Una riflessione sugli alunni che hanno rifiutato gli esami orali di maturità
Ha fatto parecchio scalpore la notizia della protesta attuata da alcuni studenti
che si sono rifiutati di sostenere l’orale agli esami di maturità.
Una parte dei commenti sono stati negativi ponendo l’accento sulla mancanza di
responsabilità da parte di pochi ragazzi, che in fondo hanno attuato una
protesta puramente individuale, e senza peraltro correre alcun rischio avendo
già ottenuto il punteggio minimo per il superamento dell’esame. Inutile dire poi
che il ministro Valditara, in perfetto stile meloniano, ha subito trovato la
solita risposta facile, tutta ordine e repressione: “chi ci riprova, dal
prossimo anno, sarà bocciato.”
Al contrario una schiera di psicologi e pedagogisti di area “benpensanti di
sinistra”, dopo aver sottolineato giustamente il fatto che più che di una
protesta si è trattato della espressione di un disagio per un sistema
iper-competitivo e scarsamente attento alle esigenze dei giovani, si sono poi
incartati nella ricerca di complicate soluzioni didattiche e di valutazione del
merito, spesso a metà strada tra il cervellotico e il banale.
Certo non è questione semplice. Credo possa essere utile, a tal proposito,
riproporre alcune riflessioni di Simone Weil, per la quale la capacità di avere
ATTENZIONE per gli altri e i loro bisogni, e per la realtà che ci circonda,
debba considerarsi fondamentale per avere coscienza di sé e per trovare i giusti
valori per interagire col Mondo di cui siamo parte. Questo concetto di
attenzione, proprio per l’importanza che assume innanzitutto nell’età della
formazione, sarebbe dovuto diventare per la Weil l’obiettivo primario di ogni
istruzione scolastica.
Naturalmente non sono in grado di tradurre questa impostazione generale, con la
quale concordo pienamente, in concrete proposte o in misure istituzionali, col
pericolo sempre incombente che le buone intenzioni facciano una cattiva fine.
Quello che certamente so è che questa attenzione per i nostri simili e per il
nostro mondo era quella che portava noi studenti degli anni Sessanta e Settanta,
a fare sit in di protesta di fronte all’ambasciata Usa contro la guerra in
Vietnam, ed è la stessa che ci avrebbe portato oggi ad occupare scuole e
università in tutto il paese contro il genocidio che si sta perpetrando contro i
palestinesi, da parte di Israele.
Se tutto questo oggi non succede, o non succede con la stessa forza del passato,
e se le manifestazioni di solidarietà con la Palestina, vanno in parallelo con
gesti di protesta individuali e attenzionati, del tutto legittimamente,
innanzitutto verso se stessi e la propria condizione, non è per una qualche
ragione metafisica, ma perché quella “speranza di futuro” che animava i tempi
passati è stata delusa e non si è più saputo o potuto ricostruirla.
Ripartiamo allora dalle proteste del presente contro la retorica nozionistica e
il sistema (falsamente) meritocratico e (realmente) competitivo che supporta il
nostro sistema scolastico praticamente da sempre. Accettiamone i limiti, e
aiutiamo i giovani a valorizzare quel bisogno di attenzione, per sé e per gli
altri, che essi comunque e in vari modi esprimono.
È in ogni caso fondamentale cercare di piantare i semi per un diverso futuro,
nella speranza che quando noi giovani “di ieri” non ci saremo più, i giovani di
oggi ne sappiano raccogliere i frutti.
Antonio Minaldi