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Ennesima operazione di sgombero in alcuni magazzini del Porto Vecchio di Trieste
Nella prima mattinata del 3 dicembre a Trieste è stato eseguito un nuovo sgombero nei magazzini del Porto Vecchio. Circa 150 persone migranti e richiedenti asilo, che da settimane dormivano in ripari di fortuna dopo essere state abbandonate in strada, sono state messe in fila, identificate e trasferite. La nuova operazione di sgombero e chiusura dei magazzini 2 e 2A del Porto Vecchio è stata disposta dal Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico dopo gli incendi delle scorse settimane. Notizie INCENDI AL PORTO VECCHIO DI TRIESTE, SOSPETTI SU AZIONI DOLOSE Associazioni, volontarә e attivistә solidali chiedono indagini approfondite Redazione 18 Novembre 2025 La misura, denunciata da ICS – Consorzio Italiano di Solidarietà, conferma l’assenza di una strategia seria e strutturale da parte delle istituzioni: «domani, le persone che arriveranno in città, si troveranno nella medesima condizione di chi è stato allontanato oggi. Semplicemente, il problema viene spostato, non affrontato». Lo sgombero è avvenuto senza alcun coinvolgimento delle organizzazioni che in città si occupano quotidianamente di accoglienza e supporto, né dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Per ICS questa esclusione rivela la cifra politica della gestione locale della mobilità migratoria: una gestione dettata da logiche securitarie ed emergenziali, spesso funzionali più a esigenze mediatiche che alla tutela dei diritti delle persone vulnerabili. Si produce così, ancora una volta, un’emergenza artificiale che si ripresenterà nei prossimi mesi, aggravando la responsabilità politica di chi governa. Ma ciò che l’organizzazione sottolinea come più grave è l’esclusione arbitraria di almeno quaranta persone che non si trovavano nei magazzini al momento dell’intervento e che non sono state trasferite né informate. Il fatto che nessuna istituzione abbia tentato di raggiungerle, proprio perché le realtà del territorio non sono state coinvolte, avrà conseguenze dirette e drammatiche sulla vita di persone già estremamente vulnerabili. Notizie TRIESTE, TRASFERITE LE PERSONE MIGRANTI DAL PORTO VECCHIO Critiche dalle associazioni: «Un’operazione tardiva e inefficace» Redazione 7 Ottobre 2025 A denunciare la situazione interviene anche Linea d’Ombra. “All’improvviso, come da copione, brusco trasferimento di migranti dagli unici ripari che hanno: i miserabili anfratti di Porto Vecchio, dove pur riescono a sopravvivere con la nostra solidarietà. Ma non solo trasferimenti – scrive l’associazione – a quanto pare anche espulsioni, talora con motivazioni grottesche. A molti altri è stato semplicemente intimato di andarsene dal Porto Vecchio”. Linea d’Ombra sottolinea come dopo mesi di accoglienza “scarsa e irregolare”, lo sgombero arrivi accompagnato dagli “echi soddisfatti dei politicanti che lucrano sulla paura e sulla sofferenza”. Nel pomeriggio nella stessa area interessata dal dispiegamento improvviso e massiccio degli apparati istituzionali è stato ritrovato il corpo senza vita di un uomo algerino di 32 anni 1. Un epilogo che mostra, una volta di più, l’assenza totale di cura e tutela per quelle vite che le istituzioni continuano a trattare come un problema da rimuovere agli occhi della città. Quello che accade a Porto Vecchio non è un evento straordinario: è il prodotto di una scelta politica. E come tale, può – e deve – essere cambiato. 1. Un migrante algerino trovato senza vita all’ex Locanda 116, RaiNews (3 dicembre 2025) ↩︎
Incendi al Porto Vecchio di Trieste, sospetti su azioni dolose
Trieste – Almeno cinque incendi in una settimana nei magazzini dismessi del Porto Vecchio di Trieste, dove decine di persone migranti trovano riparo. La zona è infatti nota per essere uno dei luoghi dove le persone sono costrette a vivere molti mesi prima di riuscire a fare richiesta di asilo e accedere al sistema di accoglienza. Notizie TRIESTE, TRASFERITE LE PERSONE MIGRANTI DAL PORTO VECCHIO Critiche dalle associazioni: «Un’operazione tardiva e inefficace» Redazione 7 Ottobre 2025 Le prime ricostruzioni della stampa locale hanno parlato di fuochi accesi per scaldarsi, lasciando intendere che la colpa fosse degli “abitanti”, ma le testimonianze raccolte da volontarә e attivistә solidali nell’area portuale raccontano una storia diversa, che punta verso possibili azioni dolose. Gli episodi più recenti risalgono al 10 e al 13 novembre, ma chi vive stabilmente negli edifici segnala altri tre casi: roghi appiccati sotto la pensilina del varco automobilistico, davanti agli ingressi del piano terra e al quarto piano del magazzino, dove sono bruciati indumenti, sacchi a pelo e scarpe di alcune persone che vi dormivano. Un ultimo tentativo sarebbe stato sventato sul retro del magazzino 2A da due cittadini afghani, che riferiscono di aver messo in fuga due individui mentre tentavano di incendiare materiale da costruzione. Nella notte tra il 15 e il 16 novembre si sono verificati altri tre tentativi, alle 20:00, all’1:00 e alle 3:00. Secondo quanto riportato da chi dorme nell’edificio, in queste occasioni sono state allontanate persone estranee che si aggiravano nei magazzini fino all’ultimo piano, cercando di appiccare fuochi in stanze vuote. Tutto ciò è stato ricostruito da volontarә e attivistә solidali insieme alle associazioni ICS – Ufficio Rifugiati Onlus, Linea d’Ombra Odv e No Name Kitchen che denunciano come gli elementi raccolti, perciò, mettono in discussione l’ipotesi dell’incidente. «In almeno due occasioni il fuoco è stato acceso al piano terra dei magazzini, in luoghi dove le persone migranti non dormono», spiegano in un comunicato congiunto. Inoltre, «le temperature attuali sono ancora miti e non richiedono l’accensione di fuochi per scaldarsi». Un dato significativo riguarda la frequenza degli episodi: «Lo scorso inverno si è verificato un solo incendio nei magazzini, mentre ora gli episodi registrati sono cinque in una sola settimana». A questo si aggiungono le testimonianze raccolte, «che raccontano di alcune presenze sospette nelle ore in cui sono divampati gli incendi». I vigili del fuoco sono intervenuti due volte, accompagnati dai carabinieri, ma non sono state raccolte dichiarazioni da chi vive nelle strutture. Nel frattempo, le persone che dormono nei magazzini hanno organizzato turni di sorveglianza notturna, affiancate da cittadini solidali che presidiano l’area per prevenire nuovi roghi. Nella nota stampa, si chiede di «accertare con urgenza se si tratti di incendi dolosi e, in tal caso, se possano essere prefigurati i reati di danneggiamento, incendio doloso nonché tentate lesioni o tentato omicidio». Il documento sottolinea che «la gravità dell’incendio ha – in almeno un caso – messo in pericolo l’incolumità e la vita delle persone che trovavano rifugio all’interno dei magazzini». Secondo associazioni, volontarә e attivistә, «appare infatti plausibile l’azione di individui che mirano a fomentare allarme sociale, alimentando narrazioni che criminalizzano le persone migranti». La richiesta è quella di un’indagine accurata che faccia chiarezza sulle dinamiche e sulle responsabilità degli episodi, in un contesto in cui le persone migranti sono «costrette a dormire nei magazzini del Porto Vecchio» a causa di quelle che vengono definite «inadempienze istituzionali».
Trieste, trasferite le persone migranti dal Porto Vecchio
Mercoledì 1° ottobre, all’alba, la Prefettura di Trieste ha disposto il trasferimento delle persone migranti accampate sotto la tettoia di largo Città di Santos, all’ingresso del Porto Vecchio. In tutto 157 persone di diverse nazionalità, che da settimane trovavano riparo in quell’androne, dormendo su coperte e materassini forniti dai volontari. Lo sgombero e gli allontanamenti forzati di agosto non avevano portato, come ampiamente annunciato, a nessuna vera soluzione per le persone, richiedenti asilo, in attesa di accedere al sistema di accoglienza. Notizie/A proposito di Accoglienza TRIESTE, RICHIEDENTI ASILO SENZA ACCOGLIENZA E SOTTO SGOMBERO Nuova denuncia e appello delle associazioni: «Serve un intervento immediato» Redazione 22 Agosto 2025 Questa volta, l’operazione di trasferimento forzato è stata condotta da ben 91 agenti delle forze dell’ordine tra Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza e Polizia locale. Un vero e proprio esercito al quale hanno offerto il proprio supporto la Protezione civile, l’ASUGI, UNHCR e la Caritas. Dopo le procedure di identificazione, le persone sono state caricate su quattro pullman e trasferite fuori regione, in strutture di accoglienza straordinaria situate in Veneto e Piemonte. Secondo la Prefettura, la decisione rispondeva alla necessità di garantire «luoghi di accoglienza idonei e dignitosi» in vista dell’arrivo dell’autunno, ma anche a esigenze logistiche legate all’imminente Barcolana e ai lavori di riqualificazione in corso nell’area del Porto Vecchio. «Le attività – si legge nel comunicato ufficiale – sono state volte alla verifica della presenza di richiedenti asilo privi di immediate forme di accoglienza e alla conseguente presa in carico degli stessi». Il sindaco-sceriffo Roberto Dipiazza sulla stampa locale ha espresso soddisfazione, commentando: «Bravi tutti, bel lavoro». Ma la giornata di mercoledì ha suscitato forti critiche da parte delle associazioni che da anni si occupano di accoglienza a Trieste. Ph: Lorena Fornasir ICS – Ufficio Rifugiati Onlus: «Un trasferimento tardivo e un sistema inefficiente» Durissimo il giudizio di ICS, che da mesi denuncia il collasso del sistema di prima accoglienza. «Il 1° ottobre a Trieste non c’è stato alcuno sgombero di migranti dall’area del Porto Vecchio, ma un tardivo trasferimento di circa 150 richiedenti asilo, effettuato direttamente dalla strada», ha dichiarato l’organizzazione in una nota. «L’operazione conferma quanto ICS denuncia da tempo: decine di richiedenti asilo – tra cui famiglie – sono costrette a vivere abbandonate per settimane in condizioni indegne, senza alcuna accoglienza». Per l’associazione si tratta dell’ennesimo intervento emergenziale che non affronta le cause del problema. «Il trasferimento del 1° ottobre, pur positivo per chi ha finalmente trovato una collocazione, non risolve nulla: diverse decine di persone continuano a dormire in strada. Queste operazioni tampone non risolvono nulla, perché già dal giorno successivo i problemi si ripresentano identici». La nota si conclude con la richiesta di un intervento strutturale e il potenziamento del sistema di prima accoglienza: «Serve un sistema ordinario con numeri adeguati, capace di rispondere a flussi modesti ma costanti, come richiesto dalle normative e dalla giurisprudenza europea, che garantiscono il diritto all’accoglienza dal momento stesso della richiesta d’asilo». Linea d’Ombra: «Non uno sgombero, ma un trasferimento forzato» A denunciare le modalità dell’intervento è anche Gian Andrea Franchi, fondatore di Linea d’Ombra Odv, che da anni assiste i migranti in transito lungo la rotta balcanica. Intervistato da Radio Onda d’Urto, l’attivista ha sottolineato: «Sapevamo già da giorni che ci sarebbe stato questo trasferimento, perché si tratta di un trasferimento, non di uno sgombero. Queste persone vivevano da tempo in condizioni difficili, dormendo sull’asfalto del Porto Vecchio, con materiali forniti da noi ma in uno spazio precario». Secondo Franchi, la presenza dell’UNHCR e di altre organizzazioni ufficiali ha dato un’apparenza di regolarità all’operazione, ma non ne ha cambiato la natura forzata. «Ci è stato detto che verranno trasferiti nel Nord Italia, non in Sardegna come in altri casi. La Sardegna è particolarmente temuta dai migranti perché si trovano poi in un’isola da cui uscire è molto difficile». Franchi riconosce che «dal punto di vista ambientale» le condizioni di vita nei centri potrebbero essere migliori: «Dovrebbero avere un tetto sulla testa, una branda, un pasto caldo». Tuttavia, avverte, «il dato ambientale non può essere separato da quello psicologico: una stanza isolata in un paese lontano da possibilità di comunicazione può essere peggiore di un androne esposto a tutti i venti». E ricorda un episodio emblematico: «Alcuni mesi fa un amico migrante ci telefonò da una località remota della Lombardia dicendo che avrebbe voluto ritornare sotto l’androne, perché si trovava in un edificio isolato vicino alla boscaglia. Preferiva stare tra gli amici, fra la gente». L’attivista descrive l’intervento come «una grande operazione di polizia», con «una presenza massiccia di forze dell’ordine, carabinieri e operatori della Regione». Sul posto, spiega, «sono state montate tre tende per i controlli igienici e sanitari, e poi c’erano i grandi pullman che avrebbero portato via questi ragazzi e anche alcune famiglie con donne». Nonostante il trasferimento, Franchi prevede che la situazione si ripeterà rapidamente: «Sicuramente l’androne tornerà ad essere abitato da altri migranti, perché arrivano ogni giorno tra le 30 e le 50 persone».
Pordenone Pedala nell’aeroporto militare Pagliano e Gori e nella base USAF di Aviano
Nella posta elettronica dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università (osservatorionomili@gmail.com) è arrivata una segnalazione riguardo alla prossima edizione di Pordenone Pedala che si terrà il 7 settembre. Il percorso previsto per la ciclopasseggiata presenta in effetti una spiacevole anomalia. L’evento ha finalità ricreative e turistiche, unisce giovani e meno giovani, persone con disabilità, mette a disposizione un bus perché tutti possano raggiungere il traguardo, e termina con una pastasciutta offerta a tutti, in allegria. Quale sarebbe l’anomalia? Quella che per la prima volta in 52 anni, il gruppo dei concorrenti dovrà passare per l’aeroporto militare Pagliano e Gori, nella base USAF di Aviano. Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ci chiediamo come possano le autorità civili promuovere un connubio simile tra divertimento cittadino e pericolo bellico. Una domanda retorica, ovviamente, perché sappiamo di trovarci di fronte alla forma peggiore di sinergia sul territorio tra gli organizzatori dell’evento e le autorità militari italiane e statunitensi della base di Aviano. Tutto è concertato ad arte. Invece che contestare le attività della base USAF e dell’aeroporto militare Pagliano e Gori, li si considerano patrimonio del territorio al pari di una valle delle Prealpi, di un castello medioevale, di un palazzo del Rinascimento.  È risaputo che ad Aviano sono depositati almeno 20 ordigni nucleari statunitensi. Sembra che negli ultimi anni siano stati sostituiti, tutti o in parte, con B61-12 di ultima generazione, capaci di sprigionare una forza distruttrice circa 80 volte la bomba di Hiroshima. Ci piacerebbe saperne di più ma sono tutte informazioni riservate.  Aviano, con Ghedi, è stata dichiarata bersaglio militare strategico. Per questo negli ultimi mesi sono state aumentate le pattuglie di controllo di Polizia e Carabinieri Forestali sul perimetro della base militare, e si sono intensificati gli addestramenti.  Non tutta la popolazione civile vive bene questa presenza sul territorio. Proprio davanti alla base USAF di Aviano, il 9 agosto 2025, in memoria delle tragedie di Hiroshima e Nagasaki cancellate 80 anni fa dalle atomiche USA è stata organizzata una iniziativa per la pace. Noi aderenti all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ci siamo dati il compito di documentare la tendenza a militarizzare ogni spazio vivo della vita civile, fin dentro la coscienza individuale perché la troviamo inaccettabile. Contrastiamo con ogni mezzo lecito la paggeria di rappresentanze civili al sistema votato alla guerra. Per questo ringraziamo chi ha segnalato questa notizia al nostro indirizzo mail e invitiamo chi ci legge a fare lo stesso, scrivendo a osservatorionomili@gmail. Aiutateci a essere presenti su tutto il territorio italiano, nelle scuole e nelle università!  Partecipate al nostro incessante lavoro, scriveteci segnalazioni, diventate parte del nostro comitato di scopo. Qui abbiamo scritto come fare. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Trieste, richiedenti asilo senza accoglienza e sotto sgombero
Trieste si trova ancora una volta al centro di una crisi umanitaria legata alla non gestione dei richiedenti asilo e alla violazione dei loro diritti fondamentali. Dopo la conferenza stampa del 5 agosto, le organizzazioni solidali – Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), Diaconia Valdese, International Rescue Committee (IRC), Linea d’Ombra Odv, No Name Kitchen, Fondazione Luchetta e ResQ – hanno diffuso nuovi dati che fotografano un ulteriore peggioramento della situazione. Nelle ultime settimane sono iniziati allontanamenti forzati nell’androne accanto all’ingresso del Porto Vecchio, dove circa un centinaio di persone senza un posto in accoglienza trovano riparo per la notte. Gli interventi, affidati alla ditta Italspurghi, hanno incluso il sequestro di beni essenziali come coperte, sacchi a pelo e persino scarpe. «Si tratta di una pratica vessatoria e inaccettabile in uno Stato di diritto – denunciano le organizzazioni – e per questo la condanniamo con forza». Per contrastare quella che definiscono una «deriva repressiva», le realtà solidali hanno avviato presidi quotidiani a partire dalle 7 del mattino nell’androne del Porto Vecchio, con l’obiettivo di impedire che simili scenari si ripetano. E proprio nel giorno dei sequestri, sono arrivate in città decine di coperte donate da altre comunità solidali: «Un segno che, dinanzi alla violenza istituzionale, la solidarietà non si spegne». Secondo i dati diffusi, sono almeno 113 le persone richiedenti asilo abbandonate in strada in attesa di accoglienza. Circa la metà attende da tre settimane, nonostante le continue segnalazioni alla Prefettura. Solo ieri sono stati trasferiti quattro nuclei familiari – due dei quali con minori – che fino a quel momento avevano evitato di dormire in strada solo grazie all’intervento delle associazioni, che avevano reperito posti nei dormitori di emergenza. Tra chi resta ancora senza riparo si registrano numerosi casi di vulnerabilità: persone con problemi di salute non curati e aggravati dall’impossibilità di accedere a un ricovero notturno. A ciò si aggiunge un ulteriore problema: i tempi di registrazione della domanda d’asilo in Questura, che dopo una breve riduzione a luglio, sono tornati a dilatarsi. «Molti vengono respinti con motivazioni poco trasparenti e questo significa che non possono accedere né all’accoglienza né a un’assistenza sanitaria adeguata», spiegano le associazioni. Sul fronte dei trasferimenti, nel mese di agosto ne è stato organizzato uno a settimana, ciascuno da 60 persone: un numero ritenuto insufficiente, soprattutto in un periodo tradizionalmente segnato da un aumento degli arrivi. Le organizzazioni ricordano che il diritto dell’Unione Europea non ammette eccezioni: «La recente sentenza della Corte di Giustizia (C-97/24 del 1° agosto 2025) lo conferma: i richiedenti asilo hanno sempre diritto a un’accoglienza. In caso di carenza di posti, lo Stato deve attivare immediatamente strutture provvisorie, anche in collaborazione con i Comuni, nel rispetto del principio di leale collaborazione tra istituzioni». Ph: Lorena Fornasir – Linea d’Ombra Alla luce di questo quadro, la richiesta alle istituzioni è perentoria: «Chiediamo la sospensione immediata degli allontanamenti e dei sequestri, l’accesso all’accoglienza per tutti, l’aumento dei trasferimenti e l’attivazione di una struttura ad alta rotazione per le persone oggi abbandonate in strada». Infine, l’appello alla comunità: «Sostenete i presidi di solidarietà ogni mattina alle 7 nell’androne del Porto Vecchio, contribuite alla raccolta fondi e di beni organizzata dalla Fondazione Luchetta e continuate a supportare Linea d’ombra, che ogni giorno si prende cura delle persone migranti».
Trieste, Porto Vecchio: sveglie all’alba e sgombero delle persone che non hanno altro rifugio
Da oltre venti giorni, nei dintorni della stazione di Trieste, si ripete ogni mattina lo stesso copione. Alle cinque, forze di polizia statale e locale sgomberano le persone che trovano riparo nell’androne coperto alla sinistra dell’ingresso di Porto Vecchio. Non sono persone in transito, ma richiedenti asilo o titolari di documenti validi. Nei giorni scorsi altre organizzazioni avevano denunciato la situazione drammatica dell’accoglienza dei richiedenti asilo in città. Al 4 agosto 2025 sono stati segnalati almeno 173 uomini singoli, 2 donne sole e 4 nuclei familiari con bambini senza alcun supporto da parte delle autorità. Secondo l’associazione Linea d’Ombra ODV, la situazione è degenerata a partire dal 22 luglio, quando “un’assurda operazione di polizia di 60 carabinieri, fatti arrivare in parte dall’Emilia, con cani antidroga” si è conclusa con “una ventina di denunce per occupazione di suolo pubblico nei confronti di migranti che avevano già fatto o stavano facendo domanda d’accoglienza”. L’associazione sottolinea che l’azione repressiva si regge su un pretesto – la lotta allo spaccio – che riguarda “un minimo gruppo per minime quantità”, mentre il vero obiettivo sarebbe “continuare nell’uso politico del fantasma del migrante, su cui tutte le forze di governo contano per strappare voti”. Per LDO, “è evidente il carattere di propaganda politica della recente operazione” e le modalità messe in campo segnano “una fase di rapido passaggio da una Repubblica costituzionale a uno Stato di polizia, attuato con decreti legge emanati in spregio alla legge”. La critica non si limita al piano politico. L’associazione descrive le condizioni quotidiane: persone che si presentano in Questura per formalizzare la domanda d’asilo vengono rimandate indietro di giorno in giorno, costrette a dormire in strada. “Sono quindi persone aventi diritto – scrive LDO – ma, come Israele dimostra ogni giorno, arrestando in pieno Mediterraneo chi cerca di portare aiuti nei campi martoriati di Gaza, diritto è ormai una parola priva di senso”. Linea d’Ombra, che da anni offre aiuto concreto in piazza “per aiutare le persone, semplicemente, a vivere, creando relazioni basate sul rispetto e la solidarietà”, invita a manifestare pubblicamente: “Venite nella piazza serale con coperte e quant’altro sia utile, per difendere il diritto alla vita delle persone migranti e di tutti”.
Trieste, continua l’emergenza accoglienza richiedenti asilo
A Trieste si aggrava ancora una volta la situazione dell’accoglienza per i richiedenti asilo, con un preoccupante peggioramento denunciato da alcune tra le organizzazioni impegnate nel settore. Il Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), Diaconia Valdese, International Rescue Committee (IRC) e il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), esprimono la loro “forte preoccupazione” per la “netta recrudescenza” dei problemi nell’accesso alle misure di accoglienza previste dalla legge. Le organizzazioni richiamano l’attenzione sulle precise disposizioni della normativa europea, ricordando che “il diritto UE dispone con inequivocabile chiarezza (Direttiva 2013/33/UE, art. 17 par. 1 1) che gli Stati membri provvedano a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali di accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere protezione internazionale”. Questo diritto non consente deroghe, neanche temporanee, e prevede l’obbligo di assicurare “con immediatezza” le misure di sostentamento ai richiedenti asilo privi di mezzi. Negli ultimi anni Trieste ha vissuto una situazione altalenante: dopo anni di estese mancate accoglienze tra il 2022 e il 2024, una parziale ripresa si era vista da giugno 2024 con trasferimenti sistematici verso altre città, circa 60 persone a settimana. Tuttavia, da giugno 2025, “tale prassi ha subito un brusco rallentamento”, con trasferimenti dimezzati, proprio nel periodo estivo caratterizzato da un aumento degli arrivi. A pagare il prezzo più alto sono le persone più vulnerabili: “famiglie con bambini, donne sole, minori” che “vengono semplicemente abbandonate in strada in attesa di un posto in accoglienza, prive di alcuna assistenza che non sia quella fornita dalle associazioni di solidarietà”. I numeri parlano chiaro: al 4 agosto 2025 sono almeno 173 uomini singoli, 2 donne sole e 4 nuclei familiari con bambini senza alcun supporto da parte delle autorità. Le associazioni denunciano un’“assenza di una programmazione strutturata per gestire un fenomeno contenuto e prevedibile”, sottolineando che la situazione di Trieste si configura ormai come “una crisi umanitaria per il quarto anno di fila” che “richiede un intervento immediato da parte delle Autorità finora inadempienti”. Nel comunicato diffuso alla stampa si ricorda inoltre il pronunciamento recente della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha sancito come “uno stato membro non può sottrarsi ai propri obblighi invocando l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili”, ribadendo il dovere di garantire l’accoglienza anche in presenza di arrivi ingenti. Le organizzazioni coinvolte chiedono pertanto “che venga realizzata, anche attraverso un rinnovato dialogo con le associazioni, una programmazione adeguata che consenta di prevenire il verificarsi di tali gravi crisi”, avvertendo che “in assenza di interventi si riservano ogni azione legale necessaria a ripristinare il rispetto delle vigenti normative e tutelare i diritti fondamentali dei richiedenti asilo”. La situazione di Trieste torna quindi al centro del dibattito nazionale sull’accoglienza, mostrando ancora una volta le criticità di un sistema che non garantisce il rispetto dei diritti fondamentali e la dignità delle persone che cercano protezione in Italia. 1. Consulta la direttiva ↩︎
Nel cuore di Trieste, un contro-evento artistico e politico riaccende la memoria del Silos
Arianna Locatelli 1 L’articolo è disponibile in francese sul blog Échanges et Partenariats (E&P). Il Silos sgomberato, oggi circondato da inferriate e comunicazioni del Comune Il 21 giugno 2024, a Trieste è stato sgomberato il Silos, una struttura adiacente alla stazione centrale che per anni ha rappresentato un rifugio spontaneo per le persone in movimento arrivate dalla Rotta Balcanica. Negli spazi del Silos, quest’anno, è giunto il Cirque du Soleil con lo spettacolo Alegría – In a New Light, invitato dal Comune, dal teatro Rossetti e da Coop Alleanza 3.0. La narrazione pubblica che ha accompagnato l’evento ha descritto il Silos come un luogo di degrado da “restituire” alla città. In risposta, nei mesi precedenti all’arrivo del Circo, attivistə, cittadinə e solidali hanno scritto una lettera aperta per raccontare un’altra storia: quella di un luogo precario ma attraversato da relazioni, scambi e forme di resistenza quotidiana. In reazione a questa narrazione parziale, nei mesi precedenti all’arrivo del Cirque du Soleil, un gruppo nutrito di cittadinǝ, attivistǝ e solidali ha deciso di scrivere una lettera aperta al Circo per raccontare un’altra storia sul luogo che avrebbe abitato per un mese, consapevoli del fatto che artiste e artisti non potevano esserne al corrente. Notizie ALEGRÌA AL SILOS DI TRIESTE: LETTERA APERTA AL CIRQUE DU SOLEIL Una memoria collettiva contro la retorica della riqualificazione 27 Maggio 2025 Perché il Silos di Trieste, luogo nato dal basso come conseguenza delle inefficienze del sistema di accoglienza e di asilo italiano, nonostante le difficoltà e la precarietà, non è stato solamente un luogo di degrado e miseria. È stato uno spazio di incontro e scambio, una casa rotta (Khandwala dal pashto) in cui cucinare, dormire, giocare a cricket, fare festa, imparare l’italiano, un rifugio in risposta alle violenze dei confini europei, un atto di riappropriazione dello spazio da parte di persone che, seppur ostacolate da un sistema escludente, hanno saputo creare un’alternativa. In una lettera, inviata sempre dal gruppo di solidali questa volta direttamente agli artisti, si legge: PH: Andrea Vivoda (Sabato 2 marzo 2024 centinaia di persone hanno attraversato il Silos) Now, let’s bring you in. Close your eyes and picture a large, empty space. Imagine countless tents on the ground, furniture scattered around, strings hanging between the arches to dry clothes. Objects that represented an attempt to give meaning to that space. From the end of 2023, that intention was soon supported: solidarians began entering the Silos with speakers and board games. Where now lies the Grand Chapiteau, supporters mobilised to cut the grass and organise cricket matches. With a bit of idealism, someone planned a party. A banner outside read “Khandwala welcomes Trieste. From abandoned to welcoming places”: Silos – or Khandwala as inhabitants used to call it – invited the city to a 12-hour feast. Some cooked rice for 400 people, others ran back and forth with plates; some met for the first time, others lit fires, beat drums, or played trumpets. From that party, Silos constantly took new forms. Schools came to visit, people gathered for lunch, art and photography classes. At sunset, musicians used to sing traditional resistance songs. Some walls were painted, flags of various nations timidly appeared next to the Italian one. Paper banners were filled with poems, new words scribbling down so as not to forget. One night, even a fire breather came to perform his magic tricks. A theater workshop was suggested (though it was never held)». In seguito allo sgombero si è parlato poco dello spazio del Silos. Nessuna alternativa è stata fornita e le richieste di attivistǝ e solidali sono rimaste inascoltate. Lo sgombero non ha rappresentato una soluzione, ma solamente un’ulteriore violenza della frontiera, un atto di rimozione ed esclusione, volto a spezzare le reti di solidarietà e a rendere ancora più invisibili le persone migranti. Gli edifici di Porto Vecchio, occupati dopo lo sgombero del SIlos, rappresentano oggi la nuova versione di Khandwala Oggi, a Trieste, esistono altri Silos. Il bisogno di richiedenti asilo e persone in movimento di un luogo da abitare ha spinto le persone a occupare i magazzini di Porto Vecchio, strutture adiacenti a quelle del Silos. Queste nuove versioni di Khandwala, però, sono più problematiche e meno comunitarie perché non sono riuscite a ricreare quel clima di condivisione e festa che, a tratti, si generava nel Silos, quel senso di appartenenza nato in diversi attori e attrici che per diverse ragioni lo hanno frequentato negli anni. Locandina per la giornata del 21 Per tutti questi motivi, per raccontare una storia diversa, si è deciso di organizzare una giornata di festa e memoria – il 21 giugno 2025, a un anno dallo sgombero – in Piazza della Libertà, luogo cardine della vita migratoria triestina, a poche centinaia di metri dal Silos, dal Grand Chapiteau del Cirque du Soleil e dai magazzini del Porto Vecchio. L’intento è stato quello di ricordare ciò che il Silos è stato e farlo rivivere per un giorno in uno spazio pubblico della città. Nella lettera aperta, che ha raccolto quasi 1.500 firme in pochi giorni, si esprimeva il desiderio di una presa di coscienza collettiva sulla storia del Silos e si lanciava un invito diretto al Cirque du Soleil: portare fuori dal tendone, a disposizione di tutt3, quell’alegría promessa dal loro spettacolo. L’invito è rimasto inascoltato dalle istituzioni e dal circo, ma l’organizzazione della giornata è proseguita con delle open call ad artistǝ locali triestinǝ per creare un Cirque du Silos durante la giornata del 21. L’organizzazione ha coinvolto la cittadinanza solidale, da attivisti a titolo personale, a volontari, persone in movimento, partiti e associazioni locali. CIRQUE DU SILOS: LA GIORNATA DEL 21 GIUGNO Da piazza della Libertà, il 21 giugno, è passata molta gente. L’obiettivo di raggiungere un pubblico più ampio, non direttamente coinvolto nella vita migratoria e solidale, è riuscito solo in parte, ma per un giorno piazza della Libertà è tornata a vestirsi di quell’allegria che si poteva trovare nel Silos. Senza retorica, in maniera consapevole, cittadinǝ, attivistǝ e richiedenti asilo hanno condiviso una giornata di musica, teatro, chiacchiere e memoria. La mattina si sono svolti vari interventi di persone che per motivi diversi sono entrati a contatto con la realtà del Silos, cercando di ragionare attorno a una serie di tematiche che ad oggi più che mai risultano urgenti e attuali, non solo per Trieste ma per il sistema di asilo e accoglienza nazionale. Dopo un pranzo condiviso, si è dato avvio a una serie di laboratori artistici, performance ed esercizi teatrali che hanno coinvolto i partecipanti per tutto il pomeriggio. La giornata si è poi conclusa con l’usuale distribuzione serale della cena in piazza della libertà. Ma per un giorno, il clima che si respirava anche durante la distribuzione, è stato caratterizzato dall’energia che si è vissuta durante tutto l’arco dell’evento, con danze condivise al centro della piazza. Foto della giornata del 21 Tutta la giornata si è costruita attorno a una domanda semplice e urgente, che stride con la narrativa delle istituzioni e dei media sull’arrivo del Cirque du Soleil: perché dall’Alegría promessa da municipio, Rossetti, Coop e Circo sono state escluse le persone che hanno abitato per anni il Silos? Il progetto del Cirque si inserisce in un’ottica ormai dominante in tantissime città italiane (e non solo): quella di una riqualificazione urbana volta però alla turistificazione, che rimuove tracce considerate indesiderabili. Con un prezzo medio di 80 euro a biglietto, lo spettacolo è rimasto inaccessibile a chi – secondo la retorica istituzionale – avrebbe vissuto in quel “degrado” tanto denunciato. Il progetto di tale riqualificazione non parte dal basso, non va incontro alle esigenze delle persone che quello spazio lo hanno abitato. La volontà è quella di creare una vetrina escludente, mentre a Trieste – e non solo – centinaia di Silos continuano ad esistere, come centinaia di sgomberi che non portano ad alcuna soluzione se non a ulteriore precarietà. Reportage e inchieste TRIESTE, CITTÀ DI FRONTIERA Piazza Libertà, dove il confine prende corpo 1 Luglio 2025 Nella lettera agli artisti, due dei ragazzi coinvolti nell’organizzazione hanno provato a descrivere lo spettacolo del Silos. Consapevoli dell’estrema precarietà, partecipi della bellezza. Bellezza che il 21 in piazza si è rivista in una giornata che ha lasciato tuttǝ soddisfattǝ e paghǝ di un’energia che si è creata spontaneamente attorno allo scambio, all’arte, ai racconti. Concludo il racconto di questa giornata di “gioia e rivoluzione” (dal nome del gruppo organizzativo) con le parole che si leggono nella lettera agli artisti citata precedentemente: «We’re not here to offer answers or dictate your actions. We believe artists are not inherently problem-solvers, nor should they be. We are here to share and reflect. Because before any show arrived, an art already existed here – performed daily in acts of resistance, gestures of survival, and stories shared despite the violence endured. This art wasn’t official or remembered, but it was real». Uno spettacolo già esisteva. Uno spettacolo di resistenza, sopravvivenza, di storie intrecciate, di atti di cura e condivisione. Uno spettacolo che si tenta in continuazione di sradicare, di soffocare, di invisibilizzare. Consapevoli della necessità di lavorare su un sistema di accoglienza che sia più efficace e che non sia oggettificante, è necessario conservare la memoria di luoghi e realtà come quella del Silos, lottando per il diritto delle persone di rivendicare uno spazio, un luogo da abitare e da vivere in quanto proprio. Uno dei laboratori artistici-teatrali organizzati lungo la giornata.«We are here to share possibilities, meanings, myths, joy. We need to return Silos its lost Alegrìa. We hope to welcome you as guests in this construction of new worlds» 1. Mi sono laureata in antropologia culturale ed etnologia a Bologna. Sono un’attivista e una studentessa e negli ultimi anni ho girato varie città seguendo progetti di ricerca e volontariato su diverse frontiere in supporto alle persone in movimento. Attualmente lavoro per Migreurop e recentemente sono entrata nel CD di OnBorders ↩︎