e sociale. Le donne hanno rafforzato la loro solidarietà nella rivoluzione siriana Seguendo lo slogan del rafforzamento della solidarietà delle donne nella rivoluzione siriana, Yekitiya Star ha fondato l’Iniziativa delle donne siriane, che ha portato avanti numerose diverse iniziative. L’incontro preparatorio dell’Iniziativa delle donne siriane sotto la guida di Yekitiya Star è stato organizzato nella regione di Cizire con lo slogan “Qualunque sia la loro nazione, fede e società, le donne di Cizire sono una cosa sola”. Il 28 marzo si è tenuta a Qamishlo la conferenza di fondazione dell’Iniziativa delle donne siriane e il 17 novembre è stato inaugurato il primo ufficio nella stessa Qamishlo. Sono stati organizzati programmi di formazione per donne in diverse parti del Rojava e della Siria settentrionale. Nell’ultimo periodo, i corsi di formazione si sono svolti nelle nuove aree liberate. Ad Afrin, Kobane e Cizire è stata aperta la Mala Jin (Casa delle Donne). L’idea era che le donne dovessero essere in grado di risolvere i loro problemi, di attuare i principi di giustizia sociale, di garantire lo sviluppo sociale contro le menti reazionarie, di partecipare a tutte le sfere della società per una società ecologica, democratica e libera. Il 21 gennaio 2014 sono stati istituiti l’Amministrazione autonoma democratica e il Consiglio delle donne, ampliando così le opportunità e i progetti per le donne nei settori dell’amministrazione, della diplomazia e dell’economia. Da Zehra Penaber a Raqqa: operazioni di liberazione La città di Kobane è stata teatro di numerosi eventi storici ed eroici. Le Unità di Difesa delle Donne (YPJ) in questa città hanno resistito al sistema patriarcale in nome di tutte le donne e hanno ricevuto il sostegno delle donne di tutto il mondo. Dopo l’attacco dell’ISIS a Kobane, il 15 settembre 2014, le donne si sono impegnate attivamente nella difesa della città dai mercenari che minacciavano il mondo e imponevano la schiavitù alle donne. Le donne combattenti hanno preso posto in prima linea durante tutta la resistenza e hanno portato a termine numerose azioni. Arin Mirkan è diventata il simbolo della lotta con l’azione da lei compiuta il 5 ottobre 2014. Zehra Penaber, Hebun Derik ed Evindar sono tra i comandanti leggendari i cui nomi passeranno alla storia. Hanno dimostrato al mondo intero che le donne possono difendersi e sconfiggere i mercenari dell’ISIS. Avesta e Barin, simboli della resistenza di Afrin Le donne hanno ottenuto risultati storici contro l’esercito turco invasore e i suoi alleati mercenari attraverso la leggendaria resistenza condotta sui monti Afrin. Come Arin Mirkan, Avesta Xabur è diventata un simbolo leggendario nella lotta per la libertà di tutte le donne del mondo grazie alla sua resistenza ad Afrin. Barin Kobane è un’altra donna il cui nome è stato scritto nella storia della resistenza femminile. Barin Kobane, come Arin e Avesta, hanno aperto la strada a molti altri Barin, Arin e Avesta pronti a combattere contro l’ISIS e contro il fascismo nella resistenza dell’epoca. L'articolo 13 anni fa, la rivoluzione del Rojava proviene da Retekurdistan.it.
Un altro domani in Turchia
Solo la storia dirà se è stata una follia o un coraggioso cambio di paradigma, più grande della speranza e di ciò che talvolta la mente immagina durante la notte. La paura di un nuovo tradimento da parte del potere è dietro l’angolo, ma il movimento di liberazione curdo, dal 27 febbraio a oggi, ha proseguito senza sosta. E se la guerra è tornata a essere il mantra del capitalismo globale – tra conflitti tra Stati, guerre per il territorio o la cosiddetta “guerra alla droga” – il PKK, cambiando la sua forma di lotta, rompe anche con il paradigma bellicista. È un passo tutt’altro che facile o garantito, un passo che mette paura, apre spazi critici, paure, giudizi da parte di chi preferisce ripetere un presente già sconfitto piuttosto che rischiare per un futuro incerto. Il movimento curdo e il neozapatismo dell’EZLN sono oggi le uniche narrazioni politiche capaci di sfidare il futuro, rompendo con le logiche del Novecento e con la comodità, staccandosi dai blocchi e avendo il coraggioso impulso di cambiare rotta senza perdere di vista l’obiettivo: un mondo diverso, possibile per tutti. Confondono, rischiano e così sopravvivono, si rinnovano e danno ossigeno alle resistenze mondiali. Il loro gesto – lontano dall’essere mera simbologia – di bruciare le armi invece che consegnarle al governo segna un punto di non ritorno. Consegnarle sarebbe stato un atto di resa; bruciarle, invece, rappresenta un rifiuto radicale della logica della guerra e della violenza. È un messaggio fortissimo rivolto a Erdoğan e al governo: “non ci fidiamo, vi sfidiamo” e, per la prima volta nella storia, un presidente ha dovuto riconoscere le violenze subite dal popolo curdo. Dietro il sorriso di Erdoğan si delinea già il prossimo passo per canalizzare e controllare questa transizione: “Il primo atto sarà costituire una commissione parlamentare per seguire questo processo”, cercando di far rientrare nel percorso istituzionale ciò che nasce piuttosto come una rottura dal basso. Per la prima volta dal 1999, Öcalan è tornato a parlare in video: “La lotta armata ha raggiunto il suo scopo: con il riconoscimento dell’identità curda, è finita. Ora dobbiamo iniziare un nuovo capitolo e adottare un linguaggio basato sulla ragione e sulla buona volontà… Questo rappresenta una transizione volontaria da una fase di conflitto armato a una di politica democratica e di diritto”. Dal sud-est della Turchia emergono nuove reti mutualistiche, esperienze di autogoverno e pratiche comunitarie, che ricuciono una società lacerata da decenni di guerra e repressione. Le cronache parlano di assemblee spontanee, reti femminili per progetti di educazione e cura, autorità locali che, nonostante minacce di arresto, discutono apertamente di transizione postbellica. “Il nostro obiettivo non è solo deporre le armi, ma costruire una società democratica, libera e giusta. Siamo determinate e determinati a portare questa lotta in ogni villaggio, città e quartiere, con la partecipazione di donne, giovani e di tutte le persone che credono che la libertà non abbia bisogno di un fucile per esistere”, hanno spiegato Carcel e Ozan, militanti storici del movimento, in un’intervista ad ANF. Naturalmente, la repressione non cessa: la destra turca, insieme alle strutture militari e giudiziarie, continua ad attaccare oppositrici e oppositori, autorità locali, giornalisti e chiunque osi parlare di autonomia. Tuttavia, la fiamma delle armi tolte dalle mani alle potenze repressive rimuove il grande pretesto del terrorismo – la stessa macchina che la NATO e gli alleati hanno tollerato – e ora questa deve confrontarsi con la luce del fuoco. Da un lato, resta la sfida politica di costruire giorno dopo giorno un’alternativa che non riproduca vecchie gerarchie interne, antiche logiche di potere o scorciatoie armate. Se resisterà alla repressione e ai tradimenti e se potrà diventare un esempio per altre lotte nel Mediterraneo e in Medio Oriente, lo dirà la storia. Dall’altro, il movimento curdo che abbandona le armi ma non il conflitto sociale per un domani differente, ora deve pensare a come far tornare alla vita civile e all’azione politica chi era nella clandestinità del PKK. “Sappiamo che lasciare le armi non significa abbandonare la lotta: è un ulteriore passo per radicarci ancora di più nelle strade, nei villaggi e nelle città, con un’organizzazione popolare che nessun esercito potrà disarmare”, hanno dichiarato unità del PKK ad ANF. Chi desidera pace, diritti umani e rispetto per i popoli in Turchia non ha più una bandiera da sventolare, ma un falò acceso da alimentare con la forza di chi non si arrende. Fonte: https://www.jornada.com.mx/2025/07/15/opinion/010a1pol?utm_source=chatgpt.com “Un mañana distinto en Turquía – La Jornada” Redazione Italia
Gruppo per la pace e la società democratica: Distruggiamo volontariamente le nostre armi
Il “Gruppo per la pace e la società democratica” ha annunciato: “Distruggiamo volontariamente le nostre armi, davanti a voi, come gesto di buona volontà e determinazione”. Gli occhi e le orecchie del mondo sono puntati sulla cerimonia che si tiene nella città di Sulaymaniyah, nella regione del Kurdistan Federale. Il PKK, fondato dal leader curdo Abdullah Öcalan durante il Newroz del 1973 presso la diga di Çubuk ad Ankara e annunciato il 27 novembre 1978 nel villaggio di Fis, nel distretto di Licê di Amed (Diyarbakır), ha compiuto un passo storico. Un gruppo di membri del PKK ha distrutto le proprie armi durante una cerimonia. Abdullah Öcalan, insieme ai detenuti del carcere di Imrali, ha lanciato un appello storico nell’ambito del “Processo di pace e società democratica”. Nella videochiamata pubblicata il 9 luglio, ha sottolineato: “La fase che abbiamo raggiunto ci impone di intraprendere nuovi passi concreti. Non credo nelle armi, ma nel potere della politica e della pace sociale e vi invito a mettere in pratica questo principio”. La KCK ha risposto all’appello di Abdullah Öcalan, affermando: “Siamo determinati a compiere il passo che il leader Apo vuole che facciamo”. La dichiarazione della KCK ha sottolineato che il processo deve essere affrontato correttamente e che devono essere adottate le misure necessarie. L’agenzia stampa Firat News ha pubblicato la dichiarazione del gruppo dopo la cerimonia. La dichiarazione recita quanto segue: Al nostro popolo e all’opinione pubblica In qualità di membri del “Gruppo per la pace e la società democratica”, formato per accelerare il processo di cambiamento e trasformazione democratica, salutiamo rispettosamente voi e tutti coloro che sono testimoni del nostro storico passaggio democratico. Per difendere l’esistenza dei curdi dagli attacchi di negazione e annientamento, noi, combattenti per la libertà, uomini e donne, ci siamo uniti al PKK in momenti diversi e abbiamo condotto lotte per la libertà in diverse regioni. Siamo qui ora per rispondere all’appello del leader del popolo curdo, Abdullah Öcalan, lanciato il 19 giugno 2025. La nostra presenza si basa qui, allo stesso tempo, sull’appello del Leader Abdullah Öcalan del 27 febbraio 2025 e sulle risoluzioni del XII Congresso del PKK, riunitosi dal 5 al 7 maggio 2025. Per garantire il successo pratico del processo di “Pace e società democratica”, per condurre la nostra lotta socialista per la libertà e la democrazia e lotta con metodi di politica legale e democratica sulla base dell’emanazione di leggi per l’integrazione democratica, distruggiamo volontariamente le nostre armi, davanti a voi, come gesto di buona volontà e determinazione. Ci auguriamo che questo passo porti pace e libertà e abbia esiti propizi per il nostro popolo, per i popoli della Turchia e del Medio Oriente e per tutta l’umanità, in particolare per le donne e i giovani. Condividiamo pienamente le parole del leader Abdullah Öcalan, che ha affermato: “Non credo nelle armi, ma nel potere della politica e della pace sociale e vi invito a mettere in pratica questo principio”. Siamo orgogliosi e onorati di fare ciò che è necessario per questo principio storico. Come sapete, le cose non sono avvenute facilmente, senza alcun costo e senza lottare. Al contrario, ogni conquista è stata ottenuta a caro prezzo, con la lotta strenua e con le unghie e con i denti. E ciò che seguirà richiederà sicuramente una lotta strenua. Siamo ben consapevoli di questo fatto e, con l’obiettivo di garantire maggiori conquiste democratiche, crediamo con tutto il cuore nell’intuizione e nel paradigma del leader Abdullah Öcalan, confidando in noi stessi e nella forza collettiva della nostra comunità di compagni. Considerata la crescente pressione fascista e lo sfruttamento in tutto il mondo e l’attuale bagno di sangue in Medio Oriente, il nostro popolo ha più che mai bisogno di una vita pacifica, libera, equa e democratica. In tale contesto, sentiamo e comprendiamo pienamente la grandezza, la rettitudine e l’urgenza del passo che abbiamo compiuto. Ci auguriamo che tutti, i giovani e le donne, i lavoratori e gli operai, le forze socialiste e democratiche, tutti i popoli e l’umanità, osservino, comprendano e apprezzino il valore storico del nostro passo per la pace e la democrazia. Facciamo appello alle forze regionali e globali responsabili delle sofferenze del nostro popolo affinché rispettino i più legittimi diritti democratici e nazionali del nostro popolo e sostengano il processo di “Pace e società democratica”. Invitiamo tutti i popoli, gli ambienti socialisti e democratici, gli intellettuali, gli scrittori, gli accademici, gli avvocati, gli artisti e i politici a comprendere appieno il nostro passo storico e a essere solidali con il nostro popolo. Li invitiamo inoltre a partecipare più attivamente alla lotta per la libertà fisica del leader Abdullah Öcalan e per una soluzione democratica della questione curda, e a sviluppare e rafforzare la lotta e la solidarietà internazionale democratica e socialista a livello globale. Invitiamo il nostro popolo e le sue forze politiche a comprendere correttamente le caratteristiche di questo storico processo di “Pace e società democratica” sviluppato dal leader APO, a svolgere con successo i propri doveri e responsabilità nei campi educativo, organizzativo e operativo e a sviluppare la vita democratica. L’oppressione e lo sfruttamento finiranno; la libertà e la solidarietà prevarranno. Il processo di “Pace e Società Democratica” avrà sicuramente successo. Il Gruppo per la Pace e la Società Democratica 11 luglio 2025 L'articolo Gruppo per la pace e la società democratica: Distruggiamo volontariamente le nostre armi proviene da Retekurdistan.it.
Apriamo la strada a una Turchia democratica
Da qualche giorno è rientrata in Europa dalla Turchia la delegazione internazionale che si è mossa in solidarietà con il leader curdo Ocalan. Riportiamo qui la Dichiarazione congiunta della delegazione ad Istanbul e la lettera che ha ricevuto dal compagno del PKK Dichiarazione congiunta Esprimiamo la nostra solidarietà con il popolo curdo di fronte alla repressione sistematica dei suoi diritti e alla sua continua esclusione dal processo democratico in Turchia. Invitiamo le autorità turche a compiere passi concreti verso un dialogo autentico e costruttivo e verso negoziati di pace con tutti i settori della comunità curda. Ribadiamo il nostro appello a tutti i movimenti progressisti, ai partiti e a tutti i popoli della Turchia affinché lavorino per il successo di questo processo. Solo attraverso tale impegno si potrà raggiungere un cambiamento duraturo e stabile, aprendo la strada a una Turchia veramente democratica. Durante questo processo, la Turchia deve rispettare i suoi obblighi internazionali per quanto riguarda il rispetto, la promozione e la protezione dei diritti umani di tutte le persone entro i suoi confini. In un contesto internazionale sempre più segnato da ostilità e aggressioni, esiste ancora un’opportunità storica per risolvere il conflitto curdo attraverso il dialogo e la negoziazione—pilastri fondamentali di ogni società democratica. Mentre il Medio Oriente è in fiamme e troppi paesi competono in una corsa agli armamenti sfrenata, il signor Öcalan rappresenta una delle voci più forti della regione che parla di pace e disarmo. Il signor Öcalan ha lanciato un appello coraggioso e tempestivo al disarmo e alla dissoluzione, a favore di una risoluzione pacifica e democratica di un conflitto che dura da oltre quarant’anni. Riconosciamo la visione del signor Öcalan del confederalismo democratico e la sua più ampia proposta per il Medio Oriente come un modello non solo per la Turchia, ma per l’intera regione. Affinché il processo democratico possa esprimere tutto il suo potenziale, è imperativo il rilascio immediato e incondizionato del signor Öcalan e di tutti gli altri prigionieri politici i cui diritti umani sono stati violati. La loro detenzione continua solleva gravi preoccupazioni. È essenziale che i loro diritti umani siano rispettati anche in stato di detenzione. In particolare, la continua e illegittima privazione dei diritti fondamentali del signor Öcalan—dopo 26 anni di isolamento nel carcere dell’isola di Imrali—viola le norme legali sia internazionali che nazionali. In quanto gruppo internazionale di attivisti, accademici, politici, sindacalisti ed esperti di diritti umani, esortiamo il governo turco a rispettare i suoi obblighi secondo il diritto internazionale in materia di diritti umani e diritto umanitario. Facciamo appello al governo della Turchia affinché agisca in conformità con i principi di giustizia, democrazia e pace. Continueremo a monitorare i passi intrapresi dal governo, ed esprimiamo la nostra speranza per una transizione autentica verso una società pienamente democratica e inclusiva in Turchia. Delegazione internazionale in Istanbul Lettera di Öcalan alla delegazione internazionale in visita in Turchia Ai cari amici, Il fatto che abbiate affrontato un viaggio così lungo per portare all’attenzione la ricerca di libertà che si concretizza nella mia persona, e che abbiate espresso il desiderio di incontrarmi, ha per me un significato profondo e un grande valore. Prima di tutto, considero tale impegno non semplicemente come un atto di solidarietà individuale o una ricerca personale di libertà, ma come parte integrante della pace sociale, della soluzione democratica e della volontà dei popoli di vivere insieme in libertà. Non ho mai considerato la mia libertà personale separata dalla libertà collettiva. Ho sempre sostenuto che, in assenza di una libertà sociale costruita concretamente, le libertà individuali non possono acquisire un vero significato. Per questo, considero il vostro passo un contributo significativo e un appello coraggioso per il futuro democratico comune dei nostri popoli. Sono stato informato della vostra richiesta di incontro. Spero che in futuro si creino le condizioni per un tale incontro. In questa prospettiva, invio i miei saluti e il mio rispetto a tutti coloro che hanno contribuito a questo processo — non solo in riferimento a me, ma a tutti coloro che sostengono la volontà democratica e la ricerca di libertà dei nostri popoli. Con la speranza di incontrarci in giorni di libertà, in un ambiente dove si costruisca una società democratica… Abdullah Öcalan, Carcere di Massima Sicurezza Tipo F di İmralı Redazione Italia
Il Consiglio d’Europa discuterà a settembre del “diritto alla speranza” di Abdullah Öcalan
ISTANBUL – Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha annunciato che esaminerà il rispetto da parte della Turchia delle sentenze sul “diritto alla speranza” riguardanti Abdullah Öcalan, Emin Gurban, Civan Boltan e Hayati Kaytan nella riunione di settembre 2025.   Durante la sessione del 12 giugno, il Comitato ha deciso di includere il cosiddetto “Gruppo Gurban” all’ordine del giorno della riunione di settembre. In tale occasione, il Comitato valuterà se la Turchia abbia adempiuto ai propri obblighi di garantire il diritto alla speranza per Abdullah Öcalan e gli altri prigionieri menzionati.  La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha stabilito il 18 marzo 2024 che l’irrogazione dell’ergastolo senza possibilità di libertà condizionata costituisce una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti). La sentenza ha confermato la violazione del “diritto alla speranza” di Abdullah Öcalan. La Corte ha chiesto alla Turchia di introdurre emendamenti legislativi che consentano l’attuazione di tale diritto. Sentenze simili sono state successivamente emesse per i prigionieri Hayati Kaytan, Emin Gurban e Civan Boltan.  Nonostante siano trascorsi più di 11 anni da quando sono state individuate le violazioni iniziali, la Turchia non ha adottato alcuna misura concreta per conformarsi a tali sentenze.    DOMANDA E RISPOSTA   Lo studio legale Asrin ha presentato un’istanza al Comitato dei Ministri il 9 agosto 2022, sollecitando l’attuazione delle sentenze della CEDU. Nella sua risposta, la Turchia ha affermato che la libertà condizionale è disponibile per coloro che scontano pene aggravate all’ergastolo, ma ha osservato che alcuni reati sono esclusi da questa possibilità.    Il Comitato dei Ministri ha riesaminato il caso durante la sessione del 17-19 settembre 2024, dal titolo “Gruppo Gurban/Turchia”. I rappresentanti hanno sottolineato che le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo richiedono l’istituzione di un meccanismo di revisione nazionale in linea con gli standard internazionali, non necessariamente il rilascio immediato dei ricorrenti.   Nella sezione intitolata “Misure generali”, il Comitato ha delineato quattro punti chiave:   *Ha ribadito che l’attuazione delle sentenze richiede misure legali o altre misure appropriate per creare un meccanismo di revisione delle condanne all’ergastolo aggravate dopo un periodo minimo, prevedendo la possibilità di rilascio a meno che non persista l’effetto deterrente della pena o il pericolo pubblico.   *Ha espresso profonda preoccupazione per la mancanza di progressi e ha fortemente incoraggiato le autorità turche ad adottare misure senza ulteriori indugi, basandosi sulle esperienze di altri Stati membri nell’istituzione di tali meccanismi.   *Ha nuovamente invitato le autorità turche a fornire informazioni sul numero di individui che scontano condanne all’ergastolo irriducibili senza possibilità di revisione.   *Ha deciso di riesaminare il “Gruppo Gurban” nella riunione di settembre 2025 e ha incaricato il Segretariato di preparare una bozza di risoluzione provvisoria se entro quella data non si saranno compiuti progressi tangibili.   MA / Diren Yurtsever  L'articolo Il Consiglio d’Europa discuterà a settembre del “diritto alla speranza” di Abdullah Öcalan proviene da Retekurdistan.it.
Roma: Lucha y Siesta verso il FESTIVAL VOCE ARCAICA #2
Una compagna di Lucha y siesta e della Rete Kurdistan ci racconta il programma della serata di martedì 1 luglio in vista della seconda edizione del Festival Voce Arcaica dedicato ad una donna curda.    Di seguito il comunicato:  Il cineforum di martedì 1 luglio sarà benefit per il Festival Voce Arcaica. Ci vediamo dalle 19 con un ricco programma: Aggiornamenti dal Kurdistan Presentazione di VOCE ARCAICA, il festival dedicato alla compagna curda Nagihan Akarsel alle 21 Proiezione del documentario “Tearing Walls Down” (2023) di Şerif Çiçek e Hebun Polat In ricordo di Nagihan Akarsel, attivista, giornalista dell’accademia di Jineoloji nel Kurdistan iracheno, uccisa da un drone turco nell’Ottobre del 2022. L’apericena vegan è in collaborazione con il Centro culturale Ararat  
Il KNK invita tutte le forze del Rojhilat a stabilire rapidamente una strategia comune
Richiamando l’attenzione sui pericoli che minacciano il Rojhilatê Kurdistan, il KNK ha annunciato che sta lavorando per creare una piattaforma comune tra i partiti politici e le istituzioni della regione. La recente escalation delle tensioni tra Israele e Iran si è trasformata in una guerra pericolosa che va oltre i confini di questi due Paesi e ha un impatto diretto sulla regione e sui suoi popoli. Sottolineando le implicazioni di questa guerra sul Kurdistan, il Congresso nazionale del Kurdistan (KNK) ha sottolineato l’urgente necessità di unità nazionale e ha chiesto a Iran, Israele e Stati Uniti di raggiungere una risoluzione pacifica. La dichiarazione del KNK: La guerra tra Israele e Iran non è una novità; è il risultato di decenni di conflitti e controversie. Fino a poco tempo fa, era combattuta principalmente attraverso forze alleate dell’Iran per procura. Tuttavia, negli ultimi dieci giorni, si è trasformata in una guerra diretta tra Iran e Israele. Da ieri, anche gli Stati Uniti sono stati coinvolti. Ciò significa che la guerra si sta espandendo e intensificando ulteriormente. È iniziata a Gaza e si è ora estesa a Libano, Siria, Yemen e, più recentemente, Iran. La questione è andata oltre il semplice conflitto bilaterale ed è diventata una crisi internazionale e globale. In quanto popolo curdo, non siamo parte in causa in questa guerra. Pur non essendo direttamente coinvolti, essa ci preoccupa profondamente e ha gravi ripercussioni sul nostro popolo e sulla nostra terra. Molte basi e strutture militari iraniane nel Rojhilat Kurdistan sono state prese di mira e la nostra popolazione che vive in queste aree ne sta subendo le conseguenze. Inoltre, aerei da guerra e missili provenienti da questi paesi sorvolano il Kurdistan. Noi, popolo curdo, non siamo parte in causa in questa guerra e cerchiamo la risoluzione pacifica di tutte le questioni nella nostra regione attraverso il dialogo. Non abbiamo iniziato questa guerra, ma ci siamo ritrovati coinvolti. L’unità nazionale curda è fondamentale La guerra iniziata e in corso in Medio Oriente nel XXI secolo potrebbe avere conseguenze gravi. Il trattato Sykes-Picot e l’ordine di Losanna sono in discussione. A seguito di questa guerra, la mappa della regione potrebbe essere completamente ridisegnata. La domanda chiave è: quanto siamo preparati, noi curdi, a questi cambiamenti? Questa è una questione vitale e urgente. In questo contesto, l’unità nazionale curda è assolutamente essenziale. Tutte le forze curde, soprattutto quelle del Rojhilat, devono agire con maggiore unità in questo momento critico. Stiamo lavorando per la creazione di una piattaforma comune Come KNK, abbiamo sempre lavorato per l’unità nazionale curda e intensificheremo i nostri sforzi. Soprattutto adesso, con il Rojhilat Kurdistan gravemente minacciato, concentreremo la nostra attenzione su questa parte del Kurdistan. Pertanto, stiamo attualmente lavorando per creare una piattaforma congiunta tra partiti e istituzioni del Rojhilat. Questi sforzi sono in corso. Nei prossimi giorni, avvieremo un dialogo più approfondito, visiteremo partiti e organizzazioni e faremo del nostro meglio per istituire un meccanismo di coordinamento tra le strutture del Rojhilat Kurdistan. In quest’ottica, invitiamo tutte le forze, i partiti, le istituzioni e le formazioni del Rojhilat Kurdistan a sostenere i nostri sforzi per l’unità nazionale curda e a riunirsi il prima possibile per agire con una strategia comune. Il nostro messaggio a Iran, Israele e Stati Uniti è questo: ponete fine immediatamente a questa guerra e impegnatevi a risolvere i vostri conflitti attraverso il dialogo e la pace. L'articolo Il KNK invita tutte le forze del Rojhilat a stabilire rapidamente una strategia comune proviene da Retekurdistan.it.
PJAK: Siamo organizzati e non lasceremo il nostro popolo indifeso
Il responsabile delle relazioni estere del PJAK, Zegrus Enderyarî, ha dichiarato che il gruppo non è coinvolto nella guerra tra Israele e Iran e ha affermato: “Siamo pronti in ogni campo, siamo organizzati e abbiamo la capacità di garantire la nostra difesa sociale”. Zegrus Enderyarî, responsabile delle relazioni estere del Partito per la vita libera del Kurdistan (PJAK), ha parlato con l’agenzia ANF del conflitto tra Israele e Iran in corso dal 13 giugno e caratterizzato da bombardamenti reciproci che hanno causato vittime, tra cui civili, da entrambe le parti. Secondo Zegrus Enderyarî, questo processo va oltre un conflitto militare per l’Iran e una crisi sempre più profonda per il popolo iraniano: “Il popolo iraniano sta già soffrendo a causa di sanzioni economiche, oppressione politica e condizioni di vita difficili. Ora questa guerra sta aggravando enormemente il peso che grava sulla popolazione”. Il regime potrebbe prendere di mira l’organizzazione sociale Zegrus ha sottolineato che la situazione nel Rojhilat (Kurdistan orientale) è peggiorata in modo analogo, poiché lo Stato iraniano si chiude in se stesso durante ogni crisi e prende di mira in particolare i gruppi rivoluzionari e progressisti. Ha affermato: “La rivoluzione ‘Jin, Jiyan, Azadî’ (donna, vita, libertà) ha generato una grande energia sociale in Iran. Ha generato grande solidarietà sociale e resistenza. Il regime potrebbe ora usare l’attacco israeliano come pretesto per colpire questa solidarietà. La pressione su prigionieri politici, leader comunitari e rivoluzionari potrebbe intensificarsi e le esecuzioni potrebbero aumentare”. Non lasceremo il nostro popolo solo e indifeso Sottolineando la necessità che le persone si organizzino e si uniscano durante questo processo, Zegrus Enderyarî ha affermato: “L’organizzazione sociale è essenziale ovunque per resistere ai tentativi del regime iraniano di intimidire la popolazione. Come PJAK, lavoriamo con questa consapevolezza da anni e siamo organizzati. Non lasceremo il nostro popolo solo e indifeso. Siamo pronti in ogni campo, siamo organizzati e abbiamo la capacità di garantire la nostra difesa sociale”. Le forze del Rojhilat devono agire insieme Zegrus Enderyarî ha affermato che il caos in Medio Oriente e la guerra tra Iran e Israele devono essere attentamente valutati dalla prospettiva dei curdi, e ha invitato la politica curda, in particolare le forze del Rojhilat, ad agire congiuntamente in risposta. “Dopo la rivoluzione di ‘Jin, Jiyani Azadî’, è stata stabilita una base più concreta per l’unità tra le forze curde sotto la guida del PJAK. Questa unità è di vitale importanza per il nostro popolo. In questo contesto di guerra, questa solidarietà è di vitale importanza per il nostro popolo”, ha sottolineato. Ha affermato che il caos in Medio Oriente e la guerra tra Iran e Israele devono essere valutati attentamente dal punto di vista dei curdi e ha invitato i politici curdi, in particolare le forze del Rojhilat, ad agire insieme in risposta. “Dopo la rivoluzione di Jin, Jiyani Azadî, è stata gettata una base più concreta per l’unità tra le forze curde sotto la guida del PJAK. Questa unità è di vitale importanza per il nostro popolo. In questo contesto di guerra, questa solidarietà è di vitale importanza per il nostro popolo”, ha sottolineato. Non siamo parte della guerra Zegrus ha affermato che i curdi nel Rojhilat e altre parti del Kurdistan non vogliono in alcun modo essere coinvolti nella guerra in Medio Oriente affermando: Difendiamo l’approccio politico della “terza via” in Medio Oriente, al di fuori delle strutture di potere esistenti e delle politiche conflittuali. Difendiamo un modello di governance basato sull’unità e sull’amministrazione locale dei popoli. Non siamo parte in causa in questa guerra, né vogliamo che i nostri popoli siano coinvolti in questi conflitti. La soluzione sta nell’instaurazione di una vita democratica per tutti i popoli. Proponiamo una vita comune, l’autonomia democratica e un’amministrazione locale per tutte le comunità etniche e religiose in Iran non solo per il popolo curdo. Il regime iraniano mantiene il suo potere creando contraddizioni tra i popoli. Stiamo perseguendo una politica che eliminerà queste contraddizioni e si baserà sulla solidarietà dei popoli. Crediamo che una vita comune sia possibile attraverso un sistema democratico, radicato localmente e incentrato sul popolo, e vogliamo attuarlo. L'articolo PJAK: Siamo organizzati e non lasceremo il nostro popolo indifeso proviene da Retekurdistan.it.
Prospettive di pace in Medio Oriente sempre più lontane
Tre giorni fa lo Stato di Israele ha attaccato la repubblica islamica dell’Iran; i suoi missili e droni hanno preso di mira gli scienziati e i comandanti militari, che erano eccellenti nella preparazione della bomba atomica, e la guida militare della difesa del regime iraniano. Questa guerra ovviamente non è iniziata solo da tre giorni, bensì da quando Israele ha attaccato l’autorità iraniana bombardando il suo consolato e la sua rappresentanza in Siria nel periodo della caduta del regime siriano; quindi la guerra è passata da una fase indiretta a una fase diretta. Infatti l’ Iran continuava ad essere una minaccia per la sopravvivenza d’Israele, per quanto Israele sia un Paese di tecnologia avanzata in campo militare, per quanto riguarda i sistemi di mira e di difesa che possiede. In ogni caso tutto questo non aiuterebbe Israele a sopravvivere a un attacco atomico, se l’Iran decidesse di attaccare Israele. Ma questa non toglierebbe il dubbio che anche Israele abbia la bomba atomica senza averlo dichiarato. Intanto si può dire che questa guerra è la conseguenza dell’attacco guidato da Hamas del 7 ottobre 2023 contro la popolazione israeliana. Era il periodo giusto per Netanyahu per attaccare l’Iran, che si trova in un momento di debolezza, isolato dopo il fallimento e il disorientamento di Hamas e Hezbollah a seguito delle uccisioni dei loro capi e conseguentemente anche del fallimento del suo gruppo e l’indebolimento della forza armata in Siria dopo la caduta di Assad e la perdita del ruolo che la Russia aveva in Siria durante quel regime. Quindi Netanyahu doveva approfittare dell’occasione giusta e anche del periodo, dato che ci sono movimenti e cambiamenti che stanno succedendo in quell’area ormai da anni e che fanno capire che si cerca di ridisegnare i confini e la geografia politica del Medio Oriente. In questa guerra non si può parlare di aggredito e aggressore, oppressore e oppresso; Netanyhau ha dato il via ad un genocidio e a una pulizia etnica a Gaza e anche il regime islamico dell’Iran dal giorno che ha preso il potere dal 1979 nega i diritti umani, civili e politici, uccide e stermina l’etnia kurda e dei Beluci in Iran. Questo regime ha sempre lavorato per l’eliminazione di Israele e invoca la fine di Israele e non solo: l’appello “ Fatwa di Khomeini” durante la preghiera del venerdì dice che chi uccide un kurdo andrà in paradiso. Il regime islamico dell’Iran fa una guerra religiosa fin dalla sua nascita. Dunque parliamo di una guerra tra due dittatori e autori di genocidi; anche in questa guerra si tratta di governi, sia chi va contro sia chi appoggia questo attacco, che lavorano solo per curare i propri interessi politici ed economici. Ora il dramma è che l’attacco non si è fermato solo ai centri militari e ai palazzi del governo, ma che anche la popolazione civile è stata colpita e trascinata in questa guerra. Ulteriore dramma è che la scintilla di questo fuoco raggiunga i paese confinanti e soprattutto l’Iraq e la Regione autonoma del Kurdistan dell’Iraq (Basciur), un paese che ha un’ideologia religiosa vicina a quella dell’ Iran, in cui l’Iran ha fatto nascere diversi gruppi e seguaci armati che difendono e curano i suoi interessi. Difatti,  il consolato americano ad Erbil è stato preso di mira da un drone, che è stato abbattuto dal sistema antimissile statunitense, mentre ieri mattina è caduto un missile senza che esplodesse nella citta di Qaradax nella provincia di Suleimanya, la governatrice di Qaradax dal canale Tv AVA ha dichiarato che il missile è lungo circa cinque metri con scritte in inglese ma non si sa ancora da dove è stato lanciato. Purtroppo il Kurdistan, spesso, se non sempre, viene colpito da situazioni di conflitto. Sappiamo che la guerra non è la soluzione ed io personalmente, da donna nata e cresciuta in una situazione di guerra, sono contro la guerra e le soluzioni armate, ma sappiamo anche che la guerra può favorire la destituzione di un dittatore e porre fine al suo potere, come abbiamo visto in passato e da vicino. La mia, ovviamente, non è per appoggiare ne Israele e nemmeno Iran, evidentemente in questi casi è meglio che i dittatori vengano destituiti dai rispettivi popoli! Gulala Salih, presidente UDIK Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)