Il cohousing Le Case Franche: “Abitare con altre persone è una palestra di vita”
Le Case Franche è un progetto di cohousing in Romagna, che ha recentemente
ospitato un convegno nazionale sull’abitare collaborativo ed è stato un nuovo
punto di partenza per nuovi percorsi su questo tema.
Come si può condividere uno spazio senza rinunciare alla propria libertà? Come
può la relazione tra le persone diventare una forza generativa e non un
ostacolo? A queste domande ha provato a rispondere il convegno nazionale
“L’abitare collaborativo in Italia”, che si è tenuto il 18 maggio 2025 al
cohousing Le Case Franche di Forlì. Una giornata intensa, partecipata da oltre
cento persone provenienti da tutta Italia: realtà concrete di cohousing,
ecovillaggi, social housing, ma anche ricercatrici, architetti, giovani,
amministratori pubblici e attivatori di comunità.
Le Case Franche di Forlì è un co-housing nato nel 2008 dal sogno condiviso di un
gruppo di famiglie e architetti locali di creare un modo diverso di abitare,
improntato alla sostenibilità ambientale e alla condivisione. Realizzato grazie
alla costituzione di una cooperativa e al sostegno della Regione Emilia-Romagna,
il progetto si è concretizzato in un piccolo villaggio di case in legno
costruite secondo criteri di bioedilizia e ad alta efficienza energetica, prive
di allacciamento al gas e alimentate da fonti rinnovabili.
L’evento è stato costruito da una rete informale di realtà legate all’abitare
collaborativo, con il sostegno di enti, cooperative e fondazioni locali. Italia
Che Cambia ha accompagnato la giornata con il proprio lavoro di facilitazione e
racconto, attraverso la presenza di Daniela Bartolini, presidente
della Cooperativa Impresa Sociale Italia che cambia, che ha curato la
moderazione. Non solo: eravamo lì anche con le nostre telecamere. Il
video-racconto che trovate qui sotto restituisce volti, voci e temi emersi nel
corso dell’evento.
Parole che costruiscono comunità
Se c’è un filo che attraversa questa rete di realtà appartenenti al mondo
dell’abitare collaborativo è quello della fiducia. Non una fiducia ingenua, ma
costruita nel tempo, spesso faticosamente, tra le pieghe della convivenza e
delle sue inevitabili frizioni. Perché abitare collaborativo non significa
soltanto vivere sotto lo stesso tetto: è un esercizio quotidiano di ascolto,
cura, relazione.
Cinzia Boniatti, del Cohousing Trentino, racconta bene questo aspetto,
ricordando come l’abitare collaborativo non sia la semplice condivisione di
spazi, ma un percorso in cui ci si mette in gioco, anche quando i processi si
complicano. Roberto Ballarini, del Giardino dei Folli di Bologna, ha insistito
su un altro punto centrale: progettare spazi comuni non basta, serve tempo, una
cultura dell’ascolto, e la consapevolezza che la comunità è un organismo vivo,
in continua evoluzione.
E poi c’è chi, come Federico Palla dell’ecovillaggio Lumen, sposta ancora più in
là la prospettiva, parlando di un abitare come scelta politica, capace di
trasformare non solo chi lo vive, ma anche il territorio intorno. È una visione
che ribalta le priorità: prima i legami, poi le case. In tutto questo, il ruolo
della facilitazione emerge come elemento cruciale. Non una tecnica accessoria,
ma una competenza chiave per far funzionare la convivenza. Daniela Bartolini,
presidente della cooperativa Italia Che Cambia lo dice chiaramente: creare uno
spazio dove tutte e tutti si sentano accolti, anche con i propri conflitti, è il
primo passo per far nascere una comunità.
Un momento del convegno a Le Case Franche con la proiezione di un tema centrale:
il cohousing come antidoto all’isolamento e al disagio sociale.
Un tema, mille declinazioni
L’abitare collaborativo non è un modello unico né una ricetta replicabile. È una
costellazione di esperienze che si parlano, si contaminano, a volte si
contraddicono. Al convegno di Forlì, questa pluralità è emersa con forza: un
mosaico di pratiche diverse, tutte tese a immaginare un modo più umano – e più
collettivo – di vivere. Roberto Ballarini, con la sua esperienza nella Rete Buon
Abitare, ha richiamato un’esigenza che attraversa molti gruppi: la necessità
di figure che accompagnino i percorsi comunitari, tenendo insieme le dinamiche
umane, oltre agli aspetti progettuali.
Giovanni Paglia, assessore regionale alle politiche abitative, ha auspicato
l’introduzione di una legge quadro che riconosca pienamente l’abitare
collaborativo come forma abitativa legittima e tutelata. Proprio su questo,
Federico Palla rilancia una prospettiva interessante: «Come coordinatore
della rete europea Salus e segretario di un intergruppo parlamentare sulla
Promozione della Salute, sto lavorando per riportare all’attenzione politica una
proposta di legge sulle comunità intenzionali». La proposta – elaborata da Rete
Salus insieme a Rive, Conacreis e la rete italiana cohousing – era già stata
depositata in Parlamento nel 2020, senza però trovare seguito.
Un momento del workshop dedicato alla facilitazione e ai giochi cooperativi
durante il convegno “L’abitare collaborativo in Italia” al cohousing Le Case
Franche.
«Ora c’è la possibilità di rilanciarla, collegandola al tema dell’invecchiamento
attivo su cui l’Unione Europea chiede risposte innovative. Potrebbe nascere un
quadro normativo intergenerazionale davvero innovativo, che darebbe spazio
all’iniziativa privata e locale, in accordo con i Comuni. Una cornice capace di
accogliere soluzioni sartoriali, adatte a ogni territorio, dalla metropoli
all’area rurale». Dal Comune di Forlì, l’assessora Angelica Sansavini ha
sottolineato il valore sociale di queste pratiche, soffermandosi in particolare
sul loro potenziale educativo: comunità che offrono ai più giovani un contesto
relazionale ricco e condiviso, in cui crescere con uno sguardo collettivo sul
mondo.
Infine, anche dal mondo cooperativo arriva un appello chiaro. Pier Lorenzo
Rossi, direttore generale di Confcooperative Emilia-Romagna, evidenzia il ruolo
strategico delle cooperative nel sostenere modelli abitativi fondati su
mutualismo e innovazione sociale. Mauro Neri, presidente di Confcooperative
Romagna, insiste sulla necessità di un accompagnamento concreto ai gruppi nelle
prime fasi, quando tutto è ancora fragile e indefinito.
Un nodo di rete, un punto di partenza
La sensazione è quella di toccare con mano qualcosa che spesso viene liquidato
come utopia, ma che invece esiste, resiste, funziona. L’abitare collaborativo
non è un sogno per pochi idealisti: è una risposta concreta a problemi che ci
riguardano tutte e tutti. La crisi abitativa, l’isolamento sociale,
l’inaccessibilità economica delle case, il bisogno profondo – e spesso
inascoltato – di appartenere a una comunità.
Cinzia Boniatti, Cristina Massano e Marianna Tebaldi al convegno nazionale
L’abitare collaborativo in Italia davanti alla locandina dell’evento al
cohousing Case Franche di Forlì.
Tra le tante implicazioni in gioco ce n’è una che mi ha colpito più delle altre:
la consapevolezza che la solitudine, oggi, è uno dei mali più gravi della nostra
società. Lo ha detto chiaramente Federico Palla, citando studi scientifici che
la collegano perfino a un aumento del rischio di morte. In un Paese che
invecchia come l’Italia, in cui sempre più persone vivono da sole, il cohousing
può diventare un antidoto potente, una forma concreta di cura reciproca.
Al tempo stesso vi è un bisogno forte e urgente di strumenti, non solo di buone
intenzioni. Servono competenze relazionali, percorsi di accompagnamento,
capacità di affrontare i conflitti. In ogni intervento, anche quelli più
tecnici, c’era sempre un ritorno alla relazione come chiave di tutto. L’abitare
collaborativo non è un progetto edilizio: è una pratica sociale.
Quello di Forlì è stato un punto di partenza, un nodo di rete, un momento in cui
riconoscersi, farsi domande, condividere fatiche e visioni. Come dare
rappresentanza nazionale a queste realtà? Come dialogare con le istituzioni
senza snaturarsi? Come non dover ogni volta ripartire da zero? Domande che non
sono rimaste sospese, ma hanno iniziato a prendere forma. Italia che Cambia
continuerà a seguirle, perché in queste esperienze c’è molto più di
un’alternativa abitativa. C’è un’altra idea di società. E forse anche un’altra
idea di futuro.
Articolo realizzato con il contributo di Le Case Franche
Italia che Cambia