
Gkn, la lotta che non possiamo perdere
Jacobin Italia - Tuesday, July 15, 2025
«Siamo alla ricerca della spallata decisiva per far cadere il muro di gomma. Ad oggi, la nostra spalla non si è rotta, ma il muro non è ancora venuto giù. Siamo condannati a provare e riprovare».
Con queste parole di Dario Salvetti del Collettivo di fabbrica ex Gkn, si è aperta sabato 12 luglio, davanti a circa 700 persone, la seconda assemblea nazionale degli azionisti di Gff (Gkn for future), la cooperativa promossa dagli operai che ha un piano industriale per riprendersi la fabbrica (che produceva semiassi per automobili) e rimettere al lavoro 109 persone producendo Cargo Bike e pannelli fotovoltaici.
La sera prima, con lo slogan «Resistere per Ri-esistere», un grande concerto con, tra gli altri, España Circo Este, Bandabardò e Piero Pelù, ha celebrato davanti ad alcune migliaia di persone (che alla fine hanno dato vita anche a un corteo notturno fino al sagrato della Basilica di Santa Croce) i 4 anni di quella che è la lotta più lunga della storia del movimento operaio, iniziata con il licenziamento via mail di 400 lavoratori e lavoratrici il 9 luglio del 2021.
Sembra incredibile ma, pur con difficoltà e defezioni, l’assemblea permanente dopo 4 anni è ancora lì. Quattro anni in cui quegli operai e operaie hanno bloccato per due volte i licenziamenti in tribunale, portato in piazza decine di migliaia di persone, costruito convergenza con i movimenti sociali italiani e internazionali, ispirato film e libri, portato in scena spettacoli teatrali, messo in piedi una Società operaia di mutuo soccorso con le energie solidali del territorio, organizzato tre Festival di letteratura working class, preparato insieme a ricercatori solidali un piano di reindustrializzazione dal basso ecologicamente sostenibile, raccolto un azionariato popolare di oltre un milione e mezzo di euro, e ottenuto una legge regionale che permette, attraverso un Consorzio industriale pubblico, di riprendersi la fabbrica e rimettersi al lavoro in cooperativa in forma autogestita.




L’ultimo muro da abbattere
«Quattro anni non sono un traguardo da festeggiare, ma una ragione per indignarsi», hanno sottolineato i militanti del Collettivo di fabbrica. Perché questi quattro anni hanno mostrato non solo l’incredibile resistenza operaia ma anche l’arrogante determinazione della violenza padronale: prima con il licenziamento collettivo e poi con la volontà di sfinire la lotta per fame, senza preoccuparsi nemmeno di adempiere al giudizio del tribunale che li obbliga a pagare 15 mesi di stipendi non corrisposti. Nel frattempo il governo Meloni ha osservato la vicenda con totale indifferenza, scatenando però i propri esponenti locali con calunnie e accuse verso gli operai rimasti senza stipendio, colpevoli sostanzialmente di non essersi arresi.
Se questa incredibile lotta non ha ancora vinto è perché per loro sarebbe un precedente difficile da gestire. E perché la proprietà dell’ex Gkn, invece di presentare un suo nuovo piano industriale come avrebbe dovuto per legge, sembra perseguire progetti speculativi, o almeno così fanno pensare gli strani passaggi di proprietà dell’immobile della fabbrica, in un gioco di scatole cinesi e cambi di valore quantomeno dubbi.
A questo si aggiunge la minaccia di sgombero del presidio arrivata nei giorni scorsi dal Tribunale fallimentare che, nel più classico dei copioni, potrebbe avvenire in piena estate. Mentre le Istituzioni locali, che pure hanno appoggiato la proposta di reindustrializzazione dal basso della fabbrica, procedono nella giusta direzione ma con una lentezza estenuante.
«Ancora una volta – hanno detto sabato gli operai davanti agli azionisti di Gff – questa assemblea si svolge senza poter deliberare l’avvio del progetto. Il Consorzio è vicino, ma non ancora costituito». Al momento hanno aderito al Consorzio industriale pubblico i Comuni di Campi Bisenzio, Calenzano e Sesto Fiorentino, e il 16 luglio dovrebbe aggiungersi anche la Città metropolitana di Firenze. A quel punto il Consorzio dovrà andare dal notaio per costituirsi ufficialmente, dopodiché la Regione Toscana potrebbe compiere il passo decisivo per prendere possesso dell’immobile e metterlo a disposizione dell’unico piano industriale esistente, quello degli operai.
I tempi sono strettissimi. Non solo per la sempre più difficile capacità di resistenza degli operai, che oggi dopo 15 mesi consecutivi senza stipendio sopravvivono grazie al sussidio di disoccupazione. Sono stretti perché da un lato c’è la minaccia di sgombero del Tribunale e dall’altro incombe la fine della legislatura regionale: in Toscana si voterà il nuovo Consiglio il prossimo ottobre, e si rischia di arrivare alla campagna elettorale senza aver reso operativo il Consorzio industriale pubblico. Cosa che – sia detto per inciso – sarebbe un clamoroso autogol per la stessa maggioranza di Centrosinistra, viste le accuse arrivate da destra per i fondi impegnati per il suo avviamento.
Il progetto di reindustrializzazione è invece ormai arrivato ai dettagli, con i contratti per la linea produttiva già concordati, i corsi di formazione per i lavoratori pronti e le linee di credito attivate con tre diversi istituti finanziari. Serve solo l’ultimo passo e spetta alla Regione Toscana, che lo stesso Piero Pelù dal palco del concerto ha invitato a fare al più presto ciò che si è impegnata a fare.






La proposta per l’autunno
«Se ci sgomberano, siamo sicuri che faremo una piazza cinque volte più grande di questa – ha detto Dario Salvetti dal palco di venerdì sera – Eppure sarebbe comunque una sconfitta. Di fare la parte degli eroi che vengono sgomberati a noi non frega nulla. Abbiamo solo assoluto bisogno di vincere questa lotta, ricominciare a lavorare e provare a diventare un motore di mutualismo e di un’idea alternativa di produzione».
La parola «vincere» negli ultimi decenni è però diventata fantascienza per i movimenti sociali. Dall’inizio del nuovo millennio non sono mancate le lotte e i movimenti, ma quasi sempre, anche quando hanno prodotto grandi mobilitazioni di piazza, si sono ritrovate con nulla in mano. È il problema epocale del deterioramento dei rapporti di forza politici e sociali, che ha prodotto un riflusso crescente delle esperienze di attivismo e la stessa esplosione dell’astensione elettorale, con un distacco sempre più profondo tra politica e società.
Questa debolezza ha innescato anche un sempre più insostenibile circolo vizioso nelle soggettività organizzate che pure si oppongono radicalmente allo status quo: la debolezza ha infatti paradossalmente aumentato la frammentazione delle lotte e delle soggettività sociali e politiche, come se ogni iniziativa partisse già rassegnata a essere una mera testimonianza. Utile nel migliore dei casi ad aggregare nuove energie militanti, ma senza mai avere una vera strategia per ottenere, anche parzialmente, i propri obiettivi e provare così a incidere sui rapporti di forza. Per fare solo l’ultimo esempio, basti pensare alle due manifestazioni contro il riarmo dello scorso 21 giugno, che hanno marciato separate pur con piattaforme in larga parte sovrapponibili.
Se la lotta della Gkn è durata così a lungo è perché ha rappresentato un tentativo in controtendenza rispetto a questo stesso circolo vizioso che sembra non avere fine. Ha praticato e creato l’immaginario della convergenza, rigettato l’idea dell’autosufficienza, immaginato un obiettivo praticabile da raggiungere, anche quando la speranza di un nuovo piano industriale dell’azienda è definitivamente tramontata.
Se anche questa lotta, così lunga, creativa e resistente, dovesse finire senza nulla in mano sarebbe una sconfitta pesantissima per tutti i movimenti che provano a resistere alla guerra, al liberismo e alle politiche securitarie.
Dal palco del concerto di venerdì e all’assemblea di sabato sono intervenute decine di realtà, movimenti e organizzazioni che in questi quattro anni hanno solidarizzato con la vertenza della Gkn. Ma per vincere serve qualcosa di più della solidarietà.
Sarà decisiva la capacità di cogliere in modo diffuso la proposta avanzata dal Collettivo di fabbrica nell’assemblea di sabato: «Mettiamo a disposizione la nostra esigenza di mobilitazione alle esigenze di mobilitazioni più generali – hanno detto gli operai – Mettiamo a disposizione la piazza di Firenze alle decisioni delle prossime assemblee di movimento, per costruire un nuovo corteo ‘Per questo, per altro, per tutto’, sulla base delle rivendicazioni che oggi ci paiono intrecciare tutte le lotte».
Una proposta che invitano a discutere in tutte le organizzazioni e i luoghi di movimento nei prossimi mesi, perché si possa convergere in una data unitaria autunnale che abbia la forza di dare la spallata decisiva per permettere alla vertenza Gkn di vincere, alla reindustrializzazione di partire, rafforzando al contempo il rilancio di tutti i percorsi di movimento.
Del resto, Il progetto di reindustrializzazione dell’ex Gkn parla direttamente alle battaglie per la transizione ecologica, alle vertenze per l’aumento dei salari, alle mobilitazioni contro il Ddl Sicurezza che reprime chi lotta, alle esperienze mutualistiche territoriali e ai movimenti contro il genocidio in Palestina, il riarmo e la conversione bellica delle aziende automobilistiche.
Per questo, quella della Gkn è una lotta che non possiamo permetterci di perdere. Perdere qui, dopo questo lunghissimo e intenso percorso, renderebbe quanto mai difficile per chiunque trovare la forza di rialzarsi. Vincere, al contrario, sarebbe contagioso. Ed è il contagio di cui abbiamo urgentemente bisogno.
*Giulio Calella, cofondatore e presidente della cooperativa Edizioni Alegre, è editor di Jacobin Italia.
Foto di Lorenzo Boffa
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