La narrativa cristiana della lotta non violenta contro le strutture di violenza (o di peccato)Gandhi ha esteso l’antico insegnamento dello Jainismo (ahimsa) ad una capacità
di lottare non violentemente contro ogni struttura negativa della società. Per
ispirarsi alla tradizione millenaria dei testi sacri indù la sua lotta non
violenta egli ha dato una nuova interpretazione alla Bagavad Gita: ha ribaltato
il senso della guerra affrontata da Arjuna in una lotta non violenta con se
stesso e con gli altri (Gandhi, Gandhi commenta la Bagavad Gita, Ed.
Mediterranee, Roma, 2012).
A noi non violenti interessa sapere se ci sono altre tradizioni religiose che
con particolari insegnamenti religiosi abbiano anticipato il senso spirituale
della lotta non violenta.
Per i cristiani, qual è la maniera di affrontare i conflitti senza “reagire al
male senza fare il male” (Mt 5, 39; Rm 12, 17)?
Una risposta viene da una corretta interpretazione delle Beatitudini (Mt 5).
Su di esse Lanza del Vasto (LdV) ha avuto un suggerimento fondamentale: le
Beatitudini debbono essere lette in sequenza, una dopo l’altra (L’arca aveva una
vigna per vela, Jaca book, Milano, pp. 242-243). Così esse esprimono un
crescendo, dalla reazione intima o personale (vivere la povertà, piangere,
restare miti, avere sete di giustizia) alla azione nella società (avere
misericordia, darsi un impegno sociale, fare la pace, lottare per la giustizia
sociale). Anche la ricompensa a questi impegni di lotta cresce in parallelo: da
quelli di consolazione solo intima o personale (sentirsi in cielo, essere
consolati, ricevere la propria terra, avere una soddisfazione di giustizia), al
crescere spiritualmente nei rapporti sociali (ricevere misericordia, vedere Dio
nelle persone, essere chiamati figli di Dio, realizzare qui la vita
Trinitaria).
(Si noti però che questa sequenza è chiara se 1) si scambia l’ordine della
seconda con la terza; 2) si rimedia alla mancanza di alcune parole nella sesta
Beatitudine: “Beati coloro che hanno il cuore puro [invece: … che si impegnano
nella vita sociale purificando il cuore] perché vedranno Dio [nelle persone]”e
3) si migliora l’ultima Beatitudine: “Beati coloro che combattono l’ingiustizia
fino al sacrificio personale, perché con essi si rappresenta la vita della
Trinità sulla Terra”).
Queste “reazioni al male senza ricorrere al male” sono ricompensate dallo
Spirito Santo in quanto Lui fa leva sulla reazione umana per invertire i mali in
beni trascendenti, cioè in quello che le corrispondenti Beatitudini promettono.
Un altro suggerimento fondamentale di LdV è che quando nella società il male
diventa strutturale, si concretizza in uno tra quattro flagelli, tutti “fatti da
mano d’uomo”: Miseria, Sedizione, Guerra e Servitù (Lanza del Vasto, Les quatre
Fléaux, Denoël, Parigi, 1959; SEI, Torino, 1996, cap. 1, par. 1). Allora
l’inizio di ogni beatitudine indica una sofferta reazione non tanto ad un male
generico, ma soprattutto al male diventato strutturale, ad uno di questi quattro
flagelli. Allora scopriamo che il testo delle beatitudini deve essere completato
con una parte rimasta implicita: ognuna di esse deve dichiarare all’inizio a
quale flagello si sta reagendo. Per questo occorre premettere ad ogni
beatitudine, ad es. la prima: “Contro la Miseria, beati…” Ma i flagelli sono
quattro e le Beatitudini sono otto. In effetti le Beatitudini sono le reazioni
ai flagelli elencati due volte; le prime quattro indicano la politica delle
reazioni personali, le seconde quattro la politica di intervento nella società.
Pertanto, le Beatitudini nel complesso sono una precisa politica di azione non
violenta contro tutti i principali casi del male strutturato nella società.
Tutto quanto sopra era incomprensibile prima del XX secolo, quando è stata
scoperta la non violenza e a sua prova Gandhi ha realizzato “tre miracoli
storici (politici): una liberazione nazionale senza spargimento di sangue, una
rivoluzione sociale senza rivolta, l’arresto di una guerra” (ibidem, cap. v, §§.
34, 46); ai quali oggi si può aggiungere il miracolo storico delle rivoluzioni
non violente delle popolazioni dell’Europa orientale negli anni 1989 e seguenti;
le quali ci hanno liberato dall’antagonismo sordo dei Due Blocchi e dalla loro
Guerra Fredda che minacciava una guerra di sterminio colossale.
Da tutto ciò ricaviamo un nuovo testo delle beatitudini che è pienamente
significativo e aderente alla vita di oggi.
Nuovo Testo delle Beatitudini
Contro la Miseria, beati quelli che sono poveri in virtù dello Spirito, perché
di essi è il regno dei cieli.
Contro la Sedizione, beati quelli che piangono, perché saranno consolati.
Contro la Guerra, beati quelli che sono miti, perché possederanno la terra.
Contro la Servitù, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché
saranno saziati.
Contro la Miseria, beati quelli che si piegano alla misericordia, perché
riceveranno misericordia.
Contro la Sedizione, beati quelli che si impegnano nel sociale con cuore puro,
perché vedranno Dio nelle persone.
Contro la Guerra, beati quelli che fanno la pace nel prossimo, perché saranno
chiamati figli di Dio.
Contro la Miseria, beati quelli che lottano per la giustizia sociale fino al
sacrificio personale, perché con essi si rappresenta la vita trinitaria di Dio
sulla terra.
Ma in che cosa consiste la vita interiore di chi lotta non violentemente, così
come è indicata da ogni Beatitudine? L’ha rappresentata in pittura e scultura
una lunga tradizione popolare, che è nata nel basso medioevo (a mia conoscenza,
la sua prima immagine è una scultura nella cattedrale di Compostela in cima alla
colonna centrale del portico del paradiso (1211); la più famosa è quella della
Trinità di Masaccio in S. Maria Novella a Firenze del 1427). E’ stata una lotta
non violenta quella con cui il Figlio ha risolto il conflitto del peccato
originale dell’umanità con Dio (cioè la massima violenza strutturale); questa
sua lotta ha comportato la sua incarnazione, la sua lotta (contro sia il potere
religioso dell’Ebraismo di allora, autoritario e formalista, che quello della
dominazione politica dell’Impero Romano), la sua crocifissione e la sua
resurrezione. L’immagine suddetta dice che tutto l’evento è stato sostenuto
dalla volontà del Padre (che sostiene la croce) ed è stato assistito dallo
Spirito Santo (che aveva progettato il tutto). In sintesi, questa immagine dice
che il conflitto degli uomini con Dio è stato risolto dal Figlio, che, come
esperienza compiuta, l’ha fatto entrare dentro la vita di Dio stesso.
Notiamo che la risoluzione del conflitto passa sì per la morte in croce, ma è
data infine dalla risurrezione; senza di essa la fede cristiana è stolta. Il
fatto che lui dopo la morte è risorto è la promessa dello Spirito Santo:
chiunque combatte così come fece Gesù contro i peccati (o violenze) strutturali
in modo non violento, vincerà sulla Terra o in Cielo.
Quindi il Dio cristiano si pone come il Dio che essenzialmente fa la pace nei
conflitti. E’ in questo senso preciso che il Dio cristiano è amore, non lo è in
senso generico.
Ma dovendo combattere strutture anche schiaccianti con la non violenza, cioè
solamente con la forza dello spirito, dove si può trovare la forza spirituale
per fare il Davide davanti al Golia di una struttura di violenza che nella
società magari si impone come assoluta?
La risposta del cristianesimo è: la comunione.
Ma che cosa è in fondo la comunione? Per la Chiesa cattolica è dogma che con
essa avviene una comunione dell’uomo con Gesù. La tradizione teologica dice che
ciò avverrebbe in quanto c’è una “transustanziazione” (cioè con la
trasformazione del pane e vino in Gesù). Questa parola indica una trasformazione
materiale di oggetti materiali (pane e vino), la quale avverrebbe al di fuori di
ogni relazione sociale. Però essa non è stata finora spiegata da alcuna dottrina
filosofica o metafisica.
Ma ai non violenti non può interessare granché che cosa fanno nella comunione le
sostanze materiali (pane e vino), se esse subiscano o no un processo di
tramutazione alchemica o nucleare; Noi non violenti abbiamo una altra
interpretazione da suggerire: a noi interessa che le persone che si impegnano
con tutta la loro interiorità in una lotta non violenta potenzialmente
schiacciante, si trasformino, per opera di Dio, nel massimo delle loro capacità
spirituali; cioè si identifichino il più possibile con il Cristo per diventare
sin nel profondo cristiani, cioè veri seguaci di Cristo. La comunione è il
massimo aiuto che il Figlio di Dio poteva dare ad un cristiano che lotta non
violentemente, anche al rischio della morte, contro un peccato strutturale:
unirsi con lui mediante una compartecipazione di cose elementari concrete, pane
e vino, in modo da agire assieme.
In passato alcuni nonviolenti hanno scoperto dalle idee che caratterizzano in
maniera approssimata la trasformazione nonviolenta che si deve compiere dentro
un conflitto: (a parte l’Aufhebung nella fuorviante, perché metafisica,
dialettica di Hegel) l’”osare la pace” del pastore Dietrich Bonhoeffer; il saper
“portare una libera aggiunta” di Aldo Capitini; il cercare il punto di
conciliazione di due linee apparentemente parallele anche se esso è posto
all’infinito (Lanza del Vasto), il “trascendere” di Johan Galtung.
E’ anche interessante quanto diceva in proposito un grande riformatore del
Cristianesimo: Martin Lutero (sermone del 1520, anno della sua scomunica):
… vi è un largo uso di questo sacramento, senza alcuna intelligenza del suo
significato, né alcun esercizio in esso… Molte persone [che prendono la
comunione, poi di fatto] non vogliono essere solidali, non vogliono aiutare i
poveri, sopportare i peccati, aver cura dei miserabili, soffrire con i
sofferenti, pregare per gli altri, e neppure vogliono difendere la verità e
promuovere il miglioramento della Chiesa… Non sanno far altro, con questo
sacramento, che temere e onorare, con le loro orazioncelle e le loro devozioni,
il Cristo presente nel pane e nel vino…
Gesù ha preferito queste forme del pane e del vino per esprimere più ampiamente
[possibile] l’unità e la comunione che si compiono in questo sacramento; perché
non v’è unione più intima, profonda e indivisa che l’unione del cibo con colui
che ne viene nutrito, in quanto il cibo penetra e si trasforma nella natura
stessa e diventa un essere solo con chi se ne ciba. Altri modi di unire, come
con chiodi, colla, corda o altre cose simili, non fanno una unità indivisibile.
Alcuni esercitano la loro arte e le loro sottigliezze per cercare dove rimane il
pane quando è trasformato nella carne di Cristo e il vino nel suo sangue, e
anche come in una così piccola particella di pane e di vino possa essere
contenuto tutto il Cristo, la sua carne e il suo sangue. Ma non importa nulla
che tu non lo veda. Basta che tu sappia che è un segno divino, in cui la carne e
il sangue di Cristo sono veramente contenuti; il come e il dove rimettilo a Lui…
Allo stesso modo anche noi, nel sacramento, veniamo uniti con Cristo e
incorporati con i suoi santi a tal punto che egli assume le nostre parti,
[cosicché] egli fa o non fa per noi, come se egli fosse quello che siamo; e che
quello che ci accade, [accada] anche a lui e più che a noi; affinché anche noi
possiamo assumere le sue parti, come se fossimo quello che egli è… Così profonda
e totale è la comunione di Cristo e di tutti santi con noi…
Ma attenzione! Con questo aiuto formidabile, il massimo che un Dio può dare, un
cristiano dovrebbe essere il primo a buttarsi nella lotta non violenta contro i
flagelli che colpiscono una popolazione! Se non lo fa, resta “un pagano
battezzato a metà…; o segue il suo battesimo o diventa doppiamente colpevole.”
(ibidem, cap. V, par. 24 )
Antonino Drago