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E’ diritto del minore convivente con genitori regolarmente soggiornanti ottenere sempre un PdS per motivi familiari
Il tribunale di Torino stabilisce il diritto del minore convivente con genitore regolare di ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 31 comma 1 TUI a prescindere dalla sussistenza di requisiti reddituali o alloggiativi.  La Questura di Torino, infatti, è solita rigettare le richieste di permesso di soggiorno per figli ultraquattordicenni se i genitori non dimostrano di avere i requisiti reddituali e alloggiativi previsti dall’art. 29 TUI e richiamati all’art. 30 TUI.  Il Tribunale ha invece accolto la tesi difensiva e chiarito che “l’art. 31 co. 1 TUI introduca un autonomo permesso di soggiorno per motivi familiari, il quale persegue finalità diverse rispetto alla normativa generale di quegli articoli 28, 29 e 30 (interesse del minore vs. unità familiare) e richiede la verifica in ordine alla sussistenza di diversi requisiti. L’autonomia concettuale e la diversità strutturale tra i permessi di soggiorno di cui agli articoli 29-30 e 31 co. 1 TUI è stata affermata in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità. Si richiama in particolare la sentenza della Corte di Cassazione n. 15754/2006, laddove si legge testualmente che “l’iscrizione di cui all’art. 31, comma 1, non presuppone che essa avvenga all’esito della sola procedura di ricongiungimento di cui all’art. 29, comma 1, lett. B) e commi 7, 8, 9” (nello stesso senso, cfr. Cass. n. 8398/2014). Orbene, come già rilevato, l’art. 31 co. 1 TUI stabilisce che il minore convivente “segue la condizione giudica del genitore”. L’assertività della disposizione è tale da escludere che si possa condizionare il rilascio del permesso citato alla sussistenza di ulteriori requisiti, quali quelli reddituali e alloggiativi previsti dall’art. 29 TUI. L’interpretazione alternativa proposta dalla PA, per cui bisognerebbe comunque fare riferimento agli ulteriori requisiti di cui all’art 29 TUI, si pone peraltro in contrasto con l’inequivocabile dato normativo di cui all’art 31 co. 1 TUI. Invero, l’art. 31 co. 1 TUI è una norma speciale introdotta dal legislatore nello specifico interesse del minore, circostanza che ne giustifica una maggiore ampiezza rispetto alla regola generale di cui all’art. 29 TUI. A tal proposito, merita ricordare che l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del bambino è espressamente sancito dall’art. 24 par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ed è stato ribadito anche dalla Corte di Giustizia UE, la quale – chiamata a pronunciarsi in materia di ricongiungimento familiare – ha altresì affermato che “la facoltà prevista dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86 deve essere interpretata restrittivamente. La discrezionalità riconosciuta agli Stati membri [di introdurre requisiti reddituali per l’autorizzazione al soggiorno, n.d.r.] non deve essere impiegata dagli stessi in modo da pregiudicare l’obiettivo della direttiva e il suo effetto utile” (così CGUE, sentenza 6.12.2012, ause riunite C‑356/11 e C‑357/11, punto 74)”. La pronuncia, peraltro, è stata resa in favore di una minore divenuta maggiorenne nelle more della valutazione questorile: anche sul punto il Giudice ha accolto le nostre argomentazioni e riconosciuto ugualmente il diritto al permesso per motivi familiari considerato che al momento di presentazione della domanda la stessa era ancora minorenne. Tribunale di Torino, sentenza del 22 maggio 2025 Si ringrazia l’Avv. Elena Garelli per la segnalazione e il commento. Il caso è stato seguito insieme all’Avv. Paola Fierro dello Studio Legale.
Treviso, verità e giustizia per Danilo Riahi
Si terrà questo giovedì 28 agosto alle 19 il presidio «Verità e giustizia per Danilo Riahi» organizzato dal Collettivo Rotte Balcaniche, Centro Sociale Django di Treviso e Centro Sociale Arcadia di Schio davanti al carcere di via Santa Bona Nuova a Treviso. La protesta nasce dalla morte del diciassettenne tunisino, deceduto il 13 agosto all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso dopo un tentativo di suicidio nell’istituto penale minorile, dove era stato rinchiuso pochi giorni prima. Il ragazzo era arrivato in Italia un anno fa attraversando il Mediterraneo: era quello che viene definito un minore straniero non accompagnato. Il 9 agosto era stato arrestato a Vicenza, dopo vari tentativi di furto e una fuga dalla polizia in «evidente stato di agitazione». Immobilizzato con il taser, era stato trasferito nel carcere minorile di Treviso, dove, secondo la versione ufficiale, avrebbe tentato il suicidio poche ore dopo. Le realtà promotrici del presidio sottolineano come la sua morte non possa essere liquidata come una fatalità. «L’ultima volta che un ragazzo si era tolto la vita in un carcere minorile era il 2003, 22 anni fa. E non è un caso che accada ora, dopo il decreto Caivano del governo Meloni. Con questo decreto, nelle carceri minorili italiane si registra un sovraffollamento inedito e l’adozione di un paradigma sempre più punitivo anche per i minori detenuti. E non è un caso che succeda a Treviso, l’istituto più sovraffollato d’Italia, dove si sfiora il doppio delle presenze rispetto alla disponibilità di posti». Secondo le organizzazioni, restano troppi punti oscuri: «Come mai è stato portato in un carcere minorile invece che in un ospedale? È stato visitato dopo essere stato colpito con il taser? Cosa (non) è stato fatto per accertarne le condizioni di salute psico-fisica prima di rinchiuderlo in un carcere? Per quanto tempo è stato privo di sorveglianza mentre tentava il suicidio?». Il comunicato critica anche le prime ricostruzioni ufficiali: «Un presunto “eccellente lavoro” delle forze dell’ordine, una morte troppo in fretta derubricata a fatalità». Ancor più duro il giudizio sulla conferenza stampa convocata dal questore di Vicenza mentre Danilo Riahi era in ospedale in fin di vita, durante la quale gli agenti sono stati elogiati per il loro operato: «Un gesto che mostra quanto sia radicata la logica della disumanizzazione: un ragazzo in fin di vita sparisce di fronte all’occasione per celebrare l’efficienza repressiva». Nel mentre, sottolineano, «la famiglia del ragazzo, residente a Tunisi, ha ricevuto dalle autorità informazioni molto scarne sulla morte del figlio». La storia di Danilo Riahi, sottolineano le realtà solidali, non può essere archiviata come una «piccola storia ignobile». È invece «una storia che parla delle migliaia di ragazzi che come Danilo vivono le nostre città, costantemente etichettati come soggetti pericolosi “delinquenti”, “maranza”, per giustificare la sempre maggiore militarizzazione della vita sociale». Infine l’appello alle istituzioni e a tutta la cittadinanza: «Chiediamo con forza verità e giustizia, che vengano aperte delle indagini serie sulla sua morte e su tutto quello che l’ha preceduta. Invitiamo tutte e tutti a scendere in piazza con noi giovedì 28 agosto, ore 19, fuori dal carcere di Treviso».
Piccoli Schiavi Invisibili 2025, il nuovo rapporto di Save The Children
Nel nuovo dossier di Save The Children, il 38% delle vittime di tratta è un minore: cresce lo sfruttamento, alimentato anche dalle nuove tecnologie È un mondo iperconnesso, il nostro. Social media, gaming online, app di messaggistica, piattaforme di live streaming: lì dove passiamo la maggior parte del nostro tempo, oggi si sviluppano nuove forme di sfruttamento, che colpiscono soprattutto chi ha meno strumenti di difesa. Sono bambini e adolescenti, sempre più esposti offline e online. Aumentano, infatti, i casi di sfruttamento e tratta “tradizionali”, ma anche quelli virtuali, al centro del nuovo rapporto “Piccoli Schiavi Invisibili 2025 – La digitalizzazione della tratta: Come il digitale sta trasformando i fenomeni di tratta e sfruttamento dei minori” 1, pubblicato da Save The Children nella sua quindicesima edizione. Nel 2021, secondo i dati della ONG, 49,6 milioni di persone vivevano in condizioni di schiavitù moderna: una su quattro (24,8%) era minorenne. In gran parte vittime di matrimoni forzati (9 milioni di bambine e bambini), ma anche di sfruttamento sessuale e lavorativo, o impiegati in attività illecite come lo spaccio. Altri dati ci restituiscono un quadro complesso, e sicuramente sottostimato, data la difficoltà di raccogliere dati puntuali: secondo il Global Report on Trafficking in Persons 2024 2, redatto dallo United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di contrasto al crimine organizzato, al traffico di esseri umani, alla corruzione e al narcotraffico – le vittime di tratta identificate nel 2022 sono state 74 mila, in aumento del 25% rispetto al periodo pre Covid. Il 38% di loro, più di uno su tre, è un minore. Lo sfruttamento sessuale colpisce soprattutto le bambine (60%), mentre tra i casi di lavoro forzato il 45% riguarda i ragazzi e il 21% ragazze. Tre i fattori che hanno contribuito all’aumento delle vittime: «una maggiore incidenza delle ragazze tra le vittime trafficate a fini di sfruttamento sessuale», «un aumento dei ragazzi vittime di tratta per lavoro forzato», specialmente in Europa e Nord America, e «una forte crescita delle vittime minorenni in Africa Sub-Sahariana», racconta il dossier di Save The Children. Numeri e tipologie di sfruttamento cambiano in base al luogo in cui avvengono: più di 3 vittime su 5 in America Centrale e nei Caraibi sono minorenni, spesso legati a contesti di criminalità organizzata, e i bambini sono destinati principalmente al traffico di sostanze e ad altre attività criminali forzate. In Africa Sub-Sahariana e nel Nord Africa il 61% delle vittime di tratta identificate ha meno di 18 anni, sfruttati in agricoltura, estrazione mineraria, pesca e lavoro domestico. Nel Sud-est asiatico cresce il fenomeno del turismo sessuale minorile, nel Sahel rimane costante l’accattonaggio. I contesti di conflitto rappresentano le aree più a rischio. Oltre un bambino su sei oggi vive in zone di crisi: è il dato più alto dalla fine della seconda guerra mondiale. Alle brutalità della guerra, si sommano i casi di reclutamento da parte dei gruppi armati, le violenze sessuali e i matrimoni forzati. Nel 2024 i casi documentati sono stati 7.400 – dato fortemente sottostimato – soprattutto in Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Somalia, Siria e Myanmar. Per le bambine, il fenomeno dei matrimoni forzati o precoci cresce nelle aree colpite da guerre e crisi umanitarie, dove le famiglie spinte dalla povertà e dall’insicurezza, vedono nel matrimonio precoce una forma di protezione dalle violenze sessuali, dalla fame o da altre minacce. L’UNICEF stima che nel mondo circa 640 milioni di ragazze si siano sposate prima dei 18 anni. Al vertice della classifica c’è l’Asia del Sud (45% dei matrimoni avvenuto prima della maggiore età), seguita da Africa Sub-sahariana (20%), Asia dell’Est e Pacifico (15%).  TRATTA E SFRUTTAMENTO: LA SITUAZIONE IN EUROPA E ITALIA Il fenomeno ha una forte rilevanza anche in Europa, dove nel 2023 sono state identificate 1.358 vittime minorenni, pari al 12,6% del totale. In Italia, i numeri ufficiali restano contenuti – 82 minori identificati nel 2023 su 2.051 vittime totali – ma Save the Children avverte: è solo la punta dell’iceberg. I minori stranieri non accompagnati (MSNA), coloro cioè che arrivano in Europa senza familiari al seguito, sono tra i più esposti, soprattutto nelle fasi successive all’arrivo, quando spesso si allontanano dalle comunità per raggiungere le frontiere interne, con l’intenzione di proseguire il viaggio verso altri paesi europei. Secondo i dati di Lost in Europe 3, almeno 51.433 MSNA sono scomparsi dopo essere arrivati in Paesi europei. L’Italia è in cima alla classifica, con 22.899 casi. Il rischio è che molti di questi minori, privi di tutela e assistenza, possano diventare bersaglio delle reti criminali, costretti a entrare nei circuiti illegali dello spaccio, o dedicati allo sfruttamento sessuale o lavorativo. I dati del sistema SIRIT indicano che nel 2024 il 4,8% delle valutazioni antitratta ha riguardato minori (137 casi) 4, e nel primo semestre del 2025 la percentuale è salita al 5,2% (61 minori).  Fonte: Osservatorio Interventi Tratta, Relazione annuale 2024 Oltre alle persone di nazionalità tunisina e nigeriana, che si confermano in numero maggiore, sono in aumento i minori provenienti da Bangladesh, Costa d’Avorio e Gambia, con le regioni di maggiore emersione localizzate in Sicilia, Liguria ed Emilia-Romagna. Le fasce d’età più colpite sono quelle tra i 16 e i 17 anni, ma non mancano casi di minori più piccoli. Le forme di sfruttamento più diffuse tra i minori in Europa sono lo sfruttamento sessuale (70% dei casi), il lavoro forzato (13%) e l’accattonaggio o le attività criminali forzate (17%), come furti, borseggio o trasporto di sostanze. In Italia, oltre alle situazioni di sfruttamento sessuale e lavorativo, il rapporto segnala la presenza di minori coinvolti in contesti informali e domestici o in circuiti criminali invisibili, dove il riconoscimento della vittima è spesso assente. A fronte di questo scenario, il dossier sottolinea le lacune nei sistemi di identificazione precoce, protezione effettiva e presa in carico duratura, soprattutto nelle zone di frontiera e nei contesti ad alta vulnerabilità. NUOVE FORME DI SFRUTTAMENTO: DIGITALE E NUOVE TECNOLOGIE Fonte: Save The Children «Tutti possono diventare potenziali vittime di tratta, questo è molto vero nel contesto digitale». Alessia Vedano, funzionaria OSCE, descrive così i rischi connessi alle nuove tecnologie, che hanno abbattuto oggi molte delle barriere linguistiche e territoriali che in alcuni casi ostacolavano, o contenevano, il fenomeno della tratta di esseri umani. L’e-trafficking, quel fenomeno, cioè, che «include tutte le forme di tratta di esseri umani che si avvalgono delle tecnologie sia per il reclutamento, l’adescamento e il controllo delle vittime, sia per la gestione logistica, il pagamento e la distribuzione dei profitti», ha oggi raggiunto livelli sempre più preoccupanti. Quasi tutte le forme di sfruttamento sessuale minorile oggi presentano una componente online. La maggior parte degli abusi infatti comincia online e poi sfocia in incontri fisici, o rimane relegato alla sfera virtuale, tramite live streaming o produzione di materiale su richiesta via webcam. Tra le pratiche più diffuse ci sono il grooming, la tecnica dei lover boys, la sextortion, il live streaming degli abusi e l’adescamento tramite social, chat e piattaforme di gaming. Il primo consiste nell’inscenare affetto, supporto o comprensione sfruttando le fragilità emotive dei e delle minori, attraverso un rapporto manipolativo più veloce di quanto si possa pensare: secondo il Global Threat Assessment 2023 di WeProtect Global Alliance 5, infatti, in media ci vogliono 45 minuti per instaurare una relazione ad alto rischio. In alcuni casi, bastano 20 secondi. C’è poi il fenomeno dei lover boys: relazioni sentimentali fittizie costruite online con lo scopo, ancora una volta, di manipolare le vittime. «Il fenomeno è centrale nella nuova stagione della tratta minorile in Europa», commenta Silvia Maria Tăbuşcă, «e colpisce in particolare le minori tra i 12 e i 14 anni, età in cui emergono i primi sentimenti romantici […] e il rischio di manipolazione è elevato». Sextortion e live streaming sono due facce della stessa medaglia: dopo aver condiviso contenuti intimi, le vittime minorenni vengono minacciate e ricattate di diffondere il materiale affinché continui lo sfruttamento, con richieste sempre più invasive. Infine la gamification: le attività illecite da compiere vengono descritte come sfide o esperimenti sociali, attraverso la promessa di premi e ricompense elargite dopo il superamento delle “prove”.  Sempre più spesso questi crimini avvengono su piattaforme poco sorvegliate o non regolamentate, in particolare nei Paesi dove le leggi sono assenti o inefficaci. Vengono utilizzati anche sistemi di pagamento in criptovaluta, che rendono quasi impossibile rintracciare gli autori degli abusi. Inoltre, cresce la produzione e diffusione di materiali pedopornografici (CSAM – Child Sexual Abuse Material), anche attraverso dirette video a pagamento, un fenomeno reso possibile dalla facilità di accesso ai dispositivi digitali da parte dei minori e dalla carenza di controlli efficaci sulle piattaforme.  «Nel mondo reale, le vittime vengono adescate tra persone con necessità economiche. Online, invece, il rischio cresce tra i minori che sono molto attivi sui social, che pubblicano tutto senza filtri e sono particolarmente esposti alla realtà virtuale», spiega Fabrizio Sarrica dell’UNODC. «I trafficanti vanno a studiare questi profili e iniziano l’adescamento». I PROGETTI DI COMUNITÀ E LE PROSPETTIVE FUTURE Fonte: Vie d’Uscita, Save The Children Continuano i progetti che da anni Save The Children ha messo in campo per cercare di contrastare il fenomeno e offrire percorsi di autonomia a bambini e adolescenti. Con Nuovi Percorsi, nato nel 2021 in sinergia con il Numero Verde Antitratta, l’ONG sostiene minori e madri sopravvissuti a tratta e sfruttamento, attraverso l’erogazione di “Doti di cura”: una presa in carico che si sviluppa in sostegno materiale, educativo, formativo o psico-sociale. I beneficiari del progetto sono stati fino ad oggi 1348: nei primi sei mesi del 2025 hanno ricevuto sostegno 139 persone, di cui 37 bambine, 39 bambini e 46 madri. Nel 2022, il progetto si è ampliato attraverso l’attivazione di uno sportello di ascolto e sostegno a Roma. Da allora, lo Sportello ha sostenuto 1596 persone. Il progetto Vie d’Uscita, attivo dal 2012 in sinergia con enti antitratta piemontesi, liguri, laziali e veneti, è rivolto a minori e neomaggiorenni, per supportarne l’identificazione e l’emersione, ma anche attraverso il sostegno alla presa in carico successiva affinché possa essere efficace per lo sviluppo di un’autonomia personale. Liberi dall’Invisibilità, invece, dal 2022 interviene nella zona agricola della Fascia Trasformata, in provincia di Ragusa. Attraverso il partenariato con l’Associazione “I tetti colorati” e la Caritas Diocesana della zona, il progetto ha coinvolto fino ad oggi 515 persone, di cui 296 minori e 219 adulti. Si organizzano laboratori artistici, supporto scolastico, accompagnamento alla genitorialità, orientamento sanitario, supporto alle iscrizioni scolastiche, orientamento legale-amministrativo. L’ultimo in ordine di attivazione, nell’aprile 2023, è stato il progetto transnazionale E.V.A. (Early identification and protection of victims of trafficking and exploitation in border areas). Attraverso il lavoro congiunto tra Italia, Francia e Spagna, lo scopo è quello di potenziare la pre-identificazione in frontiera di minori e donne adulte vittime di tratta, affinché la messa in protezione possa avvenire in una fase preliminare. Negli ultimi due anni sono state intercettate 995 potenziali vittime di tratta, di cui 416 solo in Italia. I progetti messi in campo sui territori da Save The Children, dagli enti anti tratta e da altre organizzazioni internazionali sono efficaci, ma non bastano. Il fenomeno si sta evolvendo, la digitalizzazione rende sempre più complessa l’intercettazione delle vittime. I dati raccolti mostrano chiaramente come milioni di bambini e adolescenti siano esposti a violenze e abusi sistematici, resi ancora più insidiosi dalla povertà, dai conflitti, dalle disuguaglianze di genere e, sempre più, dall’uso distorto delle tecnologie digitali. L’identificazione delle vittime, in particolare tra i minori stranieri non accompagnati, rimane ancora troppo frammentaria e tardiva, e le risposte istituzionali risultano spesso inefficaci, soprattutto nei contesti di accoglienza o lungo le frontiere. Per questo, per Save The Children è indispensabile rafforzare in modo deciso gli strumenti di prevenzione e protezione: non solo intervenendo nei singoli casi, ma agendo sulle cause profonde che alimentano la vulnerabilità minorile – come l’accesso negato all’istruzione, la violenza domestica, la discriminazione o l’instabilità economica. È altrettanto fondamentale migliorare i meccanismi di identificazione precoce delle vittime, investendo nella formazione di operatori sociali, sanitari, scolastici, prevedendo protocolli di collaborazione tra tutti gli enti coinvolti, a più livelli, e garantendo percorsi di tutela realmente accessibili, multidisciplinari e su misura per i minori. Un’attenzione particolare va infine riservata allo spazio digitale, sempre più centrale nei processi di adescamento e sfruttamento: servono regolamenti chiari e strumenti efficaci per il controllo delle piattaforme, dalla verifica dell’età alla moderazione dei contenuti, oltre a percorsi di educazione digitale rivolti sia ai giovani che agli adulti. Senza dimenticare il piano internazionale, dove un maggiore coordinamento tra Paesi di origine, transito e arrivo – unito a un’effettiva raccolta dati e a programmi di protezione transfrontaliera – potrebbe rappresentare un argine concreto alla dispersione e all’invisibilità delle vittime. Al centro di tutto, però, dovrebbero esserci proprio loro: i minori, da ascoltare, coinvolgere e rendere protagonisti delle scelte che li riguardano. 1. Consulta il rapporto ↩︎ 2. Consulta il rapporto ↩︎ 3. Consulta i dati ↩︎ 4. Leggi la relazione 2024 ↩︎ 5. Global Threat Assessment 2023 ↩︎
Accoglienza al collasso: tra isolamento, revoche e opacità istituzionale
Il report di Action Aid pubblicato a marzo 2025 1 ci racconta i differenti aspetti che il sistema d’accoglienza ha vissuto nell’ultimo anno, disegnando una cornice sistemica e chiara della cognizione corrente che tutto l’apparato presenta. Formato da circa 50 pagine, il rapporto tocca diversi argomenti cruciali, dalle gare d’appalto alle condizioni che si vivono dentro i centri d’accoglienza alle politiche migratorie che i nostri governi implementano sulle differenti questioni. L’INVOLUZIONE DEL SISTEMA D’ACCOGLIENZA Il decreto-legge 20/2023, notoriamente conosciuto come decreto Cutro, ha profondamente cambiato il modello di accoglienza, riducendo i servizi di supporto come assistenza legale, psicologica e corsi di lingua. Questo ha comportato un aumento delle spese per affitti e logistica, ma ha anche deteriorato le condizioni di vita nei centri. Oggi, le risorse sono concentrate sulla gestione degli spazi piuttosto che sull’integrazione delle persone ospitate. I centri sono diventati più grandi, sovraffollati e isolati, limitando le opportunità di inclusione e lavoro. Strettamente interconnesso al decreto Cutro troviamo il capitolato 2024 voluto dal governo Meloni, firmato dal ministro dall’interno Piantedosi. Il capitolato ha il compito di indicare i servizi previsti per ciascuna tipologia di centro e i costi associati. Tra le varie criticità che il rapporto sottolinea, quelle principali sono: * Non c’è monitoraggio né valutazione: l’ultima relazione annuale del Viminale sull’accoglienza riguarda il funzionamento del sistema nel 2021 * Oltre la retorica sui “35 euro”, il nuovo capitolato aumenta i costi complessivi. A crescere però sono soprattutto i costi per il funzionamento delle strutture (affitto, trasporti, cibo). Ridotte drasticamente le spese per i professionisti e i relativi servizi alla persona * Vengono azzerati i servizi di informazione e orientamento legale, orientamento al territorio, assistenza psicologica e corsi di lingua italiana * Nel 2023 nascono i “centri temporanei”, che forniscono solo vitto, alloggio e assistenza sanitaria minima. Non sono previsti servizi sociali. Inoltre l’ accesso alle informazioni circa questi tipi di centri risulta molto scarno LA GEOGRAFIA DELL’ACCOGLIENZA Secondo i dati forniti dal ministero dell’interno, a dicembre 2023 il sistema di accoglienza poteva ospitare poco più di 143mila persone, di cui 97.718 nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), 5.010 nei centri di prima accoglienza (3,5% – Cpa e Hotspot) e 40.311 nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Dati alla mano, l’obiettivo di garantire un’accoglienza diffusa in piccole strutture, con un impatto limitato sulle comunità ospitanti e una maggiore capacità di integrazione degli ospiti, è stato gradualmente abbandonato. Si è dato invece spazio a grandi strutture di accoglienza collettiva, con interventi normativi che inoltre favoriscono la commistione della prima accoglienza con il trattenimento di chi fa ingresso sul territorio italiano. Inoltre, questo avviene in un contesto in cui nel corso dell’anno è stato fatto un uso consistente dell’istituto che permette la revoca dell’accoglienza 2, nonostante le molte pronunce dei tribunali 3 a tutela di persone estromesse dal sistema e la gradualità̀ della sanzione introdotta dal decreto 20/2023. Infatti, se nel 2022 le revoche sono state 30.500 circa e nei primi 9 mesi del 2024 poco più di 27.600, nel 2023 il dato registrato è quasi doppio, circa 50.900 revoche. Si tratta di una disposizione la cui attuazione è stata spesso considerata discriminatoria e in conflitto con principi costituzionali e della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come stabilito ad esempio dal Tar della Liguria. Al 31 dicembre 2023 gli ospiti dei centri di accoglienza rappresentavano lo 0,23% della popolazione residente in Italia. La regione in cui si registra la presenza più elevata, rispetto alla popolazione residente, è il Molise (0,58%), mentre la Valle d’Aosta presenta l’incidenza più bassa (0,11%). Analizzando la capacità del sistema però è proprio nelle regioni del sud e delle isole che si hanno più posti disponibili (49.587 ovvero il 34,7%) e, in particolare, nel Sai. Infatti, se nelle altre aree del paese la quota di posti nel sistema ordinario si attesta tra il 17,3% e il 23,2% del totale, nel mezzogiorno questo dato arriva al 43,4%. Non stupisce dunque se tra le prime 10 province per quota di posti nel Sai solo una non si trova in regioni del mezzogiorno. Si tratta di Bologna che, oltre ad avere più posti nel Sai (56,28%) che nel Cas, è anche il territorio che offre più posti nel sistema ordinario in termini assoluti (2.137). Al secondo posto Catania con 1.842 posti nel Sai, che rappresentano il 91,3% dell’accoglienza sul territorio. Ma se dal punto di vista della distribuzione di posti tra Cas e Sai sono le regioni del mezzogiorno a rappresentare un esempio positivo, lo stesso non si può dire quando si parla di grandi centri di accoglienza straordinaria. La capienza media dei Cas, infatti, risulta di appena 10,7 posti nelle regioni del nord est, salendo a 14,6 nel nord ovest e a 16,6 al centro. Nelle regioni del mezzogiorno invece supera i 36 posti per centro. UN SISTEMA CHE NON TUTELA. L’ACCOGLIENZA DELLE PERSONE VULNERABILI Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati (Msna) la normativa prevede strutture governative di prima accoglienza e strutture di secondo livello che coincidono in via prioritaria con il sistema Sai. In presenza di arrivi consistenti e ravvicinati di Msna, i prefetti possono attivare strutture di accoglienza temporanee esclusivamente dedicate ai minori (ovvero i Cas minori, di cui all’articolo 19 del d.Lgs. 142/2015). In precedenza, in caso di indisponibilità di posti nel sistema pubblico, il minore era temporaneamente accolto dal comune in cui si trovava (fatta salva la possibilità̀ di trasferirlo in altro comune in considerazione del suo superiore interesse). Adesso, con il decreto 133/2023 e la circolare del ministero dell’interno n. 94 del 17 gennaio 2024 si è stabilita l’inversione del criterio: in assenza di posti Sai, prima di sollecitare l’ente locale, si deve verificare la possibile collocazione in Cas minori. Un’altra strada perseguita, specialmente per i minori che arrivano in Italia come ultra sedicenni, è quella di inserirli in centri d’accoglienza per adulti. Questo, sottolinea il ministero del lavoro, segnala una grave discrepanza tra il trattamento nei centri di prima accoglienza rispetto ai Cas per adulti. Nel primo caso è previsto per i Msna un tempo massimo di permanenza di 45 giorni, trascorsi i quali devono essere collocati nel Sai. Nei Cas adulti però questo tempo si triplicherebbe. Un periodo decisamente troppo lungo anche considerando coloro che nel frattempo compiono i 18 anni, i quali vedono cessata l’accoglienza, perdendo persino la possibilità̀ di fruire della maggiore tutela che invece è garantita a chi, nella stessa identica situazione, ha trovato accoglienza nel Sai. Tutto questo avviene in un contesto in cui le presenze complessive in centri destinati ai Msna passano da circa 2.500 nel 2018 a oltre 6.800 nel 2023. Questa crescita è avvenuta anche grazie ad un aumento delle presenze nel Sai e questa è certamente una buona notizia. Al contempo però bisogna registrare nel 2023 una crescita del 177% delle presenze in Cas per Msna rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda la condizione femminile all’interno del circuito dell’accoglienza, è solo grazie al rapporto annuale del Sai 4 che conosciamo il totale delle donne accolte nel sistema nel corso del 2023 (13.874) e grazie alle informazioni fornite dal Servizio Centrale a ActionAid e Openpolis abbiamo il dato relativo alla presenza di donne nel sistema al 31 dicembre dello stesso anno (8.683). Da queste informazioni si evince un ricambio più lento in confronto agli uomini (40.638 accolti nell’anno a fronte di 22.312 presenze al 31 dicembre). Le donne, in altri termini, restano per un periodo più lungo all’interno dei progetti di accoglienza e di accompagnamento all’autonomia. Un elemento da tenere ben presente per una programmazione efficace. I dati disponibili evidenziano inoltre una crescita particolarmente sostenuta delle presenze femminili nei centri Sai. Una tale evoluzione è il risultato degli ampliamenti della rete, prima a seguito della crisi afghana e poi di quella ucraina, che ha portato nel paese soprattutto donne (e minori). Inoltre, il decreto legge 133/2023 individua tutte le donne richiedenti asilo come “vulnerabili”, di fatto convogliando la loro accoglienza nei centri del Sai, creando le premesse per una possibile “femminilizzazione” del sistema. Il potenziale protagonismo della rete Sai nell’accoglienza delle donne migranti può certamente offrire loro percorsi di accoglienza di maggiore qualità̀. Tuttavia il rischio è che a fronte di un numero insufficiente di posti nel Sai, ritorni in campo l’accoglienza straordinaria, con i connessi problemi di doppi standard che vedrebbero alcune migranti ricevere i servizi di accoglienza previsti dalla legge attraverso il circuito Sai, mentre altre, con i medesimi titoli, potrebbero restare incastrate nel circuito dei Cas, se non addirittura in quello dell’accoglienza temporanea. Inoltre, risulta opportuno avviare un’ampia riflessione sul concetto di vulnerabilità̀. Da una parte è positivo che almeno le donne trovino accoglienza nel Sai, al contempo però affermare che tutte le donne siano “vulnerabili”, oltre a evidenziare un approccio paternalistico, significa equiparare le loro diverse situazioni con il rischio che i casi effettivamente più vulnerabili non siano poi riconosciuti come tali. CONCLUSIONI Dal 2018, il progetto “Centri d’Italia” denuncia gravi difficoltà nell’accesso ai dati sul sistema di accoglienza per migranti, dovute a un sistematico ostruzionismo da parte del Ministero dell’Interno. Nonostante sentenze favorevoli (Tar e Consiglio di Stato), mancano trasparenza e collaborazione. Le leggi che impongono la redazione e pubblicazione del Piano Nazionale Accoglienza e di una relazione annuale al Parlamento non vengono rispettate. L’ultima relazione risale al 2022 (dati del 2021). Il Viminale spesso nega o fornisce informazioni incomplete, frammentarie o non utilizzabili. Nemmeno le richieste ordinarie o le vittorie legali garantiscono l’accesso ai dati. Il ministero sostiene spesso di non disporre delle informazioni, nonostante ne abbia l’obbligo per legge. La trasparenza è sistematicamente ostacolata, in violazione del Freedom of Information Act (FOIA 5) e delle linee guida ANAC. Le richieste di accesso non vengono né accolte né riformulate, contravvenendo ai doveri di legge verso la società civile, le ONG e la stampa. Il sistema di accoglienza soffre di mancanza di visione, pianificazione e valutazione. A questo si aggiungono nuove normative (DL 145/2024) che introducono automatismi per l’accesso ai servizi, discriminando chi arriva via terra e penalizzando chi non presenta tempestivamente domanda d’asilo, anche se vulnerabile. Queste misure appaiono in contrasto con le direttive europee e rischiano di escludere le persone più fragili. In generale, il quadro complessivo evidenzia un approccio repressivo, privo di analisi e programmazione, che mina il funzionamento del sistema di accoglienza e la tutela dei diritti fondamentali. 1. Scarica il rapporto ↩︎ 2. Si veda: La revoca dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Scheda ASGI – Ottobre 2024 ↩︎ 3. Contrastare le prassi illegittime di Questura e Prefettura: giurisprudenza e formazioni, Asgi ↩︎ 4. Consulta il rapporto ↩︎ 5. Cos’è il FOIA ↩︎
Minori sedati, non visti e allontanati
Jessica Lorenzon 1 Giudicato colpevole da un branco di pecore Hanno provato a rendermi debole Solo perché non sto alle loro regole, ma Non ho niente da perdere, come un’amichevole Mandami un bacio attraverso le lettere Voglio uscire al più presto e smettere, ma Voglio cambiare vita, mamma Ya, habibi-bibi, yalla Rincorso dai casini, dalla Non siamo noi i cattivi, wallah Mi trattano male, scioperi di fame Sto in isolamento e voglio solo cantare, cantare Siamo quei ragazzi che mamma ci ha fatto pure da papà Sognavo un diploma all’università Ora sogno un futuro lontano da qua e Mi dicono in tanti, “Ti prego, cambia quella mentalità” Ma finché non cambia questa società Rimango lo stesso ribelle di sempre Liberi, liberi, liberi, liberi, liberi, liberi, ah, ah… Baby gang – Liberi Questa presa di parola propone una riflessione sulla condizione dei minori stranieri nelle carceri italiane, in particolare su una preoccupante tendenza le cui spiegazioni risultano sempre più nitide in relazione all’attuale clima politico, ovvero la gestione e la neutralizzazione dei MSNA – minori stranieri non accompagnati – attraverso la reclusione penale, in carcere. Sappiamo da tempo che, a parità di reato, i minori stranieri vengono più spesso puniti con l’isolamento tramite la reclusione rispetto agli italiani; su questo punto le statistiche offrono una prospettiva chiara che a breve verrà discussa. L’Associazione Antigone già nel 2011, anno della pubblicazione del primo Rapporto sulla detenzione minorile, sottolineava come “a mano a mano che ci si addentra nei luoghi di privazione della libertà, la selettività a danno dei minori stranieri è sempre più forte”. Ad oggi, dopo la pubblicazione del c.d. Decreto Caivano (dell’autunno 2023) la situazione è peggiorata significativamente, sia in termini di numeri delle detenzioni, nonché in termini di trattamento e qualità della custodia. > Un quadro mai visto in 30 anni di esperienza penitenziaria, una tensione mai > vista. La chiave è tutta repressiva. L’OSCE in una nota formale dice > chiaramente che è messo in discussione lo Stato di diritto. > > Osservatorio minori di associazione Antigone, 2024 Si premette che chi scrive considera la detenzione intramoenia sempre foriera di sofferenza e mancato rispetto per la dignità umana; andrebbe quindi superata definitivamente. Se fino a qualche anno fa la detenzione minorile in Italia fungeva da modello per altri Paesi, la recente accelerata pan-penalistica, militarizzante, razzializzante e legata a modelli familistici e tradizionali di chiara impronta etero-patriarcale, ha declassato il nostro Paese lasciandolo al vertice solo per quanto riguarda i numeri delle detenzioni dei minori 2. L’Italia è infatti uno dei Paesi europei con il maggior numero di minori detenuti in carcere, seguita solo da Polonia, Svizzera, Regno unito e Galles 3. Il passato è quindi d’obbligo e monito, ci troviamo in una fase politica che in tema di penale sta distruggendo le garanzie e le riforme conquistate tra la fine del Secolo scorso e l’inizio degli anni Duemila. Come anticipato, lo scritto ha l’obbiettivo di mettere in luce un processo che ancora non trova una forma chiara nei dati quantitativi ma che è apparso più volte nel recente discorso pubblico prodotto da coloro che, a vario titolo, si impegnano nel monitoraggio delle condizioni di detenzione e nello studio dei processi di criminalizzazione a danno dei e delle migranti e, in particolare, di coloro che provengono da rotte migratorie estreme. Non è possibile infatti riferirsi alle statistiche per conoscere i movimenti in campo penitenziario dei minori stranieri non accompagnati, i quali ad oggi non sono differenziati da parte del Ministero di Giustizia e si collocano nel grande insieme degli “stranieri”. Riannodiamo qualche filo per rendere più chiara la riflessione proposta, offrendo alcune specifiche soprattutto per le persone non socializzate al lessico penale e penitenziario. La condizione dei minori stranieri in carcere, nonché di tutti i minori detenuti, riguarda gli spazi degli IPM – Istituti di pena per minori -. In Italia questi sono 17, di cui 15 interamente dedicati alla detenzione maschile, uno misto e uno femminile dove le detenute presenti sono poche unità. Queste carceri non ospitano solo minorenni in senso stretto, ma anche giovani adulti, ossia ragazzi processati per titoli di reato compiuti prima della maggiore età. Questi ultimi dovrebbero essere detenuti in IPM fino ai 25 anni di età al fine di promuovere le pratiche educative che il legislatore ha storicamente considerato primarie alla punizione, soprattutto nel caso dei giovani. Una ulteriore tendenza che si sta riscontrando a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Caivano è che sempre più, però, i giovani adulti vengono trasferiti dal carcere minorile al carcere per adulti, con tutti i risvolti legati al caso e con buona pace di qualsiasi volontà educativa e di cura. Un dato ancora più perturbante è che, nonostante i numerosi trasferimenti, i numeri delle detenzioni in IPM stanno continuando a salire, raggiungendo picchi mai visti prima. Se fino a qualche anno fa il dato sulle presenze non aveva storicamente superato le 300 unità, oggi le tendenze sono in ascesa. Alla fine dell’anno 2021 erano 281 le persone detenute in IPM, a settembre 2023 erano presenti invece 550 detenuti a fronte di una capacità totale di 516 posti, con un tasso di affollamento del 107%. Per quanto riguarda le caratteristiche dei giovani detenuti risulta chiaro che a subire la detenzione, nella maggioranza, non sono coloro che in virtù del reato ascritto possiamo considerare i più pericolosi, bensì: > Negli IPM ci vanno i marginali, quelli per cui il sistema non riesce o non > vuole trovare collocazione. Il nuovo mandato alle carceri per minori non è > “preparateli all’uscita” ma teneteceli perché non sappiamo dove mandarli, > dall’insediamento del nuovo governo in poi il mandato è chiaro. > > Osservatorio minori di associazione Antigone, 2024 Arrivando all’oggi, secondo i dati dell’ultimo rapporto fornito dal Ministero della giustizia 4, a febbraio 2025 sono 587 le persone detenute negli IPM italiani, di questi 561 ragazzi e 26 ragazze. La divisione relativa alla nazionalità parla di 294 italiani e 293 stranieri. Per quanto riguarda le provenienze, 36 provengono da Paesi d’Europa (Croazia, Romania, Albania e Serbia); gli altri 234 provengono principalmente da: Algeria, Egitto, Marocco, Senegal e Tunisia (in ordine decrescente rispetto ai dati del Rapporto). 13 ragazzi provengono dall’ “America” (dicitura generica dal Rapporto del Ministero) e 10 dal continente asiatico (di cui 5 dalla Cina). Le classi d’età sono state raggruppate nell’elaborazione di chi scrive in due macro insiemi: i ragazzi tra i 14 e i 17 anni, quindi minorenni, sono 359 (di cui 163 italiani e 196 stranieri); i ragazzi tra i 18 e i 24 anni, c.d. giovani adulti, sono 228 (di cui 131 italiani e 97 stranieri). I dati quantitativi poc’anzi narrati non andrebbero considerati come assoluti, bensì dovrebbero fungere da strumento per un inquadramento generale della situazione. Sappiamo infatti che risulta molto complesso raccogliere informazioni statistiche attraverso la comunicazione con gli istituti di pena per minori. Chi scrive ha avuto esperienza diretta, durante una visita di monitoraggio, della discrezionalità con cui talvolta vengono classificati e qualificati detenuti italiani e stranieri. Emblematica a questo proposito la conversazione con un Direttore che segnalava come italiano il detenuto C., il quale era nato in un Paese dell’Unione europea, non aveva documenti e per lui era prevista l’espulsione dall’Italia a fine pena. Di fronte a una richiesta di chiarimento, il Direttore rispose che “C. è come noi, parla perfettamente italiano e ha anche l’accento del posto”. Una piccola nota etnografica a testimonianza di come, lo stigma che spesso viene associato al migrante, porta con sé uno scotoma su quelli che sono elementi strutturali di differenza come l’accesso ai servizi pubblici e sanitari, la possibilità di avere una residenza sul territorio. Requisiti essenziali e, tra i pochi riconosciuti ufficialmente nella letteratura scientifica di settore, come elementi prodromici di una scelta di desistenza ai circuiti collegati alla devianza; quindi volti all’abbassamento delle tendenze recidivanti. Provando a scendere ancora più nel dettaglio rispetto all’oggetto di questa riflessione, ovvero l’intersezione tra detenzione penale e percorso biografico dei MSNA, il Ministero ha recentemente reso pubbliche le tabelle sulle classi di reato e le caratteristiche generali delle persone detenute in IPM ad essi collegate. Il dato generale è che su 59.696 reati registrati nell’anno 2024, il 69,12% è a carico di italiani. La distribuzione delle condanne tra IPM e altre misure mette in evidenza le sproporzioni dei percorsi. Senza pretesa di esaustività emerge che, per quanto riguarda le varie classi di reato, le detenzioni sono così distribuite: Percentuale sul totale delle persone in detenzione in IPM – istituto penale per minori – per classi di reatoPercentuale sul totale delle persone in carico ai Servizi della giustizia minorile per classi di reato NazionalitàitalianistranieriitalianistranieriContro la persona 57,242,874,5725,43Contro la moralità pubblica, la famiglia e il buon costume 78,3321,6785,4114,59Contro il patrimonio 45,6954,3161,1638,84Contro l’incolumità pubblica 69,9630,478,8521,15Contro la fede pubblica 307067,8432,16Contro Stato, altre istituzioni, ordine pubblico 47,1852,8267,5532,45 Elaborazione dell’autrice sui dati forniti dal Ministero di Giustizia (2025) Dalla tabella notiamo che, per tutte le classi di reato, sia quelle connotate dal senso comune come “gravi” che quelle “lievi”, la percentuale degli italiani coinvolti è superiore. Le stesse tendenze tuttavia non si registrano in relazione alla scelta punitiva, infatti si nota in modo chiaro come più spesso siano gli stranieri a parità di reato ad essere detenuti in carcere. Approfondendo ulteriormente le classi di reato in relazione alla gravità percepita appare altresì che, per i reati considerati di grave entità, come ad esempio l’omicidio volontario (sia esso agito o tentato) la percentuale di italiani sul totale è nettamente superiore. Le stesse tendenze si registrano anche per quei reati che sono correlabili alla violenza maschile e di genere. Lo stesso dicasi per i reati contro la moralità pubblica, la famiglia e il buon costume, come ad esempio i maltrattamenti in famiglia; di questi (898) il 78,40% è imputato a italiani. La classe di reati che più significativamente possiamo accostare alla giovane identità migrante è quella “contro il patrimonio”, furto e rapina in primis. Più in generale possiamo dire che le tendenze vedono i reati collegati al possesso di soldi e all’uso o allo spaccio di droga quelli che coinvolgono maggiormente gli stranieri (non in senso assoluto poiché abbiamo visto come le percentuali più alte nelle statistiche coinvolgano sempre il gruppo degli italiani). Nel primo caso si tratta di reati che rientrano nei c.d. reati economici, non di rado correlati alla povertà; nel secondo si tratta di reati spesso in comorbidità con una situazione di abuso e dipendenza. Una ulteriore questione non trova facili risposte, ovvero se nel percorso biografico del minore sia arrivata prima l’abitudine all’uso di sostanze, oppure lo spaccio e gli atti di devianza volti al procurarsi quest’ultima. Quello che è chiaro è che è in corso, all’interno degli IPM, una vera e propria sedazione di massa – a danno nuovamente degli stranieri in particolare – attraverso l’uso massiccio di psicofarmaci, come riportato dall’inchiesta condotta dall’associazione Antigone in collaborazione con Altreconomia 5. A seguito della pubblicazione dell’inchiesta è stata aperta una interrogazione parlamentare. L’utilizzo smodato di talune sostanze è infatti correlato al mantenimento della condizione di dipendenza che talvolta i ragazzi presentano già al momento dell’ingresso. Una presa in carico istituzionale che passa quindi attraverso gli stessi processi associabili ai reati forieri dell’ingresso in carcere. Infine, la tabella non riporta la classe che il Ministero definisce “altri delitti” e che comprende il traffico d’armi e le violazioni in materia di immigrazione. Sul totale di 108 casi registrati a questo titolo, 98 sono a carico di italiani e si legano al traffico illecito di armi. Il dato interessante per la nostra riflessione è che per i reati che violano le norme in materia di immigrazione vi sono 8 persone detenute in IPM. Questi ragazzi (tutti maschi) sono con buona probabilità stati definiti “scafisti”. Il giovane scafista è stato recentemente presentato a fini propagandistici come uno dei nuovi nemici pubblici d’elezione, insieme ad altre figure che non vengono qui citate per ragioni di spazio come ad esempio i “raver”. “Prima di partire l’uomo arabo con la pistola mi ha detto che avrei dovuto tenere la bussola mentre a quello in fila dietro di me (eravamo l’ultimo ed il penultimo della fila) è stato dato il comando dell’imbarcazione, sotto minaccia di essere sparati. Solo dopo ho scoperto che quella sera per tutte e tre le barche che sono partite, gli ultimi due della fila erano stati scelti per condurre la barca. Non si può fare nulla, tutti sono armati in Libia. Non è possibile opporsi a quello che comanda. 6” Così come si registra per le tendenze detentive degli adulti, anche nel caso delle detenzioni in IPM, gli stranieri vengono più spesso trattenuti in carcere anche nella fase di custodia cautelare, ovvero prima di ricevere la condanna definitiva. Anche in questo caso il primo elemento di spiegazione è sociale e non penale e spesso riferito all’assenza di capitale materiale. Sono stati fino a qui forniti alcuni elementi utili al proseguo dell’ipotesi che ha guidato questa presa di parola, ovvero che la detenzione in carcere per i minori stranieri appare sempre più come un dispositivo di controllo sociale e neutralizzazione di una eccedenza difficilmente collocabile e scarsamente tollerata, quindi oppressa. Una neutralizzazione che agisce in due direzioni: in un primo momento attraverso l’isolamento e il contenimento architettonico in carcere, poi nella presa in carico istituzionale quotidiana attraverso la sedazione con l’utilizzo di psicofarmaci. Molti degli elementi considerati non sono nuovi agli addetti ai lavori, la novità è l’avanzata spietata in Italia del richiamo al campo penale per risolvere qualsiasi questione di matrice sociale, nel caso dei minori tutto ciò risulta ancora più perturbante rispetto all’ideale risocializzante che ha sempre guidato, almeno nelle parole, la detenzione minorile. 1. Jessica Lorenzon è attivista e osservatrice con Antigone, di cui coordina la sede veneta. Psicologa e criminologa critica, si è dottorata a Padova studiando i percorsi di uscita dai circuiti penali e penitenziari. ↩︎ 2. L’approfondimento di Stroppa (Antigone 2024) a questo link. ↩︎ 3. Per approfondire: Children of Prisoners Europe. ↩︎ 4. Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi minorili – Analisi statistica dei dati 2024 (provvisori); Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi minorili – Analisi statistica dei dati 2024 (convalidati). ↩︎ 5. Per approfondire: Gli psicofarmaci negli Istituti penali per i giovani reclusi, di Luca Rondi – 1 ottobre 2023; Psicofarmaci all’Ipm “Beccaria” di Milano: l’altra faccia di abusi e torture, di Luca Rondi – 14 maggio 2024; Fine pillola mai. Psicofarmaci negli IPM, di Luca Rondi. ↩︎ 6. Per approfondire l’indagine condotta da ARCI Porco Rosso e Alarm Phone: “Dal mare al carcere“. ↩︎
Scuola di Alta Formazione per operatori e operatrici legali: aperte le iscrizioni
IL CORSO È ARTICOLATO SU 14 MODULI – 168 ORE – E FORNISCE COMPETENZE TEORICHE E PRATICHE APPROFONDITE PER AFFRONTARE LE SFIDE ATTUALI NEL CAMPO DELLA TUTELA DEI DIRITTI DELLE PERSONE MIGRANTI. Scarica la brochure informativa La scuola organizzata da ASGI e l’APS Spazi Circolari mira a formare la figura di operatori e operatrici legali nella tutela delle persone straniere che chiedono – o a cui è stata riconosciuta – una forma di protezione internazionale o speciale oppure che versano nella condizione di vittima di tratta o grave sfruttamento ovvero si trovano in Italia come minori stranieri non accompagnati. Si tratta di una figura in Italia sostanzialmente innovativa, che non ha ancora ottenuto un suo riconoscimento formale, ma che da più parti è considerata fondamentale nel settore in esame. Si tratta di una figura a cui viene richiesta una vasta gamma di competenze ed è per questo che il corso prevede diversi moduli interdisciplinari. La Scuola di alta formazione è destinata a formare 45 operatori e operatrici legali, prevalentemente scelte fra persone che abbiano già conseguito un diploma di laurea in giurisprudenza o in altra facoltà umanistica oppure la qualifica di mediatore o mediatrice culturale o interprete o in alternativa che possano dimostrare una comprovata esperienza in qualità di operatore nel campo della protezione internazionale o delle migrazioni. Il Comitato scientifico della scuola è composto da: Loredana Leo, Salvatore Fachile, Lucia Gennari, Giulia Crescini, Cristina Laura Cecchini, Federica Remiddi, Cristina Gasperin, Papia Aktar, Roberto Bertolino e Andrea Nasciuti. Responsabili scientifiche: Loredana Leo e Salvatore Fachile. Quando: da venerdì 24 ottobre 2025 a sabato 18 aprile 2026. La durata complessiva sarà dunque di 6 mesi circa e si articolerà in 14 moduli (28 incontri) ciascuna con inizio il venerdì alle 9.30 e fine il sabato alle 13.30. Le lezioni si svolgeranno nei seguenti fine settimana: 24-25 ottobre 2025; 7-8 novembre 2025; 21-22 novembre 2025; 5-6 dicembre 2025; 19-20 dicembre 2025; 9-10 gennaio 2026; 23-24 gennaio 2026; 6-7 febbraio 2026; 20-21 febbraio 2026; 6-7 marzo 2026; 20-21 marzo 2026, 27-28 marzo 2026; 10-11 aprile 2026; 17-18 aprile 2026. Dove: in presenza presso la Città dell’Altra Economia, quartiere Testaccio, Roma. Come: il corso prevede lezioni frontali e molte esercitazioni pratiche, alle materie giuridiche sono affiancati moduli relazionali e moduli di antropologia, con una lettura intersezionale, uniti a una prospettiva etno-psichiatrica e a uno sguardo attento alle questioni di genere, elementi essenziali per garantire la massima tutela alle e ai destinatari e destinatarie del supporto legale. Scarica il calendario con il programma dettagliato COSTI E MODALITÀ D’ISCRIZIONE Il costo per ciascuna corsista è di 1.300 euro, di cui 600 da versare al momento dell’iscrizione e 700 entro il 31 dicembre 2025. Per le socie e i soci Asgi e Spazi Circolari, in regola al momento del versamento con l’iscrizione annuale del 2025, il costo è di 1.150 euro. La data ultima per l’iscrizione è il 9 ottobre 2025. Le iscrizioni verranno chiuse in anticipo laddove dovesse essere raggiunto il numero massimo di partecipanti previsto. L’iscrizione avverrà sulla base dell’ordine cronologico iscrizione. Il corso non sarà avviato se non verrà raggiunto il numero minimo di 25 iscritti. Il calendario dettagliato sarà inviato agli iscritti entro il 9 ottobre 2025, sono già da ora certe le date in cui si svolgeranno le lezioni. La domanda di iscrizione dovrà effettuarsi tramite la compilazione del modulo online e attendere le istruzioni via mail per effettuare il pagamento e perfezionare così l’iscrizione. Modulo d’iscrizione online (clicca qui) Attenzione: la sola compilazione del modulo online non è sufficiente a perfezionare l’iscrizione. * Per informazioni contattare: formazione.roma@asgi.it