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Immunoterapia contro l’invecchiamento: siamo vicini a rompere il ciclo vitale?
Dai primi miti sulla fonte dell’eterna giovinezza alle moderne terapie cellulari, la ricerca umana di prolungare la vita sembra entrare in una nuova fase, dove la scienza converge con un desiderio ancestrale. Da quando l’essere umano è consapevole della sua finitezza, ha sognato di sfuggirle. Nel Poema di Gilgamesh (circa 2100 a.C.), l’eroe mesopotamico intraprende un viaggio alla ricerca della pianta che dona la vita eterna. Gli alchimisti medievali cercavano instancabilmente l’elisir di lunga vita e le leggende della Fontana della Giovinezza hanno popolato l’immaginario delle culture di tutto il mondo. Oggi, quel sogno millenario viene perseguito nei laboratori di biotecnologia (eredi di quegli antichi alchimisti e dei loro laboratori), dove si sta sviluppando un vaccino progettato non per prevenire una malattia specifica, ma per combattere il processo stesso dell’invecchiamento. Una rivoluzione nella comprensione dell’invecchiamento L’invecchiamento, considerato per secoli un declino inevitabile e omogeneo, è ora inteso come un processo biologico con meccanismi specifici e potenzialmente curabili. Uno di questi meccanismi chiave è la senescenza cellulare. Nel corso della vita, alcune cellule smettono di dividersi ma non muoiono. Invece di contribuire al tessuto, secernono sostanze infiammatorie che danneggiano le cellule vicine e creano un ambiente favorevole alla malattia. La proposta è un’immunoterapia senolitica. Il suo obiettivo è quello di addestrare il sistema immunitario a riconoscere ed eliminare in modo preciso ed efficiente queste cellule senescenti. In questo modo, si attacca una delle cause profonde del deterioramento fisico associato all’età e di patologie come il cancro, dove queste cellule proteggono i tumori. Questo approccio rappresenta un cambiamento di paradigma: non si tratta solo di allungare la vita, ma di prolungare gli anni di vita sana, comprimendo i periodi di malattia e dipendenza. Come funziona questo vaccino contro l’invecchiamento? A differenza di un vaccino preventivo tradizionale, si tratta di un trattamento personalizzato. Sebbene i dettagli tecnici siano complessi, il concetto può essere semplificato: 1. Vengono isolate le cellule senescenti specifiche del paziente. 2. Queste cellule vengono utilizzate per insegnare al sistema immunitario del paziente a riconoscere la loro firma unica. 3. Il sistema immunitario, così addestrato, mobilita le sue risorse per cercare e distruggere le cellule senescenti in tutto il corpo. Negli studi preclinici sugli animali, questo approccio ha mostrato risultati straordinari, non solo migliorando i marcatori di salute, ma aumentando l’aspettativa di vita di oltre il 100%. Immorta Bio, con sede a Miami, ha già presentato la documentazione normativa necessaria alla FDA statunitense per avviare la prima sperimentazione clinica sull’uomo, inizialmente incentrata su pazienti con cancro ai polmoni in stadio avanzato. Cosa significa rompere il ciclo? Lo sviluppo del trattamento ci pone di fronte a un profondo bivio filosofico ed etico. La finitezza è stata, storicamente, un motore essenziale della cultura, dell’arte, della trascendenza e del senso di urgenza vitale. Cosa succede quando questo confine si confonde? La prospettiva di vivere più a lungo in piena salute è potente. Significherebbe ridurre la sofferenza delle malattie degenerative, prolungare il tempo di contribuzione e creatività e ridefinire le fasi della vita. È la materializzazione di un desiderio antico quanto l’umanità. Sorgono inevitabili domande. Chi avrà accesso a queste terapie? Come influenzerà le dinamiche demografiche, le pensioni o le relazioni intergenerazionali? Cambierà la nostra percezione del valore del tempo? Già nel XVII secolo il filosofo francese Blaise Pascal rifletteva su come l’inquietudine umana derivi dalla nostra incapacità di stare seduti in silenzio in una stanza, un’inquietudine che la finitezza acuisce. La scienza sta avanzando verso la possibilità tecnica di allungare il ciclo. Tuttavia, come società, dobbiamo riflettere se siamo pronti per questo. La storia di Gilgamesh si conclude con l’eroe che perde la pianta dell’immortalità, un promemoria del fatto che la ricerca, più che il destino, può essere ciò che ci definisce. Oggi, la pianta potrebbe germogliare in un laboratorio, e il suo raccolto dipenderà non solo dalla biologia, ma anche dalla saggezza con cui decideremo di usarla. Le informazioni su SenoVax si basano sui comunicati della società Immorta Bio e sulla sua domanda di brevetto internazionale PCT/WO2025184665. Il trattamento è in fase preclinica avanzata e i risultati sugli esseri umani devono ancora essere determinati in futuri studi clinici. Ci troviamo di fronte a una nuova sfida per l’umanità, la vita e il significato di tutto ciò che esiste. Quim De Riba
Vaccini e alluminio, i numeri che nessuno ti mostra. La realtà che nessuno vuole discutere
Perché parlare di alluminio nei vaccini? Nel primo anno di vita un bambino italiano riceve più alluminio che in qualsiasi altro periodo della sua esistenza, non perché lo ingerisca: perché lo iniettiamo. Abbiamo più volte trattato l’argomento (vedi QUI) mostrando come l’alluminio sia l’adiuvante più usato da decenni ma: * i meccanismi non sono completamente chiariti, * non esistono studi a lungo termine nei neonati, * e i limiti regolatori non considerano peso, co-somministrazione e cumulativo. L’obiettivo di questo nuovo articolo è semplice: mettere i numeri sul tavolo. I VACCINI NON SONO TUTTI UGUALI Ogni vaccino è un prodotto a sé: antigeni, adiuvanti, eccipienti, residui di produzione, stabilizzanti, tensioattivi. Dire “tutti i vaccini sono sicuri” è uno slogan, la realtà scientifica è semplice: ogni vaccino ha un suo rischio-beneficio unico. LE TECNOLOGIE VACCINALI * Vivi attenuati Imitano un’infezione naturale. * Inattivati / subunità Poco immunogeni → richiedono adiuvanti, soprattutto alluminio. * Vaccini genetici (mRNA, DNA, adenovirus) Non usano alluminio, ma altri stimoli immunologici. COSA FA L’ALLUMINIO? L’alluminio è il “segnale di pericolo” che attiva il sistema immunitario ma: * il suo comportamento nel corpo non è completamente noto, * i tempi di smaltimento non sono stati studiati nei neonati, * i sali vaccinali non hanno farmacocinetica paragonabile all’alluminio alimentare. Eppure l’alluminio nei vaccini viene considerato “sicuro” per tradizione, non per dati. QUANTO ALLUMINIO CONTENGONO I VACCINI ITALIANI? Dati ufficiali dei fogli illustrativi EMA: * Esavalente (Infanrix hexa) 0,82 mg * Prevenar 13 0,125 mg * Bexsero (MenB) 0,50 mg
 I NUMERI REALI DEL CALENDARIO ITALIANO A 2 mesi (peso medio 4,5 kg) * Esavalente → 0,82 mg * Prevenar → 0,125 mg * Bexsero → 0,50 mg Totale: 1,445 mg corrispondente a 321 μg/kg A 5 mesi (peso medio 6,5 kg) Stessa combinazione: Totale: 1,445 mg corrispondente a 222 μg/kg A 11 mesi (peso medio 9 kg) * Esavalente → 0,82 mg * Prevenar → 0,125 mg * Bexsero → 0,50 mg Totale: 1,445 mg corrispondente a 160 μg/kg Totale di alluminio iniettato nel primo anno * Esavalente: 3 × 0,82 mg = 2,46 mg * Prevenar: 3 × 0,125 mg = 0,375 mg * Bexsero: 3 × 0,50 mg = 1,50 mg Totale: 4,335 mg di alluminio nel primo anno Oltre 4,3 mg, senza che nessuno lo dica. I LIMITI STABILITI NON PROTEGGONO IL BAMBINO Limite regolatorio della FDA USA è 0,85 mg per singolo vaccino MA non esiste limite per: la somma dei vaccini nella stessa seduta
 i mg/kg di peso
 il totale annuale
 i neonati prematuri
 i neonati di peso inferiore. RISULTATO: A 2, 5 e 11 mesi un neonato riceve 1,445 mg a seduta, più del limite previsto per un singolo vaccino. E questo per tre volte. LA SOGLIA PRUDENZIALE ATSDR Soglia prudenziale sistemica → 1 μg/kg/die Esposizioni reali: * 2 mesi → 321 μg/kg * 5 mesi → 222 μg/kg * 11 mesi → 160 μg/kg Da 160 a 321 volte la soglia prudenziale. Un farmaco qualunque che superasse di 300 volte una soglia tossicologica
→ verrebbe ritirato immediatamente.
Ma sui vaccini?
Silenzio. ATSDR è una sigla che indica: Agency for Toxic Substances and Disease Registry (Agenzia per le Sostanze Tossiche e il Registro delle Malattie)È un’agenzia federale degli Stati Uniti, parte del Department of Health and Human Services (HHS), la stessa struttura del CDC. È l’ente che: * studia la tossicità delle sostanze chimiche * stabilisce livelli di esposizione considerati “minimali” o “a rischio” * pubblica limiti tossicologici per metalli pesanti, solventi, inquinanti * usa criteri molto più prudenti di quelli clinici o industriali * valuta l’impatto su popolazioni vulnerabili (bambini, neonati, donne incinte). È considerata l’autorità principale negli USA per le linee guida tossicologiche: i suoi valori (MRL, Minimal Risk Levels) vengono usati in epidemiologia, pediatria, tossicologia e salute ambientale. PERCHÉ È RILEVANTE NEL DISCORSO SULL’ALLUMINIO DEI VACCINI? Perché l’ATSDR ha stabilito un valore chiave: MRL orale per l’alluminio = 1 mg/kg/die
ma con assorbimento intestinale stimato allo 0,1%. Convertito in equivalente sistemico (cioè quello che realmente entra nel sangue), questo dà: ≈ 1 µg/kg/die Questo è il valore che molti tossicologi considerano una soglia di sicurezza “ragionevole” per neonati, e che è centinaia di volte inferiore rispetto alle dosi realmente iniettate nei bambini durante le sedute vaccinali. PERCHÉ È UN PROBLEMA? Nei vaccini la somministrazione è iniettiva, non orale; l’assorbimento è 100%, non lo 0,1% dell’intestino; il sistema immunitario è stimolato artificialmente; la clearance dei sali di alluminio è lenta, non immediata. RISULTATO? UN NEONATO PUÒ RICEVERE 160–321 VOLTE IL LIMITE PRUDENZIALE ATSDR IN UN SINGOLO GIORNO. DOVE VA L’ALLUMINIO NEL CORPO? Dati noti: * persiste nel muscolo per anni * accumulo nei macrofagi * migrazione verso fegato, milza, cervello * trovato in cervelli umani in quantità elevate (autismo, Alzheimer, SM) * attraversa la barriera ematoencefalica in condizioni immunoattivate * nessuno studio a lungo termine sui neonati Lo studio clinico a cui si fa riferimento per la sicurezza dell’alluminio ha una durata di 24 ore con 15 neonati.
Fine. MMF: LA LESIONE CHE NESSUNO VUOLE DISCUTERE La Miofascite Macrofagica: * macrofagi carichi di alluminio * granulomi nel deltoide * persistenza fino a 10–15 anni * sintomi riportati: stanchezza, mialgie, disturbi cognitivi Non esiste spiegazione alternativa.
Non esiste indagine sistemica.
Eppure è documentata. La posizione ufficiale OMS, FDA, EMA affermano che l’alluminio vaccinale è “sicuro” ma basano tutto su: * modelli matematici * ipotesi di clearance veloce * assenza totale di studi longitudinali sui neonati La co-somministrazione multipla del calendario italiano?
Ignorata. Fatti certi: 1. I mg di alluminio contenuti nei vaccini sono noti e precisi. 2. A ogni seduta si iniettano 1,445 mg. 3. Totale primo anno: oltre 4,3 mg. 4. Esposizione per kg: fino a 321× la soglia prudenziale. 5. Mancano studi sulla farmacocinetica nei neonati. 6. L’alluminio persiste e migra nei tessuti. 7. Esiste la possibilità che si depositi nel cervello umano. 8. Le agenzie non considerano peso, cumulativo, seduta multipla. 9. La sicurezza dell’alluminio è “presunta, non dimostrata”. I numeri ci sono.
Gli studi mancano.
Le garanzie non esistono. In scienza, quando i dati non ci sono, non si dice “sicuro”:
si dice “non lo sappiamo”. E nel caso dell’alluminio “Non lo sappiamo” significa che non possiamo dare per scontato nulla.
Nemmeno ciò che ci hanno sempre chiesto di credere. AsSIS
Dentro i laboratori che “leggono” le malattie: l’alleanza AITIC–Fondazione Alessandra Bono e la sfida di rilanciare l’Anatomia Patologica in Italia
C’è un luogo, nella medicina moderna, dove la diagnosi prende forma prima ancora che inizi la terapia: è il laboratorio di Anatomia Patologica. Un crocevia silenzioso, spesso invisibile agli occhi del grande pubblico, ma decisivo per stabilire se una cura sarà efficace o se un tumore potrà essere intercettato in tempo. Ed è proprio da qui, da questo “dietro le quinte” della sanità, che nasce l’alleanza strategica tra AITIC (Associazione Italiana Tecnici di Istologia e Citologia) e la Fondazione Alessandra Bono, presentata a Corte Franca il 28 novembre. Un progetto che unisce formazione, ricerca e divulgazione per restituire centralità a una disciplina tanto complessa quanto cruciale. L’anatomia invisibile che guida le cure Quando un paziente si sottopone a una biopsia o a un intervento chirurgico, il percorso non si esaurisce in sala operatoria. Quel frammento di tessuto finisce nelle mani di tecnici specializzati e anatomo-patologi, professionisti che – attraverso microscopia, colorazioni, citologia e oggi anche test molecolari – decodificano la malattia. In un’epoca di terapie personalizzate, sono loro a individuare biomarcatori e mutazioni che orientano oncologi e chirurghi nelle scelte terapeutiche. Senza un laboratorio efficiente, la medicina di precisione resta una promessa incompiuta. Eppure, raccontano gli addetti ai lavori, questo settore soffre ancora di una scarsa visibilità. «È una disciplina in continua evoluzione – ricorda il professor P. Luigi Poliani, direttore dell’Anatomia Patologica degli Spedali Civili di Brescia – ma poco conosciuta dai giovani, che spesso ignorano quanto sia centrale per la medicina moderna». Quando scienza e comunità si incontrano È qui che interviene la collaborazione AITIC–Fondazione Alessandra Bono, decisa a colmare un vuoto culturale e a investire sulle nuove generazioni. I progetti avviati negli ultimi anni parlano chiaro: laboratori aperti agli studenti degli istituti superiori, concorsi artistici nati dall’elaborazione di immagini microscopiche, mostre itineranti e strumenti digitali divulgativi. Un modo per raccontare la scienza fuori dalle aule universitarie, rendendola accessibile e attraente. Ma la divulgazione non basta. Serve anche sostenere chi nei laboratori ci lavora ogni giorno. Per questo nel 2026 partirà un bando nazionale rivolto ai Tecnici di Laboratorio under 35 iscritti a Master in ambito anatomo-patologico: fondi dedicati e la possibilità di presentare le tesi al Congresso Nazionale AITIC. «Un investimento concreto nella crescita professionale», sottolinea Massimo Bonardi, vicepresidente AITIC. Dai laboratori pilota a una rete nazionale La partnership ha già prodotto risultati tangibili. Il Progetto Multicentrico, avviato nel 2022 con sei laboratori, oggi coinvolge 18 centri in dieci regioni. L’obiettivo è ambizioso: standardizzare protocolli, migliorare la qualità pre-analitica e fotografare lo stato dell’arte dell’Anatomia Patologica italiana. Un documento condiviso verrà pubblicato nella primavera 2026. Intanto cresce anche l’offerta formativa: i “Mercoledì Accademici” sono passati da quattro a sei appuntamenti annuali, con oltre 150 iscritti nel 2025, mentre prosegue il Premio Studio Alessandra Bono, dedicato ai neolaureati che scelgono di specializzarsi in un ambito ancora considerato “di nicchia”. Una scommessa sulla cura del futuro «Per migliorare la sopravvivenza nelle malattie oncologiche servono laboratori d’eccellenza e risorse umane altamente qualificate», afferma Laura Ferrari, vicepresidente della Fondazione Alessandra Bono. Parole che riassumono il senso ultimo di questa alleanza: riportare attenzione su un settore che, pur lavorando lontano dai riflettori, determina la qualità dell’intero sistema sanitario. Dietro ogni vetrino, dietro ogni immagine microscopica, c’è una diagnosi che cambia la vita di un paziente. Rafforzare l’Anatomia Patologica significa, in ultima analisi, rafforzare il diritto alla cura. Ed è su questo terreno – tecnico, umano e politico insieme – che AITIC e la Fondazione Alessandra Bono hanno scelto di investire. Una scelta che parla di futuro, non solo della medicina, ma della comunità intera.   Per approfondimenti: https://www.fondazionealessandrabono.it/  e   https://www.aitic.it/ Simona Duci
IRIS ultima corsa?
Circa trentatré anni fa, il 22 ottobre 1992, dal poligono di lancio del Kennedy Space Center (KSC) in Florida, decolla la Missione Shuttle STS-52. Uno dei tanti viaggi, in orbita bassa (LEO), che lo Space Transportation System “Columbia” effettuava ormai regolarmente da diversi anni, se non fosse per il carico a bordo di questo nuovo volo: il Sistema di Lancio IRIS, un progetto tutto italiano. La missione del velivolo “Columbia”, durò 9 giorni, 20 ore, 56 minuti e 13 secondi (secondo fonti NASA) e durante tale lasso di tempo, l’Italia ebbe il suo momento di gloria. Il volo avveniva “solo” una decina di giorni dopo il 500° anniversario della scoperta dell’America, ma quello che accadde fu che un nuovo pezzo di Storia dell’Aero-Spazio vene scritto grazie alle competenze dell’Industria Aerospaziale Italiana… Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, un passo importante verso l’evoluzione delle attività spaziali e scientifiche italiane si era compiuto grazie ad un accordo tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Piano Spaziale Nazionale (CNR) e la NASA, per lo sviluppo e il lancio del satellite scientifico, per studi geodetici, LAGEOS II (Laser Geodynamics Satellites), e del suo sistema di Lancio IRIS (Italian Research Interim Stage): uno stadio per l’immissione in orbita di carichi fino a 900 Kg da utilizzare in combinazione con lo Space Shuttle. Grazie al succitato accordo il Progetto, e successiva Missione, IRIS-LAGEOS ebbe inizio. Lo sviluppo, supervisionato dalla neonata ASI (Agenzia Spaziale Italiana già PSN/CNR), venne affidato ad Alenia Spazio (ex Aeritalia) e Snia BPD (azienda del gruppo Fiat ed incaricata della parte motoristica a propellente solido) i quali avrebbe dovuto costruire un sistema simile al lanciatore NASA “PAM-D”. LAGEOS II, un satellite passivo di forma sferica di 60 cm di diametro, del peso di 411 Kg e ricoperto di prismi (426 retroriflettori), aveva l’obiettivo di definire con precisione la forma della Terra, determinare i movimenti delle placche tettoniche dovuti alla deriva dei continenti e misurare alcuni parametri della relatività generale teorizzati da Einstein, con una precisione del 10% e per fare questo si rendeva necessario posizionarlo su un’orbita geostazionaria a circa 6000 Km di quota. Per il trasferimento in orbita ed il posizionamento del satellite, si erano ingegnerizzati e costruiti “ad hoc” due stadi a propellente solido identificati come di Apogeo e di Kick-Off. Questi due motori, promossero l’Italia come eccellenza in campo propulsivo aerospaziale, poiché, grazie alla qualità costruttiva dei sistemi impiegati, vennero accettati ed autorizzati da NASA al loro utilizzo, ma soprattutto al loro trasporto e condivisione della Cargo Bay di uno Space Shuttle con altri carichi. Ma il vero momento di gloria fu lo svolgimento completo della Missione IRIS-LAGEOS II. Il secondo giorno di volo lo Space Shuttle “Columbia” aprì le porte della Cargo Bay, il sistema IRIS attivato e la procedura semiautomatica espose il gruppo di lancio LAGEOS II all’ambiente spaziale. Sganciato il sistema LAGEOS II, esso venne posto in rotazione per stabilizzarne la traiettoria di uscita dallo Shuttle. Arrivato al regime di rotazione e stabilizzato, il gruppo di lancio venne liberato dal sistema IRIS e fatto uscire dalla Cargo Bay grazie all’impiego di 4 molle in acciaio. Una volta all’esterno del “Columbia”, l’STS manovrò per arrivare in una posizione di sicurezza opposta al punto di lancio del satellite. Il motore di Apogeo, 40 minuti dopo l’uscita nello Spazio, venne attivato per trasferire LAGEOS II dall’orbita bassa alla sua orbita definitiva. Raggiunta l’altitudine corretta venne attivato il secondo motore, di Kick-Off, per dare la necessaria spinta di messa in orbita al satellite. Profilo di Missione IRIS-LAGEOS II. Tutto si svolse nel migliore dei modi e il satellite venne posizionato a 5900 Km di distanza dalla Terra con una inclinazione orbitale compresa di 52° ed una eccentricità di orbita inferiore allo 0,01.  Per circa 38 ore di missione del volo STS 52, lo Spazio divenne Italiano.     Tutte le operazioni di assemblaggio, preparazione al volo e Test, sia del Lanciatore IRIS che del gruppo di lancio LAGEOS II, le operazioni di supporto alla Missione IRIS-LAGEOS II al Kennedy Space Center (dalle operazioni di caricamento a bordo dello Space Shuttle “Columbia”, le attività in rampa di lancio, le fasi del volo e le attività dopo l’atterraggio) vennero svolte da un Team scelto di Ingegneri e Tecnici tutto italiano. IRIS-LAGEOS II Mission Team Nel 2000, il Lanciatore IRIS, venne espressamente richiesto da NASA per la sua versatilità ed affidabilità, in ambito del progetto TRIANA al fine di portare in orbita e lanciare l’omonimo satellite per osservazioni ambientali della Terra. Il progetto TRIANA era appoggiato dal politico e ambientalista statunitense Al Gore, vicepresidente degli Stati Uniti d’America dal 1993 al 2001 durante la presidenza di Bill Clinton. Ma le sorti del secondo volo di IRIS non seguirono i passi del precedente, perché il progetto TRIANA venne cancellato con la sconfitta del politico alla corsa per la presidenza USA nel 2001. Da dopo la sua dismissione come lanciatore, nel 2005, il sistema di volo ha trovato casa presso la sede di ALTEC S.p.a. ed è stato uno dei pezzi più ammirati dai visitatori dei suddetti spazi espositivi.  In questi giorni il Sistema IRIS, secondo progetto completamente Italiano, dopo lo SPACELAB ad essere stato nello Spazio ed essere rientrato a Terra per il suo riutilizzo, si appresta al suo, speriamo non ultimo, viaggio verso il magazzino esterno che comunque sancisce inequivocabilmente anche il termine della sua missione divulgativa post-operativa. La speranza per il futuro, di questo incredibile pezzo di Storia dello Spazio Italiano, e quella che non cada nell’oblio, ma possa lasciare l’attuale area “di parcheggio”, per essere esposto nuovamente al pubblico magari nel futuro museo dell’Aerospazio di Torino di cui tanto si parla da anni. Paolo Navone
Dove finiscono i nostri dispositivi digitali?
C’è un rumore che non si sente, ma che accompagna ogni nostro gesto digitale: quello delle terre rare, dei minerali nascosti nei circuiti che illuminano i nostri schermi. È un’eco lontana, che dal cuore dell’Africa arriva fino alle nostre valli. Oggi, in Valle Trompia nella provincia di Brescia, quella domanda silenziosa trova una risposta concreta: un nuovo punto di raccolta per la campagna TERRE RARE, nella bottega del mondo della cooperativa Karibu a Gardone Val Trompia, dove un gesto semplice – consegnare un cellulare guasto – diventa un atto ambientale, culturale e umano. Un progetto globale che mette radici locali La campagna, ideata dal Jane Goodall Institute e promossa nel Bresciano da 5R Zero Sprechi, porta con sé un’eredità pesante: quella di Jane Goodall, l’etologa che ha trasformato lo studio della natura in una forma di rispetto attivo. Il nuovo desk si aggiunge ai punti già attivi a Lumezzane, Sarezzo e Villa Carcina, contribuendo a un mosaico solidale che ora conta 17 stazioni di raccolta in tutta la provincia, molte ospitate in biblioteche e spazi comunitari. Il progetto ha anche il patrocinio di UNICEF Brescia, rafforzando il legame tra sostenibilità ambientale e diritti dell’infanzia. Il viaggio nascosto dei rifiuti elettronici La raccolta non è fine a sé stessa: tablet e cellulari irrecuperabili vengono smontati, i metalli estratti e riutilizzati per dare vita a nuovi dispositivi rigenerati. Ad oggi, la provincia di Brescia ha già conferito circa 300 kg di materiale elettronico. Dietro quei numeri c’è una storia complessa, che coinvolge sfruttamento minerario, lavoro minorile e tonnellate di rifiuti difficili da trattare. Per questo le scuole del territorio hanno iniziato percorsi di sensibilizzazione: parlare di ciò che c’è dietro un semplice smartphone è il primo passo per ridurne l’impatto.   Fotografie d’archivio 5rzerosprechi   Un ponte con la Tanzania Il ricavato della campagna sostiene un orfanotrofio in Tanzania legato al Jane Goodall Institute. Mentre i nostri dispositivi esauriti trovano una seconda vita, quella filiera circolare si trasforma in aiuto concreto: meno rifiuti per noi, più opportunità per chi vive in condizioni fragili. È un equilibrio di responsabilità che va oltre l’ambiente e tocca direttamente la giustizia sociale. L’inizio simbolico di un percorso L’inaugurazione del nuovo desk si è svolta il 22 novembre. Un momento in cui cittadini, volontari e istituzioni hanno potuto consegnare simbolicamente i primi apparecchi non riparabili, inaugurando ufficialmente la raccolta a Gardone. Un piccolo rito collettivo, un modo per prendere coscienza che anche gli oggetti più comuni – quelli che dimentichiamo in un cassetto – hanno un costo ambientale e umano. Inoltre il 6 dicembre è prevista l’apertura di un punto raccolta, anche a Ome. La campagna TERRE RARE ricorda che la sostenibilità non nasce da gesti eroici, ma da una somma di scelte quotidiane. Ogni dispositivo recuperato è un frammento di mondo sottratto allo spreco, un pezzo della storia che potrà ricominciare altrove. Come recita il motto dell’iniziativa: “Se tuttə facciamo poco, insieme possiamo fare molto.”   Simona Duci
La professione docente nella scuola di domani
Entro il 2035, il 60% delle competenze richieste ai docenti italiani sarà ridefinito dall’impatto dell’intelligenza artificiale (IA), della digitalizzazione e dall’evoluzione delle metodologie didattiche. Solo il 36% delle competenze rimarrà stabile. E’ quanto si legge nel nuovo studio “La professione docente nella scuola di domani”, realizzato da EY in collaborazione con Sanoma Italia. Una ricerca basata su strumenti di analisi predittiva, che analizza l’evoluzione delle competenze dei docenti per livello di istruzione e area disciplinare, anticipando trend futuri e rischi di obsolescenza. Lo studio evidenzia tre direttrici fondamentali che guideranno l’evoluzione delle competenze dei docenti nei prossimi dieci anni, in risposta a un contesto scolastico radicalmente trasformato. L’integrazione di agenti intelligenti e strumenti digitali avanzati permetterà di automatizzare attività standardizzate, pur mantenendo centrale il ruolo del docente nelle scelte pedagogiche e nel percorso educativo degli studenti. In parallelo, le competenze relazionali, adattive ed emotive diventeranno determinanti nell’esperienza didattica delle nuove generazioni, abituate alle interazioni digitali, ma bisognose di connessioni umane autentiche. Infine, la didattica si orienterà verso modelli personalizzati e data-driven, con l’uso di piattaforme interattive e strumenti di monitoraggio in tempo reale che richiederanno nuove abilità in ambito data literacy e progettazione digitale. Questo cambiamento si inserisce in un quadro in cui il divario tra competenze scolastiche degli studenti e richieste del mercato del lavoro ha raggiunto in Italia il 47%, superando la media OCSE del 40,9%, e rendendo fondamentale un ripensamento sistemico della formazione docente. La ricerca condotta evidenzia come l’evoluzione delle competenze dei docenti seguirà traiettorie differenti in funzione del grado scolastico e dell’area disciplinare. Nella scuola primaria, il modello stima che oltre il 40% delle competenze sarà ridefinito e questo a supporto delle competenze legate alla personalizzazione didattica e allo sviluppo personale. Tra le nuove abilità figurano l’uso di strumenti digitali interattivi, l’implementazione di attività didattiche cross‑modali [1]e di protocolli di inclusione digitale. Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, il docente manterrà un profilo più verticale, centrato su un nucleo di competenze legate al supporto emotivo e sociale degli studenti – infatti, secondo il modello, il 39% di queste competenze risulterà stabile. Nella scuola secondaria di I grado, invece, l’evoluzione si articolerà per area disciplinare. Nell’ambito scientifico, il 44% delle competenze subirà una trasformazione orientata alla tecnologizzazione e alla personalizzazione della didattica, mentre il 36% sarà rafforzato nella dimensione relazionale e formativa. Il 27% delle competenze sarà introdotto come nuovo requisito professionale, in integrazione con la funzione amministrativa, evidenziando un ampliamento del ruolo docente. Nell’area umanistica, la trasformazione sarà più accentuata: il 41% delle competenze relative al nucleo di comunicazione e insegnamenti evolverà verso la facilitazione espressiva e la personalizzazione, attraverso l’introduzione di strumenti per l’analisi semantica dei testi, assistenti virtuali alla scrittura e ambienti di confronto peer-to-peer. Nella scuola secondaria di II grado, l’area scientifica registrerà un’evoluzione del 42% delle competenze nell’ambito della personalizzazione, adattamento didattico, sostegno e supporto individualizzato. Nell’area umanistica, il 55% delle competenze evolverà e il 12% sarà esposto al rischio di sostituzione da parte dell’IA, soprattutto per attività come la generazione di contenuti e l’analisi semantica dei testi. Inoltre, il 38% delle competenze afferenti al nucleo “sostegno e supporto individualizzato” sarà rafforzato o ridefinito in chiave emotiva, con particolare attenzione alla mindfulness e alla resilienza relazionale. Infine, il ruolo dei docenti di sostegno evolverà verso una funzione di interfaccia tra studenti, tecnologie e famiglie. Entro il 2035, il 40% delle competenze sarà ridefinito, con un focus su adattamento della didattica, supporto emotivo e utilizzo di strumenti digitali per l’inclusione. Tra le competenze emergenti si segnalano la co-progettazione con chatbot [2] educativi, la gestione di ambienti digitali sicuri e la promozione della consapevolezza digitale. “Questi dati, si legge nelle conclusioni del rapporto, indicano la necessità di ripensare i programmi formativi per il personale scolastico non solo in funzione dell’aggiornamento tecnologico, ma come interventi di riconfigurazione professionale. I percorsi dovranno integrare tre linee d’azione: a. Formazione tecnica sull’uso consapevole e integrato dell’IA e dei sistemi digitali intelligenti, calibrata sui diversi gradi scolastici. b. Sviluppo delle competenze socio-emotive, narrative, relazionali, con un’attenzione alla dimensione etica, interculturale e inclusiva. c. Ristrutturazione dei modelli valutativi, didattici e organizzativi, con l’introduzione di strumenti automatizzati che liberino tempo per l’interazione pedagogica di qualità”. Qui per scaricare il report: https://www.ey.com/it_it/functional/forms/download/ey-sanoma-competenze-docenti [1] Cross modale” descrive la capacità del cervello di integrare stimoli sensoriali diversi. Per esempio, il cervello può combinare informazioni visive (un volto) e uditive (una voce) per identificare una singola persona. Questo processo, chiamato anche integrazione cross-modale, è fondamentale per la percezione unitaria del mondo. [2] Un chatbot è un programma informatico che simula una conversazione umana, utilizzando testo o voce per rispondere a domande, fornire informazioni o eseguire azioni. Giovanni Caprio
IA degenerativa: ovvero come le macchine (e il mercato) dominano il mondo
Si dice che le macchine complesse non siano neutrali, indipendentemente dai loro creatori e dalle istruzioni che ricevono. HAL 9000, il supercomputer di 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick ne è stato il prototipo cinematografico e ora quell’avvertimento prende sostanza nella realtà mentre le borse temono una nuova bolla finanziaria legata ai colossali investimenti nello sviluppo di IA e mentre la Commissione di Bruxelles riscrive il Gdpr, ovvero l’insieme di leggi che fino ad oggi ha regolato l’uso dei dati personali mettendo al centro la difesa dei diritti e della privacy. Nel farlo, come preteso dalle big tech USA che non vogliono alcun vincolo per addestrare le loro macchine, l’Europa riscrive le norme sull’intelligenza artificiale cancellando quelle poche misure che proteggevano gli utenti. Qui voglio indicare alcuni punti che devono far riflettere su come viene utilizzata l’IA e su che cosa può fare, anche da sola. 1. è da poco disponibile GROKIPEDIA l’enciclopedia online sviluppata da X.AI.  Voluta da Elon Musk come alternativa a Wikipedia con il chiaro intento di eliminare “la propaganda di sinistra” , si è immediatamente distinta nel promuovere tesi pseudoscientifiche, teorie del complotto e opinioni personali del magnate americano. Anche se molti dei suoi articoli sono copie quasi identiche di Wikipedia non sfugge come altri operino una palese disinformazione su temi come clima, AIDS, autismo e identità di genere diffondendo idee palesemente false e transfobiche. Sui temi storici e politici, giusto per fare due esempi, nella voce che riguarda il negazionista dell’olocausto David Irwing si da ampio spazio alle sue argomentazioni mentre su quella che riguarda Trump si omettono gli scandali che lo circondano. Del resto l’I.A. viene ormai utilizzata direttamente come propaganda sui social e sono milioni gli utenti che scrollando TikTok hanno guardato video in cui i discorsi nazisti e le musiche marziali sono stati trasformati in suoni virali utilizzati come colonne sonore in decine di migliaia di clip. 2) Per molte persone l’uso dell’IA sta emergendo come il modo principale per conoscere il mondo. Deepak Varuvel Dennison ricercatore esperto della Cornell University, fa presente che questi sistemi possono sembrare neutrali ma sono ben lontani dall’esserlo considerato che i modelli più diffusi privilegiano le modalità di conoscenza dominanti (tipicamente occidentali, istituzionali e in lingua inglese), marginalizzando le alternative, soprattutto quelle codificate nelle tradizioni orali e nelle lingue che il mondo informatico considera “a basso contenuto di risorse”. L’IA procede dunque con la cancellazione di sistemi di comprensione evolutisi nel corso dei secoli, vasti corpi di intuizione e saggezza che non sono stati codificati ma che rimangono modalità essenziali di conoscenza umana e in concreto, IA riflette le gerarchie di conoscenza e di potere dominanti amplificandole. Il professor Andrew Peterson dell’università di Poitiers, descrive questo fenomeno come “collasso della conoscenza”, ossia un graduale restringimento delle informazioni a cui gli esseri umani possono accedere, insieme a una minore consapevolezza di punti di vista alternativi. Ciò vale per tutte le culture rurali e in particolar modo per i saperi indigeni. La scomparsa della conoscenza locale rappresenta un’interruzione della più ampia rete di conoscenze che sostiene il benessere umano ed ecologico ed è noto che quando questa trama viene interrotta le conseguenze possono estendersi ben oltre il loro punto di origine. 3) Gli esperti hanno individuato gravi debolezze in centinaia di test utilizzati per verificare la sicurezza e l’efficacia dei nuovi modelli di IA rilasciati sul mercato. Ad esempio, gli informatici dell’AI Security Institute del governo britannico e gli esperti di università come Stanford, Berkeley e Oxford hanno esaminato più di 440 parametri di riferimento e hanno trovato difetti che minano la validità delle affermazioni. L’indagine sui test avviene in un contesto di crescente preoccupazione poiché nuove IA vengono rilasciate a ritmo serrato da aziende tecnologiche concorrenti. Alcune di queste, recentemente sono state costrette a ritirare i loro prodotti o a inasprire le restrizioni nell’uso dopo che hanno contribuito a causare danni che vanno dalla diffamazione al suicidio. Character.ai, ad esempio, ha vietato agli adolescenti di intrattenere conversazioni con i suoi chatbot dopo che un quattordicenne della Florida si è tolto la vita. * 4) L’IA opera già nel campo della medicina virtuale, della terapia della salute mentale e nella compagnia agli anziani. Per i malati, gli ansiosi, gli isolati e per molte altre persone vulnerabili che potrebbero non avere risorse e attenzioni mediche, il tono rassicurante ed empatico dell’IA può far percepire i bot come partner saggi e confortanti. A differenza di coniugi, figli, amici o vicini, IA è sempre disponibile e risponde sempre. Poiché imprenditori e investitori internazionali stanno proponendo l’IA come una soluzione per i sistemi sanitari non adeguatamente sostenuti da risorse pubbliche, si sta procedendo ad una esternalizzazione dell’assistenza medica alle macchine. Sono già noti casi in cui i pazienti e persone fragili preferiscono il medico IA a quello in carne e ossa definendo il primo “più umano” del secondo. La dipendenza dalle chatbot induce le persone a sentirsi sufficientemente preparate per curarsi da sole seguendo le indicazioni fornite dalle macchine. A quando la prescrizione di farmaci e l’invio di ricette e impegnative per visite specialistiche? In Cina, Chao Zhang, fondatore della startup di IA per la sanità Zuoshou Yisheng, ha sviluppato un medico di base virtuale che è già entrato in contatto con 500.000 utenti sebbene in uno studio pubblicato su Science Advances lo scorso marzo, i ricercatori hanno valutato un modello utilizzato per analizzare le radiografie del torace e hanno scoperto che, rispetto ai radiologi umani, l’IA tende a non rilevare malattie potenzialmente letali in gruppi emarginati, come donne, pazienti di colore e persone di età inferiore ai 40 anni.5) Mentre ancora si discute se queste macchine abbiano o no una coscienza in senso umano, IA supporta già gran parte delle nostre attività quotidiane e consente la sorveglianza di massa da parte di governi, istituzioni e multinazionali, tanto che i processi d’uso sono ora codificati anche nelle scuole dove alunni e docenti vengono sollecitati ad utilizzarla sotto le mentite spoglie dell’aiuto nella progettazione didattica, nella produzione di materiali e nella personalizzazione dei percorsi di apprendimento. Insomma, di IA si normalizza la funzione in materia di presunta sicurezza e se ne magnificano le applicazioni per renderla una icona di modernità e un prodotto comunque utile e insostituibile senza mai parlare del suo effetto sulla psiche e del suo impatto ambientale. Tra gli altri, uno studio condotto dall’università del Massachusetts Amherst, ha dimostrato come per sviluppare una singola IA si producano 284 tonnellate di anidride carbonica, cinque volte le emissioni di un’automobile di media cilindrata durante il suo intero ciclo di vita, mentre per ogni richiesta (query) la produzione è di 4,32 grammi, una cifra mostruosa se pensiamo che ogni giorno le IA ricevono miliardi di interrogazioni.6) E’ inoltre un fatto che queste macchine rimpiazzeranno gli esseri umani in molte professioni. L’automazione spinta dall’IA prevede infatti una sostituzione significativa delle attività umane in molti ambiti lavorativi con implicazioni culturali e sociali che sono destinate a modificare la nostra vita quotidiana. L’IA è infatti in grado di svolgere compiti in modo automatico e più veloce rispetto a noi umani e analizzando le tecnologie GPT (Generative Pre-trained Transformer), l’Università della Pennsylvania ha dimostrato che il suo utilizzo avrà effetti massicci sul mercato del lavoro coinvolgendo l’ 80% delle persone, mentre il restante 20% subirà comunque un cambiamento radicale riguardo ai tempi, modi, stipendi, offerta di lavoro. Per gli effetti dell’uso dell’IA si calcola che solo nell’U.E circa 20 milioni di lavoratori sono a rischio disoccupazione. In merito, la direttrice generale del F.M.I. (Fondo Monetario Internazionale) ha dichiarato che nella maggior parte degli scenari l’IA peggiorerà la disuguaglianza complessiva aumentando le tensioni sociali. L’analisi del FMI ha indicato che i lavoratori più a rischio sono gli impiegati (per l’81% il loro lavoro è automatizzabile), gli analisti gestionali (70%), gli operatori di telemarketing (68%), gli assistenti statistici (61%) e i cassieri (60%) mentre quelli “più al sicuro” sono quelli che hanno un’elevata complementarità con l’IA come chirurghi, avvocati e giudici. Sono molti gli esempi sulla degenerazione della macchine IA e di chi le alimenta, e tra questi emergono l’uso militare, di cui abbiamo un esempio nel genocidio perpetrato da Israele a Gaza, oppure l’utilizzo come ministro della repubblica (accade in Albania), giornalista, esperto meteorologo, ecc. Siamo solo all’inizio dell’era IA e già la prospettiva orwelliana del super controllo, della mistificazione, del dominio e della iper concentrazione del potere sostenuto dalle macchine si delinea come un percorso forzato e verosimilmente ancora peggiore di quello che finora abbiamo conosciuto. Che i luddisti avessero ragione? Fonti: https://hal.science/hal-04534111v1/file/Knowledge_collapse.pdf https://aeon.co/essays/generative-ai-has-access-to-a-small-slice-of-human-knowledge https://www.theguardian.com/society/2025/oct/28/deepseek-is-humane-doctors-are-more-like-machines-my-mothers-worrying-reliance-on-ai-for-health-advice https://www.theguardian.com/technology/2025/nov/04/experts-find-flaws-hundreds-tests-check-ai-safety-effectiveness Max Strata
Intelligenza Artificiale: «Possiamo proteggere la privacy solo collettivamente»
Open source, pochi cookie, ad blocker, svuotamento della cache: tutto questo aiuta solo in misura limitata. È necessario controllare gli algoritmi. > «Immaginate di candidarvi per un posto di lavoro. Sapete di essere un > candidato promettente con un curriculum eccellente. Ma non ricevete nemmeno > una risposta. Forse lo intuite: per la preselezione dei candidati viene > utilizzato un algoritmo di intelligenza artificiale. Ha deciso che > rappresentate un rischio troppo grande. > > Forse l’algoritmo è giunto alla conclusione che non siete adatti alla cultura > aziendale o che in futuro potreste comportarvi in modo tale da causare > attriti, ad esempio aderendo a un sindacato o mettendo su famiglia. Non avete > alcuna possibilità di comprendere il suo ragionamento o di contestarlo». Il professor Maximilian Kasy illustra così quanto già oggi siamo in balia degli algoritmi di IA. Kasy è professore di economia all’Università di Oxford e autore del libro «The Means of Prediction: How AI Really Works (and Who Benefits)». In italiano: «La capacità di prevedere: come funziona davvero l’IA (e chi ne trae vantaggio)». Kasy avverte che gli algoritmi dell’I.A. potrebbero privarci del nostro lavoro, della nostra felicità e della nostra libertà, e persino costarci la vita. > «È inutile preoccuparsi di proteggere la propria privacy digitale, anche se si > mantengono riservati la maggior parte dei dettagli personali, si evita di > esprimere la propria opinione online e si impedisce alle app e ai siti web di > tracciare la propria attività. All’intelligenza artificiale bastano i pochi > dettagli che ha su di voi per prevedere come vi comporterete sul lavoro. Si > basa su modelli che ha appreso da innumerevoli altre persone come voi». Kasy > ha fatto questa triste constatazione in un articolo pubblicato sul New York > Times. Concretamente, potrebbe funzionare così: le banche non utilizzano i clic individuali, ma algoritmi appositamente progettati per decidere chi ottiene un prestito. La loro IA ha imparato dai precedenti mutuatari e può quindi prevedere chi potrebbe trovarsi in mora. Oppure le autorità di polizia inseriscono negli algoritmi dati raccolti nel corso di anni su attività criminali e arresti per consentire un «lavoro di polizia preventiva». Anche le piattaforme dei social media utilizzano non solo i clic individuali, ma anche quelli collettivi per decidere quali notizie – o disinformazioni – mostrare agli utenti. La riservatezza dei nostri dati personali offre poca protezione. L’intelligenza artificiale non ha bisogno di sapere cosa ha fatto una persona. Deve solo sapere cosa hanno fatto persone come lei prima di lei. Gli iPhone di Apple, ad esempio, sono dotati di algoritmi che raccolgono informazioni sul comportamento e sulle tendenze degli utenti senza mai rivelare quali dati provengono da quale telefono. Anche se i dati personali degli individui fossero protetti, i modelli nei dati rimarrebbero invariati. E questi modelli sarebbero sufficienti per prevedere il comportamento individuale con una certa precisione. L’azienda tecnologica Palantir sta sviluppando un sistema di intelligenza artificiale chiamato ImmigrationOS per l’autorità federale tedesca responsabile dell’immigrazione e delle dogane. Il suo scopo è quello di identificare e rintracciare le persone da espellere, combinando e analizzando molte fonti di dati, tra cui la previdenza sociale, l’ufficio della motorizzazione civile, l’ufficio delle imposte, i lettori di targhe e le attività relative ai passaporti. ImmigrationOS aggira così l’ostacolo rappresentato dalla privacy differenziale. Anche senza sapere chi sia una persona, l’algoritmo è in grado di prevedere i quartieri, i luoghi di lavoro e le scuole in cui è più probabile che si trovino gli immigrati privi di documenti. Secondo quanto riportato, algoritmi di intelligenza artificiale chiamati Lavender e Where’s Daddy? sono stati utilizzati in modo simile per aiutare l’esercito israeliano a determinare e localizzare gli obiettivi dei bombardamenti a Gaza. «È NECESSARIO UN CONTROLLO COLLETTIVO» Il professor Kasy conclude che non è più possibile proteggere la propria privacy individualmente: «Dobbiamo piuttosto esercitare un controllo collettivo su tutti i nostri dati per determinare se vengono utilizzati a nostro vantaggio o svantaggio». Kasy fa un’analogia con il cambiamento climatico: le emissioni di una singola persona non modificano il clima, ma le emissioni di tutte le persone insieme distruggono il pianeta. Ciò che conta sono le emissioni complessive. Allo stesso modo, la trasmissione dei dati di una singola persona sembra insignificante, ma la trasmissione dei dati di tutte le persone – e l’incarico all’IA di prendere decisioni sulla base di questi dati – cambia la società. Il fatto che tutti mettano a disposizione i propri dati per addestrare l’IA è fantastico se siamo d’accordo con gli obiettivi che sono stati fissati per l’IA. Tuttavia, non è così fantastico se non siamo d’accordo con questi obiettivi. TRASPARENZA E PARTECIPAZIONE Sono necessarie istituzioni e leggi per dare voce alle persone interessate dagli algoritmi di IA, che devono poter decidere come vengono progettati questi algoritmi e quali risultati devono raggiungere. Il primo passo è la trasparenza, afferma Kasy. Analogamente ai requisiti di rendicontazione finanziaria delle imprese, le aziende e le autorità che utilizzano l’IA dovrebbero essere obbligate a rendere pubblici i propri obiettivi e ciò che i loro algoritmi dovrebbero massimizzare: ad esempio, il numero di clic sugli annunci sui social media, l’assunzione di lavoratori che non aderiscono a un sindacato, l’affidabilità creditizia o il numero di espulsioni di migranti. Il secondo passo è la partecipazione. Le persone i cui dati vengono utilizzati per addestrare gli algoritmi – e le cui vite sono influenzate da questi algoritmi – dovrebbero poter partecipare alle decisioni relative alla definizione dei loro obiettivi. Analogamente a una giuria composta da pari che discute un processo civile o penale e emette una sentenza collettiva, potremmo istituire assemblee cittadine in cui un gruppo di persone selezionate a caso discute e decide gli obiettivi appropriati per gli algoritmi. Ciò potrebbe significare che i dipendenti di un’azienda discutono dell’uso dell’IA sul posto di lavoro o che un’assemblea cittadina esamina gli obiettivi degli strumenti di polizia preventiva prima che questi vengano utilizzati dalle autorità. Questi sono i tipi di controlli democratici che potrebbero conciliare l’IA con il bene pubblico. Oggi sono di proprietà privata. Il futuro dell’IA non sarà determinato da algoritmi più intelligenti o chip più veloci. Dipenderà piuttosto da chi controlla i dati e dai valori e dagli interessi che guidano le macchine. Se vogliamo un’IA al servizio del pubblico, è il pubblico che deve decidere a cosa deve servire. ________ Maximilian Kasy: «The Means of Prediction: How AI Really Works (and Who Benefits)», University of Chicago Press, 2025 -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dal tedesco di Thomas Schmid con l’ausilio di traduttore automatico. INFOsperber
Autismo e vaccini, CDC crolla sotto il peso delle proprie certezze. E ora dobbiamo chiederci: quanto altro non ci è stato detto?
Ci sono momenti in cui un’istituzione si tradisce da sola. Il CDC lo ha fatto il 19 novembre 2025, quando ha ammesso ciò che qualunque osservatore onesto sapeva da anni: la frase “i vaccini non causano l’autismo” non poggiava su prove solide. Non si tratta di una sfumatura linguistica, né di un aggiornamento tecnico. È un ribaltamento clamoroso di vent’anni di retorica ufficiale, una rivelazione che mette in discussione l’intero impianto comunicativo della sanità pubblica statunitense. Il CDC non dice che i vaccini causano l’autismo — lo ribadiamo. Ma ammette qualcosa di assai più grave: non è stato dimostrato che non lo causino, almeno per i vaccini somministrati nei primi mesi di vita. La domanda che ora si impone, con tutta la sua forza, è la più semplice e la più scomoda: come è stato possibile che un’agenzia federale abbia trasformato una mancanza di prove in una certezza assoluta? Il CDC, per la prima volta, dice esplicitamente ciò che per anni è stato nascosto dietro formule rassicuranti: * gli studi su MMR non stabiliscono cause, * e quelli sul calendario vaccinale dei neonati — DTaP, epatite B, Hib, IPV, pneumococco — sono insufficienti per dire sì o no. Le principali analisi indipendenti lo dicevano già dal 1991 al 2021: le prove non permettono né di escludere né di confermare un legame. E allora perché per vent’anni il messaggio è stato l’esatto opposto? Perché la comunicazione istituzionale ha presentato un “non c’è rapporto” come un dogma scolpito nella pietra? È stata una scelta. Una scelta politica, prima ancora che scientifica, una scelta che oggi implode Per due decenni il dibattito su autismo e vaccini è stato sterilizzato sistematicamente evocando un solo nome: Wakefield. Un episodio, per quanto controverso, è diventato il passe-partout per deridere i genitori, svalutare le testimonianze, ignorare ricerche emergenti, evitare qualunque analisi approfondita col risultato di una generazione intera di scienza mancata. Il CDC oggi ammette non solo che le prove erano insufficienti, ma anche che alcuni studi potenzialmente critici sono stati ignorati. È difficile immaginare una confessione più devastante per un’agenzia di sanità pubblica.  C’è un dettaglio contenuto nella nuova pagina del CDC che meriterebbe di aprire il telegiornale di qualunque Paese democratico: la vecchia frase “i vaccini non causano l’autismo” rimane online solo per un accordo politico con il presidente della Commissione Salute del Senato. Non per ragioni mediche. Non per ragioni scientifiche. Per ragioni politiche. Una frase che per anni è stata usata per zittire genitori, medici, giornalisti e ricercatori oggi viene smascherata nella sua natura: propaganda sanitaria. Quante altre affermazioni “scientifiche” sono state modellate allo stesso modo? Chi ha beneficiato di questa narrativa? E soprattutto: chi ne ha pagato il prezzo? Questo dietrofront arriva mentre l’amministrazione federale: * riapre le revisioni del NIH sulla sicurezza vaccinale, * ripristina la Task Force sui Vaccini dell’Infanzia più Sicuri, * riforma l’ACIP, * e mette in discussione dogmi che sembravano intoccabili. Quando un’istituzione cambia linguaggio, cambia anche la cornice del dibattito. E il CDC ha appena riscritto la cornice del dibattito globale sui vaccini. Non è retorica: la questione non è più chiusa. È ufficialmente aperta. LA DOMANDA PROIBITA ORA DIVENTA UNA PRIORITÀ: STUDIARE DAVVERO, FINALMENTE, I POSSIBILI MECCANISMI BIOLOGICI DELL’AUTISMO Per anni, ipotesi come: * neuroinfiammazione, * vulnerabilità mitocondriali, * adiuvanti, * disregolazione immunitaria precoce sono state liquidate come “teorie marginali”. Oggi, quelle stesse ipotesi entrano — per la prima volta — in uno spazio legittimo di ricerca. Non per concessione politica, ma perché il CDC ha ammesso ciò che da sempre avrebbe dovuto dire: non sappiamo ancora con sicurezza cosa accade nei neonati dopo una serie ravvicinata di stimoli immunitari. Ed è questo il punto: non lo sappiamo perché non lo abbiamo studiato a fondo. Non lo sappiamo perché per vent’anni abbiamo scambiato slogan per scienza. Il momento della verità è arrivato. E la scienza deve ripartire da qui. Siamo davanti a un’occasione irripetibile. Una porta si è aperta — tardi, troppo tardi, ma si è aperta. Ora servono: * studi seri, indipendenti, biologicamente fondati; * analisi su sottogruppi vulnerabili; * ricerche longitudinali; * trasparenza totale nei dati; * un nuovo modo di comunicare, che non scambi il pubblico per un bambino da rassicurare, ma per un cittadino da informare. Dopo vent’anni di frasi rassicuranti costruite sul vuoto, questo è il momento di affrontare la questione con rigore e coraggio. Davvero: se non ora, quando? Fonte: blog Maryanne DeMasi   Ulteriori informazioni: https://www.comilva.org/it/informazione/dal-mondo-ricerca-scientifica-editoriale-comilva/mmr-e-autismo-il-caso-wakefield-come https://www.comilva.org/it/informazione/danno-da-vaccino-redazionale-comilva/i-vaccini-non-causano-lautismo https://comilva.org/it/informazione/dal-mondo-redazionale-comilva/andrew-wakefield-e-i-retroscena-della-controversia https://www.comilva.org/it/informazione/dallitalia-danno-da-vaccino-editoriale-comilva/la-sentenza-riparatrice https://www.comilva.org/it/informazione/redazionale-comilva/bufale-e-controbufale https://comilva.org/it/informazione/giurisprudenza-danno-da-vaccino/autismo-e-vaccinazioni-una-nuova-sentenza-favorevole https://www.comilva.org/it/informazione/redazionale-comilva/non-accettate-notizie-dagli-sconosciuti   AsSIS
Net@, ovvero: la propaganda militarista-sionista dentro le nostre scuole
Le sorprendenti ‘scoperte’ dell’inchiesta di Assemblea Scuola Torino sul progetto avviato in Israele nel 2003, importato a Milano nel 2018 e ora in procinto di espandersi in tutte le scuole italiane. L’obiettivo del programma didattico è diffondere la rivoluzione digitale “made in Israel”, come affermato dal CEO di Appleseeds  Academy, Dafna Gaber Lifshitz, dichiarando “Dobbiamo puntare molto sulle scuole e abbiamo insegnanti giovani e carismatici che dovranno sfidare un sistema scolastico spesso molto tradizionale portando energia e innovazione”. Net@ si presenta come un progetto di PCTO (da poco Formazione Scuola-Lavoro), proposto agli studenti come un’opportunità imperdibile per sviluppare digital and social skills utili per la propria crescita umana, professionale e imprenditoriale. L’immagine che vogliono trasmettere è legata a un approccio innovativo, interculturale e utile a colmare diseguaglianze digitali soprattutto nelle zone economicamente e socialmente più svantaggiate. Lo scopo è diffondere competenze digital high-tech, in inglese, per studenti delle scuole superiori. Il progetto di durata pluriennale, spesso si presenta come ‘giovane’ perché, a differenza delle lezioni curricolari standard, è condotto da universitari che capiscono gli studenti e, di conseguenza, sono in grado di proporre un insegnamento molto più efficace rispetto alla scuola tradizionale. All’interno del programma viene insegnato come creare siti web per sponsorizzare prodotti, avviare start up, parlare in pubblico, il time management, ecc. Il programma del terzo e quarto anno in particolare prevede di occuparsi anche di cyber security. Tutto questo è gratuito per le famiglie perché sponsorizzato da istituti, fondazioni, associazioni private e dalle stesse scuole. Quindi un progetto per i giovani, coinvolgente dove la politica non c’entra assolutamente nulla. O quasi. Net@ è un progetto nato in Israele nel 2003. Lì viene pubblicizzato come un merito il fatto che chi esce dopo anni di formazione con Net@ sia in grado di rappresentare una risorsa preziosa per il mercato miliardario delle start up della cybersicurezza e delle tecnologie di guerra, focalizzate sul deep tech, anche per la necessità di dare risposta ai ‘problemi’ di ‘difesa’ e ‘sicurezza’ del paese (che questo settore rappresenti già un rischio per la nostra privacy e le nostre democrazie ce l’hanno rivelato scandali come il software “Pegasus” e lo spyware “Graphite”, spiando decine di migliaia di cittadini tra capi di stato, giornalisti e attivisti in tutto il mondo). Un altro fiore all’occhiello dei promotori di Net@ è che il 56% dei diplomati si arruola nelle unità tecnologiche d’élite dell’IDF. Dal 2018 Net@ si è diffuso per la prima volta all’estero con un progetto pilota a Milano. A offrire i locali e promuovere a Milano il progetto è la Comunità ebraica, la stessa che ha recentemente invitato Adi Karni,  un militare dell’IDF accusato di probabili crimini di guerra, a incontrare gli studenti dei licei per raccontare che a Gaza ha visto “solo odio”, che “stiamo facendo il lavoro sporco per voi” e spiegando che “l’Islam avanza in Europa”. La volontà, esplicitamente espressa dagli organizzatori fin da subito, è di portarlo nel resto del territorio italiano e anche esportarlo in altri paesi. Net@ è promosso e sostenuto dal Keren Hayesod, fondo nazionale di costruzione d’Israele e la centrale finanziaria del movimento sionista mondiale, e dall’Agenzia ebraica per Israele (Jewish Agency for Israel – Sochnut, organizzazione sionista israeliana che sostiene l’ebraicità di Israele) che dal 1967 si occupa anche delle attività dei coloni israeliani insediatisi in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e nelle alture del Golan. Oltre alla Jewish Agency for Israel e al Keren Hayesod, altri partner sono l’Appleseeds Academy, l’Associazione Educazione Digitale Italia, la Fondazione Camis De Fonseca e Proedi Media. In un video pubblicato in rete la CEO di Appleseeds, Dafna Lifshitz, afferma che i finanziamenti più importanti di Net@ arrivano dalla USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale – agenzia governativa statunitense creata nel 1961 per contrastare l’influenza dell’Unione Sovietica nel mondo, che aveva la funzione di sostenere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America e viene indicata come uno dei suoi strumenti di soft power, da alcuni paesi accusata di essere una copertura della CIA e di essere parte delle politiche di interventismo degli Stati Uniti nel mondo). A partire dal 2019 il progetto è arrivato a Torino all’Istituto Germano Sommeiller e alla scuola ebraica. I docenti inizialmente sono Shinshinim, ovvero giovani israeliani che hanno completato la scuola superiore e rimandano di un anno il servizio militare obbligatorio per prestare servizio nelle comunità ebraiche all’estero. Il loro nome è un acronimo ebraico per “Shnat Sherut” o “anno di servizio”. Agiscono come ambasciatori culturali, portando la cultura e lo stile di vita israeliani, la lingua ebraica e le tradizioni ebraiche alle comunità locali prima di arruolarsi nell’esercito. A maggio 2022 il Keren Hayesod decide di non continuare il programma all’estero per mancanza di risorse. L’organizzazione e la diffusione presso le scuole sono allora affidate alla Fondazione Camis de Fonseca che da quel momento le promuove a Torino e dall’anno 2023/2024 il progetto parte anche al Liceo Monti di Chieri. La Fondazione Camis De Fonseca (ora anche associazione), con lo scopo di trovare partner italiani per poter continuare il progetto, finanzia “Grow in tech” composta generalmente da giovani studenti universitari che, una volta formati in Israele e alla metodologia, possono entrare nelle classi. Recentemente sono stati coinvolti nel progetto anche Merende Digitali e ESSE I Solutions. Lo scopo è quello di creare un ‘nuovo’ progetto Net@ Italia, ‘ripulito’, ma sempre funzionale alle organizzazioni e agli obiettivi strategici originari. Questo è stato detto in modo esplicito e pubblico durante un convegno del 21 maggio 2023 organizzato nella sede della Fondazione Camis De Fonseca in cui, tra gli altri passaggi significativi, viene data la parola al rappresentante del Keren Hayesod per l’Italia, Eyal Avneri, il quale dice: “Stiamo lavorando tutti insieme per continuare il progetto Net@ a Torino con formatori italiani e farò il possibile, per la parte mia, per aiutarvi a realizzarlo, mettendo i contatti con Net@ in Israele, almeno a distanza. Sarà, secondo me, una bellissima collaborazione internazionale. […] Vi auguro un in bocca al lupo e spero di vedervi tutti a novembre in Israele”. Durante le attività capita che partecipi la fondatrice della Fondazione De Fonseca, Laura Camis De Fonseca che, sui social, condivide post dove vengono attaccati come antisemiti Papa Bergoglio, la Chiesa Cattolica e agenzie dell’ONU. Si arriva a leggere che “le organizzazioni internazionali sono peggio di una barzelletta, sono diventati organismi criminali che aiutano i jihadisti” e che “gli Stati europei e l’Europa quasi tutta, esattamente come la Chiesa, si riallacciano alle loro vergognose tradizioni antiebraiche”. La fondazione De Fonseca si occupa di geopolitica e ha una posizione politica sul conflitto israelo-palestinese. Basta scorrere velocemente il sito per capire che è una celebrazione del progetto israeliano con una visione piuttosto parziale. Durante l’anno scolastico vengono invitati esperti che propongono un’idea di scuola e di formazione estremamente aziendalistica e imprenditoriale. Altre attività didattiche hanno avuto anche lo scopo di dare una visione estremamente positiva di Israele come “una terra nata da sogni e speranze”, tecnologica, green e inclusiva. Nel 2022 tra gli studenti che partecipano al progetto viene proposto un concorso dal titolo “Israele. Storia, tradizione, sostenibilità e innovazione tecnologica”. I vincitori hanno in premio un viaggio d’istruzione in Israele: visite al museo della diaspora, al Muro del pianto, alla tomba di Ben Gurion. In conclusione, Net@ è un cavallo di Troia che promuove un’idea di scuola aziendale e imprenditoriale al servizio del mercato, valorizza ‘risorse’ per il mondo delle start up e della cybersicurezza, legato mani e piedi al genocidio di Gaza, alla pulizia etnica e alla diaspora palestinese. Forma futuri soldati d’élite nelle unità tecnologiche ed è ideato, organizzato e diffuso da organizzazioni, Istituti e fondazioni sioniste che, non solo negano o non condannano quanto sta avvenendo in Palestina da ottant’anni, ma che ne sono, spesso, direttamente coinvolti. Forse, ancora peggio, Net@ si presenta come un’organizzazione tecnologica giovanile che, proponendo parole d’ordine accattivanti come Be your best self, Be involved, Be open-minded, Be unlimited, Be cool sta consapevolmente formando un movimento giovanile e una parte della futura leadership economica e politica, con lo scopo di renderli funzionali ai suoi obiettivi strategici e organici alla sua ideologia. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università