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Siria: le elezioni dell’Assemblea Popolare si svolgeranno tra il 15 e il 20 Settembre
In una intervista rilasciata all’agenzia statale siriana SANA il Il presidente del Comitato superiore per le elezioni dell’Assemblea popolare, Mohammed Taha al-Ahmad ha annunciato che le prime elezioni dell’epoca post Assad si svolgeranno 15 e il 20 Settembre e che il sistema elettorale è frutto di un ampio dibattito tra tutte le componenti della società civile siriana e che ha visto un’importante partecipazione delle donne a cui il sistema riserva come minimo il 20% delle candidature. L’annuncio sembra voler tranquillizzare la comunità internazionale allarmata da dichiarazioni di esponenti del governo provvisorio che parlavano di tempi molto più lunghi. Nell’intervista si sottolinea anche la necessità che le elezioni si svolgano in tutti i territori della Siria e che escludano “coloro che sostengono criminali o incitano al settarismo, alla divisione e al fanatismo”; quest’affermazione viene interpretata come un primo passo di esclusione di quelle forze politiche e militari che occupano varie regioni del Paese e che non riconoscono l’autorità dell’attuale governo. Pressenza IPA
Siria: rapimenti delle donne alauite
Amnesty International ha sollecitato il governo siriano ad agire con urgenza per prevenire la violenza di genere, ad avviare indagini rapide, approfondite e imparziali sui rapimenti di donne e ragazze alauite e ad accertarne e punirne i responsabili. Da febbraio Amnesty International ha ricevuto informazioni attendibili su almeno 36 rapimenti di alauite di età compresa tra i tre e i 40 anni, avvenuti nelle province di Latakia, Tartus, Homs e Hama ad opera di individui non identificati. Di questi casi, Amnesty International ha documentato i rapimenti, avvenuti in pieno giorno, di cinque donne adulte e di tre minorenni. Salvo in un caso, le autorità di polizia e la Sicurezza generale (i servizi di sicurezza) non hanno svolto indagini efficaci per accertare la sorte e il luogo in cui si trovano le persone rapite. Il 22 luglio il comitato d’inchiesta istituito dal presidente al-Sharaa per indagare sulle uccisioni avvenute lungo la costa siriana ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna segnalazione di rapimenti di donne o ragazze. “Le autorità siriane affermano da tempo di voler costruire una Siria per tutte e tutti ma continuano a non intervenire per fermare i rapimenti di donne e ragazze, prevenire violenze e matrimoni forzati, contrastare la probabile tratta di esseri umani, indagare e perseguire i responsabili. La comunità alauita, già colpita da precedenti massacri, è stata profondamente scossa da questa ondata di rapimenti. Le donne e le ragazze hanno paura di uscire di casa o di camminare da sole”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. In tutti gli otto casi documentati da Amnesty International le famiglie hanno denunciato il rapimento delle proprie parenti alla polizia o alla Sicurezza generale. In quattro casi, nuove prove fornite dalle famiglie sono state respinge o mai prese in considerazione. In nessuno degli otto casi le famiglie hanno ricevuto aggiornamenti sullo stato delle indagini. In due casi la responsabilità del rapimento è stata addossata alla famiglia stessa. In un caso il sequestratore ha inviato alla famiglia una foto della persona rapita, visibilmente percossa. In due casi i sequestratori hanno chiesto, direttamente o tramite intermediari, riscatti compreso tra i 9000 e i 13.000 euro. Solo una delle famiglie è riuscita a pagare ma la donna non è stata liberata. In almeno tre casi, uno dei quali riguarda una minorenne, la rapita è stata probabilmente costretta a un matrimonio forzato. Molte delle persone intervistate da Amnesty International hanno riferito che le donne e le ragazze, soprattutto della comunità alauita, ma anche di altri gruppi residenti nelle province interessate dal fenomeno, ora evitano o affrontano con estrema cautela ogni spostamento, come ad esempio per andare a scuola, all’università o al lavoro. Un’attivista della società civile, che ha recentemente visitato la regione costiera della Siria, ha raccontato: “Tutte le donne sono in stato d’allerta. Non possiamo prendere un taxi da sole, camminare da sole, fare nulla senza provare paura. Anche se non sono alauita e se inizialmente la mia famiglia era scettica rispetto ai rapimenti, mi hanno comunque chiesto di non uscire da sola e di fare molta attenzione”. “Chiediamo alle autorità siriane di agire con rapidità e trasparenza per localizzare le donne e le ragazze scomparse, portare i responsabili davanti alla giustizia e fornire alle famiglie coinvolte informazioni credibili e tempestive, basate su una prospettiva di genere, oltre al necessario sostegno”, ha aggiunto Callamard. Amnesty International
“SIRIA DIVISA, VERITÀ OSCURATE: SUWAYDA E IL RITORNO DEI MASSACRI”: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE NEL PAESE CON DAVIDE GRASSO
Per commentare i fatti recenti che riguardano la Siria e il Medio oriente abbiamo intervistato Davide Grasso, ricercatore in Sociologia politica al dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino e nostro collaboratore. Nei giorni scorsi, ha pubblicato un articolo su MicroMega a commento degli scontri e dei massacri a Suwayda, città a maggioranza drusa nel sud della Siria, e dei bombardamenti israeliani che hanno colpito a due passi dai palazzi governativi a Damasco. “I fatti di Suwayda – scrive Davide Grasso – sono tanto più gravi, se osservati da occidente, poiché si inseriscono in un contesto di piena legittimazione statunitense ed europea alle forze che continuano a commettere questi crimini in Siria. Rappresentano l’ennesimo monito ai mezzi d’informazione e al pubblico italiani a non occuparsi di Siria unicamente in presenza di episodi di violenza, poiché questi ultimi risultano incomprensibili se l’informazione non segue l’evoluzione del paese in modo costante”. Proprio per questo gli abbiamo chiesto innanzitutto di inquadrare la situazione generale attuale nel Paese, prima di addentrarci in diverse questioni particolari. Tra le questioni specifiche che abbiamo approfondito insieme al nostro collaboratore, siamo partiti dalle divisioni interne all’arcipelago islamista di cui fa parte Hayat Tahrir al Sham, il gruppo guidato da colui che a dicembre 2024 si è proclamato presidente, Ahmad Al-Sharaa. All’interno del fronte jihadista ci sono visioni diverse sulla Siria che verrà. Al-Sharaa ha dato dei segnali piuttosto chiari su quale sia la sua: Davide Grasso, nell’articolo e nell’intervista su Radio Onda d’Urto, ricorda la partecipazione di Al Sharaa al World Economic Forum di Davos, gli accordi per la ricostruzione o la costruzione di infrastrutture già siglati con diverse imprese turche, del Golfo, europee e statunitensi, la stretta di mano con Donald Trump. Una parte dei militanti jihadisti di Hts ha già dato vita a una scissione, passando all’opposizione. Anche in questo contesto si sono sviluppati gli scontri e i massacri sulla costa siriana a dicembre e in primavera, nelle aree popolate dalla popolazione alawita, e nel sud, nella città drusa di Suwayda, in queste settimane. Durante gli scontri e le violenze a Suwayda, l’esercito israeliano ha bombardato la stessa città a maggioranza drusa, la città di Dar’a e il cuore della capitale siriana Damasco. In contemporanea, a Baku, Azerbaigian, si stavano però tenendo colloqui tra il governo siriano e quello israeliano. Usa, Turchia e monarchie del Golfo, Arabia Saudita in particolare, cercano una mediazione che – di fatto – porti anche la “nuova Siria” nell’orbita degli “accordi di Abramo”. A Davide Grasso abbiamo chiesto perché – a suo avviso – Israele bombarda la Siria mentre sta discutendo con Damasco di questa “normalizzazione” dei rapporti. Nell’intervista, guardiamo infine all’altra sponda dell’Eufrate: l’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord e dell’est ha celebrato nei giorni scorsi, il 19 luglio, il 13esimo anniversario della rivoluzione e l’inizio dell’autogoverno secondo il modello del confederalismo democratico. In questa fase sembra godere di una certa stabilità interna e soltanto pochi mesi fa ha dato prova della propria capacità di autodifesa, di difendersi dagli attacchi e tentativi di invasione, con la resistenza alla Diga di Tishreen, vicino Kobane. Anche l’Amministrazione autonoma, così come le altre organizzazioni che fanno riferimento alle idee del leader del Pkk Abdullah Ocalan, ha deciso di aderire all’Appello per la pace e la società democratica e relativo processo di pace. Lo scorso marzo, ha firmato un cessate il fuoco con Damasco, un memorandum d’intesa in diversi punti sui quali trovare un accordo tramite il negoziato tuttora in corso. Nelle ultime settimane ci sono stati diversi incontri, con la mediazione in particolare di inviati statunitensi e francesi. La nostra intervista a Davide Grasso, ricercatore in Sociologia politica al dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino e nostro collaboratore. Ascolta o scarica.
Notizie dal mondo arabo
Gaza È ancora in corso mentre scriviamo l’attacco militare contro Deir Balah, dove hanno sede le organizzazioni umanitarie internazionali. Caccia e artiglieria hanno colpito stamattina una moschea e un centro di sfollati. Il bombardamento è stato seguito dall’avanzata delle truppe con bulldozer, nel chiaro intento di proseguire l’opera di deportazione della popolazione privandola di ogni possibile riparo. Case diroccate e campi di tende di plastica vengono rase al suolo. Il rapporto del ministero della sanità ci informa che ieri fino a mezzogiorno sono morti per fame 86 persone: 76 bambini e 10 anziani. Stamattina il numero totale in 48 ore è salito a 171 morti per fame. Gli uccisi sotto le bombe e per le pallottole sono stati 130. I feriti 495. La gente muore per strada a causa della fame. Le grida di aiuto dei bambini, i proclami delle organizzazioni umanitarie, i rapporti dell’ONU e la disperazione dei team sanitari palestinesi non hanno scosso i militari e il governo israeliani e l’opinione pubblica israeliana che continua a parlare di altro. Scene terrificanti di persone svenute per strada dopo una settimana senza nulla sotto i denti. Le telecamere dei giornalisti palestinesi ci hanno consegnato le grida di bambini che dicono: “voglio mangiare. Ho fame”. Il rapporto del ministero della sanità ci informa di 171 morti per fame in 48 ore, tutti bambini e anziani. Le sirene delle ambulanze in tutta Gaza hanno suonato ieri alle ore 11:00 ora locale, ma le diplomazie complici non hanno sentito. I generali israeliani hanno ordinato l’evacuazione di Deir Balah e poi lo hanno bombardato. È il quartiere dove hanno sede le organizzazioni umanitarie internazionali. Cisgiordania L’esercito israeliano ha incendiato ieri un intero quartiere nel campo di Nour Shams a Tulkarem. Una sistematica opera di deportazione della popolazione nativa. Dal 21 gennaio scorso, in sei mesi di aggressione militare contro la città, sono stati deportati 42 mila persone. Un’azione sistematica per smantellare i capi profughi, annientare il ruolo dell’Unrwa e cancellare il diritto al ritorno. Lo stesso procedimento è stato praticato a Jenin e nel suo campo profughi. La demolizione delle case è stata lì particolarmente distruttiva: un terzo delle case è stato reso inservibile: demolito, incendiato o devastato. Le famiglie cacciate con la forza militare. Giornalisti nel mirino Il sindacato dei giornalisti palestinesi ha denunciato, nel suo rapporto semestrale presentato ieri a Ramallah, che durante l’anno corrente sono stati uccisi 33 giornalisti palestinesi e 43 di loro familiari. 66 i feriti. La repressione non riguarda soltanto la Striscia, ma anche la Cisgiordania e Gerusalemme est: 26 giornalisti arrestati e altri 228 casi di fermo, ferimenti per arma da fuoco e impedimenti a svolgere il proprio lavoro di informare. Handala La nave Handala è partita ieri dal porto di Gallipoli, dopo un breve ritardo sul piano di marcia. Una massa di sostenitori della causa palestinese ha salutato i volontari che si sono imbarcati, per tentare di portare aiuti umanitari ai bambini di Gaza. Ci sono parlamentari francesi, un sindacalista statunitense e giornalisti italiani e arabi. “Vogliamo portare cibo e giocattoli ai bambini di Gaza, le vittime numero 1 del genocidio in atto. Impedire la consegna di latte per bambini è un crimine contro l’umanità”, ha detto la parlamentare francese, Emma Forot, deputata di France Insoumise. “Rompere l’assedio illegale israeliano contro Gaza e denunciare la complicità delle diplomazie USA e europee”, ha detto uno dei partecipanti alla missione umanitaria. Il ritardo della partenza è stato causato da un criminale tentativo di sabotaggio, ha rivelato un membro dell’equipaggio ad Anbamed. “L’elica è stata trovata avvolta strettamente da un filo di ferro e nel serbatoio dell’acqua hanno versato del liquido corrosivo. Per fortuna nessuno si è fatto male”. Gli agenti criminali, che hanno compiuto del vero e proprio terrorismo, non ci fermeranno”, ha affermato. Siria Un primo giorno di calma a Suweidaa dopo il raggiungimento del cessate-il-fuoco. L’esercito mandato da Damasco è uscito fuori dall’abitato urbano e si è attestato sull’autostrada di collegamento con la capitale. Tutti i miliziani islamisti sono stati ritirati e l’accordo prevede la consegna da parte dei miliziani drusi delle armi pesanti. All’interno della città ci sono soltanto le forze di sicurezza statali formate da agenti drusi. La svolta nella crisi non soddisfa le mire israeliane di dominare lo scenario. Un elicottero dell’esercito di Tel Aviv ha scaricato in città un carico di armi destinato alla milizia drusa locale affiliata. Ci sono ancora in territorio siriano centinaia di soldati israeliani drusi, soprattutto nei villaggi a sud di Damasco, per tentare di creare momenti di destabilizzazione. La loro presenza viene presentata a Tel Aviv come spontanea ed individuale. Una versione poco credibile, visto che sono penetrati in Siria scortati dai reparti israeliani che occupano il sud siriano. Egitto Il ministero dell’interno egiziano ha comunicato che ieri domenica c’è stato uno scontro a fuoco tra le forze di sicurezza e un gruppo di “Hasm”, il movimento islamista terroristico legato alla Fratellanza Musulmana. Due islamisti ed un passante uccisi e due ufficiali delle forze di polizia feriti. Non viene fornita la località dove è avvenuta l’irruzione. “Il gruppo ha ottenuto addestramento in un paese confinante ed ha attraversato il confine desertico. L’inseguimento ha rivelato i loro appoggi interni in Egitto”. Il paese confinante – si deduce dalla descrizione – potrebbe essere Libia. Secondo la stampa online del Cairo ci sono stati arresti tra le file degli islamisti collegati alla cellula. Iran Secondo fonti iraniane, si terrà ad Istanbul un incontro con GB, Francia e Germania sul nucleare iraniano. La Tv di Stato ha affermato che la data dell’incontro sarà venerdì 25 luglio. Sarebbe il primo incontro con le diplomazie europee dopo gli attacchi israeliani e statunitensi sui siti iraniani. Teheran ha sospeso la collaborazione con l’Aiea per la mancata condanna degli attacchi subiti dall’Iran. Sciopero della fame a staffetta contro il genocidio L’iniziativa lanciata da Anbamed è entrata nel terzo mese. Oggi, lunedì 21 luglio, prosegue per la 67a giornata l’azione nonviolenta di sciopero della fame per 24 ore a staffetta. La solidarietà non dorme. Si mobilita anche in tempo di vacanze. Continueremo la campagna di sciopero della fame 24H a staffetta fino alla fine definitiva della guerra contro la popolazione di Gaza. ANBAMED
Salih Muslim: Rifiutiamo la resa, serve un cambio di mentalità
Intervenendo in occasione del 13° anniversario della Rivoluzione del Rojava, il portavoce del PYD per le relazioni estere, Salih Muslim, ha sottolineato che l’Amministrazione autonoma offre un modello democratico per il Medio Oriente. “Non ci arrendiamo a nessuno. Ciò che serve è un cambiamento di mentalità”, ha affermato. Il 19 luglio 2012, la popolazione di Kobanê ha rovesciato le forze del regime e ha assunto il controllo della città, segnando l’inizio della Rivoluzione del Rojava. Da allora, la regione ha subito numerosi attacchi da parte di lealisti del regime, dell’ISIS, della Turchia e di gruppi paramilitari. Nonostante ciò, è emersa una resistenza popolare, guidata dall’ideologia democratica, ecologista e incentrata sulle donne del leader curdo Abdullah Öcalan. Sapevamo che stava arrivando una rivoluzione Salih Muslim, che ha presieduto il PYD durante i primi anni della rivoluzione ha ricordato: “Sentivamo che la rivoluzione stava arrivando. Il nostro ruolo era prepararci”. Ha affermato che i primi attacchi dell’opposizione, che sostenevano di prendere di mira le forze del regime, erano in realtà diretti alle regioni curde. “A Kobanê, ci siamo resi conto di essere il vero obiettivo. È stato allora che abbiamo iniziato a proclamare i cantoni. La gente credeva nella rivoluzione e, con il coinvolgimento del movimento di liberazione curdo, questa convinzione non ha fatto che rafforzarsi”. Rifiutiamo il modello dello stato nazione Salih Muslim ha spiegato che l’Amministrazione autonoma è stata costruita sul paradigma di “nazione democratica” di Öcalan, accogliendo la diversità etnica e religiosa: “Abbiamo messo da parte il modello dello Stato-nazione. Assiri, arabi e altri sono diventati parte di questo progetto. Per questo motivo, abbiamo dovuto affrontare l’ostilità di diversi Stati-nazione e persino critiche all’interno della comunità curda”. Ha anche sottolineato l’influenza turca nell’alimentare l’opposizione: “Affermavano che stavamo cercando di dividere la Siria, o che eravamo comunisti. Questa narrazione porta le impronte digitali della Turchia ovunque”. Sappiamo cosa vuole questa mentalita’ Riferendosi ai recenti commenti dell’inviato statunitense per la Siria, Thomas Barrack, Salih Muslim ha criticato il continuo sostegno straniero al modello di Stato-nazione in Medio Oriente: “Barrack afferma che gli Stati Uniti non sostengono uno stato curdo, cercando di compiacere la Turchia mentre ci respingono tra le braccia delle stesse strutture oppressive a cui abbiamo resistito. Sappiamo esattamente cosa sta cercando di fare questa mentalità”. Salih Muslim ha sottolineato di sostenere la coesistenza, ma non a costo di arrendersi: “Dicono di voler collaborare con noi, ma non ci offrono un posto al tavolo delle trattative. Dovremmo forse arrenderci e basta? Non faremo parte di una Siria governata da un califfato”. Nessun disarmo senza garanzie di sicurezza Riguardo alle discussioni sul potenziale disarmo delle Forze democratiche siriane (SDF), Salih Muslim ha affermato: “Deporre le armi senza garantire i diritti, la vita e la cultura delle comunità locali equivarrebbe a un omicidio di massa. Queste armi servono per autodifesa, non perché le amiamo. Ma senza un accordo, senza fiducia, si aspettano che le disarmiamo”. Ha sottolineato che l’Amministrazione Autonoma rimane un modello di governance democratica nella regione. “Non si tratta solo dei curdi, ma di una tabella di marcia per tutto il Kurdistan e il Medio Oriente. Ma senza cambiare la mentalità imposta dallo Stato-nazione, questo modello è costantemente minacciato”. Crediamo nella visione di Ocalan Salih Muslim ha concluso esprimendo la sua costante fiducia nella filosofia di Abdullah Öcalan: “La sua visione ha acquisito sempre più rilevanza. Crediamo che le sue idee siano la chiave per la libertà curda e la pace nella regione. Ecco perché consideriamo vitale il dialogo tra Öcalan e la Turchia. Non si tratta solo di politica: si tratta di cambiare una mentalità secolare”. L'articolo Salih Muslim: Rifiutiamo la resa, serve un cambio di mentalità proviene da Retekurdistan.it.
Libano sotto le bombe israeliane
In Libano, nonostante la tregua, non sono mai finiti i bombardamenti del paese, soprattutto della zona meridionale ma nei giorni scorsi uno più massiccio ha causato 12 morti nella valle della Bekaa. Ovviamente i bombardamenti israeliani in Siria che sono arrivare a colpire Damasco preoccupano il Libano dove Israele sembra avere tuttora il progetto di scatenare una nuova guerra civile. Ne parliamo con il giornalista Mauro Pompili da Beirut con cui articoliamo una riflessione più ampia sull'intero assetto medio-orientale e i progetti regionali di Israele, in contrasto anche con l'espansionismo turco. per l'immagine si ringrazia Getty images
Il genocidio a Gaza e l'arroganza di Israele nella regione
In una corrispondenza con Michele Giorgio, da Gerusalemme, diamo gli ultimi aggiornamenti sulla situazione a Gaza, dove solo stamani sono state uccise almeno una trentina di persone in attesa di aiuti umanitari, nella quasi completa indifferenza della comunità internazionale, che interviene solo quando vengono toccati particolari interessi, soprattutto religiosi, come nel caso del bombardamento della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza. Si passa poi a analizzare lo scandaloso piano della realizzazione della cosiddetta "città umanitaria" a Gaza, un vero e proprio campo di internamento dove dovrebbero essere richiusi almeno 600.000 palestinesi, nonché l'intervento israeliano in Siria, avvenuto con il sostanziale sostegno degli USA e dell'UE.
Gli Houthi avvertono su un piano israeliano più ampio per invadere l’intera regione
Sana’a-Presstv.ir. Il leader yemenita di Ansarullah afferma che la recente escalation dell’aggressione israeliana contro Damasco fa parte di una strategia più ampia volta a stabilire l’equazione “occupazione senza subire alcuna risposta”. In un discorso televisivo tenuto giovedì, Abdul-Malik al-Houthi ha dichiarato che il regime israeliano mira a invadere tutti i paesi della regione senza incontrare ritorsioni. «Nonostante la posizione pubblica delle autorità siriane favorevole alla normalizzazione dei rapporti con Israele, le aggressioni contro la Siria continuano», ha affermato. L’aggressione militare israeliana in Siria si è intensificata dopo l’ascesa al potere, lo scorso dicembre, del nuovo regime guidato dall’ex leader di al-Qaeda e del Fronte al-Nusra, Abu Mohammad al-Jolani. In una significativa escalation delle sue continue atrocità, mercoledì Israele ha lanciato attacchi aerei contro importanti siti militari e governativi a Damasco e nella provincia sud-occidentale di Dara’a. Israele sta strumentalizzando il conflitto in corso tra le tribù beduine sunnite locali e le fazioni armate druse nella provincia meridionale di Suwayda — iniziato con rapimenti reciproci — per colpire la Siria. Secondo i leader regionali, Israele punta a spezzare l’unità della Siria e trasformare il Paese in un teatro di caos. Gli Houthi hanno affermato che Israele cerca di influenzare le dinamiche interne siriane con il pretesto di sostenere i drusi e altre comunità minoritarie. Il regime al potere di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) a Damasco, guidato da Jolani, ha ripetutamente manifestato l’intenzione di “normalizzare le relazioni” con Israele, riconoscere il regime e scambiare ambasciatori entro la fine del 2026. Tuttavia, le forze israeliane hanno occupato una zona cuscinetto pattugliata dall’ONU in territorio siriano, lungo il confine con le alture del Golan, e hanno lanciato centinaia di attacchi aerei sulla Siria. Israele sostiene che l’intensificazione della sua campagna militare sia volta a difendere i drusi — coinvolti in giorni di scontri con le forze dell’HTS — e a respingere queste forze dalla zona di confine. Secondo gli Houthi, Israele sta approfittando delle politiche fallimentari dei gruppi militanti nei confronti delle minoranze in Siria, aggiungendo che il regime dell’HTS ha “progettato divisioni settarie e religiose per seminare discordia all’interno della nazione islamica”. Il leader di Ansarullah ha aggiunto che Israele mira anche a controllare una porzione significativa del territorio siriano, fino alla periferia di Damasco, e a dettare le relazioni internazionali e le politiche interne della Siria per garantire la propria sicurezza. Affrontando la crescente aggressione israeliana contro il Libano, gli Houthi hanno accennato alle pressioni degli Stati Uniti sulle fazioni libanesi affinché accettino il piano israeliano di disarmare Hezbollah. Ha inoltre condannato il genocidio sistematico perpetrato da Israele contro il popolo palestinese, sottolineando la distruzione di città e quartieri residenziali nella Striscia di Gaza. Ha rivelato che Israele ha “completamente annientato alcune famiglie” e ha registrato un calo del 41% del tasso di natalità a Gaza rispetto all’anno precedente, insieme a una diminuzione del 10% della popolazione complessiva. «Il genocidio del popolo di Gaza è un obiettivo condiviso da Stati Uniti e Israele», ha affermato, aggiungendo che Israele si affida fortemente alle bombe americane, con esplosivi che, secondo i rapporti, vengono sganciati più frequentemente dei proiettili. Ha aggiunto che il sostegno militare statunitense a Israele è finanziato in larga parte con la ricchezza dei paesi arabi, sotto forma di investimenti per migliaia di miliardi di dollari. Il leader di Ansarullah ha dichiarato che l’aggressione contro Gaza riflette più le azioni americane che quelle israeliane, affermando: «Il ruolo di Israele è semplicemente quello di eseguire questi crimini». Ha poi spiegato che gli Stati Uniti forniscono a Israele la pianificazione, l’intelligence e la copertura politica, mentre fanno pressioni su molti paesi affinché rimangano in silenzio o sostengano il regime sionista. Gli attacchi a Gaza sono crimini contro l’umanità, ha affermato, sottolineando il palese disprezzo di Israele per la Carta delle Nazioni Unite. Il leader di Ansarullah ha elogiato i sacrifici dei combattenti palestinesi, tra cui il martire Mohammed Deif, comandante delle Brigate Al-Qassam di Hamas, e i suoi compagni. Ha evidenziato il loro ruolo nel prevenire l’estensione degli attacchi del regime sionista ad altri paesi islamici. Deif, noto come la mente dietro la rete di tunnel di Gaza e l’architetto dell’operazione “Alluvione di Al-Aqsa” del 7 ottobre 2023, è stato lodato per la sua leadership strategica nella resistenza all’aggressione israeliana. Traduzione per InfoPal di F.L.
SIRIA: ANCORA VIOLENZE SULLA COMUNITÀ DRUSA A SUWAYDA. DIVISIONI E SCONTRI FAVORISCONO LE INTERFERENZE DI ISRAELE E LE ALTRE POTENZE INTERNAZIONALI
La provincia meridionale di Suwayda, in Siria, è nuovamente un campo di battaglia. A scatenare gli ultimi scontri sono stati gli attacchi di alcuni gruppi tribali beduini contro una fazione armata drusa, accusata di abusi e violenze contro la popolazione civile dopo il ritiro delle truppe governative siriane all’inizio della settimana. Il Ministero dell’Interno siriano ha dichiarato che le forze di sicurezza si preparano a rientrare nell’area per “ristabilire l’ordine”. Intanto, in rete circolano nuovi video in cui si vedono miliziani jihadisti tagliare i baffi (importante simbolo religioso) agli uomini drusi per umiliarli e uccidere persone a sangue freddo. Nei giorni scorsi, col pretesto di “proteggere la minoranza drusa”, Israele ha bombardato la stessa Suwayda, la città di Dara’a e il cuore della capitale Damasco, lanciando missili a due passi da diversi edifici governativi. Tel Aviv ha ribadito di non tollerare la presenza dell’esercito siriano nella Siria meridionale. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, ha chiesto “indagini indipendenti, tempestive e trasparenti” sulle uccisioni e sulle gravi violazioni dei diritti umani avvenute negli ultimi giorni nella zona, dove il bilancio delle vittime è già drammaticamente alto. L’autoproclamato presidente siriano Ahmad al-Sharaa – salito al potere con il putsch anti-Assad di dicembre 2024 e con l’appoggio di Stati Uniti, Turchia e paesi arabi del Golfo – sta tentando di ristabilire l’autorità dello Stato sul territorio attraverso logiche autoritarie e militari. Gli scontri settari nel sud fanno eco ai massacri di civili alawiti sulla costa a dicembre 2024 e a marzo 2025. L’intervista di Radio Onda d’Urto a Lorenzo Trombetta, analista di Limes e Ansa, che per 25 anni ha lavorato come corrispondente dal Medio Oriente con base a Beirut. Ascolta o scarica. L’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord e dell’est, cioè l’autogoverno di un terzo del territorio siriano – da 13 anni – secondo il modello del confederalismo democratico, ha condannato le violenze ai danni della comunità drusa, alla quale si è detta pronta a offrire il proprio aiuto umanitario, ma ha condannato anche i bombardamenti israeliani. “La soluzione non è la guerra, ma una Siria decentralizzata, costruita a partire dall’autodeterminazione delle comunità locali”, dicono le istituzioni confederali. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto è intervenuto anche Jacopo Bindi, dell’Accademia della Modernità Democratica e tra gli internazionalisti italiani che sono stati a lungo nei territori della Siria del nord-est. Ascolta o scarica.
SIRIA: la questione drusa al centro dell’agenda espansionistica Israeliana
A seguito della dichiarazione di cessate il fuoco tra l’esercito dell’autoproclamata autorità siriana e i gruppi armati locali a maggioranza drusa di giovedì 17 luglio, già dalla stessa sera sono ricominciati gli scontri nella città di Sweida: l’esercito, ci riporta Marco Magnano in diretta da Damasco, si sta schierando nuovamente verso la città. La miccia […]