Rifiutare l’intelligenza artificiale e il “destino manifesto” nucleare

Lavoratrici e Lavoratori Aci Informatica - Thursday, November 6, 2025

(Fonte) Koohan Paik-Mander – 8 agosto 2025

Negli ultimi secoli, i popoli indigeni e le loro terre sono stati sfruttati e saccheggiati da potenze esterne. Oggi, questa dinamica si ripete in forma tecnologica: il “tecnocolonialismo” legato all’espansione dell’Intelligenza Artificiale (IA).

Nel XXI secolo, la nuova corsa all’estrazione riguarda non solo risorse naturali (come minerali e acqua), ma anche dati e DNA, considerati materie prime essenziali per l’economia dell’IA.

Un esempio emblematico è il “Progetto Stargate”, annunciato dal Presidente Trump nel 2025: un piano da mezzo trilione di dollari per costruire enormi data center che rendano l’IA un servizio pubblico essenziale. A sostenerlo sono i grandi oligarchi della tecnologia, che promettono benefici sociali e ambientali, mentre in realtà favoriscono la deregolamentazione ambientale, nucleare e della privacy, e l’espansione dell’IA militare.

L’economia dell’IA si fonda su due pilastri:la costruzione di data center, ossia infrastrutture fisiche di elaborazione e una rete globale di sorveglianza e raccolta dati, che alimenta costantemente i modelli.

Senza questi due elementi, l’intero sistema non può funzionare — e proprio qui si collocano i principali punti di intervento per resistere al tecnocolonialismo.

I chatbot, come ChatGPT, non sono realmente intelligenti, ma si configurano come un complesso sistema di riconoscimento di pattern, basato sulla raccolta massiva di dati (testi, immagini, suoni, DNA). I dati sono tradotti in linguaggio matematico per consentire alla macchina di riconoscere schemi e formulare previsioni, come completare frasi o generare immagini coerenti con i prompt ricevuti.

Le aziende biotecnologiche hanno sottratto milioni di campioni biologici da comunità indigene ed emarginate per addestrare modelli di intelligenza artificiale, spesso senza trasparenza sull’origine dei dati genetici. Grazie a tali dati, possono persino generare sequenze genetiche artificiali con caratteristiche pericolose, come virus potenzialmente utilizzabili nella guerra biologica.

Parallelamente, il governo statunitense, sotto l’amministrazione Trump, ha centralizzato i dati pubblici in mano alla Palantir Corporation, nota per l’uso dell’IA nella sorveglianza militare e nel tracciamento dei migranti.

Attraverso la cosiddetta “Internet delle Cose” (rete di elettrodomestici e gadget intelligenti, di riconoscimento vocale e facciale e di sensori biometrici), milioni di dispositivi “intelligenti” — telefoni, elettrodomestici, auto, sensori — raccolgono e inviano dati personali in modo continuo. Ogni azione quotidiana diventa così parte del flusso di estrazione digitale, alimentando un sistema globale di controllo e sorveglianza.

L’avidità di potere e profitto alimenta la corsa ai dati, considerati “il nuovo petrolio”, mentre i data center ne rappresentano le “raffinerie”. Queste strutture, fulcro dell’economia dell’Intelligenza Artificiale, elaborano enormi quantità di informazioni ma consumano quantità immense di energia e acqua, causando gravi danni ambientali e sociali.

Giganteschi complessi come quelli del Progetto Stargate o i data center di Microsoft, Amazon e Google prosciugano risorse idriche e devastano territori, come accade a Querétaro (Messico). Nonostante vengano pubblicizzati come infrastrutture “verdi”, le comunità indigene — come la Nazione Cree di Sturgeon Lake — si oppongono fermamente a questi progetti per la loro impatto ecologico e coloniale.

Anche negli Stati Uniti, come a Memphis (Tennessee), i data center inquinano l’aria e compromettono la salute delle popolazioni locali. L’Agenzia Internazionale per l’Energia prevede che entro il 2030 i data center consumeranno più elettricità dell’intera industria globale dell’acciaio, del cemento e della chimica messe insieme.

Di fronte a questo disastro annunciato, magnati come Bezos, Gates e Altman propongono una presunta “rinascita dell’energia nucleare” “, come se questa potesse essere una valida alternativa al consumo eccessivo di energia basata sul carbonio., ma che in realtà non affronta la causa principale: la crescente dipendenza energetica e l’impatto ambientale di un’economia costruita sull’IA.

I magnati della Silicon Valley stanno promuovendo lo sviluppo di piccoli reattori modulari (SMR) per fornire energia ai data center dell’Intelligenza Artificiale, riaprendo così la strada a un nuovo ciclo di sfruttamento nucleare. In attesa che tali reattori diventino operativi, continua la dipendenza da fonti fossili e dall’estrazione di uranio, con gravi conseguenze per le comunità indigene.

Il New Mexico, epicentro storico dell’industria nucleare sin da quando J. Robert Oppenheimer ha sviluppato la bomba atomica, è stato devastato in ogni fase del ciclo atomico — estrazione, arricchimento, test e smaltimento — e rischia ora di subire un ulteriore impatto con la “rinascita nucleare” legata all’IA.

Non è casuale che l’intelligenza artificiale abbia origini a Los Alamos, dove nacque la bomba atomica: IA e nucleare sono intrecciati sin dall’inizio, uniti da una logica militare e distruttiva che oggi si perpetua nel nome del progresso tecnologico.

Gli attivisti indigeni, come Petuuche Gilbert del popolo Acoma, denunciano la falsa separazione tra energia e armi nucleari, ricordando che entrambe violano l’equilibrio vitale tra terra, aria, acqua e persone. Per la visione indigena, ogni forma di industria nucleare è incompatibile con la coesistenza armoniosa tra gli esseri viventi e la natura.

Gli attivisti antinucleari giapponesi definiscono energia e armi nucleari come “due teste dello stesso serpente”, poiché condividono gli stessi processi distruttivi — estrazione dell’uranio, arricchimento e smaltimento dei rifiuti radioattivi — che devastano terre, acque e comunità indigene.

Il Los Alamos National Laboratory ha ripreso la produzione di testate nucleari dopo decenni di inattività, puntando a realizzare fino a 100 bombe all’anno entro il 2030, ognuna con una potenza venti volte superiore a quella di Hiroshima.

Questo ritorno alla corsa agli armamenti implica anche la possibile ripresa dei test nucleari sotterranei, riaprendo ferite mai guarite tra le popolazioni indigene che vivono a valle dei siti nucleari, ancora oggi afflitte da gravi conseguenze sanitarie e ambientali.

L’aumento della produzione di uranio e lo sviluppo dei piccoli reattori modulari (SMR) hanno fatto impennare il valore delle scorte di uranio, ignorando del tutto l’impatto devastante sulle comunità indigene e il loro diritto al consenso libero, previo e informato. Dal 1940, i popoli del sud-ovest degli Stati Uniti si oppongono all’industria nucleare, che ha provocato malattie croniche, tumori, difetti congeniti e contaminazione ambientale. Nella sola Nazione Navajo esistono oltre 500 miniere di uranio abbandonate, ancora fonte di gravi rischi sanitari e ambientali.

Il New Mexico ospita anche il Waste Isolation Pilot Plant (WIPP), destinato allo stoccaggio dei rifiuti radioattivi militari. Inaugurato nel 1999 come progetto temporaneo, avrebbe dovuto chiudere nel 2024, ma il governo ha deciso di estenderne l’attività per altri 69 anni, ampliandolo nonostante la vicinanza a pozzi di fracking e gli incidenti già avvenuti nel trasporto dei rifiuti.

Ancora una volta, il peso dell’industria nucleare — con la sua eredità tossica e coloniale — ricade sproporzionatamente sulle terre e sulle vite dei popoli indigeni del New Mexico e di tutto il Nord America.

L’attivista Petuuche Gilbert denuncia la mancanza di piani concreti per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti dai futuri reattori modulari (SMR) destinati ad alimentare l’Intelligenza Artificiale. L’arricchimento dell’uranio necessario per questi reattori — quasi a livello militare — comporta gravi rischi ambientali e sanitari, aggravando la vulnerabilità delle comunità indigene del sud-ovest degli Stati Uniti, già colpite da decenni di inquinamento nucleare.

Questa nuova ondata di espansione nucleare a supporto dell’economia dell’IA rappresenta una minaccia esistenziale per la terra, l’acqua, la salute e la sovranità dei popoli nativi, una realtà spesso esclusa dalle discussioni pubbliche sulla tecnologia.

Secondo l’attivista Koohan Paik-Mander, l’economia dell’IA non è ancora inevitabile: la sua infrastruttura — basata su data center, energia nucleare e sistemi di sorveglianza globale — è ancora in costruzione. Bloccarne lo sviluppo rappresenta quindi un atto di resistenza strategica.

Possiamo frenare il colosso dell’intelligenza artificiale semplicemente bloccando la costruzione di data center a ogni passo e rimanendo offline il più possibile. Fermare i data center. Fermare la biopirateria. Fermare le armi nucleari. Fermare l’intelligenza artificiale. Fermare la sorveglianza. Sono tutti interconnessi. Mantenere l’uranio nel sottosuolo. Rispettare i diritti dei popoli indigeni.

The post Rifiutare l’intelligenza artificiale e il “destino manifesto” nucleare first appeared on Lavoratrici e Lavoratori Aci Informatica.