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Spagna, Sanchez annuncia azioni immediate contro Israele per il genocidio a Gaza
L’8 settembre 2025 il governo spagnolo guidato da Pedro Sánchez ha varato un pacchetto di nove misure immediate volte a contrastare il “genocidio a Gaza”. Le azioni, che vanno dal consolidamento dell’embargo sulla vendita di armi a Israele alla sospensione di programmi di cooperazione, fino alla pressione su vari organi internazionali perchè siano realizzate sanzioni contro Tel Aviv, giungono in un clima di forte pressione politica per Sanchez – che ha cominciato il proprio discorso ricordando la persecuzione storica degli ebrei e sottolineando il diritto di Israele a difendersi. I collettivi spagnoli a sostegno della Palestina hanno attribuito la mossa del governo alla «forte pressione sociale organizzata», sottolineando l’importanza di continuare a esercitare tale pressione anche in futuro. Le misure annunciate da Sanchez includono il consolidamento giuridico dell’embargo sulle vendite di armi a Israele; il divieto di accesso nei porti e nello spazio aereo spagnoli a navi e aerei che trasportino equipaggiamenti destinati al sostegno militare di Tel Aviv; il divieto d’ingresso in Spagna per funzionari e militari israeliani coinvolti direttamente nelle operazioni a Gaza; un incremento sostanziale degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese; la sospensione di programmi di cooperazione e ricerca con aziende e istituzioni israeliane legate al settore bellico; la revoca di contratti di fornitura militare con imprese israeliane; la promozione, in sede ONU ed europea, di un embargo internazionale sulle armi destinate a Israele; il sostegno attivo alle cause legali aperte presso la Corte Internazionale di Giustizia contro lo Stato ebraico; e, infine, una campagna diplomatica volta a isolare Israele nei principali consessi internazionali, inclusi eventi culturali e sportivi. La scelta segna di certo un passo politico fino a oggi inedito per un Paese occidentale nel contesto dell’attuale conflitto israelo-palestinese. Si affianca ad altri interventi in chiave legale e diplomatica, con l’obiettivo dichiarato di esercitare pressione sul governo di Tel Aviv e mitigare la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza. Già negli scorsi mesi, la Spagna aveva assunto iniziative ambiziose e coerenti con questa direzione. A luglio 2024, Madrid si era unita alla causa intentata dal Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia contro Israele, considerandola colpevole di genocidio nei confronti dei palestinesi di Gaza. In dicembre 2024, gli Stati Uniti – attraverso la Commissione Federale Marittima –avevano avviato un’indagine preliminare contro la Spagna per la decisione di negare l’uso dei porti iberici a navi sospettate di trasportare armamenti a Israele. Gli USA minacciavano misure quali multe salate o interdizione dalle rotte marittime americane. Nel corso del 2025, Madrid ha continuato a mantenere una politica di dissenso. Ad aprile, ha annullato unilateralmente un contratto di fornitura di proiettili per la Guardia Civil da parte di un’azienda israeliana, Imi Systems, per un valore di 6,6 milioni di euro. La rescissione è stata motivata da pressioni interne e da una netta contraddizione con le posizioni del governo. Pochi giorni dopo, Spagna, Slovenia e Islanda – attraverso riflessi su emittenti pubbliche come RTVE – si erano schierate formalmente contro la partecipazione di Israele all’Eurovision Song Contest. L’iniziativa è stata motivata dall’obbligo di denunciare violazioni della legge internazionale e segna un esempio evidente di boicottaggio culturale. Nel giugno 2025, Sánchez aveva inoltre convocato l’incaricato d’affari israeliano a Madrid per protestare contro un comunicato dell’ambasciata israeliana ritenuto “inaccettabile”. In sede di Consiglio Europeo, aveva chiesto la sospensione dell’accordo di associazione UE-Israele, invocando le palesi violazioni dei diritti umani da parte di Israele. Il pacchetto annunciato da Sánchez non rappresenta un episodio isolato, ma il punto di arrivo di una strategia politica perseguita da mesi. L’esecutivo iberico ha alternato atti concreti di disimpegno militare e sanzioni economiche a iniziative legali e proteste diplomatiche, costruendo un fronte coerente di contrapposizione a Israele. Questa linea ha però alimentato tensioni: sul piano interno, con pressioni e divisioni nella maggioranza di centrosinistra; sul piano esterno, con reazioni dure da parte di Tel Aviv e dei tradizionali alleati occidentali. Tuttavia, le misure non sono esenti da un certo numero di contraddizioni: come sottolinea il collettivo Acampadaxpalestina di Madrid, per esempio, il divieto di transito di carburante a Israele nei porti spagnoli non comprende quello di altri materiali strategici, come per esempio l’acciaio, diretti anch’essi verso Tel Aviv, mentre il divieto di importazione di prodotti realizzati in Israele non assicura sanzioni a tutte le aziende che collaborano con il Paese. Inoltre, nonostante il governo spagnolo abbia dichiarato di aver interrotto decine di contratti di compravendita di armi con lo Stato israeliano, le inchieste giornalistiche di Olga Rodriguez hanno dimostrato che il Paese ha stipulato più di 40 contratti di questo genere con Tel Aviv dopo il 7 ottobre 2023. Tuttavia, va detto, il Paese è uno dei pochissimi in Europa che si è speso in azioni concrete, mentre dall’UE non arrivano nulla più di dichiarazioni generiche.   L'Indipendente
La spesa militare è il vero crimine
“Mantenere operativa la squadra antincendio tutto l’anno è assurdo e uno spreco”. Suárez-Quiñones, assessore all’Ambiente, alla Casa e alla Pianificazione territoriale di Castiglia e León.  https://www.eldiario.es/castilla-y-leon/politica/administracion-peores-incendios-castilla-leon-quinones-nuevo-centro-polemica_1_12529427.html>  I cittadini degli Stati membri della NATO devono “accettare di fare sacrifici”, come tagli alle pensioni, alla sanità e ai sistemi di sicurezza, per aumentare la spesa per la difesa… Dichiarazioni di M. Rutte, Segretario Generale della NATO, il 12.12.2024. <https://es.euronews.com/video/2024/12/12/rutte-pide-a-los-ciudadanos-europeos-sacrificios-para-aumentar-el-gasto-en-defensa> Pedro Sánchez annuncia un aumento straordinario di 10,471 miliardi di euro nella spesa militare per quest’anno. Rispetteremo gli impegni con l’UE “senza toccare un centesimo della spesa sociale” 26.03.2025 https://www.elsaltodiario.com/gasto-militar/pedro-sanchez-anuncia-un-aumento-del-gasto-defensa-10000-millones-euros> I terribili incendi delle ultime settimane, nel mezzo di una lunga ondata di caldo, ci portano a chiederci ancora una volta cosa dobbiamo davvero difendere, cosa ci dà sicurezza. In altri articoli abbiamo insistito sul fatto che sono i servizi pubblici, la previdenza sociale, l’istruzione pubblica, la sanità, il sistema pensionistico pubblico, le case di riposo, la casa, gli asili nido e molto altro ancora a darci davvero sicurezza. A questo lungo elenco vanno aggiunti i vigili del fuoco e i pochi servizi di protezione civile e, nel caso degli incendi, i vigili del fuoco forestali, veri difensori del territorio, della diversità biologica, dei beni, delle colture e della popolazione stessa dei Comuni. Come in altri servizi pubblici, constatiamo minacce comuni quali la precarietà lavorativa, la riduzione del personale, i posti vacanti, gli obblighi legali non rispettati, la privatizzazione del servizio, il subappalto o la riduzione diretta del budget, che comportano un servizio scadente, l’insicurezza e il mancato rispetto delle norme di prevenzione e protezione. Spesso si aggiunge l’incompetenza dei responsabili, scelti più per criteri politici che per qualificazione e reale volontà di servizio.  Il cambiamento climatico è ormai una certezza e, secondo gli esperti, sta accelerando più rapidamente di quanto inizialmente previsto. Tutto indica che gli episodi di temperature estreme, piogge torrenziali, grandinate, venti da uragano o enormi nevicate saranno sempre più frequenti, per cui, per non ipotecare ulteriormente il futuro dell’umanità, è urgente affrontare definitivamente la decarbonizzazione e le emissioni nell’atmosfera che accelerano il cambiamento climatico. Negare il cambiamento climatico è criminale perché impedisce di affrontare in modo efficace le minacce alla vita. Lo abbiamo visto nella tempesta che ha devastato alcune zone di Valencia dopo che il governo regionale ha soppresso l’Unità di Emergenza Valenciana. In tutte le cosiddette catastrofi “naturali” degli ultimi tempi in Spagna ci sono tre questioni fondamentali da criticare: la mancanza di risorse, la mancanza di previsione e la mancanza di budget per la prevenzione e la ricostruzione. È qui che il confronto con i mezzi investiti nella spesa militare è più stridente. Si sostiene che sia uno spreco mantenere vigili del fuoco forestali, attrezzature e macchinari pesanti adeguati in inverno, ma quasi nessuno vede come uno spreco criminale avere 120.000 militari inattivi in inverno e in estate, in primavera e in autunno, “nel caso in cui” il nemico ci invada, creati per continuare ad alimentare il militarismo e le sue dinamiche di dominio e saccheggio. Lo stesso vale per l’equipaggiamento. Per ogni eventualità, carissimi carri armati, veicoli di ogni tipo, aerei e navi si trovano nei loro hangar militari o, peggio ancora, in esercitazione, inquinando il pianeta e cercando nemici in tutto il mondo. Mentre il fuoco continuava a bruciare ettari di terreno, i Comuni attendevano idrovolanti o attrezzature che dovevano arrivare da migliaia di chilometri di distanza perché non era prioritario disporre di maggiori risorse nel caso in cui ci fosse più di un grande incendio. È necessario ascoltare le lamentele dei residenti non solo per quanto riguarda la grave mancanza di risorse, ma anche per quanto riguarda la sicurezza del territorio, dei loro beni e delle loro vite. Obbligare gli abitanti a evacuare i paesi senza ulteriori indugi può essere necessario in alcuni casi, ma non deve essere la prima né l’unica opzione. Le amministrazioni devono prendere sul serio la necessità di dotare ogni Comune, ogni regione dei materiali necessari per affrontare il fuoco, in questo caso, nella fase iniziale, quando è più facile spegnerlo, sfruttando la motivazione e la conoscenza del territorio da parte della popolazione. Sarà necessario investire nella formazione di tecnici e specialisti e stabilire protocolli di coordinamento. Sarà necessario investire nella creazione di zone protette intorno ai centri abitati, ripiantare specie autoctone più resistenti al fuoco e cambiare il modello di approvvigionamento delle risorse dei boschi. È vero che tutto ciò richiede decisioni politiche e denaro. 17 miliardi sono l’1% del PIL, che basterebbe per molte politiche di prevenzione. Per “imposizione” del gangster dell’impero spenderemo il 5% del PIL[1] per preparare la guerra, fabbricando e acquistando armi americane di cui non abbiamo bisogno. È necessario mobilitarsi per fermare questa follia e investire in ciò che ci dà davvero sicurezza. Le guerre sono evitabili, prevedibili, prescindibili, sono un prodotto umano profondamente radicato nella cultura patriarcale militarista in cui viviamo. Le catastrofi sono inevitabili, possiamo solo prevenirne e mitigarne in parte alcune conseguenze. Sono ora il nostro vero nemico, non cerchiamo oltre. È fondamentale mettere in evidenza il costo opportunistico che comporta lo spreco militare. Ad esempio, con il costo di un caccia F35 si potrebbero acquistare 10 elicotteri antincendio. Possiamo fare l’equivalenza in scuole, ospedali, asili nido, alloggi popolari o finanziamenti alle università. Alimentare il militarismo ci porta alla distruzione reciproca assicurata come scenario finale. Superare il militarismo ci porterebbe a scongiurare la minaccia della distruzione e della guerra e a investire quelle enormi risorse per affrontare il cambiamento climatico, vera minaccia oggi per la vita. Ogni euro, ogni milione di euro investito in spese militari è un euro, un milione di euro che ci viene rubato, contro la vita. Smettiamo di investire nella preparazione della distruzione e della morte ciò di cui abbiamo bisogno per prenderci cura delle persone e del pianeta.  Nessun euro per il riarmo! Nessun voto per la guerra! Tutto il bilancio militare deve essere destinato alla difesa e alla sicurezza del territorio, delle persone e della biodiversità! Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante Revisione di Anna Polo [1] Visto che questo dato contraddice ciò che hanno riferito i mass media italiani, secondo cui la Spagna è stato l’unico Paese a rifiutare l’ultimatum di Donald Trump riguardo alle spese militari, abbiamo chiesto chiarimenti. L’autore, Alternativas Noviolentas, ci ha risposto così: Pedro Sanchez si vanta di rimanere al 2% del PIL, ma nel documento non compare alcuna eccezione e la realtà è che arriveremo al 5%. Se sommiamo la spesa militare nascosta, gli interessi sul debito militare e le voci extra-bilancio approvate quasi in ogni consiglio dei ministri, la spesa reale supera già il 4% del PIL.   Redacción España
Global Sumud Flotilla, rinviata partenza dalla Tunisia
Le barche a vela che trasportano aiuti umanitari diretti a Gaza e che avrebbero dovuto salpare oggi dalla Tunisia per unirsi alla Global Sumud Flotilla hanno rinviato la loro partenza a mercoledì prossimo “a causa di problemi tecnici e logistici”, come annuncia l’organizzazione. La partenza era prevista per oggi dal porto di Sidi Bou Said, a 20 chilometri dalla capitale tunisina, dopo essere stata rinviata giovedì scorso a causa di ritardi nella navigazione delle imbarcazioni salpate dalla Spagna. Aymen Bhiri, membro del gruppo di attivisti, ha confermato all’agenzia stampa spagnola EFE che il nipote dell’ex presidente sudafricano Nelson Mandela, Mandla Mandela, si imbarcherà sulle barche che salperanno dalla Tunisia per raggiungere quelle partite dalla costa spagnola, con a bordo l’attivista ambientale svedese Greta Thunberg e l’ex sindaco di Barcellona Ada Colau. Redazione Italia
L’uomo nuovo. Diario di viaggio della Global Sumud Flotilla
Ripubblichiamo alcuni diari di viaggio dei membri dell’equipaggio della Global Sumud Flotilla. In questa occasione, ringraziamo Manolo Teniente per le sue dichiarazioni e i suoi ricordi, i ricordi di una storia che appartiene a tutti noi. Grazie, Manolo! Ieri sera, 2 settembre, il mare era piuttosto mosso. Per molto tempo non siamo riusciti ad avanzare perché una delle nostre piccole imbarcazioni si è guastata e abbiamo dovuto attendere l’arrivo di un rimorchio da Barcellona per poter proseguire il viaggio. Diverse piccole imbarcazioni, tre o quattro, hanno dovuto tornare a Barcellona con qualche tipo di avaria. Le imbarcazioni sono state donate o acquistate dall’organizzazione di seconda mano e, nonostante la revisione effettuata nel porto di Barcellona, come le auto vecchie presentano nuove avarie. Questo non riguarda molte persone, poiché si tratta di equipaggi di quattro o cinque membri, che potremo recuperare durante la sosta prevista nel porto di Tunisi, dove potranno arrivare in aereo e imbarcarsi nuovamente. Lì si aggiungeranno altre imbarcazioni alla flottiglia e, più avanti, si uniranno anche imbarcazioni di altri Paesi come l’Italia o la Grecia. Solo quando ci riuniremo al largo dell’Egitto sapremo davvero quante navi comporranno la Global Sumud Flotilla. Alcuni di noi hanno già sofferto di mal di mare e vomito, ma ci stiamo riprendendo grazie alle cure e all’affetto dei nostri compagni e compagne di viaggio. Stasera siamo rimasti senza wifi. Anche sulla Sirius abbiamo avuto un guasto elettrico che ci ha lasciato senza luce per quasi tutta la notte, ma questa mattina è stato riparato, così abbiamo potuto comunicare con le altre navi, la famiglia, gli amici e il grande movimento per la Palestina. La stampa ufficiale continua a citare Greta Thunberg e Ada Colau come esponenti della flottiglia. Nonostante l’ammirazione per loro, voglio continuare a parlare delle persone meno conosciute. Sulla Sirius, come ho detto, abbiamo diverse persone che sono o sono state rappresentanti politici in Spagna o in Argentina. Il fatto che siano su questa nave e che affrontino i rischi del progetto di creare un corridoio umanitario per Gaza, nonostante lo scontro che ciò comporta con l’esercito genocida del regime sionista, è già una prova tangibile che sono politici che difendono i migliori progetti della sinistra, la pace, i diritti umani, l’uguaglianza. Per questo bisogna insistere, come diceva Julio Anguita, sul fatto che non tutti i politici sono uguali. Qui, oltre a sopportare le privazioni di questo tipo di nave, dormendo per terra, senza docce, con cinque fornelli per cucinare per una trentina di persone, con provviste e acqua appena sufficienti, dimostrano di essere ottimi compagni. Tutti puliscono, tutti aiutano in cucina, tutti si prendono cura di tutti offrendo aiuto in ogni momento. È in questo tipo di azioni collettive intrise di solidarietà umana che si costruisce l”’uomo nuovo”, un concetto utilizzato da Che Guevara, teorizzando che una nuova società doveva essere costruita con un nuovo tipo di persone, che credono nella collaborazione e non nella competizione, che credono nei diritti e nell’azione collettiva e non negli interessi egoistici individuali che si ottengono calpestando il prossimo. Ma al di là di questo, l’apprendimento del lavoro di pulizia e di cura che svolgiamo insieme alle nostre compagne ci porta a fare un altro passo avanti e a parlare già della persona nuova, la persona che, pur essendo donna, è il capitano di una nave e la persona che, pur essendo uomo, spazza il pavimento della mensa. Le nuove persone possono costruire un mondo nuovo, dove il genocidio e i crimini di guerra siano storie di un mondo ancora selvaggio, dove l’avidità, la ricchezza e lo sfruttamento dei lavoratori e dei popoli più indifesi erano la norma dei più potenti. Così abbiamo visto anche oggi sulla stampa che il governo neofascista e razzista degli Stati Uniti continua a fare piani per espellere tutta la popolazione palestinese da Gaza, per trasformarla in un luogo di vacanze, svago e affari. A coloro che se ne andranno volontariamente, daranno 5.000 dollari e sussidi per 4 anni per coprire le spese di vitto e alloggio. Chi non vorrà andarsene sarà rinchiuso in città speciali a Gaza, dove tutti gli abitanti saranno controllati elettronicamente. Per questo uccidono tutte le persone a Gaza, tutti i bambini, tutti gli uomini e le donne, con le bombe (hanno usato l’equivalente distruttivo  di 7 bombe atomiche del calibro di quelle di Hiroshima e Nagasaki), con le malattie, con la fame, con la sete. Per creare un terrore insopportabile che li costringa all’esilio dalla loro terra. Gli irriducibili saranno confinati in moderne città-prigioni, fino alla loro estinzione. Ma i piani dell’imperialismo e del sionismo non andranno oltre i progetti, perché di fronte hanno un popolo deciso a resistere fino alla morte, e non potranno ucciderli tutti; la maggior parte sopravvivrà e costruirà la Palestina Libera. E Gaza, la Palestina, non sono sole. Di fronte alle minacce di Netanyahu di trattare gli attivisti della flottiglia come terroristi, incarcerandoli per lunghi anni e confiscando tutte le navi, il sindacato dei portuali di Genova, in Italia, ha risposto con forza: “Se anche solo per 20 minuti perdiamo il contatto con le nostre barche, le nostre compagne e i nostri compagni, noi blocchiamo l’Europa. Insieme al nostro sindacato Usb, insieme a tutti i lavoratori portuali, insieme a tutta la città di Genova. Da questa regione escono 13-14mila container all’anno per Israele. Non faremo uscire più nemmeno un chiodo. Lanceremo lo sciopero internazionale, bloccheremo le strade. Bloccheremo tutto. Devono tornare indietro le nostre ragazze e i nostri ragazzi senza un graffio, e tutta la nostra merce, che è del popolo, fino all’ultimo cartone, deve arrivare dove deve arrivare”. Mi è giunto anche il seguente comunicato dalla Spagna, tra le migliaia di iniziative che si stanno svolgendo in tutto il Paese: “Più di cinquanta docenti di Marea Palestina: L’istruzione contro il genocidio si sono chiusi nel Circolo delle Belle Arti di Madrid per chiedere al governo l’approvazione del decreto legge che vieta la vendita di armi allo Stato di Israele. Non è normale iniziare l’anno scolastico con normalità. Invitiamo il personale educativo e culturale a unirsi a questa iniziativa.” Prima del tramonto abbiamo iniziato a vedere le montagne di Maiorca. Stasera pernotteremo alla periferia del porto di Mahón per raggruppare tutta la flotta e continuare domani la navigazione con tutte le barche insieme. Vi lascio con una foto scattata dalla Sirius, con le montagne di Maiorca sullo sfondo. Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo Redacción Barcelona
Spagna (Murcia). Torre Pacheco come sintomo?
Nel luglio 2025, il comune murciano di Torre Pacheco è stato teatro di un’escalation di violenza razzista a seguito dell’aggressione a un uomo di 68 anni, attribuita a tre giovani presumibilmente di origine magrebina. Questo episodio è stato immediatamente strumentalizzato da gruppi di estrema destra – tra cui Vox, Frente Obrero e collettivi come Deport Them Now 1 – per fomentare un clima di odio, con vere e proprie “caccia all’immigrato”, incendi e minacce nei confronti della comunità migrante, in particolare nordafricana. In risposta agli attacchi e al clima di terrore, diverse realtà sociali, sindacati e collettivi antirazzisti in tutto il paese si sono mobilitate per manifestare il loro rifiuto del razzismo strutturale e chiedere giustizia per le vittime della violenza xenofoba. A seguire la traduzione di questa interessante analisi di Antonio J. Ramírez Melgarejo pubblicata dalla rivista Zona de Estrategia, ringraziando l’autore e l’editore per la gentile concessione. La revisione del testo è stata curata da Ángel Luis Lara. Le persone migranti hanno il diritto di pianificare il proprio progetto di vita, non vengono per ripopolare i paesi o pagare le pensioni, questa visione utilitaristica delle persone è miserabile. Dovrebbero poter fare ciò che ritengono opportuno, ma questo non è ammesso in un modello di organizzazione sociale svilito dall’individualismo identitario. A questo punto si è scritto e detto molto di ciò che sta accadendo a Torre Pacheco (Murcia) nell’estate del 2025, ma riteniamo importante cercare di approfondire le cause e le conseguenze per comprendere questo tipo di conflitti, perché siamo certe che questa esplosione razzista, xenofoba e fascista non sarà l’ultima. Il 9 luglio 2025, un pensionato di Torre Pacheco è stato picchiato nelle prime ore del mattino, presumibilmente da alcuni giovani vicini di origine marocchina. La crescente tensione sociale reazionaria degli ultimi anni e i discorsi di odio contro i migranti, le diversità sessuali, la sinistra politica, ecc. hanno facilitato la trasformazione di questo evento in un canale per incanalare la violenza fomentata, diffusa e incoraggiata da bufale e disinformazione diffuse massicciamente sui social network. Non intendiamo analizzare qui come si generano queste dinamiche né le razzie fasciste, ma piuttosto, cercare di fornire un quadro esplicativo critico che contestualizzi l’evento al di là dell’opinione urgente e angosciata e dell’impotenza di vedere gruppi neonazisti che cercano di trasformare un paese in un laboratorio di pogrom. Un fatto che non è isolato, ma che si inserisce in un aumento generalizzato della violenza contro le persone migranti in tutta Europa. Sappiamo bene che l’espansione dell’internazionale reazionaria e le sue conseguenze concrete, in questo caso in un paese della Murcia, come potrebbe essere (e purtroppo sarà) in qualsiasi altro luogo. In Spagna, le periferie sono quasi sempre oggetto di notizie per fatti tragici. Torre Pacheco era un luogo sconosciuto alla grande maggioranza della popolazione fino ad ora. Si tratta di un paese della campagna di Cartagena, a soli 10 chilometri dal maltrattato Mar Menor. L’intera zona è un’enclave produttiva agroindustriale intensiva e globale, dove vengono coltivati, con metodi tecnologici avanzati, meloni, angurie e ortaggi che vengono esportati in tutta Europa.  Questi prodotti sono coltivati, raccolti e confezionati per il 90% da migranti, la maggior parte dei quali provenienti dal Marocco, che costituiscono circa il 7-8% della popolazione totale. I dati statistici rivelano che le famiglie di migranti sono quelle con il reddito più basso, anche se in proporzione sono più iscritte alla previdenza sociale rispetto agli spagnoli, dati disponibili per chiunque voglia consultarli. La storia delle persone migranti a Torre Pacheco, come in tanti territori periferici del sud della Spagna, inizia negli anni ’90, quando i primi giovani provenienti dal Marocco cominciano ad arrivare nei campi di Cartagena. Con o senza contratto, lavoravano a cottimo nei campi e vivevano in condizioni precarie in casolari fatiscenti e/o abbandonati in mezzo alla campagna: non erano visibili, non erano prossimi, solo forza lavoro sfruttata su cui si è fondato il modello di sviluppo agroindustriale del paese e dell’intera regione. Nel 1993 la popolazione totale non raggiungeva le 18.000 persone, mentre oggi è una piccola città di quasi 40.000 abitanti. Torre Pacheco è uno dei pochi paesi che ha visto aumentare la popolazione negli ultimi 30 anni, moltiplicandosi per 125%. Il dinamismo economico e demografico della zona è il risultato dello sfruttamento della forza lavoro migrante vulnerabile, in gran parte priva di diritti di cittadinanza, dipendente da un lavoro agricolo mal retribuito che non poteva permettersi di perdere perché con esso manteneva le proprie famiglie là e sopravviveva qui. Questo processo ha creato una classe operaia migrante priva di strumenti comunitari e sindacali con cui difendere il proprio diritto a migliorare le condizioni di vita e di lavoro. È stata loro lasciata solo la possibilità di diventare schiavi moderni del capitale agroindustriale.  Con il passare degli anni questi uomini sono riusciti, nonostante tutte le difficoltà, i pregiudizi e le vessazioni, a stabilizzarsi nel lavoro e nel territorio, riunendo le loro famiglie e mettendo al mondo figli e figlie nel paese. Ciò non è stato accettato da una parte della popolazione locale che ha votato Vox come primo partito già nel 2019, sostenendo il suo discorso di paura e odio contro le persone migranti accusate di reati e violenze sessuali, dati che non trovano riscontro nelle statistiche. Una forma classica di criminalizzazione che affonda le sue radici e cresce nei pregiudizi contro ciò che è diverso e sconosciuto. Come accade in tanti altri territori o periferie urbane come il nord di Parigi o l’est di Londra, dove nel 2024 si sono verificati gravi attacchi razzisti, territori urbani in tensione che hanno assistito a simili cacce all’uomo. Manifestazione antirazzista a Murcia (PH: Dani Gago) Abbiamo, quindi, una popolazione originaria del Marocco in crescita che si sta insediando in un paese a bassa densità demografica e con ampie zone rurali. La competizione iniziale per i posti di lavoro nei campi tra stranieri e nazionali è durata poco. Il tessuto imprenditoriale ha scommesso definitivamente sul reclutamento di manodopera migrante, più facilmente sfruttabile e disumanizzabile, a cui poter chiedere di lavorare più velocemente e guadagnare meno, per guadagnare di più. Inoltre, molti contadini autoctoni non potevano più competere con le grandi agroindustrie che cominciavano a insediarsi nel paese e hanno dovuto trovare altri lavori per sopravvivere e/o vendere i loro terreni ai nuovi grandi imprenditori. A Torre Pacheco, come in qualsiasi enclave agroindustriale, convivono in tensione classi sociali molto disuguali. Da un lato, le grandi rendite dei capitalisti dell’agro, generate dai corpi sacrificati della classe operaia, e dall’altro, la classe operaia a basso reddito, composta principalmente da migranti nel caso dell’agricoltura, che condivide lo spazio con gli abitanti autoctoni del comune. In effetti, pochi capitalisti spagnoli hanno lucrato enormemente per tre decenni sfruttando lavoratori e lavoratrici di origine straniera. Pertanto, non c’è concorrenza sul posto di lavoro tra migranti e “nazionali” perché la segregazione è attualmente istituzionalizzata. L’unica “concorrenza” è quella che si percepisce nell’occupazione dello spazio pubblico, nella pratica del diritto alla città. Negli ultimi trent’anni, infatti, la popolazione marocchina ha costruito la piccola città di Torre Pacheco, aprendo attività commerciali, frequentando parchi, scuole e centri sanitari, come veri e propri vicini. Durante questo processo, ben documentato dalla crescita demografica e dalla trasformazione urbana, non c’è stato un vero processo di socializzazione, comunicazione e conoscenza tra le due comunità. La tensione e la sfiducia sono state la norma. È evidente che i datori di lavoro e una parte dei residenti autoctoni non li considerano veri e propri vicini, ma li vedono come una semplice forza lavoro necessaria da sopportare per mantenere l’economia. Ancora una volta, l’economia prevale sulla vita, pura essenza capitalista. Questa è la base del risentimento verso la comunità migrante, che in risposta a questo disprezzo ha costruito le proprie relazioni, in cui sono cresciute le loro famiglie, i figli e le figlie nati in Spagna, che sono stati educati qui con la speranza che “non fossero come noi”, che avessero opportunità lavorative e di vita diverse da quelle dei loro padri e delle loro madri, il desiderio di poter costruire un progetto di vita come chiunque altro, studiare se lo si desidera, lavorare, formare una famiglia…  Ma questi figli di persone migranti già nati a Torre Pacheco sanno che non sarà facile, che porteranno con sé il peso della loro condizione razzializzata per tutta la vita nonostante siano murciani e spagnoli, che i partiti politici neofascisti, ma anche una parte della popolazione, non li considereranno mai spagnoli né persone con il diritto di decidere liberamente della propria vita. Loro sanno che gli imprenditori e i politici, ma anche una parte della popolazione autoctona, li vogliono legati all’agricoltura, a ciò che hanno fatto e fanno i loro padri e le loro madri; li vogliono senza pieni diritti, senza autonomia né capacità di decidere. Li vogliono invisibili, silenziosi, vulnerabili, spaventati, perché sanno bene che chiunque ne abbia l’opportunità cercherà prima o poi di uscire dalle condizioni di semi-schiavitù dell’agricoltura e della dipendenza. Questi figli di persone migranti, erroneamente definiti seconda generazione, devono provare un crescente senso di impotenza e rabbia per l’impossibilità materiale di poter realizzare il proprio progetto di vita; stanno constatando che non avranno autonomia e che, se necessario, le loro decisioni saranno molto limitate; intuendo che non avranno la vita che è stata loro promessa, come tutta una generazione di giovani nel Paese, indipendentemente dalla loro provenienza. Questo sentimento di delusione rivelatrice è lo stesso che pulsa nelle banlieue francesi o nella zona est di Londra, lo stesso che provano milioni di lavoratori migranti in tutto il mondo quando scoprono che il capitalismo li vuole solo come corpi da sfruttare e consumatori ipnotizzati, attori secondari in un film di cui non saranno mai protagonisti. Le promesse di crescita sostenuta e di crescente capacità di consumo non saranno mantenute come avevano immaginato. Il capitalismo, razzista e colonizzatore, non può mantenere le sue promesse, solo pochi ne sono i beneficiari. Lo sforzo e la sottomissione dei loro genitori non sono serviti ad altro che a sopravvivere, e loro lo sanno, lo sentono ogni giorno. Si tratta di una forma di violenza che, sebbene non sia direttamente fisica, danneggia le loro vite e quelle della società in cui vivono.  È violenza strutturale: quella che subiscono perché sono lavoratori poveri e per di più migranti, peggio ancora se sono donne. È il tipo di violenza che impedisce loro di avere gli stessi diritti degli altri, che li condanna a una posizione subordinata nella società, a occupare posti di lavoro precari e rifiutati dai nativi. Ma anche se riescono a uscire da quella situazione, è altamente probabile che non potranno mai cancellare la loro condizione di migranti, e questa è una forma di violenza simbolica che deriva dall’interiorizzazione della posizione di dominati nella società, dall’impossibilità di migliorare la propria vita.  Il che ci porta alla terza forma di violenza che subiscono, quella normalizzata, quella che ricevono quotidianamente sotto forma di disprezzo, insulti, esclusione dallo spazio sociale; quella che subiscono sul lavoro, con contratti falsi, con gli inganni delle agenzie di lavoro interinale, con il mancato versamento dei contributi, con i maltrattamenti e i gravissimi casi di molestie sul lavoro e anche sessuali nei confronti delle donne migranti che hanno già mandato in galera diversi responsabili spagnoli, sia a Torre Pacheco 2 che a Huelva, anche se non si continua ad agire con fermezza contro le molestie sessuali e gli stupri. Il clamoroso contrasto tra il silenzio come risposta a queste aggressioni e violenze quotidiane contro le donne migranti e il rumore generato dall’aggressione al pensionato di Torre Pacheco che è stato picchiato è particolarmente illuminante e doloroso. Questa generazione, spagnola e murciana, ripeto, vuole uscire dall’invisibilità dei primi migranti, e questo viene punito. Come persone integrali rivendicano il loro diritto alla città, a quella città che in gran parte hanno costruito, non vogliono continuare a essere invisibili nei campi, nelle case, nelle strade. Il capitalismo non offre, non può offrire loro alcun tipo di progetto civilizzatore, è un modello socioeconomico basato sulla competizione, che fomenta la lotta del penultimo contro l’ultimo, non può costruire comunità perché la sua tendenza è quella di distruggerla, individualizzare, isolare, frammentare. Per offrire un orizzonte di speranza è necessario porre fine alle condizioni di sfruttamento e segregazione lavorativa come premessa fondamentale affinché esista una possibilità di convivenza. Inoltre, tenendo conto che le persone migranti hanno il diritto di pianificare il proprio progetto di vita, non vengono a ripopolare i paesi o a pagare le pensioni, questa visione utilitaristica delle persone è miserabile. Dovrebbero poter fare ciò che ritengono opportuno, e questo non è ammesso in un modello di organizzazione sociale svilito dall’individualismo identitario. Gran parte del nostro futuro, della possibilità di lottare per un futuro comune diverso, gioioso, entusiasmante e degno di essere vissuto, è in gioco nella socializzazione e nella politicizzazione delle persone migranti, come ci sta insegnando la rinascita sindacale negli Stati Uniti, guidata principalmente da lavoratori migranti che stanno perdendo la paura e che hanno saputo identificare il loro vero nemico: i rapporti di sfruttamento capitalistico e la frammentazione sociale che essi producono. Di fronte a ciò, le alleanze trasversali di razza, genere e classe sono senza dubbio la strada da seguire per imparare a indirizzare bene la nostra rabbia, ma anche la nostra solidarietà. 1. Torre Pacheco, come un canale Telegram razzista ha scatenato la “caccia all’immigrato” in Spagna, Fernanda Gonzalez – Wired (16 luglio 2025) ↩︎ 2. Detenido un encargado agrícola por una veintena de agresiones sexuales a temporeras en Cartagena, El Diario (settembre 2020) ↩︎
Integrazione, valori europei e altre battute razziste
DALL’11 AL 14 LUGLIO 2025 A TORRE PACHECO, UN COMUNE DI QUARANTAMILA ABITANTI (UN TERZO DEI QUALI MIGRANTI) DI UNA REGIONE RURALE NEL SUDEST DELLA SPAGNA, CENTINAIA DI MILITANTI DI ESTREMA DESTRA HANNO ORGANIZZATO DECINE DI AZIONI VIOLENTE CONTRO I MIGRANTI MAGHREBINI. IL PRETESTO È STATA L’AGGRESSIONE A UN PENSIONATO ATTRIBUITA A DEI GIOVANI DI ORIGINE STRANIERA. IN QUESTO ARTICOLO SARAH BABIKER RACCONTA COME IL POTERE SIA RIUSCITO A CAPITALIZZARE OVUNQUE CON SUCCESSO LE MIGRAZIONI AFFINCHÉ LE PERSONE NON PENSINO ALL’ESPROPRIAZIONE CHE SUBISCONO A CAUSA DEL CAPITALISMO MA PENSINO INVECE ALLA MINACCIA ASTRATTA ALLA LORO SICUREZZA RAPPRESENTATA DA CHI CERCA UN SOSTENTAMENTO. RICORDA, INOLTRE, L’IPOCRISIA DI CHI PARLA DI VALORI EUROPEI DIMENTICANDO IL COLONIALISMO, E SPIEGA PERCHÉ È SBAGLIATO INSISTERE, QUANDO SI PARLA DI CRIMINALITÀ, SUL FATTO CHE CI SIA UNA MAGGIORANZA DI MIGRANTI “INTEGRATI”. “PREDICATORI D’ODIO, DELINQUENTI E RAPPRESENTANTI DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE SONO TUTTI CONCORDI – SCRIVE SARAH BABIKER – NELLA LORO PROFONDA PREOCCUPAZIONE PER L’EREDITÀ. L’EREDITÀ CRISTIANA, L’EREDITÀ LIBERALE, L’EREDITÀ ILLUMINISTA: OGNUNA PUÒ CHIAMARLA CON IL SUO NOME, MA NESSUNO LE DÀ DIRETTAMENTE IL SUO VERO NOME: IL PRIVILEGIO EREDITATO DI BASARE LA PROSPERITÀ DI POCHI SULLO SFRUTTAMENTO DI MILIONI DI PERSONE FUORI E DENTRO L’EUROPA, SENZA CHE NESSUNO NE SOTTOLINEI L’INGIUSTIZIA E LA NATURA COLONIALE. L’EREDITÀ DELL’ESPROPRIAZIONE DELLE CLASSI LAVORATRICI, DELL’ESTRATTIVISMO DEI POPOLI DEL SUD, DELL’APPROPRIAZIONE DEL LAVORO NON RETRIBUITO DELLE DONNE…” Pixabay.com -------------------------------------------------------------------------------- Negli ultimi giorni, orde di uomini violenti si sono recate a Torre Pacheco per ricordare a migliaia di persone – che vivono, lavorano, crescono i propri figli e, quando possono, festeggiano lì – che le loro vite sono in realtà una farsa, che non appartengono a quel posto. Questi crociati a buon mercato terrorizzano i vicini, ottenendo finalmente ciò che desideravano: dimostrare il loro potere seminando paura, perseguitando finalmente coloro che hanno preso di mira come nemici per anni. Sono riusciti a passare dall’aggressione verbale, dalla solitudine di internet, ad attacchi veri e propri, accompagnati da persone che li odiano proprio come loro. Sentono che il loro momento è adesso. Non è una distopia; è la stessa marea che trabocca di tanto in tanto, non appena si presenta una scusa: i predicatori d’odio (molti dei quali con stipendi pubblici) normalizzano il quadro, collegando migrazione e criminalità e alzando il livello di fascismo del discorso. Non mancano microfoni davanti ai quali parlare di deportare milioni di persone come “soluzione” per salvare la società spagnola, dove cementano i confini simbolici tra “loro” e “noi”. Abbondano le tribune da cui riferirsi ad altri esseri umani come “peste”. Mentre il linguaggio della pulizia etnica è coniugato nell’agenda pubblica, i nazisti alimentano la loro rabbia sui social media, scatenano il loro desiderio di fare del male e conferiscono al loro patetico razzismo da troll di internet una patina epica: “Li riuniremo ad Allah”, dicono, permeati da una missione. Mentre la giustizia sociale e i diritti umani vengono messi in discussione come aspirazioni legittime attorno alle quali organizzarsi, discorsi che giustificano lo sfruttamento e la disuguaglianza emergono sulla scena in modo complementare. È così che prende forma il consenso sul fatto che alcune vite valgano meno di altre. Il capitalismo razziale si basa su questo, ma sempre meno persone lo nascondono. Mentre le élite accumulano più che mai, ignorando ampi settori della popolazione che affermano di difendere, finanziano portavoce che convincono gli indigeni perdenti di essere superiori, di meritare di più, perché discendenti da una stirpe occidentale minacciata non dall’avidità insaziabile di pochi, ma da coloro che sono stati vittime di espropriazione prima di loro. Il potere ha capitalizzato con successo sulla migrazione: la sua forza lavoro viene sfruttata al massimo per rimpinguare le tasche del capitale, la sua alterità viene sfruttata affinché le persone non pensino all’espropriazione che subiscono a causa di questo regime di avidità, ma piuttosto alla minaccia astratta che le persone in cerca di un sostentamento rappresentano per la loro sicurezza. Disumanizzati, i migranti fungono anche da ariete politico da scagliare contro l’opposizione: il sistema bipartitico viene accusato di “averli portati qui”, come se non avessero le proprie ragioni per decidere di venire, la propria capacità di agire per prendere la decisione di migrare nonostante tutti gli ostacoli che negano loro il diritto di movimento. Vox e l’estrema destra vengono accusati di alimentare l’odio, come se il sistema bipartitico non avesse aperto la strada alla disumanizzazione affrontando la migrazione da una prospettiva utilitaristica e permettendo al linguaggio della gestione dei flussi di prevalere su quello dei diritti delle persone. Nello scambio di accuse tra i ranghi più fascisti e quelli più moderati del potere, emergono contraddizioni: la soluzione magica (o definitiva?) di espellere le persone si scontra con l’esigenza capitalista di sfruttarle. Trump si è trovato di fronte a questo paradosso quando i suoi ampi piani di deportazione si sono scontrati con gli interessi degli imprenditori che non vogliono perdere i lavoratori di cui hanno bisogno per continuare ad accumulare ricchezza. Da grande soluzionista qual è, Trump ha difeso la seguente formula: lavoratori migranti dipendenti dai loro datori di lavoro, senza accesso alla cittadinanza. Lavoratori senza diritti, dipendenti da chi li sfrutta e perseguitati con retate casuali non appena lasciano il lavoro. Suona familiare. Abbiamo un termine che non passa mai di moda per riferirci a questo: “schiavitù”. E Trump è un classico. È forse a questo che si riferiscono i suoi alleati in Europa quando rivendicano con tanta enfasi l’eredità greca? Una società di uomini liberi e schiavi? È possibile che stiano difendendo quell’istituzione così funzionale all’ordine e all’accumulazione: far lavorare masse di persone in cambio del minimo indispensabile per vivere, senza diritti? Questa violenza, a volte sponsorizzata dallo Stato – per mano dell’ICE o di Frontex – a volte da questo tipo di milizia fascista, non è forse una forma di disciplina affinché “gli altri” capiscano che non vi apparterranno mai? Perché “noi” crediamo alla finzione che vengano difesi, mentre l’espropriazione continua? I noiosi campioni dell’Occidente Funzionali ai fascisti urlanti sono i discorsi di quegli “intellettuali” tranquilli che insistono sulla necessità di preservare la “civiltà occidentale” o i “valori europei”, come se potessero essere igienicamente separati dalla materialità della storia occidentale o europea, segnata dal colonialismo basato sullo sterminio e l’espropriazione. Come se non vedessimo il presente occidentale ed europeo sui nostri televisori sponsorizzare il genocidio a Gaza e giustificare la morte di migliaia di persone mentre si dirigono verso i confini… È orribile sentire persone note per la loro cultura e rispettabilità sottolineare le grandi pietre miliari della tradizione europea ignorando tutte le altre tradizioni culturali del mondo. In ogni società, è esistito e continua a esistere un conflitto tra chi difende la dignità di tutti e chi cerca di accumulare ricchezza e potere. Proprio come la schiavitù, la crudeltà o le ambizioni imperialistiche non sono un monopolio dell’Europa, non lo sono nemmeno le aspirazioni alla libertà e all’uguaglianza. La superiorità di una cultura può essere rivendicata solo – ed è ciò che fanno i noiosi della civiltà occidentale o dei valori europei – a partire da una fiera ignoranza delle culture altrui, ostentando un’intrinseca appartenenza coloniale che sa rapportarsi all’alterità solo attraverso la violenza, il paternalismo e l’estrattivismo. Quando ci sarà un Trattato di Non Proliferazione dell’ipocrisia? I portavoce del mondo libero (sic) limitano la libertà di espressione dei propri cittadini, imprigionano i dissidenti e violano le proprie leggi. Chi elogia le virtù dei valori occidentali viola apertamente gli stessi diritti umani che orgogliosamente rivendica. È naturale che chi è disposto a difendere l’Occidente, a rischiare la vita per l’Europa, lo faccia sotto forma di un’incursione fascista, attaccando dalla sicurezza di essere più numeroso e più brutale. Chi si atteggia a persecutore del crimine lo fa attraverso il vandalismo. Afferma di voler creare spazi sicuri mentre instilla il terrore nelle strade. E così rappresenta fedelmente ciò che cerca di difendere: un sistema di espropriazione e accumulazione che, per perpetuarsi, richiede sempre maggiori disuguaglianze e violenza. Integrarsi nella disuguaglianza è remissività Mentre la destra lega migrazione e criminalità, voci benintenzionate a sinistra si preparano a contrastare questa narrazione. Le bufale vengono poste al centro della discussione, si cercano statistiche per ripulire la reputazione dei nostri “buoni” migranti e si tira un sospiro di sollievo collettivo quando si dimostra che un ladro, un aggressore o uno stupratore non ha cognomi stranieri. Entrare ripetutamente in questo gioco rende un pessimo servizio alla lotta al razzismo: ci saranno sempre migranti che commettono reati, poiché la criminalità si verifica in tutte le società e in tutti i gruppi. Dimostrare se chi proviene da fuori commette più o meno reati significa sottomettersi ai quadri imposti dalla destra e farlo alle condizioni da essa stabilite. Questo oscura la visione di altri fattori che possono influenzare queste statistiche: età, genere, status socioeconomico, stress o emarginazione, il razzismo istituzionale che invisibilmente sostiene l’azione della polizia o le decisioni giudiziarie. Se c’è una cosa a cui la criminalità è legata, è la disuguaglianza. Parlare della violenza che i migranti possono infliggere senza affrontare la violenza che subiscono quotidianamente è uno dei principali trucchi del discorso di destra. D’altra parte, insistere, quando si parla di criminalità, sul fatto che ci sia una maggioranza di migranti integrati rafforza, anche se involontariamente, la logica del migrante buono contro il migrante cattivo, così funzionale al sistema. Lasciare aperte solo le vie della criminalità e dell’integrazione in un sistema di sfruttamento lascia poco spazio alla risposta e alla ribellione, in primo luogo di fronte alla violenza subita, e in secondo luogo di fronte alla mancanza di diritti. La semplice integrazione in un sistema che discrimina e sfrutta è mitezza. È la stessa pace e rispetto della legge che viene richiesta a chi sta in fondo, mentre ci viene rubato il diritto di abitare nelle nostre città, o diventiamo più poveri anno dopo anno mentre i ricchi si arricchiscono, spesso violando la legge e traendo profitto dalla violenza. Lotta contro l’eredità Predicatori d’odio, delinquenti e rappresentanti della civiltà occidentale sono tutti concordi nella loro profonda preoccupazione per l’eredità. L’eredità cristiana, l’eredità liberale, l’eredità illuminista: ognuna può chiamarla con il suo nome, ma nessuno le dà direttamente il suo vero nome: il privilegio ereditato di basare la prosperità di pochi sullo sfruttamento di milioni di persone fuori e dentro l’Europa, senza che nessuno ne sottolinei l’ingiustizia e la natura coloniale. L’eredità dell’espropriazione delle classi lavoratrici, dell’estrattivismo dei popoli del Sud, dell’appropriazione del lavoro non retribuito delle donne. Di fronte a questa eredità astratta che serve a giustificare la supremazia e la morte altrui, dobbiamo indicare ciò che in realtà cercano di proteggere sotto tanta retorica: la concentrazione della ricchezza nelle mani di sempre meno eredi, il mondo diviso tra sempre meno proprietari, l’avidità che penalizza anche quegli scagnozzi che, invece di ribellarsi a chi amareggia il loro presente e ne ipoteca il futuro, dispiegano tutta la loro forza ed energia politica per difendere gli interessi altrui. Ogni impero ha bisogno dei suoi battaglioni di imbecilli e mercenari. La strategia dell’altra parte è ben congegnata e ha funzionato per secoli, ma è solo una parte della storia. L’altra parte, quella che risponde e la contesta senza mezzi termini, si sta facendo sentire sempre di più. È quell’eco internazionalista che si agita di fronte al genocidio in Palestina, è quella vertigine storica che riconosciamo nelle cacce all’uomo a Torre Pacheco o a Los Angeles. Che si sono verificate negli ultimi mesi e anni in Irlanda o nel Regno Unito, nelle isole greche o a El Ejido. È orribile, ma non è solo orribile; è anche il fondamento che attiva il diritto a resistere, a sfidare un’eredità razzista e coloniale che non vogliamo, a unirci attorno a qualcosa di molto più concreto del nostro amore per la frittata di patate o la siesta – se di questo si occupano le tanto decantate usanze spagnole – che è il diritto di tutti alla vita, alla libera circolazione e all’uguale accesso alle risorse che la terra ci offre, di fronte a quella spinta accumulatrice che oggi mostra il suo volto più suprematista. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato su El salto e qui con l’autorizzazione dell’autrice (traduzione di Comune). Nell’archivio di Comune, altri articoli di Sarah Babiker sono leggibili qui. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Integrazione, valori europei e altre battute razziste proviene da Comune-info.
L’Italia non è ancora un Paese per padri
Anche se molti uomini dichiarano di partecipare attivamente all’assistenza quotidiana, resta un divario di percezione significativo: il 74% dei padri ritiene che l’assistenza sia equamente condivisa, ma solo il 51% delle madri è d’accordo. Le madri continuano insomma a sostenere il carico maggiore di assistenza e di gestione della famiglia, spesso a scapito del loro benessere e delle loro opportunità lavorative. Tuttavia, non appare trascurabile il ruolo che i padri svolgono nello sviluppo dei figli: un maggiore coinvolgimento è connesso a legami emotivi più forti, migliori risultati di apprendimento e un migliore benessere a lungo termine per i bambini. E’ quanto emerge dal recente Rapporto SOSEF-State of Southern European Fathers, un’indagine condotta da Equimundo in Portogallo, Spagna e Italia nell’ambito del progetto europeo EMiNC-Engaging Men in Nurturing Care, coordinato da ISSA-International Step by Step Association e promosso in Italia dal Centro per la Salute del Bambino. L’indagine ha cercato di rispondere alle seguenti domande fondamentali su paternità e cura nell’Europa meridionale: Chi si prende cura? Quali barriere esistono? Quale l’impatto delle responsabilità di cura sugli individui? Quali strutture di supporto esistono? Dalla ricerca emerge un forte cambiamento sociale e culturale in atto nell’essere padri nel Sud Europa, che li vede sempre più impegnati nella cura dei figli e delle figlie e nella gestione domestica, come caregiver corresponsabili e non solo come aiutanti, con tutti i benefici che questo comporta. Si tratta di un cambiamento importante, ma che da noi avanza in maniera più lenta rispetto ad altri Paesi, relegandoci a fanalino di coda non solo del Nord ma anche del Sud Europa. Abbiamo infatti il tasso di occupazione femminile più basso (53% nel 2024), il congedo di paternità più breve d’Europa (2 settimane contro le 16 della Spagna) e restiamo fermi, bloccati da barriere strutturali, sociali e normative che frenano la piena partecipazione dei padri alla cura e a una più equa condivisione delle “faccende domestiche”. E’ indubbio che la disparità nel lavoro di cura si intreccia con le disuguaglianze nel lavoro e con la presenza di norme di genere – ancora persistenti – che limitano la partecipazione economica delle donne e aumentano la sproporzione nel carico del lavoro di cura non retribuito rispetto agli uomini. In Italia la bassa occupazione femminile fa sì che le donne italiane abbiano 20 volte (il doppio rispetto a Spagna e Portogallo) più probabilità degli uomini di essere delle caregiver a tempo pieno a casa (nel campione analizzato il 18,6% delle italiane intervistate sono casalinghe a tempo pieno contro il 7,6% delle spagnole e il 4,7% delle portoghesi). Nei tre Paesi analizzati è la mancanza di tempo a causa degli obblighi di lavoro a rendere problematico per molti genitori l’apporto ai lavori di cura. E il tempo necessario può e deve essere garantito da congedi riservati ai padri, obbligatori, più lunghi e ben pagati, al pari delle madri, secondo il modello spagnolo. Infatti, in tutti e tre i Paesi i padri riconoscono in larghissima maggioranza i benefici del congedo genitoriale retribuito per loro stessi (88%), per le loro partner (90%) e per i loro figli e figlie (93%) e per due terzi concordano anche sul fatto che il congedo genitoriale dovrebbe essere uguale tra uomini e donne. E’ ormai diffusamente riconosciuta l’importanza per i figli e per le figlie della presenza di padri accudenti, soprattutto nei primi mille giorni di vita, come ad esempio una significativa riduzione dei comportamenti violenti negli adolescenti maschi. Ma anche per le partner e per l’intera società è importante il pieno coinvolgimento dei padri. Si tratta di evidenze (soprattutto scientifiche) che già da sole giustificherebbero un’ampia azione riformatrice in tale settore. Il Rapporto mette in evidenza come il 60% delle madri e dei padri intervistati voterebbe per un partito o un politico che sostenesse un congedo genitoriale retribuito più lungo. Un dato che arriva addirittura al 66% tra le madri italiane, che hanno dichiarato che avrebbero dato priorità alle politiche di congedo al momento del voto. Il rapporto propone di sviluppare solide riforme, come un congedo per i padri completamente retribuito e non trasferibile, e investimenti in servizi per la prima infanzia che coinvolgano attivamente gli uomini. Oltre a campagne pubbliche e reti locali di supporto tra pari per modificare norme e aspettative. Promuovere l’assistenza degli uomini non è solo una questione di parità di genere, ma è una strategia chiave per garantire che tutti i bambini prosperino fin dall’inizio della loro vita. Occorre garantire che la cura sia valorizzata e sostenuta per entrambi i genitori, che sia garantita la sicurezza finanziaria durante il congedo, che il lavoro sia compatibile con la cura, senza penalizzazioni o stigmatizzazioni, che vi sia un cambiamento culturale che passi attraverso l’evoluzione delle aspettative sociali e culturali e che vi sia la modifica delle narrazioni sulla mascolinità e sulla paternità. Qui per scaricare il Rapporto (in inglese): https://issa.nl/state-southern-european-fathers-2024-building-evidence-engaging-men-nurturing-care-italy-portugal?UA-144185756-4.   Giovanni Caprio
Acerbo (PRC): boicottiamo Glovo, serve una legge come in Spagna
Rifondazione Comunista invita al boicottaggio della piattaforma Glovo visto il vergognoso comportamento nei confronti dei rider. Va detto che questa vergogna del bonus per chi pedala nelle ore più calde è conseguenza del clima permissivo che c’è in Italia verso le imprese per responsabilità di questo governo e di quelli che lo hanno preceduto. Perché il governo o le regioni non intervengono? Invece dei bonus andrebbe imposta l’assunzione dei rider! Glovo risponde alle critiche sostenendo che “l’attuale modello di collaborazione garantisce a ciascun rider la massima libertà di scelta su quando e come lavorare”. Insomma i rider sono liberi di scegliere se morire di fame o di caldo. Siamo tornati al capitalismo ottocentesco anche se si usano gli algoritmi! Ricordo che in Spagna grazie a comuniste/i e alla sinistra radicale è stata approvata una legge che dal 2021 obbliga le piattaforme come Glovo, Deliveroo, Just Eat e Uber Eats a stipulare contratti di lavoro dipendente. La sola Glovo è stata costretta ad assumere 14.000 rider. Perché non si fa in Italia? Intanto almeno si ordini di sospendere le consegne negli orari più caldi della giornata. Subito una legge che imponga l’assunzione dei rider! Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Acerbo (PRC): oggi Spagna, domani Italia. Cacciare Meloni per fermare riarmo
Le minacce di Trump alla Spagna rappresentano un inaccettabile attacco a un paese democratico che ha dimostrato di saper tenere la schiena diritta. Il governo spagnolo merita il plauso di tutti i popoli europei per aver detto no al diktat di Trump, della NATO e della Commissione Europea. Al contrario dei finti sovranisti come Meloni e Salvini genuflessi di fronte a Trump e Ursula von der Bomben, l’unico governo in Europa a dire no al folle aumento delle spese militari è quello con dentro comunisti e sinistra radicale. Meloni per legittimarsi nella recita da statista ha accettato un riarmo che costerà al popolo italiano enormi sacrifici. Il governo si è impegnato a portare la spesa militare dal 1,57 al 3,5% in 10 anni, insomma a un aumento ulteriore di circa 6-7 miliardi all’anno. Parliamo di 700 miliardi di euro nel decennio. La spesa è già in aumento da anni. Passeremo dagli attuali e già troppi 35 miliardi agli oltre 100 miliardi, cioè triplicheremo la spesa militare. Dal vertice NATO arriva una dichiarazione di guerra al resto del mondo da parte di un blocco occidentale che ha già di gran lunga una potenza militare soverchiante. Ma si tratta anche di una dichiarazione di guerra contro i popoli europei e quello italiano in particolare dato lo stato dei nostri conti pubblici. Siamo un paese con la spesa sanitaria al di sotto della media europea e Giorgia Meloni non ha la dignità di dire no a Trump. Questo governo va cacciato e gli impegni assunti a L’Aja vanno gettati nella spazzatura. Questa dovrebbe essere la base di un fronte pacifista e di sinistra che si ponga l’obiettivo di una vera alternativa al governo fascioleghista. Noi comunisti, antifascisti e pacifisti riprendiamo lo slogan di Carlo Rosselli: ‘oggi in Spagna, domani in Italia’. Si può dire no al riarmo e alla guerra. NON è un obbligo l’aumento delle spese militari. Per salvare la democrazia e lo stato sociale l’Europa e l’Italia debbono dire stop a un riarmo che è un regalo agli azionisti dell’industria bellica. Innanzitutto il riarmo è un atto di sottomissione al complesso militare-industriale degli Stati Uniti che beneficerà di enormi commesse ma non va sottovalutata la mutazione genetica di un’Europa che fa proprio il keynesismo militare. Sarebbe anche ora di aprire la discussione sulla necessità di liberarsi della NATO e fare la scelta della neutralità attiva che è quanto ci impone l’articolo 11 della Costituzione. Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea Maurizio Acerbo
Spagna: sospensione immediata degli accordi con Israele
Come riportato oggi dall’agenzia di stampa EFE, la Spagna chiederà all’Unione Europea di sospendere “immediatamente” l’accordo di associazione con Israele e un embargo sulla vendita di armi da parte dell’UE. “Non sono le denunce che fermeranno questa guerra disumana a Gaza, ma le azioni. E io metterò chiaramente sul tavolo tre azioni: la sospensione immediata dell’accordo di associazione, un embargo sulla vendita di armi da parte dell’Unione Europea a Israele e sanzioni individuali contro tutti coloro che vogliono minare definitivamente la soluzione dei due Stati”, ha dichiarato a EFE il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, al suo arrivo al Consiglio dei ministri degli Esteri dell’UE. Questa azione è coerente con le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dal Primo Ministro spagnolo, Pedro Sánchez, che si è chiaramente opposto alla proposta del Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, di aumentare la spesa militare dei Paesi membri dell’Alleanza al 5% del loro Prodotto Interno Lordo (PIL). A questo punto, il governo socialista spagnolo si sta differenziando dalle posizioni armamentiste di molti governi europei che mantengono posizioni allineate con gli Stati Uniti e la NATO. Pressenza IPA