Rifiutare l’intelligenza artificiale e il “destino manifesto” nucleare(Fonte) Koohan Paik-Mander – 8 agosto 2025
Negli ultimi secoli, i popoli indigeni e le loro terre sono stati sfruttati e
saccheggiati da potenze esterne. Oggi, questa dinamica si ripete in forma
tecnologica: il “tecnocolonialismo” legato all’espansione dell’Intelligenza
Artificiale (IA).
Nel XXI secolo, la nuova corsa all’estrazione riguarda non solo risorse naturali
(come minerali e acqua), ma anche dati e DNA, considerati materie prime
essenziali per l’economia dell’IA.
Un esempio emblematico è il “Progetto Stargate”, annunciato dal Presidente Trump
nel 2025: un piano da mezzo trilione di dollari per costruire enormi data center
che rendano l’IA un servizio pubblico essenziale. A sostenerlo sono i grandi
oligarchi della tecnologia, che promettono benefici sociali e ambientali, mentre
in realtà favoriscono la deregolamentazione ambientale, nucleare e della
privacy, e l’espansione dell’IA militare.
L’economia dell’IA si fonda su due pilastri:la costruzione di data center, ossia
infrastrutture fisiche di elaborazione e una rete globale di sorveglianza e
raccolta dati, che alimenta costantemente i modelli.
Senza questi due elementi, l’intero sistema non può funzionare — e proprio qui
si collocano i principali punti di intervento per resistere al
tecnocolonialismo.
I chatbot, come ChatGPT, non sono realmente intelligenti, ma si configurano come
un complesso sistema di riconoscimento di pattern, basato sulla raccolta massiva
di dati (testi, immagini, suoni, DNA). I dati sono tradotti in linguaggio
matematico per consentire alla macchina di riconoscere schemi e formulare
previsioni, come completare frasi o generare immagini coerenti con i prompt
ricevuti.
Le aziende biotecnologiche hanno sottratto milioni di campioni biologici da
comunità indigene ed emarginate per addestrare modelli di intelligenza
artificiale, spesso senza trasparenza sull’origine dei dati genetici. Grazie a
tali dati, possono persino generare sequenze genetiche artificiali con
caratteristiche pericolose, come virus potenzialmente utilizzabili nella guerra
biologica.
Parallelamente, il governo statunitense, sotto l’amministrazione Trump, ha
centralizzato i dati pubblici in mano alla Palantir Corporation, nota per l’uso
dell’IA nella sorveglianza militare e nel tracciamento dei migranti.
Attraverso la cosiddetta “Internet delle Cose” (rete di elettrodomestici e
gadget intelligenti, di riconoscimento vocale e facciale e di sensori
biometrici), milioni di dispositivi “intelligenti” — telefoni, elettrodomestici,
auto, sensori — raccolgono e inviano dati personali in modo continuo. Ogni
azione quotidiana diventa così parte del flusso di estrazione digitale,
alimentando un sistema globale di controllo e sorveglianza.
L’avidità di potere e profitto alimenta la corsa ai dati, considerati “il nuovo
petrolio”, mentre i data center ne rappresentano le “raffinerie”. Queste
strutture, fulcro dell’economia dell’Intelligenza Artificiale, elaborano enormi
quantità di informazioni ma consumano quantità immense di energia e acqua,
causando gravi danni ambientali e sociali.
Giganteschi complessi come quelli del Progetto Stargate o i data center di
Microsoft, Amazon e Google prosciugano risorse idriche e devastano territori,
come accade a Querétaro (Messico). Nonostante vengano pubblicizzati come
infrastrutture “verdi”, le comunità indigene — come la Nazione Cree di Sturgeon
Lake — si oppongono fermamente a questi progetti per la loro impatto ecologico e
coloniale.
Anche negli Stati Uniti, come a Memphis (Tennessee), i data center inquinano
l’aria e compromettono la salute delle popolazioni locali. L’Agenzia
Internazionale per l’Energia prevede che entro il 2030 i data center
consumeranno più elettricità dell’intera industria globale dell’acciaio, del
cemento e della chimica messe insieme.
Di fronte a questo disastro annunciato, magnati come Bezos, Gates e Altman
propongono una presunta “rinascita dell’energia nucleare” “, come se questa
potesse essere una valida alternativa al consumo eccessivo di energia basata sul
carbonio., ma che in realtà non affronta la causa principale: la crescente
dipendenza energetica e l’impatto ambientale di un’economia costruita sull’IA.
I magnati della Silicon Valley stanno promuovendo lo sviluppo di piccoli
reattori modulari (SMR) per fornire energia ai data center dell’Intelligenza
Artificiale, riaprendo così la strada a un nuovo ciclo di sfruttamento nucleare.
In attesa che tali reattori diventino operativi, continua la dipendenza da fonti
fossili e dall’estrazione di uranio, con gravi conseguenze per le comunità
indigene.
Il New Mexico, epicentro storico dell’industria nucleare sin da quando J. Robert
Oppenheimer ha sviluppato la bomba atomica, è stato devastato in ogni fase del
ciclo atomico — estrazione, arricchimento, test e smaltimento — e rischia ora di
subire un ulteriore impatto con la “rinascita nucleare” legata all’IA.
Non è casuale che l’intelligenza artificiale abbia origini a Los Alamos, dove
nacque la bomba atomica: IA e nucleare sono intrecciati sin dall’inizio, uniti
da una logica militare e distruttiva che oggi si perpetua nel nome del progresso
tecnologico.
Gli attivisti indigeni, come Petuuche Gilbert del popolo Acoma, denunciano la
falsa separazione tra energia e armi nucleari, ricordando che entrambe violano
l’equilibrio vitale tra terra, aria, acqua e persone. Per la visione indigena,
ogni forma di industria nucleare è incompatibile con la coesistenza armoniosa
tra gli esseri viventi e la natura.
Gli attivisti antinucleari giapponesi definiscono energia e armi nucleari come
“due teste dello stesso serpente”, poiché condividono gli stessi processi
distruttivi — estrazione dell’uranio, arricchimento e smaltimento dei rifiuti
radioattivi — che devastano terre, acque e comunità indigene.
Il Los Alamos National Laboratory ha ripreso la produzione di testate nucleari
dopo decenni di inattività, puntando a realizzare fino a 100 bombe all’anno
entro il 2030, ognuna con una potenza venti volte superiore a quella di
Hiroshima.
Questo ritorno alla corsa agli armamenti implica anche la possibile ripresa dei
test nucleari sotterranei, riaprendo ferite mai guarite tra le popolazioni
indigene che vivono a valle dei siti nucleari, ancora oggi afflitte da gravi
conseguenze sanitarie e ambientali.
L’aumento della produzione di uranio e lo sviluppo dei piccoli reattori modulari
(SMR) hanno fatto impennare il valore delle scorte di uranio, ignorando del
tutto l’impatto devastante sulle comunità indigene e il loro diritto al consenso
libero, previo e informato. Dal 1940, i popoli del sud-ovest degli Stati Uniti
si oppongono all’industria nucleare, che ha provocato malattie croniche, tumori,
difetti congeniti e contaminazione ambientale. Nella sola Nazione Navajo
esistono oltre 500 miniere di uranio abbandonate, ancora fonte di gravi rischi
sanitari e ambientali.
Il New Mexico ospita anche il Waste Isolation Pilot Plant (WIPP), destinato allo
stoccaggio dei rifiuti radioattivi militari. Inaugurato nel 1999 come progetto
temporaneo, avrebbe dovuto chiudere nel 2024, ma il governo ha deciso di
estenderne l’attività per altri 69 anni, ampliandolo nonostante la vicinanza a
pozzi di fracking e gli incidenti già avvenuti nel trasporto dei rifiuti.
Ancora una volta, il peso dell’industria nucleare — con la sua eredità tossica e
coloniale — ricade sproporzionatamente sulle terre e sulle vite dei popoli
indigeni del New Mexico e di tutto il Nord America.
L’attivista Petuuche Gilbert denuncia la mancanza di piani concreti per lo
smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti dai futuri reattori modulari (SMR)
destinati ad alimentare l’Intelligenza Artificiale. L’arricchimento dell’uranio
necessario per questi reattori — quasi a livello militare — comporta gravi
rischi ambientali e sanitari, aggravando la vulnerabilità delle comunità
indigene del sud-ovest degli Stati Uniti, già colpite da decenni di inquinamento
nucleare.
Questa nuova ondata di espansione nucleare a supporto dell’economia dell’IA
rappresenta una minaccia esistenziale per la terra, l’acqua, la salute e la
sovranità dei popoli nativi, una realtà spesso esclusa dalle discussioni
pubbliche sulla tecnologia.
Secondo l’attivista Koohan Paik-Mander, l’economia dell’IA non è ancora
inevitabile: la sua infrastruttura — basata su data center, energia nucleare e
sistemi di sorveglianza globale — è ancora in costruzione. Bloccarne lo sviluppo
rappresenta quindi un atto di resistenza strategica.
Possiamo frenare il colosso dell’intelligenza artificiale semplicemente
bloccando la costruzione di data center a ogni passo e rimanendo offline il più
possibile. Fermare i data center. Fermare la biopirateria. Fermare le armi
nucleari. Fermare l’intelligenza artificiale. Fermare la sorveglianza. Sono
tutti interconnessi. Mantenere l’uranio nel sottosuolo. Rispettare i diritti dei
popoli indigeni.
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