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I peggiori nemici degli ebrei
-------------------------------------------------------------------------------- Vicolo Luretta, Bologna -------------------------------------------------------------------------------- Il 29 luglio il Parlamento europeo ha respinto la proposta di sospendere il finanziamento delle startup israeliane. Si tratta di startup che preparano genocidi per il futuro, in quanto si occupano in gran parte di security. Continuiamo a finanziare il genocidio, perché come dice Friedrich Merz, gli israeliani fanno il lavoro sporco per noi, cioè sono i nostri Sonderkommando, aguzzini colonialisti alle dipendenze del razzismo sistemico europeo. Ma se siamo forti con i deboli, e assistiamo compiaciuti al genocidio dei popoli colonizzati, non smettiamo di piegarci davanti ai forti. Gli Stati Uniti hanno spinto l’Ucraina a una guerra che ha distrutto quel popolo (è di oggi la notizia che i sessantenni possono andare a combattere perché ormai gli uomini di quel paese sono decimati). L’Unione Europea ha assecondato la provocazione statunitense, che aveva come finalità principale la rottura del legame economico tra Germania e Russia. Poi il presidente del paese cui siamo sottomessi è cambiato. E allora Jack Vance è venuto a Monaco a dirci che gli europei gli fanno schifo, che l’Ucraina merita di morire e che il suo paese se ne fotte delle conseguenze della guerra che il suo paese ha provocato. Ma gli europei fanno finta di non capire, occorrerebbe uno psicoanalista per spiegarci perché. Mentre la razza bianca declinante ha scatenato una guerra globale contro i popoli del sud migrante, la guerra inter-bianca è in pieno svolgimento. Pare che il fascista Putin la stia vincendo, pare che il fascista Trump sia indispettito. Ma quel che è certo è che gli europei investiranno somme enormi per comprare armi da Trump, che nel frattempo impone dazi del 15% e pretende che le aziende high tech non paghino le tasse, ottenendo piena soddisfazione dalla signora Ursula. Il 29 luglio in una stazione di servizio del Nord Italia è stata aggredita una famiglia di turisti che portava la kippah, segno di appartenenza ebraico. Anche il mio amico e compagno Moni Ovadia porta la kippah. Anche l’editore brasiliano dei miei libri, Peter Pal Pelbart, probabilmente in questo momento gira con una kippah per le strade di Sao Paulo. Corre il rischio di essere aggredito da una folla di squilibrati fascistoidi? Certo che sì. Da sempre gli ebrei hanno dovuto fare i conti con la violenza razzista. A loro tocca la sorte che tocca (in misura assai maggiore) ai migranti di origine africana o nord-africana che sono facilmente riconoscibili anche se non portano la kippah. Il problema è che per le comunità ebraiche di tutto il mondo si sta avvicinando uno tsunami di odio e di violenza, pari all’immenso orrore che suscita il Sionismo nella sua fase genocidaria. Lo Stato di Israele nacque abusivamente con uno sterminio e deportazioni di massa che la comunità internazionale non ebbe la forza e neppure la volontà di fermare, perché i sionisti promettevano di creare un luogo sicuro per gli ebrei. Gli europei, responsabili diretti o indiretti dell’Olocausto, non potevano fare obiezioni. Inghilterra e Stati Uniti videro nella formazione di quello Stato uno strumento per controllare l’area petrolifera mediorientale. Ma oggi appare evidente che lo Stato di Israele ha costituito fin dal suo inizio una continuazione del Terzo Reich hitleriano. Israele è certamente il luogo più pericoloso per un ebreo, oggi. Ma quel che scopriremo presto è il fatto che le politiche di questo Stato, illegale e colonialista e disumano, sono destinate a riattivare l’odio per gli ebrei in ogni zona del mondo. La crisi psicotica che sta travolgendo Israele rende quel popolo assetato di sangue, e stravolge la mente di coloro che sono responsabili dell’orrore della fame della sete dello sterminio che si diffonde a pochi chilometri da casa loro. Intanto i suicidi nell’Israeli Defence Force si moltiplicano. I dati che possiamo trovare su Haaretz di ieri sono abbastanza chiari, anche se probabilmente non rendono con realismo le dimensioni del fenomeno. E soprattutto, pur fornendo informazioni sul numero di soldati che si uccidono durante il servizio, Israele non fornisce nessuna informazione su coloro che si uccidono dopo essere tornati a casa. Quanti ventenni israeliani, dopo avere sparato in faccia a un bambino di otto anni che stava chiedendo di poter avere un po’ di cibo, continuano a fare il loro sporco lavoro (così lo ha chiamato il cancelliere tedesco Merz) fin quando, tornati a casa loro, si guardano nello specchio, si fanno orrore e si sparano un colpo nella tempia? -------------------------------------------------------------------------------- Un articolo di Haaretz del 29 luglio: IDF Reservist Who Helped to Identify Fallen Soldiers During Gaza War Dies by Suicide Un articolo di Haaretz del 30 luglio: Netanyahu’s Forever War in Gaza Is Crushing Israel’s Soldiers and Their Families -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo I peggiori nemici degli ebrei proviene da Comune-info.
L’ipocrisia dei “riconoscimenti” dello stato di Palestina
VIENE DA PENSARE AGLI SCRITTI, TRA GLI ALTRI, DI EDWARD SAID SUL BISOGNO DI UNA REPUBBLICA DEMOCRATICA CAPACE DI GARANTIRE AI SUOI CITTADINI EBREI E PALESTINESI UNA COMPLETA UGUAGLIANZA DI DIRITTI, QUANDO SI SENTE PARLARE DI RICONOSCIMENTO DELLO STATO DI PALESTINA. IN REALTÀ, DI FRONTE ALLA FURIA DISTRUTTRICE DI ISRAELE PARLARE DI STATO DI PALESTINA È SOLTANTO PROPAGANDA E CRUDELE IPOCRISIA. PERCHÉ LE CLASSI DIRIGENTI EUROPEE DI FRONTE AL GENOCIDIO NON FANNO QUELLO CHE POTREBBERO FARE, CIOÈ INTERROMPERE IMMEDIATAMENTE GLI INVII DI ARMI E LE COLLABORAZIONI MILITARI CON ISRAELE? PERCHÉ NON INTRODUCONO SANZIONI MIRATE CONTRO IL PREMIER, I SUOI MINISTRI E I PRINCIPALI GENERALI DELL’ESERCITO ISRAELIANO? PERCHÉ NON PROMUOVONO L’INVIO DI UNA FORZA DI INTERPOSIZIONE CHE PROTEGGA LA POPOLAZIONE PALESTINESE? LA VERITÀ È CHE L’EUROPA STA COLLABORANDO AL GENOCIDIO DI GAZA Foto di MilanoInMovimento -------------------------------------------------------------------------------- Ancora una volta, l’improvviso attivismo diplomatico di alcuni paesi europei – per ora Francia e Gran Bretagna, altri forse si aggiungeranno – sul genocidio a Gaza è rivelatore della crisi profonda, della débâcle delle attuali classi dirigenti. Il riconoscimento dello stato di Palestina, peraltro rinviato a settembre e sottoposto a varie condizioni, è concepito nelle cancellerie europee come un passo coraggioso, uno scatto in avanti che finalmente rompe gli indugi. E invece non è niente. A genocidio in corso, e mentre procedono sia la pulizia etnica sia i piani israeliani di annessione della Cisgiordania, compiere “passi” del genere e declamare il consunto slogan “due popoli due stati” senza fare nulla di concreto, è un misto di crudele ipocrisia e di insopportabile insipienza. I capi di stato e di governo europei non sono semplici attivisti o volenterosi intellettuali che possono limitarsi a fare enunciazioni di principio ché altri strumenti non hanno; capi di stato e di governo, se davvero hanno a cuore la sorte dei palestinesi, dello stesso popolo israeliano, della diplomazia internazionale, hanno il dovere di agire, di mettere in campo delle azioni concrete. Di fronte al genocidio occorre interrompere immediatamente gli invii di armi e le collaborazioni militari con Israele; devono essere introdotte sanzioni mirate contro il premier e i suoi ministri, contro i principali generali dell’esercito israeliano; le squadre sportive  israeliane devono essere escluse  dalle competizioni sportive internazionali; le forniture di materie prime utilizzabili militarmente devono essere interrotte; vanno intraprese azioni legali contro i dirigenti israeliani per crimini di guerra e contro l’umanità davanti alle corti internazionali; dev’essere programmato e preparato  – perché no? – l’invio di una forza di interposizione che separi l’esercito israeliano dai gazawi e che protegga la popolazione palestinese in Cisgiordania (Israele, che è alleato dell’occidente, non potrebbe dire di no a una coalizione europea). Sono questi i provvedimenti che dobbiamo aspettarci, le misure che dovremmo chiedere ai nostri governi. Tutto il resto – i proclami, le lettere di lamentela, le dichiarazioni e gli annunci – è pura propaganda, un modo ben conosciuto per pulirsi la coscienza di fronte allo smisurato orrore di quel che avviene a Gaza e in Cisgiordania con la complicità delle cancellerie occidentali, le quali nel disastro di Gaza stanno perdendo ogni credibilità democratica; stanno distruggendo dall’interno non solo la forma ma l’idea stessa di Europa, un progetto nobile che affondava le sue radici – dobbiamo ricordarlo ancora una volta? – nel rifiuto della forza come regolatrice dei rapporti internazionali e nell’affermazione che la dignità della vita, di ogni vita, è il principio cardine della nostra civiltà. La verità è che l’Europa sta collaborando al genocidio di Gaza, al punto che capì di stato e di governo europei, e anche i privati che forniscono l’esercito israeliano, potrebbero essere chiamati un giorno a rispondere in sede giudiziaria– se ancora esisterà un diritto internazionale con le sue Corti – della loro complicità. Le parole e gli annunci non bastano più, servono fatti concreti e servono subito. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI MASSIMILIANO SMERIGLIO: > Ci uccidono una vita alla volta -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo L’ipocrisia dei “riconoscimenti” dello stato di Palestina proviene da Comune-info.
Ci uccidono una vita alla volta
-------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Quello davanti è Iacopo, mio figlio. Dietro di lui Awdah, in un giorno di pioggia a Roma. Erano amici. Una storia di dolore che sfregia il cuore di tanti e della nostra famiglia. Una storia tra centinaia di altre. Awdah veniva dalla Cisgiordania, dal villaggio dove è stato girato No Other Land, e insieme al regista Basel erano venuti a Roma la prima volta nel 2022 e poi ogni anno. Awdah è stato ucciso a sangue freddo nella sua casa, dalla violenza cieca di un colono armato rimasto completamente impunito. Perché in Cisgiordania la caccia al palestinese va in scena ogni giorno. In maniera sempre più brutale. Ma forse più dei numeri dovremmo raccontare le vite di ogni singolo assassinato. Ci uccidono una vita alla volta, scriveva qualche giorno un suo amico. Awdah era un insegnante di scuola elementare, lascia tre figli e tutti i suoi piccoli studenti. Era un leader non violento che credeva nei diritti, nella giustizia e nella libertà, nella speranza di un futuro migliore per il popolo palestinese. Costruiva dialogo e ponti con le comunità internazionali e con i gruppi di ebrei e israeliani contro l’occupazione. Ogni anno veniva in Italia, insieme ai suoi compagni che ora sono in carcere senza accuse, in via preventiva. Solo qualche giorno fa Iacopo e altri stavano lavorando ai permessi per farli venire in Italia per un progetto di scambio sull’educazione e le comunità resistenti. Il suo corpo, come spesso accade, è stato sequestrato dalle forze israeliane e il suo funerale è stato vietato dall’esercito. Oggi, mercoledì 30 luglio, verrà ricordato da tutti coloro che lo hanno conosciuto. Chiunque voglia portare un fiore lo potrà fare questa sera a Roma, alle 21 a piazza Sauli. Scriveva martedì 29 Iacopo: “Oggi a Roma pioveva. Come quel giorno in cui mi hai insegnato che nel deserto si vive per sentire l’acqua, benedizione sulla pelle”. Ci sono ferite più profonde di altre che fanno sanguinare a tempo pieno. Fai buon viaggio ragazzo gentile. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Ci uccidono una vita alla volta proviene da Comune-info.
Lascio il Niger, non il silenzioso grido dei poveri
CI SONO LUOGHI CHE NON PERMETTONO ALLE FERITE DI RIMARGINARSI COL RISCHIO DI DIMENTICARE IL SILENZIOSO GRIDO DEI POVERI. “EPPURE SOLO IN LORO SCORRE L’UNICA E DECISIVA TRASFORMAZIONE DEL MONDO…”. IN MAGGIO MAURO ARMANINO CI AVEVA ANNUNCIATO CHE AVREBBE LASCIATO IL NIGER, CROCEVIA DI ROTTE MIGRATORIE E UNO DEI PAESI PIÙ IMPOVERITI DEL MONDO, DOVE HA VISSUTO PER QUATTORDICI ANNI: QUESTO IL SUO ULTIMO ARTICOLO DA NIAMEY Unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- Ogni volta mi dico che è l’ultima. L’ultima missione, l’ultimo Paese e l’ultimo popolo da lasciare. La storia si ripete e, senza saperlo o volerlo, cado nella stessa trappola. Si parte per un tempo, si vorrebbe e dovrebbe rimanere per sempre e poi, al solito, si torna. C’è una partenza in senso inverso. Dall’italico occidente al Sahel, dal Porto Antico di Genova alla porzione di Sahel riservata al Niger. Dalla sponda del Mediterraneo alla sponda del Sahara per un viaggio durato quattordici anni e qualche mese. Si passa, nel frattempo, dal Paese stampato sulla cartina geografica e dai confini ben definiti al Paese reale. Le strade, i volti, le storie di sabbia e i nomi di vento si mescolano come solo la polvere sa fare con consumata maestria. Ogni volta mi dico che è l’ultima e, senza capirlo, si recidiva. Fuggitivo, disertore, traditore, mercante, mercenario e allo stesso tempo creatura di sabbia attraversato dall’unica fragilità che accomuna gli umani che si chiama vita. I ricordi delle persone seppellite nel cimitero cristiano di Niamey. Ogni volta lo stesso pensiero che si affaccia alla mente perché una parte di me rimane in quella terra benedetta dalle lacrime di coloro che rimangono. Migranti con un nome imprestato dal destino, bambini che partono ancora prima di aver cominciato il viaggio e alcuni rifugiati che scoprono nella sabbia del camposanto la penultima dimora che, senza saperlo, cercavano. Nelle valigie di ritorno c’è tutto e non c’è nulla di quanto vissuto, amato, tradito e, in questo caso, abbandonato. Si affacciano alla memoria le parole che si avventurano nel deserto. Quanto è cambiato degli occhi e dello sguardo nel frattempo degli avvenimenti che accadono, passano, permangono e sono pronti a riapparire alla prima occasione propizia. Il passato non si accumula ma si seleziona e si organizza nella memoria del vissuto che si scava nei volti che indicano il cammino da seguire. “Se hace camino al andar“, camminando si scopre la via, scriveva Antonio Machado nell’altro millennio di un altro continente. Ci sono infatti ferite che non dovrebbero mai essere guarite perché solo aperte tengono desta l’attenzione ai protagonisti del transito in questo Paese e cioè i poveri. Inventano la storia che nessuno legge e raccontano storie che pochi ascoltano. Eppure proprio e solo in loro scorre l’unica e decisiva trasformazione del mondo. Le centinaia di migranti dalle avventure inverosimili, le comunità cristiane perseguitate, le chiese bruciate, il rapimento e la lunga prigionia dell’amico Pierluigi Maccalli, l’insicurezza per i contadini dei villaggi, il golpe dei militari e la retorica di una sovranità nazionale ad uso e consumo del potere. Le decine di dibattiti pubblici e l’amicizia con alcuni militanti della società civile che non si è fatta espropriare. Il cammino imprevedibile con una comunità di periferia e infine la nostalgia del tempo che, sostengono in molti, è il secondo nome di Dio. Soprattutto però il privilegio di guardare la realtà dal sud, dalla Grande Periferia del mondo. Sono luoghi di verità che non permettono alle ferite di rimarginarsi col rischio di dimenticare il silenzioso grido dei poveri. Si parte dal sud, senza sapere se il net funziona, quando ci sarà prossimo black out, l’appuntamento mancato senza dire nulla, lo stupore della pioggia, gli asini re della strada e i semafori a stagioni coi bambini da ogni parte si cammini e l’eleganza dei poveri nei giorni di festa. Ogni volta mi dico che è l’ultima e allora parto e poi cado nella trappola che la sabbia sapientemente nasconde. Torno soprattutto col NO che l’amico e compagno di viaggio Moussa Tchangari, attore storico della società civile di Niamey, ha ripetuto a chi voleva accaparrarne l’adesione al sistema. Si trova in galera dal 3 dicembre dell’anno scorso con la mani nude e libere di scrivere l’unica parola per la quale si può dare anche la vita. Si tratta della dignità che nessuno potrà rubargli e che, con riconoscenza, ho deposto nel mio bagaglio di ritorno. Niamey, luglio 2025 -------------------------------------------------------------------------------- Operaio in Liguria, prete (presso la Società delle Missioni Africane), antropologo, Mauro Armanino ha vissuto in Costa d’Avorio, Argentina, Liberia. Negli ultimi 14 anni ha lavorato in Niger, a Niamey, nell’accoglienza ai migranti. Nell’archivio di Comune sono leggibili oltre 250 suoi articoli. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Lascio il Niger, non il silenzioso grido dei poveri proviene da Comune-info.
Se gli assassini occupano il nostro tempo
-------------------------------------------------------------------------------- Pixabay.com -------------------------------------------------------------------------------- Un eccesso di morte impedisce il lutto. Sono morti che inghiottono il tempo e i sentimenti. Sono incommensurabili con il tempo delle nostre giornate. Come posso mangiare e dormire e ridere e piangere e annoiarmi e correre per le strade delle nostre vite affollate e intasate di lavoro impegni persone? Le persone morte si possono piangere una a una ma le uccisioni di massa, il genocidio di popoli ci costringe alla smemoratezza per vivere anche se non siamo colpevoli di indifferenza, ignavia, complicità. Abbiamo bisogno di dimenticare almeno per qualche ora (per qualche giorno?). Dimenticare è un dono negato a chi sopravvive all’orrore e quindi ricordare, per noi che l’orrore lo vediamo nelle immagini, lo leggiamo nelle notizie, è l’impegno di condividere l’enormità di una conoscenza che può annientare la vita col solo ricordo, se intorno a te non c’è un movimento che ti sostiene, che s’impegna per la vita imparando a stare dentro la morte, a non voltare le spalle alla propria responsabilità. La responsabilità etica di una cittadinanza che non può esaurirsi nei confini artificiali della mappa politica del mondo. La bandiera palestinese esposta sul mio cancello si sta strappando, come quella della pace ormai ridotta a brandelli. Le lenzuola bianche che abbiamo steso per ricordare i sudari di Gaza erano moltissime eppure poche. Quando ci chiediamo com’è possibile che un ragazzo diventi l’assassino di una bambina che aveva giocato a fare la fidanzatina, com’è possibile che siano uomini giovani a diventare così facilmente assassini della ragazza che hanno baciato, accarezzato, della donna che hanno detto di amare. Com’è possibile questo orrore quasi quotidiano conficcato nella nostra società ancora opulenta. Com’è possibile che una parte di giovani maschi si identifichi con gli assassini. Chiediamo conto alla scuola e alla famiglia, guardiamo la pagliuzza mentre la trave si abbatte su migliaia di inermi uccidendo anche il nostro futuro. -------------------------------------------------------------------------------- Tra i libri di Rosangela Pesenti, Come sono diventata femminista (Manni ed.). Rosangela Pesenti ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Se gli assassini occupano il nostro tempo proviene da Comune-info.
Via Bibulo
-------------------------------------------------------------------------------- Un articolo di Emiliano Viccaro, con le foto di Simona Granati, dedicato ai senzacasa di Via Bibulo pubblicato sul settimanale Carta nel 2005 (grazie a Federico Mariani per la segnalazione) -------------------------------------------------------------------------------- Martedì 22 luglio a Roma il Consiglio comunale ha deciso di acquistare uno stabile nel quartiere di Cinecittà, in Via Bibulo, per aggiungerlo al proprio patrimonio abitativo, trasformando così un centinaio di appartamenti occupati in case popolari. Il tutto a un costo molto vantaggioso (ventidue milioni di euro), che rapidamente rientreranno nelle casse comunali attraverso i canoni d’affitto, e che anzi in un tempo ravvicinato produrranno perfino una rendita. Al di là dell’efficacia della procedura, che se estesa e moltiplicata ridurrebbe sensibilmente la pressione dell’emergenza alloggiativa a Roma, e non solo quella cronicizzata negli edifici occupati, la decisione di riguarda un palazzo che ha una storia particolare. Mi prendo qualche riga per raccontarla, perché penso possa rappresentare una felice esemplarità. Nella primavera del 2005, vent’anni fa, l’allora X Municipio decise di requisire quello stabile e vi sistemò centinaia di senzacasa, che altrimenti avrebbero continuato a vivere in strada. La cosa suscitò un gran clamore, immobiliaristi e palazzinari si allarmarono quanto non mai e la loro stampa di complemento pubblicò pagine e pagine scandalizzate e intimidatorie. Io stesso venni attaccato e minacciato con svariate canagliate. Com’era pressoché scontato venni denunciato (Sandro Medici era l’allora Presidente del Municipio X, ndr) per abuso di potere, reato oggi allegramente abolito, e a lungo perseguito con richieste di danni finanziari per svariati milioni di euro. Grazie a queste denunce venimmo a scoprire chi fosse il proprietario dello stabile di Via Bibulo. Era un monsignore che viveva e lavorava in Vaticano. Successivamente, in occasione di altre requisizioni, c’imbattemmo in altri proprietari, un detenuto nel carcere di Isernia per reati di camorra, una contessa che aveva la sua residenza nel Principato di Monaco, ecc. In sede penale venni assolto in tutt’e tre i gradi di giudizio: i giudici riconobbero il mio diritto a requisire immobili vuoti e inutilizzati e non riscontrarono alcun dolo da parte mia. Più lunga e tormentata fu invece la causa civile per il risarcimento delle mancate rendite immobiliari, ma anche in quel caso l’assoluzione fu piena. Non finirò mai di ringraziare i miei due compagni avvocati, Lucentini e Grimaldi. Ma l’aspetto più interessante che emerse da questa lunga ricaduta giudiziaria è che, in condizioni di emergenza sociale, venne confermata la congruità del ricorso alla requisizione: strumento giuridico che può essere usato dai sindaci o dai prefetti. Nel frattempo, per venti lunghi anni, le famiglie beneficiarie dalla requisizione si “barricarono” nel loro diritto, benché la validità dell’ordinanza municipale si esaurì nel tempo. La loro fu una lotta di strenua resistenza, che non cedette di un millimetro lungo le varie compravendite dello stabile, con le relative minacce, intimidazioni e ingannevoli lusinghe. Restarono unite e non furono sgomberate. Tutto questo fino a ieri. Da oggi in poi potranno finalmente godere appieno del loro diritto a restare in quelle case. Quando ripenso a questa vicenda, mi torna sempre in mente una battuta consolatoria che mi rivolse uno dei senzacasa all’indomani della requisizione: “Al sindaco La Pira l’hanno fatto beato, a te, preside’, te volevano manda’ in galera”. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Via Bibulo proviene da Comune-info.
La Milano da bere si è ubriacata di liberismo
-------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- C’è una lucida follia in questa storia. Non si tratta – come qualcuno dei nostri politici vorrebbe farci credere – del solito (“presunto”) conflitto tra politica e magistratura e nemmeno dell’ennesimo caso di corruzione di qualche compiacente amministratore pubblico da parte di un qualche imprenditore. Il caso Milano è molto di più, è un affare politico e insieme culturale, ovvero la mancanza di una politica per la città. Rimasto silente per molto tempo e, ora, pronto ad esplodere come una bomba a tempo. Qualunque sia l’esito della magistratura, esso ha già contaminato le amministrazioni comunali delle grandi città italiane che sono pronte ad emularlo. E questo è l’esito più grave del fenomeno che rischia di diffondersi in Italia. Perché il cosiddetto “modello Milano” ha affascinato, e tutt’ora affascina, molte amministrazioni e trova un consenso (ingannevole) fra molti cittadini, persuasi che quel “successo” porterà benefici anche nelle proprie tasche. Perché i milanesi hanno davvero creduto che la città dello skyline e grattacieli fosse davvero una vera città moderna, mentre si trattava di un’enorme speculazione edilizia sotto la maschera della rigenerazione urbana. Già con il modello Expo si è iniziato a perdere il senso del bene comune, le conquiste di una disciplina – l’urbanistica – che aveva nel suo statuto riformista il compito di mitigare i conflitti tra il bene collettivo – il bene di quella classe operaia che aveva contribuito alla crescita della città – e i grandi proprietari dei suoli e, oggi, i detentori dei fondi immobiliari. Dalla “Milano da bere”, degli anni Ottanta, di Berlusconi, e successivamente dalla “Milano bella da vivere” della Moratti – che simboleggiavano un’immagine di successo, vivacità, un desiderio di modernità e di intensa vita notturna, ma che, a ben vedere, si associava a superficialità, individualismo e persino malaffare – si transita alla “città che non si ferma” del sindaco Sala; così come a Roma una retorica simile è simboleggiata dallo slogan: “Roma si trasforma”, senza aggiungere in cosa. È che le politiche iperliberiste affascinano anche, o soprattutto, a sinistra. Le città, quale che sia il colore dell’amministrazione, sono costrette a entrare in concorrenza tra loro per accaparrarsi flussi di denaro, grandi eventi, masse di turisti sospinte da grandi firme di architettura, fondi di investimento, opere pubbliche, con il risultato che la “grande abbondanza” viene spartita tra pochi gruppi di professionisti a scapito delle classi più deboli (e anche del ceto medio) costretto a cercare casa sempre più lontano dal centro. È un capovolgimento di tutto quanto l’urbanistica aveva conquistato negli anni Settanta, dove essa era impugnata dagli abitanti per creare servizi, scuole, verde e un sempre più benessere civile conquistato con dure lotte operaie. La città, in quegli anni, era ancora un’occasione di riscatto e le persone accettavano anche di vivere ai suoi margini poiché, prima o dopo, ma sicuramente, anche loro avrebbero avuto accesso ai benefici e alle occasioni della città. Con gli anni Ottanta il ciclo di lotte urbane si è esaurito. Da allora è iniziato un rapido processo di deregolamentazione con la cancellazione progressiva di quasi tutte le norme, gli statuti disciplinari e i vincoli che negli anni precedenti impedivano o almeno ostacolavano la speculazione edilizia. Milano, in questo, è stata l’apripista che, con l’Expo del 2015 ci ha illusi che bisognava semplificare le procedure, scavalcare i processi pur di raggiungere il fine del “successo” della città. Il “modello Milano” ha trovato consenso presso altre grandi città: Genova, Firenze, Roma. A riprova di questa gigantesca operazione di privatizzazione della città, sono state le recenti sfilate di moda, a Firenze (dove interi isolati sono stati privatizzati per giorni da Gucci), a Roma dove Dolce&Gabbana ha dato uno spettacolare kitsch occupando l’area di Castel Sant’Angelo, a Venezia dove si è celebrato il matrimonio di Bezos con l’occupazione totale di gran parte della città. A Roma, per restare in tema di disinvoltura urbanistica, è in corso la revisione delle norme tecniche del Piano regolatore generale il cui obiettivo è quello di semplificare le procedure urbanistiche, realizzare grandi opere destinate ai turisti e ai super milionari, abbandonando le immense periferie sempre più lontane e prive di servizi, cui sono stati assegnati pochi spiccioli (per fare cosa?). Si stima che tra il 2014 e il 2018 Milano abbia attirato 15 miliardi di euro in investimenti immobiliari internazionali, più di qualsia si altra città europea. In questo modo essa è diventata la capitale indiscussa del liberismo internazionale attraverso architetture realizzate in vetro o, come il famoso Bosco verticale, che confliggono con il cambiamento climatico in corso. Se in passato si emigrava dal sud verso Milano per le occasioni di lavoro, oggi gli abitanti non riescono più a sopportare i costi della vita quotidiana, re-migrando verso territori esterni. I costi dell’abitazione sono cresciuti più del doppio della media nazionale, stessa cosa per gli affitti e i mutui per l’acquisto delle case. Il “modello Milano”, in una parola è sostenibile solo per i ricchi che qui continuano ad acquistare case, magari nell’affascinante (si fa per dire) centro di City Life, un vero non-luogo, dove il crollo parziale della gigantesca insegna “Generali” posta su uno dei tre grattacieli (il Dritto, Lo Storto e il Curvo) ha simboleggiato per molti l’inizio di una catastrofe, come nei libri di Ballard. Ma non solo per questo il “modello” è insostenibile. In un recente articolo (La fisica, l’economia e i comportamenti umani, pubblicato su Volere la luna del 18 luglio), Angelo Tartaglia (professore emerito di Fisica) ci ricorda che «le leggi fisiche ci dicono che in un sistema produttivo con produzione in crescita (di beni o di servizi che inglobano risorse materiali ed energetiche) il volume di risorse primarie (materia ed energia) necessario per mantenere la produzione cresce più in fretta di quest’ultima» col risultato che «il costo del controllo e della gestione del sistema cresce più rapidamente del sistema stesso e dei vantaggi che se ne ricavano». In altri termini, l’eccesso di competizione tra le città porta sempre più a produrre architetture fantasmagoriche e infrastrutture per eventi che poi producono vantaggi (per pochi) inferiori al costo del loro controllo. Capita spesso di vedere grandi infrastrutture (stadi, piste da sci ecc) che, subito dopo il loro uso contingente (per esempio un evento) vengono di fatto abbandonate. E ancora: «ormai il metodo scientifico ha preso a evidenziare l’impossibilità dell’economia della crescita competitiva, ma nello stesso tempo la tecnologia, o meglio le tecnologie, ognuna concentrata su un campo molto specifico e limitato, si sviluppano e vengono celebrate fornendo gli strumenti per procedere al galoppo verso l’insostenibilità scientificamente dimostrata e verso un collasso globale».  Una volta le città italiche competevano tra loro per la bontà delle loro merci e per l’accoglienza ai pellegrini: si costruivano xenodochie e poi hospitali, lungo le strade che conducevano alla città. L’Ospedale degli Innocenti fu progettato da Brunelleschi: un’opera d’arte che ancora ammiriamo stupefatti da tanta bellezza e anche una opera civile per i neonati abbandonati. Che miracolo non essere nati a Milano! -------------------------------------------------------------------------------- Tra gli ultimi libri di Enzo Scandurra Roma. O dell’insostenibile modernità (DeriveApprodi). Nell’archivio di Comune i suoi articoli sono leggibili qui. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE: > La Dubai padana -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La Milano da bere si è ubriacata di liberismo proviene da Comune-info.
Abbiamo scelto di ignorare l’orrore
-------------------------------------------------------------------------------- Bisceglie. Foto di Gaza FREEstyle -------------------------------------------------------------------------------- Leggo che a Gaza una parte consistente della popolazione è nella quinta fase della denutrizione, la più pericolosa. Un grado da cui non si torna indietro, la fase in cui il corpo e la mente subiscono danni irreversibili. La gente collassa, mostra segni di grande deperimento muscolare, di insufficienza degli organi, conseguenze mediche devastanti che segneranno a vita chi soffre la fame a questo grado. Mi chiedo com’è possibile che continuiamo a fare colazione al bar, ad organizzare mostre, concerti, festival, party, viaggi, aperitivi sul mare, esperienze da mondo privilegiato, come se nulla fosse. Tutto continua come se nulla stesse accadendo a tre ore di volo da qui. È la nostra zona d’interesse, come nel film. La nostra disumanizzazione. Tutto scorre sotto i nostri occhi, tutto avviene in diretta, e noi decidiamo di non vedere, di girarci dall’altra parte, a bere il caffè, il naso nel drink, gli occhi sull’ombelico, a farci i nostri interessi di bottega. Abbiamo scelto di non avvertire più la fame degli altri, il loro urlo, il loro dolore, la loro morte. Abbiamo scelto di ignorare l’orrore. Tanto io che ci posso fare? Com’è possibile che il mio paese, l’Italia, l’Europa, questo mitico e mefitico Occidente siano così pavidi, ignavi, indifferenti. Così superficiali, senza un barlume di coscienza. Così complici. La nostra catastrofe morale. Ad eterna vergogna. -------------------------------------------------------------------------------- Nell’archivio di Comune, altri articoli di Rosaria Gasparro sono leggibili qui. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI SILVIA RIBEIRO: > L’economia del genocidio e le aziende tecnologiche -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Abbiamo scelto di ignorare l’orrore proviene da Comune-info.
Integrazione, valori europei e altre battute razziste
DALL’11 AL 14 LUGLIO 2025 A TORRE PACHECO, UN COMUNE DI QUARANTAMILA ABITANTI (UN TERZO DEI QUALI MIGRANTI) DI UNA REGIONE RURALE NEL SUDEST DELLA SPAGNA, CENTINAIA DI MILITANTI DI ESTREMA DESTRA HANNO ORGANIZZATO DECINE DI AZIONI VIOLENTE CONTRO I MIGRANTI MAGHREBINI. IL PRETESTO È STATA L’AGGRESSIONE A UN PENSIONATO ATTRIBUITA A DEI GIOVANI DI ORIGINE STRANIERA. IN QUESTO ARTICOLO SARAH BABIKER RACCONTA COME IL POTERE SIA RIUSCITO A CAPITALIZZARE OVUNQUE CON SUCCESSO LE MIGRAZIONI AFFINCHÉ LE PERSONE NON PENSINO ALL’ESPROPRIAZIONE CHE SUBISCONO A CAUSA DEL CAPITALISMO MA PENSINO INVECE ALLA MINACCIA ASTRATTA ALLA LORO SICUREZZA RAPPRESENTATA DA CHI CERCA UN SOSTENTAMENTO. RICORDA, INOLTRE, L’IPOCRISIA DI CHI PARLA DI VALORI EUROPEI DIMENTICANDO IL COLONIALISMO, E SPIEGA PERCHÉ È SBAGLIATO INSISTERE, QUANDO SI PARLA DI CRIMINALITÀ, SUL FATTO CHE CI SIA UNA MAGGIORANZA DI MIGRANTI “INTEGRATI”. “PREDICATORI D’ODIO, DELINQUENTI E RAPPRESENTANTI DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE SONO TUTTI CONCORDI – SCRIVE SARAH BABIKER – NELLA LORO PROFONDA PREOCCUPAZIONE PER L’EREDITÀ. L’EREDITÀ CRISTIANA, L’EREDITÀ LIBERALE, L’EREDITÀ ILLUMINISTA: OGNUNA PUÒ CHIAMARLA CON IL SUO NOME, MA NESSUNO LE DÀ DIRETTAMENTE IL SUO VERO NOME: IL PRIVILEGIO EREDITATO DI BASARE LA PROSPERITÀ DI POCHI SULLO SFRUTTAMENTO DI MILIONI DI PERSONE FUORI E DENTRO L’EUROPA, SENZA CHE NESSUNO NE SOTTOLINEI L’INGIUSTIZIA E LA NATURA COLONIALE. L’EREDITÀ DELL’ESPROPRIAZIONE DELLE CLASSI LAVORATRICI, DELL’ESTRATTIVISMO DEI POPOLI DEL SUD, DELL’APPROPRIAZIONE DEL LAVORO NON RETRIBUITO DELLE DONNE…” Pixabay.com -------------------------------------------------------------------------------- Negli ultimi giorni, orde di uomini violenti si sono recate a Torre Pacheco per ricordare a migliaia di persone – che vivono, lavorano, crescono i propri figli e, quando possono, festeggiano lì – che le loro vite sono in realtà una farsa, che non appartengono a quel posto. Questi crociati a buon mercato terrorizzano i vicini, ottenendo finalmente ciò che desideravano: dimostrare il loro potere seminando paura, perseguitando finalmente coloro che hanno preso di mira come nemici per anni. Sono riusciti a passare dall’aggressione verbale, dalla solitudine di internet, ad attacchi veri e propri, accompagnati da persone che li odiano proprio come loro. Sentono che il loro momento è adesso. Non è una distopia; è la stessa marea che trabocca di tanto in tanto, non appena si presenta una scusa: i predicatori d’odio (molti dei quali con stipendi pubblici) normalizzano il quadro, collegando migrazione e criminalità e alzando il livello di fascismo del discorso. Non mancano microfoni davanti ai quali parlare di deportare milioni di persone come “soluzione” per salvare la società spagnola, dove cementano i confini simbolici tra “loro” e “noi”. Abbondano le tribune da cui riferirsi ad altri esseri umani come “peste”. Mentre il linguaggio della pulizia etnica è coniugato nell’agenda pubblica, i nazisti alimentano la loro rabbia sui social media, scatenano il loro desiderio di fare del male e conferiscono al loro patetico razzismo da troll di internet una patina epica: “Li riuniremo ad Allah”, dicono, permeati da una missione. Mentre la giustizia sociale e i diritti umani vengono messi in discussione come aspirazioni legittime attorno alle quali organizzarsi, discorsi che giustificano lo sfruttamento e la disuguaglianza emergono sulla scena in modo complementare. È così che prende forma il consenso sul fatto che alcune vite valgano meno di altre. Il capitalismo razziale si basa su questo, ma sempre meno persone lo nascondono. Mentre le élite accumulano più che mai, ignorando ampi settori della popolazione che affermano di difendere, finanziano portavoce che convincono gli indigeni perdenti di essere superiori, di meritare di più, perché discendenti da una stirpe occidentale minacciata non dall’avidità insaziabile di pochi, ma da coloro che sono stati vittime di espropriazione prima di loro. Il potere ha capitalizzato con successo sulla migrazione: la sua forza lavoro viene sfruttata al massimo per rimpinguare le tasche del capitale, la sua alterità viene sfruttata affinché le persone non pensino all’espropriazione che subiscono a causa di questo regime di avidità, ma piuttosto alla minaccia astratta che le persone in cerca di un sostentamento rappresentano per la loro sicurezza. Disumanizzati, i migranti fungono anche da ariete politico da scagliare contro l’opposizione: il sistema bipartitico viene accusato di “averli portati qui”, come se non avessero le proprie ragioni per decidere di venire, la propria capacità di agire per prendere la decisione di migrare nonostante tutti gli ostacoli che negano loro il diritto di movimento. Vox e l’estrema destra vengono accusati di alimentare l’odio, come se il sistema bipartitico non avesse aperto la strada alla disumanizzazione affrontando la migrazione da una prospettiva utilitaristica e permettendo al linguaggio della gestione dei flussi di prevalere su quello dei diritti delle persone. Nello scambio di accuse tra i ranghi più fascisti e quelli più moderati del potere, emergono contraddizioni: la soluzione magica (o definitiva?) di espellere le persone si scontra con l’esigenza capitalista di sfruttarle. Trump si è trovato di fronte a questo paradosso quando i suoi ampi piani di deportazione si sono scontrati con gli interessi degli imprenditori che non vogliono perdere i lavoratori di cui hanno bisogno per continuare ad accumulare ricchezza. Da grande soluzionista qual è, Trump ha difeso la seguente formula: lavoratori migranti dipendenti dai loro datori di lavoro, senza accesso alla cittadinanza. Lavoratori senza diritti, dipendenti da chi li sfrutta e perseguitati con retate casuali non appena lasciano il lavoro. Suona familiare. Abbiamo un termine che non passa mai di moda per riferirci a questo: “schiavitù”. E Trump è un classico. È forse a questo che si riferiscono i suoi alleati in Europa quando rivendicano con tanta enfasi l’eredità greca? Una società di uomini liberi e schiavi? È possibile che stiano difendendo quell’istituzione così funzionale all’ordine e all’accumulazione: far lavorare masse di persone in cambio del minimo indispensabile per vivere, senza diritti? Questa violenza, a volte sponsorizzata dallo Stato – per mano dell’ICE o di Frontex – a volte da questo tipo di milizia fascista, non è forse una forma di disciplina affinché “gli altri” capiscano che non vi apparterranno mai? Perché “noi” crediamo alla finzione che vengano difesi, mentre l’espropriazione continua? I noiosi campioni dell’Occidente Funzionali ai fascisti urlanti sono i discorsi di quegli “intellettuali” tranquilli che insistono sulla necessità di preservare la “civiltà occidentale” o i “valori europei”, come se potessero essere igienicamente separati dalla materialità della storia occidentale o europea, segnata dal colonialismo basato sullo sterminio e l’espropriazione. Come se non vedessimo il presente occidentale ed europeo sui nostri televisori sponsorizzare il genocidio a Gaza e giustificare la morte di migliaia di persone mentre si dirigono verso i confini… È orribile sentire persone note per la loro cultura e rispettabilità sottolineare le grandi pietre miliari della tradizione europea ignorando tutte le altre tradizioni culturali del mondo. In ogni società, è esistito e continua a esistere un conflitto tra chi difende la dignità di tutti e chi cerca di accumulare ricchezza e potere. Proprio come la schiavitù, la crudeltà o le ambizioni imperialistiche non sono un monopolio dell’Europa, non lo sono nemmeno le aspirazioni alla libertà e all’uguaglianza. La superiorità di una cultura può essere rivendicata solo – ed è ciò che fanno i noiosi della civiltà occidentale o dei valori europei – a partire da una fiera ignoranza delle culture altrui, ostentando un’intrinseca appartenenza coloniale che sa rapportarsi all’alterità solo attraverso la violenza, il paternalismo e l’estrattivismo. Quando ci sarà un Trattato di Non Proliferazione dell’ipocrisia? I portavoce del mondo libero (sic) limitano la libertà di espressione dei propri cittadini, imprigionano i dissidenti e violano le proprie leggi. Chi elogia le virtù dei valori occidentali viola apertamente gli stessi diritti umani che orgogliosamente rivendica. È naturale che chi è disposto a difendere l’Occidente, a rischiare la vita per l’Europa, lo faccia sotto forma di un’incursione fascista, attaccando dalla sicurezza di essere più numeroso e più brutale. Chi si atteggia a persecutore del crimine lo fa attraverso il vandalismo. Afferma di voler creare spazi sicuri mentre instilla il terrore nelle strade. E così rappresenta fedelmente ciò che cerca di difendere: un sistema di espropriazione e accumulazione che, per perpetuarsi, richiede sempre maggiori disuguaglianze e violenza. Integrarsi nella disuguaglianza è remissività Mentre la destra lega migrazione e criminalità, voci benintenzionate a sinistra si preparano a contrastare questa narrazione. Le bufale vengono poste al centro della discussione, si cercano statistiche per ripulire la reputazione dei nostri “buoni” migranti e si tira un sospiro di sollievo collettivo quando si dimostra che un ladro, un aggressore o uno stupratore non ha cognomi stranieri. Entrare ripetutamente in questo gioco rende un pessimo servizio alla lotta al razzismo: ci saranno sempre migranti che commettono reati, poiché la criminalità si verifica in tutte le società e in tutti i gruppi. Dimostrare se chi proviene da fuori commette più o meno reati significa sottomettersi ai quadri imposti dalla destra e farlo alle condizioni da essa stabilite. Questo oscura la visione di altri fattori che possono influenzare queste statistiche: età, genere, status socioeconomico, stress o emarginazione, il razzismo istituzionale che invisibilmente sostiene l’azione della polizia o le decisioni giudiziarie. Se c’è una cosa a cui la criminalità è legata, è la disuguaglianza. Parlare della violenza che i migranti possono infliggere senza affrontare la violenza che subiscono quotidianamente è uno dei principali trucchi del discorso di destra. D’altra parte, insistere, quando si parla di criminalità, sul fatto che ci sia una maggioranza di migranti integrati rafforza, anche se involontariamente, la logica del migrante buono contro il migrante cattivo, così funzionale al sistema. Lasciare aperte solo le vie della criminalità e dell’integrazione in un sistema di sfruttamento lascia poco spazio alla risposta e alla ribellione, in primo luogo di fronte alla violenza subita, e in secondo luogo di fronte alla mancanza di diritti. La semplice integrazione in un sistema che discrimina e sfrutta è mitezza. È la stessa pace e rispetto della legge che viene richiesta a chi sta in fondo, mentre ci viene rubato il diritto di abitare nelle nostre città, o diventiamo più poveri anno dopo anno mentre i ricchi si arricchiscono, spesso violando la legge e traendo profitto dalla violenza. Lotta contro l’eredità Predicatori d’odio, delinquenti e rappresentanti della civiltà occidentale sono tutti concordi nella loro profonda preoccupazione per l’eredità. L’eredità cristiana, l’eredità liberale, l’eredità illuminista: ognuna può chiamarla con il suo nome, ma nessuno le dà direttamente il suo vero nome: il privilegio ereditato di basare la prosperità di pochi sullo sfruttamento di milioni di persone fuori e dentro l’Europa, senza che nessuno ne sottolinei l’ingiustizia e la natura coloniale. L’eredità dell’espropriazione delle classi lavoratrici, dell’estrattivismo dei popoli del Sud, dell’appropriazione del lavoro non retribuito delle donne. Di fronte a questa eredità astratta che serve a giustificare la supremazia e la morte altrui, dobbiamo indicare ciò che in realtà cercano di proteggere sotto tanta retorica: la concentrazione della ricchezza nelle mani di sempre meno eredi, il mondo diviso tra sempre meno proprietari, l’avidità che penalizza anche quegli scagnozzi che, invece di ribellarsi a chi amareggia il loro presente e ne ipoteca il futuro, dispiegano tutta la loro forza ed energia politica per difendere gli interessi altrui. Ogni impero ha bisogno dei suoi battaglioni di imbecilli e mercenari. La strategia dell’altra parte è ben congegnata e ha funzionato per secoli, ma è solo una parte della storia. L’altra parte, quella che risponde e la contesta senza mezzi termini, si sta facendo sentire sempre di più. È quell’eco internazionalista che si agita di fronte al genocidio in Palestina, è quella vertigine storica che riconosciamo nelle cacce all’uomo a Torre Pacheco o a Los Angeles. Che si sono verificate negli ultimi mesi e anni in Irlanda o nel Regno Unito, nelle isole greche o a El Ejido. È orribile, ma non è solo orribile; è anche il fondamento che attiva il diritto a resistere, a sfidare un’eredità razzista e coloniale che non vogliamo, a unirci attorno a qualcosa di molto più concreto del nostro amore per la frittata di patate o la siesta – se di questo si occupano le tanto decantate usanze spagnole – che è il diritto di tutti alla vita, alla libera circolazione e all’uguale accesso alle risorse che la terra ci offre, di fronte a quella spinta accumulatrice che oggi mostra il suo volto più suprematista. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato su El salto e qui con l’autorizzazione dell’autrice (traduzione di Comune). Nell’archivio di Comune, altri articoli di Sarah Babiker sono leggibili qui. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Integrazione, valori europei e altre battute razziste proviene da Comune-info.
La Dubai padana
SE AL TERMINE DELLE INDAGINI CHE RIGUARDANO QUANTO ACCADUTO A MILANO NON EMERGESSERO RILEVANZE PENALI, IL PROBLEMA SAREBBE ANCORA PIÙ GRANDE, PERCHÉ RIGUARDA LA VISIONE DELLA CITTÀ. IL VERO REATO, SCRIVE MARCO BERSANI, È POLITICO: LA RIGENERAZIONE URBANA LIBERISTA. “DALL’EXPO IN POI LA STRADA SCELTA È STATA DRAMMATICAMENTE LINEARE: TRASFORMARE MILANO NELLA DUBAI PADANA, RENDERE LA CITTÀ SEXY PER I GRANDI FONDI FINANZIARI… FARLA DIVENIRE REALTÀ URBANA COSMOPOLITA E INCLUSIVA SOLO PER REDDITI ALTI…”. ECCO PERCHÉ NEGLI ULTIMI DIECI ANNI, NELLA CITTÀ DI MILANO SI È COSTRUITO PIÙ DI QUANTO SI SIA EDIFICATO IN TUTTO IL PIEMONTE E IN TUTTA LA TOSCANA MESSI INSIEME Foto di Milano in Movimento -------------------------------------------------------------------------------- “Non mi riconosco nella lettura della città che la Procura sta ricostruendo”. Così il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha commentato le indagini della magistratura che hanno portato al coinvolgimento di 74 persone tra politici, tra cui lo stesso sindaco, funzionari, archistar e immobiliaristi che in questi anni hanno trasformato in maniera radicale la capitale lombarda. Le indagini faranno il loro corso e il tempo dirà se e quali reati siano stati compiuti. Non è questo il problema. Paradossalmente, se al termine delle indagini, non emergessero rilevanze penali, il problema sarebbe ancora più grosso, poiché riguarda esattamente la visione della città, il ruolo del pubblico, gli interessi immobiliari e della rendita finanziaria, i bisogni e i diritti di quelli che la abitano. Per dirla in breve, il vero reato politico è la rigenerazione urbana liberista. Rigenerare significa far nascere di nuovo oppure, riferito a un corpo, ristabilirne la salute. Nel caso della rigenerazione urbana il corpo da rimettere in funzione è la città, uno spazio complesso, terreno di scontri e mediazioni tra interessi economici, sociali e culturali molto diversi tra loro per esigenze, obiettivi e capacità di influenzare le politiche urbane. Dalla città fonte di rendita e profitto a quella motore economico fino alla città abitata, espressione di bisogni e relazioni. Rigenerare una città significa mettere mano a questo spazio complesso. Nessuna complessità è stata affrontata dalla amministrazione comunale milanese. Dall’Expo in poi la strada scelta è stata drammaticamente lineare: trasformare Milano nella Dubai padana, rendere la città sexy per i grandi fondi finanziari, erigerla a residenza ideale per i milionari, farla divenire realtà urbana cosmopolita e inclusiva solo per redditi alti, dentro il grande luna park delle fiere della moda, del mobile, dell’hi-tech e chi più ne ha più ne metta. Così Milano è diventata la prima città europea per investimenti nell’immobiliare (28 miliardi, come somma fra quelli già spesi dal 2014 a oggi e quelli previsti fino al 2029) destinati a “rigenerare” oltre 10 milioni di metri quadri di territorio, sui quali sono stati edificati 17 milioni di metri cubi residenziali e 29 milioni di metri cubi non residenziali. Negli ultimi dieci anni, nella città di Milano si è costruito più di quanto si sia edificato in tutto il Piemonte e in tutta la Toscana messi insieme. E l’impatto sociale è stato devastante: sono oltre duecentomila gli abitanti che hanno lasciato la città negli ultimi cinque anni, compensati da altrettanti arrivi, ma determinando una sostituzione di classe: se ne vanno le fasce popolari, quelle della Milano col cuore in mano, sostituite da ricchi e turisti, quelli della Milano con la carta di credito in mano. È questo modello di città che viene rivendicato dal sindaco Sala, che non a caso ottiene solidarietà bypartizan tanto dalla segretaria del suo partito Elly Schlein, quanto dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Perché si può litigare su molto, ma quando i nodi vengono al pettine ci si ritrova. Non è solo il partito trasversale del cemento, è proprio la visione comune su a chi appartenga la città e quale debba essere il ruolo del pubblico: la città è della rendita immobiliare e dei grandi fondi finanziari e il pubblico deve mettersi al loro servizio. Due ulteriori domande sono inevitabili. La prima è rivolta a chi oggi dentro la coalizione di centro-sinistra si straccia le vesti dall’indignazione: dove eravate quando per rigenerare palazzine di tre piani si costruivano centinaia di grattacieli da ottanta piani? La seconda è rivolta a chi si illude che Milano sia un’anomalia: siete sicuri che ciò che è accaduto nella “Grandeur meneghina” non sia ciò che in scala per ora minore sta succedendo in tutte le altre città? “Riprendiamoci il Comune” non è più solo la suggestione di un’alternativa di società. Oggi è una stretta necessità per chiunque pensi che la città debba essere innanzitutto il luogo della cura e delle relazioni fra chi la abita. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato anche su attac-italia.org. Marco Bersani ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura. Il suo ultimo libro è La rivoluzione della cura. Uscire dal capitalismo per avere un futuro (Ed. Alegre). -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE: Un’altra Milano c’è -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La Dubai padana proviene da Comune-info.