“Gli Orti di Ome in provincia di Brescia, sono laboratorio a cielo aperto di biodiversità e salute”
Intervista al professor Andrea Mastinu, botanico – Università degli Studi di
Brescia – Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Divisione di
Farmacologia.
Nel cuore verde della Franciacorta, gli Orti Botanici di Ome custodiscono specie
arboree rare e in via di estinzione, attirando l’interesse crescente del mondo
scientifico. Il professor Andrea Mastinu, docente e ricercatore presso
l’Università degli Studi di Brescia, è uno dei protagonisti del progetto di
studio su queste preziose aree verdi. Con lui abbiamo approfondito la valenza
scientifica, ambientale e sociale degli Orti, e le potenzialità che riservano
per il futuro della ricerca farmaceutica.
Professore, come è venuto a conoscenza degli Orti di Ome e cosa l’ha affascinata
al punto da farne oggetto di studio scientifico?
La scoperta degli Orti di Ome è stata resa possibile grazie alla lungimiranza
dell’Università degli Studi di Brescia, che ha stipulato una convenzione a fini
didattici e di ricerca con gli Orti stessi. È stato un punto di partenza
decisivo, poiché la nostra Università non possiede un orto botanico “ufficiale”.
La possibilità di accedere a una realtà così ricca di biodiversità ci ha
consentito di portare gli studenti del corso di laurea in Farmacia direttamente
sul campo, per osservare da vicino le varietà di querce e conifere che il
botanico Antonio De Matola cura con passione e rigore.
Da qui è nata la volontà di approfondire scientificamente le specie presenti, in
particolare quelle in via di estinzione. Le mie ricerche si sono concentrate
sulla caratterizzazione botanica e fitochimica di queste piante e hanno già
portato alla realizzazione di due tesi di laurea, una in biotecnologie e una in
farmacia.
Che tipo di rapporto si è creato tra lei e Antonio De Matola, curatore degli
Orti? E questo quanto ha contribuito a tener vivo l’interesse?
Antonio è una risorsa preziosa, non solo per la sua profonda conoscenza del
mondo vegetale, ma anche per la sua straordinaria umanità. È una persona che ha
saputo trasmettermi, e trasmettere agli studenti, una passione sincera e
contagiosa per le specie arboree che coltiva. Nei due orti che cura, Antonio ha
messo a dimora querce e conifere rare, monitorandone l’adattamento, la crescita,
le criticità.
Oltre agli aspetti tecnici, mi ha aiutato ad ampliare la mia visione,
spingendomi a osservare la resilienza delle piante, ma anche la loro fragilità.
È riuscito a farmi vedere la botanica da un’altra prospettiva, più ampia, più
interconnessa. In questo senso, è stato un incontro fondamentale.
Qual è il valore di questi Orti da un punto di vista scientifico, sociale e
ambientale?
Gli Orti di Ome sono un patrimonio per l’umanità. Dal punto di vista
scientifico, rappresentano una riserva vivente di specie di altissimo interesse
botanico e farmacologico. Le querce e le conifere che vi crescono sono spesso
minacciate nei loro ambienti originari, ma qui trovano una seconda possibilità.
Nel mio laboratorio, con l’aiuto dei colleghi, stiamo studiando gli estratti
vegetali di queste piante per valutarne il contenuto di metaboliti e molecole
potenzialmente utili in ambito terapeutico. Le potenzialità di molte di queste
specie sono ancora largamente sconosciute: è nostro compito esplorarle,
valorizzarle e, soprattutto, proteggerle.
A livello ambientale, gli Orti ospitano una ricca biodiversità vegetale e
animale. Sono frequentati da numerosi impollinatori e uccelli selvatici, e
rappresentano un ecosistema equilibrato, capace di sostenere forme di vita
interdipendenti.
Infine, c’è l’aspetto sociale. Gli Orti di Ome sono sempre aperti al pubblico. È
importante ricordare che il “verde” può offrire benefici anche psicologici e
fisiologici: la presenza della natura può migliorare l’umore, abbassare i
livelli di stress e promuovere un senso di benessere. Anche questo è scienza.
Campionamenti agli Orti botanici di Ome (BS) da parte degli studenti di Unibs
Da quanti anni lavora in questo contesto e con chi ha collaborato? Qual è lo
studio più interessante finora?
Mi occupo di piante da circa dieci anni. La collaborazione con gli Orti di Ome è
attiva da circa cinque anni. Un compagno costante di lavoro è stato Vlad
Sebastian Popescu, prima come studente in Biotecnologie e oggi dottorando. Con
lui abbiamo effettuato il campionamento delle parti aeree delle piante e
condotto le prime analisi fitochimiche.
L’analisi avanzata dei composti chimici è stata condotta dal professor Gregorio
Peron, un chimico dell’Università di Brescia, mentre la mia dottoranda Eileen
Mac Sweeney si è occupata di valutare le potenzialità terapeutiche degli
estratti.
Uno studio particolarmente significativo è quello condotto sull’Abies
nebrodensis, una rara conifera siciliana donata dal Parco dei Nebrodi. Le nostre
analisi hanno evidenziato una ricchezza di metaboliti antiossidanti nelle
foglie, e stiamo attualmente esplorando le possibili applicazioni terapeutiche
di questi composti.
Quando ha deciso di studiare gli Orti come “caso scientifico”? Quali sono gli
elementi che più l’hanno colpita?
Il lavoro sul campo mi ha sempre appassionato, e gli Orti di Ome rappresentano
un’opportunità unica: ci permettono di studiare in loco specie che altrove sono
distribuite in aree molto lontane o difficilmente accessibili.
Uno degli elementi più affascinanti è proprio la possibilità di confrontare i
nostri dati con quelli raccolti da ricercatori in tutto il mondo che studiano le
medesime specie in condizioni diverse.
C’è anche un aspetto simbolico importante: l’Orto delle Querce si sviluppa
proprio accanto all’ospedale. In un luogo di sofferenza e cura, la presenza di
un ecosistema vegetale complesso e vitale può rappresentare un sostegno
invisibile ma potente. Le terapie, dopotutto, nascono dalla natura. È un
messaggio che non dobbiamo dimenticare.
Cosa servirebbe, secondo lei, per far compiere agli Orti un salto di qualità e
renderli una risorsa ancora più utile alla scienza?
Gli Orti di Ome sono già una realtà straordinaria, ma hanno bisogno di un
riconoscimento istituzionale adeguato. Sarebbe importante che le istituzioni
locali e regionali li sostenessero maggiormente, sia dal punto di vista
economico che infrastrutturale.
Un primo passo sarebbe la creazione di laboratori in loco, per poter effettuare
analisi direttamente sul campo senza dover trasportare i campioni. Inoltre,
l’installazione di sensori ambientali (per temperatura, umidità, suolo, presenza
di insetti, stress idrici) permetterebbe di raccogliere dati in tempo reale,
fondamentali per studi sull’adattamento climatico e sull’agricoltura
sostenibile.
Infine, servirebbero spazi dedicati alla divulgazione scientifica e alla
formazione: workshop, percorsi educativi, eventi aperti alla cittadinanza. Solo
così la conoscenza generata può diventare patrimonio condiviso.
Orti botanici delle conifere
Quali alberi ritiene oggi più promettenti per il futuro della medicina?
Le conifere. Sono una famiglia vegetale che sta vivendo da milioni di anni una
crisi evolutiva, complici i cambiamenti ambientali e la diffusione delle
angiosperme. Tuttavia, il loro potenziale terapeutico resta largamente
inesplorato.
Abbiamo già rilevato in alcune specie una forte presenza di metaboliti
bioattivi, ma siamo solo all’inizio. Serve più attenzione da parte della
comunità scientifica, e politiche di tutela ambientale che ne garantiscano la
sopravvivenza.
Quale futuro immagina per gli Orti di Ome?
Li immagino come un centro di riferimento internazionale per lo studio delle
piante officinali e degli alberi ad alto valore terapeutico. Un luogo dove si
intrecciano natura, cultura, benessere e ricerca. Non solo un orto, ma un
laboratorio a cielo aperto dove si coltiva conoscenza, salute e consapevolezza
ambientale.
Sarebbe straordinario vederli evolvere in un punto di incontro tra tradizione
contadina e innovazione scientifica, aperto a studenti, professionisti,
cittadini.
Una sua riflessione finale?
Antonio De Matola ha avviato un progetto straordinario con dedizione e
lungimiranza. Non possiamo permetterci di ignorare o disperdere una risorsa di
questo tipo. Dobbiamo valorizzarla e difenderla, per il bene della scienza,
dell’ambiente e della società. La salvaguardia delle piante è la salvaguardia
del nostro futuro. Ogni specie che studiamo, proteggiamo o semplicemente
impariamo a conoscere meglio, è un tassello fondamentale per la comprensione
della vita e per lo sviluppo di soluzioni sostenibili ai grandi problemi della
nostra epoca: dalla crisi climatica alla salute umana.
Gli Orti di Ome, in questo senso, sono molto più di un insieme di alberi: sono
un presidio di biodiversità, un luogo di cura e un motore di conoscenza. Sta a
noi, come comunità scientifica e come cittadini, riconoscerne il valore e
investire nel loro futuro. Perché proteggere questi luoghi significa investire
nella scienza, nell’ambiente e in un modello di società più consapevole e
resiliente.
Simona Duci