
Integrazione, valori europei e altre battute razziste
Comune-info - Sunday, July 20, 2025Dall’11 al 14 luglio 2025 a Torre Pacheco, un comune di quarantamila abitanti (un terzo dei quali migranti) di una regione rurale nel sudest della Spagna, centinaia di militanti di estrema destra hanno organizzato decine di azioni violente contro i migranti maghrebini. Il pretesto è stata l’aggressione a un pensionato attribuita a dei giovani di origine straniera. In questo articolo Sarah Babiker racconta come il potere sia riuscito a capitalizzare ovunque con successo le migrazioni affinché le persone non pensino all’espropriazione che subiscono a causa del capitalismo ma pensino invece alla minaccia astratta alla loro sicurezza rappresentata da chi cerca un sostentamento. Ricorda, inoltre, l’ipocrisia di chi parla di valori europei dimenticando il colonialismo, e spiega perché è sbagliato insistere, quando si parla di criminalità, sul fatto che ci sia una maggioranza di migranti “integrati”. “Predicatori d’odio, delinquenti e rappresentanti della civiltà occidentale sono tutti concordi – scrive Sarah Babiker – nella loro profonda preoccupazione per l’eredità. L’eredità cristiana, l’eredità liberale, l’eredità illuminista: ognuna può chiamarla con il suo nome, ma nessuno le dà direttamente il suo vero nome: il privilegio ereditato di basare la prosperità di pochi sullo sfruttamento di milioni di persone fuori e dentro l’Europa, senza che nessuno ne sottolinei l’ingiustizia e la natura coloniale. L’eredità dell’espropriazione delle classi lavoratrici, dell’estrattivismo dei popoli del Sud, dell’appropriazione del lavoro non retribuito delle donne…”

Negli ultimi giorni, orde di uomini violenti si sono recate a Torre Pacheco per ricordare a migliaia di persone – che vivono, lavorano, crescono i propri figli e, quando possono, festeggiano lì – che le loro vite sono in realtà una farsa, che non appartengono a quel posto. Questi crociati a buon mercato terrorizzano i vicini, ottenendo finalmente ciò che desideravano: dimostrare il loro potere seminando paura, perseguitando finalmente coloro che hanno preso di mira come nemici per anni. Sono riusciti a passare dall’aggressione verbale, dalla solitudine di internet, ad attacchi veri e propri, accompagnati da persone che li odiano proprio come loro. Sentono che il loro momento è adesso.
Non è una distopia; è la stessa marea che trabocca di tanto in tanto, non appena si presenta una scusa: i predicatori d’odio (molti dei quali con stipendi pubblici) normalizzano il quadro, collegando migrazione e criminalità e alzando il livello di fascismo del discorso. Non mancano microfoni davanti ai quali parlare di deportare milioni di persone come “soluzione” per salvare la società spagnola, dove cementano i confini simbolici tra “loro” e “noi”. Abbondano le tribune da cui riferirsi ad altri esseri umani come “peste”. Mentre il linguaggio della pulizia etnica è coniugato nell’agenda pubblica, i nazisti alimentano la loro rabbia sui social media, scatenano il loro desiderio di fare del male e conferiscono al loro patetico razzismo da troll di internet una patina epica: “Li riuniremo ad Allah”, dicono, permeati da una missione.
Mentre la giustizia sociale e i diritti umani vengono messi in discussione come aspirazioni legittime attorno alle quali organizzarsi, discorsi che giustificano lo sfruttamento e la disuguaglianza emergono sulla scena in modo complementare. È così che prende forma il consenso sul fatto che alcune vite valgano meno di altre. Il capitalismo razziale si basa su questo, ma sempre meno persone lo nascondono. Mentre le élite accumulano più che mai, ignorando ampi settori della popolazione che affermano di difendere, finanziano portavoce che convincono gli indigeni perdenti di essere superiori, di meritare di più, perché discendenti da una stirpe occidentale minacciata non dall’avidità insaziabile di pochi, ma da coloro che sono stati vittime di espropriazione prima di loro. Il potere ha capitalizzato con successo sulla migrazione: la sua forza lavoro viene sfruttata al massimo per rimpinguare le tasche del capitale, la sua alterità viene sfruttata affinché le persone non pensino all’espropriazione che subiscono a causa di questo regime di avidità, ma piuttosto alla minaccia astratta che le persone in cerca di un sostentamento rappresentano per la loro sicurezza.
Disumanizzati, i migranti fungono anche da ariete politico da scagliare contro l’opposizione: il sistema bipartitico viene accusato di “averli portati qui”, come se non avessero le proprie ragioni per decidere di venire, la propria capacità di agire per prendere la decisione di migrare nonostante tutti gli ostacoli che negano loro il diritto di movimento. Vox e l’estrema destra vengono accusati di alimentare l’odio, come se il sistema bipartitico non avesse aperto la strada alla disumanizzazione affrontando la migrazione da una prospettiva utilitaristica e permettendo al linguaggio della gestione dei flussi di prevalere su quello dei diritti delle persone.
Nello scambio di accuse tra i ranghi più fascisti e quelli più moderati del potere, emergono contraddizioni: la soluzione magica (o definitiva?) di espellere le persone si scontra con l’esigenza capitalista di sfruttarle. Trump si è trovato di fronte a questo paradosso quando i suoi ampi piani di deportazione si sono scontrati con gli interessi degli imprenditori che non vogliono perdere i lavoratori di cui hanno bisogno per continuare ad accumulare ricchezza. Da grande soluzionista qual è, Trump ha difeso la seguente formula: lavoratori migranti dipendenti dai loro datori di lavoro, senza accesso alla cittadinanza. Lavoratori senza diritti, dipendenti da chi li sfrutta e perseguitati con retate casuali non appena lasciano il lavoro. Suona familiare.
Abbiamo un termine che non passa mai di moda per riferirci a questo: “schiavitù”. E Trump è un classico. È forse a questo che si riferiscono i suoi alleati in Europa quando rivendicano con tanta enfasi l’eredità greca? Una società di uomini liberi e schiavi? È possibile che stiano difendendo quell’istituzione così funzionale all’ordine e all’accumulazione: far lavorare masse di persone in cambio del minimo indispensabile per vivere, senza diritti? Questa violenza, a volte sponsorizzata dallo Stato – per mano dell’ICE o di Frontex – a volte da questo tipo di milizia fascista, non è forse una forma di disciplina affinché “gli altri” capiscano che non vi apparterranno mai? Perché “noi” crediamo alla finzione che vengano difesi, mentre l’espropriazione continua?
I noiosi campioni dell’Occidente
Funzionali ai fascisti urlanti sono i discorsi di quegli “intellettuali” tranquilli che insistono sulla necessità di preservare la “civiltà occidentale” o i “valori europei”, come se potessero essere igienicamente separati dalla materialità della storia occidentale o europea, segnata dal colonialismo basato sullo sterminio e l’espropriazione. Come se non vedessimo il presente occidentale ed europeo sui nostri televisori sponsorizzare il genocidio a Gaza e giustificare la morte di migliaia di persone mentre si dirigono verso i confini… È orribile sentire persone note per la loro cultura e rispettabilità sottolineare le grandi pietre miliari della tradizione europea ignorando tutte le altre tradizioni culturali del mondo.
In ogni società, è esistito e continua a esistere un conflitto tra chi difende la dignità di tutti e chi cerca di accumulare ricchezza e potere. Proprio come la schiavitù, la crudeltà o le ambizioni imperialistiche non sono un monopolio dell’Europa, non lo sono nemmeno le aspirazioni alla libertà e all’uguaglianza. La superiorità di una cultura può essere rivendicata solo – ed è ciò che fanno i noiosi della civiltà occidentale o dei valori europei – a partire da una fiera ignoranza delle culture altrui, ostentando un’intrinseca appartenenza coloniale che sa rapportarsi all’alterità solo attraverso la violenza, il paternalismo e l’estrattivismo.
Quando ci sarà un Trattato di Non Proliferazione dell’ipocrisia? I portavoce del mondo libero (sic) limitano la libertà di espressione dei propri cittadini, imprigionano i dissidenti e violano le proprie leggi. Chi elogia le virtù dei valori occidentali viola apertamente gli stessi diritti umani che orgogliosamente rivendica. È naturale che chi è disposto a difendere l’Occidente, a rischiare la vita per l’Europa, lo faccia sotto forma di un’incursione fascista, attaccando dalla sicurezza di essere più numeroso e più brutale. Chi si atteggia a persecutore del crimine lo fa attraverso il vandalismo. Afferma di voler creare spazi sicuri mentre instilla il terrore nelle strade. E così rappresenta fedelmente ciò che cerca di difendere: un sistema di espropriazione e accumulazione che, per perpetuarsi, richiede sempre maggiori disuguaglianze e violenza.
Integrarsi nella disuguaglianza è remissività
Mentre la destra lega migrazione e criminalità, voci benintenzionate a sinistra si preparano a contrastare questa narrazione. Le bufale vengono poste al centro della discussione, si cercano statistiche per ripulire la reputazione dei nostri “buoni” migranti e si tira un sospiro di sollievo collettivo quando si dimostra che un ladro, un aggressore o uno stupratore non ha cognomi stranieri. Entrare ripetutamente in questo gioco rende un pessimo servizio alla lotta al razzismo: ci saranno sempre migranti che commettono reati, poiché la criminalità si verifica in tutte le società e in tutti i gruppi. Dimostrare se chi proviene da fuori commette più o meno reati significa sottomettersi ai quadri imposti dalla destra e farlo alle condizioni da essa stabilite. Questo oscura la visione di altri fattori che possono influenzare queste statistiche: età, genere, status socioeconomico, stress o emarginazione, il razzismo istituzionale che invisibilmente sostiene l’azione della polizia o le decisioni giudiziarie. Se c’è una cosa a cui la criminalità è legata, è la disuguaglianza. Parlare della violenza che i migranti possono infliggere senza affrontare la violenza che subiscono quotidianamente è uno dei principali trucchi del discorso di destra.
D’altra parte, insistere, quando si parla di criminalità, sul fatto che ci sia una maggioranza di migranti integrati rafforza, anche se involontariamente, la logica del migrante buono contro il migrante cattivo, così funzionale al sistema. Lasciare aperte solo le vie della criminalità e dell’integrazione in un sistema di sfruttamento lascia poco spazio alla risposta e alla ribellione, in primo luogo di fronte alla violenza subita, e in secondo luogo di fronte alla mancanza di diritti. La semplice integrazione in un sistema che discrimina e sfrutta è mitezza. È la stessa pace e rispetto della legge che viene richiesta a chi sta in fondo, mentre ci viene rubato il diritto di abitare nelle nostre città, o diventiamo più poveri anno dopo anno mentre i ricchi si arricchiscono, spesso violando la legge e traendo profitto dalla violenza.
Lotta contro l’eredità
Predicatori d’odio, delinquenti e rappresentanti della civiltà occidentale sono tutti concordi nella loro profonda preoccupazione per l’eredità. L’eredità cristiana, l’eredità liberale, l’eredità illuminista: ognuna può chiamarla con il suo nome, ma nessuno le dà direttamente il suo vero nome: il privilegio ereditato di basare la prosperità di pochi sullo sfruttamento di milioni di persone fuori e dentro l’Europa, senza che nessuno ne sottolinei l’ingiustizia e la natura coloniale. L’eredità dell’espropriazione delle classi lavoratrici, dell’estrattivismo dei popoli del Sud, dell’appropriazione del lavoro non retribuito delle donne. Di fronte a questa eredità astratta che serve a giustificare la supremazia e la morte altrui, dobbiamo indicare ciò che in realtà cercano di proteggere sotto tanta retorica: la concentrazione della ricchezza nelle mani di sempre meno eredi, il mondo diviso tra sempre meno proprietari, l’avidità che penalizza anche quegli scagnozzi che, invece di ribellarsi a chi amareggia il loro presente e ne ipoteca il futuro, dispiegano tutta la loro forza ed energia politica per difendere gli interessi altrui. Ogni impero ha bisogno dei suoi battaglioni di imbecilli e mercenari.
La strategia dell’altra parte è ben congegnata e ha funzionato per secoli, ma è solo una parte della storia. L’altra parte, quella che risponde e la contesta senza mezzi termini, si sta facendo sentire sempre di più. È quell’eco internazionalista che si agita di fronte al genocidio in Palestina, è quella vertigine storica che riconosciamo nelle cacce all’uomo a Torre Pacheco o a Los Angeles. Che si sono verificate negli ultimi mesi e anni in Irlanda o nel Regno Unito, nelle isole greche o a El Ejido. È orribile, ma non è solo orribile; è anche il fondamento che attiva il diritto a resistere, a sfidare un’eredità razzista e coloniale che non vogliamo, a unirci attorno a qualcosa di molto più concreto del nostro amore per la frittata di patate o la siesta – se di questo si occupano le tanto decantate usanze spagnole – che è il diritto di tutti alla vita, alla libera circolazione e all’uguale accesso alle risorse che la terra ci offre, di fronte a quella spinta accumulatrice che oggi mostra il suo volto più suprematista.
Pubblicato su El salto e qui con l’autorizzazione dell’autrice (traduzione di Comune). Nell’archivio di Comune, altri articoli di Sarah Babiker sono leggibili qui.
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