Islamofobia, CPR e repressione politica: la vicenda di Mohamed Shahin come emblema del razzismo sistemico in Italia@1
Oggi ospitiamo due compagni dell’Assemblea di No CPR di Torino per fare
un’analisi del razzismo sistemico a partire dall’arresto di Mohamed Shahin.
Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn al-Khattab di Torino, è stato
arrestato martedì scorso con l’accusa di essere una minaccia alla sicurezza
dello stato. Shahin ha ricevuto la stessa mattina dell’arresto un decreto di
annullamento del permesso di soggiorno di lunga durata ed è stato deportato al
CPR di Caltanissetta, non prima di aver ricevuto anche un decreto di espulsione.
Da subito ci siamo mobilitat3 per esigere la sua immediata liberazione: Mohamed
Shahin non ha compiuto nessun reato, quello che gli viene contestato è la
partecipazione attiva alle manifestazioni che da due anni si oppongono al
genocidio a Gaza. Ciò che gli viene imputato è quindi un reato ideologico, che
non può esser in nessun modo la giustificazione del sua reclusione in CPR e di
una eventuale espulsione. Mohamed Shahin è infatti un dissidente politico del
regime di Al SiSi, quindi la sua espulsione in Egitto equivarrebbe a una
sentenza di morte.
La vicenda di Mohamed Shahin non è soltanto un suprema ingiustizia, ma è la
riprova del fatto che il razzismo sistemico ha come obiettivo quello di renderci
continuamente ricattabili e dunque più esposti alla repressione politica; questa
repressione si espleta attraverso gli ingranaggi del sistema dei CPR e dei
decreti di espulsione. In tutto ciò anche l’islamofobia di stato ha giocato un
ruolo importante, poiché gli imam sono fra le persone più a rischio espulsione o
rigetto dei documenti in quanto vengono spesso considerati a priori una minaccia
alla sicurezza dello stato.
In un momento storico in cui la solidarietà alla causa palestinese è riuscita a
costruire alleanze trasversali fra lavorator3, student3, comunità islamiche e
seconde generazioni, come sempre lo Stato si trova disarmato e non può che
reagire con una dura repressione. Starà a noi, non solo impedire l’espulsione di
Mohamed, ma anche ricomporre quel movimento delle piazze per la Palestina che
negli ultimi due mesi ha fatto tremare i dominanti.
Se la deportazione rimane un rischio concreto che minaccia Mohamed Shahin e
altre persone che hanno tentato di esprimere il proprio dissenso verso il
genocidio del popolo palestinese o che provano quotidianamente ad opporsi allo
sfruttamento, al razzismo e all’islamofobia dilaganti in questo paese, anche il
Cpr viene utilizzato dallo Stato come strumento di minaccia, monito e ricatto
per la manodopera sfruttata e sfruttabile. Nella seconda parte della
trasmissione viene quindi approfondito il ruolo del CPR e delle deportazioni,
con un focus sull’aumento considerevole delle deportazioni verso l’Egitto: ne
parliamo in diretta con una compagna dell’Assemblea contro CPR e frontiere del
Friuli-Venezia Giulia.
Per altri approfondimenti sulle deportazioni verso l’Egitto è possibile
scaricare QUI l’opuscolo:
> Egitto paese sicuro? Una storia paradigmatica di reclusione e deportazione dal
> CPR di Gradisca d’Isonzo [OPUSCOLO]